Proporzionalità della cura: qual è la percezione dei professionisti sanitari?


Nel corso degli ultimi anni la percezione del morire ha subìto un notevole mutamento. Ciò può essere ricondotto principalmente alla crescente incidenza delle malattie croniche degenerative associate alla “tentazione tecnicistica”, derivante dalla disponibilità di risorse tecnologiche sofisticate, che consentono, sia pure entro certi limiti, di decidere sul prolungamento o il termine della vita. Tale “diluizione nel tempo” del processo del morire è sempre positiva? Il fatto che esistano alcuni trattamenti che possano prolungare la vita di un paziente per un certo periodo è di per sé un motivo sufficiente per applicare quel trattamento?
La letteratura scientifica internazionale mette in primo piano a questo proposito il fenomeno della dysthanasia, termine poco conosciuto ma che rappresenta una realtà con cui gli infermieri si scontrano quotidianamente. La distanasia non è altro che l’ostinazione terapeutica e si configura nei trattamenti sproporzionati. Risulta curioso quindi esplorare come gli infermieri percepiscano il fenomeno della proporzionalità della cura e cosa rappresenti per loro.
L’obiettivo di questa indagine è di approfondire la conoscenza dei professionisti sanitari a proposito del significato del termine “proporzionalità della cura” ed esplorare il fenomeno dell’ostinazione terapeutica. Sono state realizzate delle interviste a medici, infermieri e studenti del Corso di laurea in infermieristica (Cli), effettuate in luoghi a discrezione dell’intervistato, con sei domande mirate.

Cosa dicono gli infermieri
Conoscenza e concettualizzazione del termine “proporzionalità della cura”
Il 54,4% degli intervistati, rappresentato dagli studenti del 3° anno del Cli e dagli infermieri, asserisce di non conoscere il significato del termine “proporzionalità della cura”, mentre tutti i medici dichiarano di conoscerne il significato. Nonostante ciò, tutti gli intervistati sono stati in grado di definire il concetto come l’insieme di cure appropriate, adeguate alla condizione clinica del paziente, all’aspettativa di vita e che portino a un miglioramento della qualità della stessa. Alcuni intervistati hanno considerato il rapporto tra rischi e benefici che comporta il trattamento terapeutico, individuando come sia importante non limitarsi alla cura riducendola a una mera somministrazione della terapia farmacologica, piuttosto cercando di prendersi cura del paziente e quindi riflettendo sulla sua dignità. Qualche intervistato annovera le cure palliative come un tipo di trattamento proporzionato.

Affrontare le situazioni di sospensione di un trattamento terapeutico
La totalità degli intervistati dichiara di essersi trovato di fronte a situazioni in cui si doveva decidere di sospendere un trattamento terapeutico durante l’esperienza lavorativa o di tirocinio. Da questa tematica sono emerse le seguenti questioni:

  • rispetto della volontà del malato: molti intervistati sostengono l’importanza di rispettare le decisioni e le volontà del paziente, o dei familiari quando quest’ultimo è incapace di intendere e di volere, sebbene le scelte non siano sempre condivise. Alcuni medici parlano di “contrattazioni” con il malato e i suoi familiari, quindi è necessario supportare il paziente nelle scelte che dovranno essere intraprese;
  • il ruolo della comunicazione: dalle risposte fornite dai medici, possiamo dedurre l’importanza di trovare il coraggio e di saper spiegare il motivo della sospensione di un trattamento al paziente e alla famiglia (come la chemioterapia, la quale causa numerosi effetti collaterali) e ciò comporta anche l’onere di farsi carico delle reazioni emotive che il paziente può manifestare, soprattutto quando ci riferiamo a malati oncologici. Nella comunicazione possiamo introdurre un altro aspetto, ossia la collaborazione tra medici e infermieri sulle decisioni e scelte terapeutiche da intraprendere. La maggior parte degli infermieri include nei comportamenti: la collaborazione, il confronto con i medici, consapevoli del potere decisionale di questi ultimi e quindi tendenti a supportare le decisioni prese. I medici invece menzionano tra i comportamenti da adottare solo il confronto con altri medici specialisti e il rispetto della volontà dei familiari;
  • implicazioni emotive: alcuni intervistati, in particolar modo gli infermieri, esprimono le proprie difficoltà emotive, frustrazioni, burn-out suscitate dalla pratica di ostinazione terapeutica e dalla delicata situazione di sospendere un trattamento per un paziente.


Frequenza dell’ostinazione terapeutica nei confronti di pazienti in fase terminale

L’80% del campione afferma che l’ostinazione terapeutica sia un fenomeno molto frequente e dalle considerazioni degli intervistati si possono evincere i motivi che caratterizzano tale fenomeno:

  • responsabilità professionale: riconosciuta in particolar modo dai medici, è dichiarata anche dagli infermieri che sentono il dovere di rispettare le scelte del medico. Alcuni intervistati affermano che, quando si assiste un paziente in condizioni critiche, si cerca di fare il possibile per mantenerlo in vita e su quest’aspetto incide anche la preoccupazione di non aver fatto abbastanza e il timore che i familiari possano ricorrere a provvedimenti legali;
  • incapacità di arrendersi e di interrompere la cura: i medici asseriscono l’incapacità di arrendersi di fronte alla morte e alla malattia, cercando di mantenere in vita il paziente a qualsiasi costo. La prosecuzione dei trattamenti terapeutici è riconosciuta come l’incapacità del medico di affrontare la “non cura”, poiché il loro obiettivo è di curare e non sempre sono in grado di valutare le aspettative di vita del paziente; a causa di ciò pochi pazienti sono indirizzati alle cure palliative. Inoltre, la prosecuzione di trattamenti a pazienti senza alcuna prospettiva di miglioramento ha indotto alcuni intervistati a menzionare gli elevati costi sanitari e risorse economiche che comportano;
  • ruolo dei familiari nelle scelte decisionali: essi rivestono un ruolo fondamentale nelle scelte decisionali. Gli intervistati affermano che i desideri e le volontà dei familiari devono essere rispettate anche quando non si condivide la decisione. Molto spesso i familiari non possiedono le informazioni e le conoscenze sulla malattia e sulla condizione clinica del proprio caro e ciò può portare a una mancanza di fiducia nei confronti dei professionisti sanitari. È necessario quindi che ricevano tutte le informazioni indispensabili sul percorso terapeutico e sulla condizione clinica del malato e accertarsi che abbiano compreso. Alcuni infermieri evidenziano anche un altro importante aspetto, cioè il senso di colpa dei familiari per non poter assistere il proprio caro e altri fattori come il legame affettivo, la religione e l’incapacità di accettare la malattia che possono influire sulla pratica di ostinazione terapeutica. Vi sono però anche familiari favorevoli ad accompagnare il malato a una morte serena, rinunciando quindi all’ostinazione terapeutica.


Il coinvolgimento dell’infermiere e di altri professionisti sanitari nelle decisioni terapeutiche

Quasi tutti gli intervistati sostengono che il coinvolgimento dell’infermiere sia importante nelle decisioni terapeutiche che riguardano il paziente. Anche gli altri professionisti sanitari svolgono un ruolo fondamentale, poiché possedendo conoscenze specifiche sono in grado di contribuire nelle decisioni terapeutiche e assistenziali. Dalle risposte fornite possiamo dedurre l’importanza dell’infermiere per i seguenti motivi:

  • figura professionale più vicina al paziente: molto spesso il malato confida all’infermiere le proprie preoccupazioni e angosce; chiede spiegazioni, chiarimenti e quindi funge da mediatore tra medico e paziente. Lavorando a stretto contatto con il paziente, l’infermiere è in grado di decidere adeguate scelte assistenziali e di riconoscere le problematiche a esso legate;
  • ruolo dell’esperienza lavorativa: gli infermieri con molti anni di esperienza lavorativa sono in grado di gestire situazioni assistenziali complesse e per questo motivo sono maggiormente coinvolti dal medico nel processo decisionale. Alcuni infermieri sostengono che in determinati casi dovrebbe essere l’infermiere stesso a prendere iniziativa.


Conclusioni

Biondo e Silva (2009), interpellando un campione d’infermieri a cui è stato chiesto di concettualizzare il termine distanasia, sono stati in grado nel 54,5% dei casi di concettualizzare il termine; tra questi l’82,35% afferma di imbattersi nella dysthanasia quasi quotidianamente. Riflettendo sulla frequenza dell’ostinazione terapeutica, in un’indagine condotta da Mohammed e Peter (2009), il 95% degli infermieri e l’87% dei medici hanno denunciato l’impiego di trattamenti futili; questo accanimento è richiesto in primo luogo dai familiari e in seguito dai medici. Lo studio asserisce che gli infermieri, rispetto ai medici, risentono maggiormente del problema riguardante la futilità dei trattamenti.
Lo studio di Biondo e Silva, inoltre, ha preso in considerazione il ruolo dei familiari, sostenendo che i trattamenti futili diano false speranze alla famiglia e che potrebbero essere sostituti con le cure palliative, nonostante siano difficilmente accettate.
Da moltissimi studi ricavati dalla letteratura scientifica, emerge chiaramente il coinvolgimento dell’infermiere nel processo decisionale. Lo studio effettuato da Epstein (2010) ha dimostrato che, sebbene la quasi totalità di medici e infermieri sostenga che le decisioni debbano essere prese in modo collaborativo, solo il 27% degli infermieri e il 50% dei medici ritiene che tali collaborazioni avvengano nella pratica clinica.
Nello studio di Georges e Grypdonck (2002), Hoffmaster analizza le prospettive divergenti degli infermieri e dei medici; ciò sembra spiegare come nascano i conflitti:

  • prospettiva infermieristica: si caratterizza per la volontà di agire in conformità con i desideri del paziente; gli infermieri trascorrono molto più tempo con i pazienti e ciò favorisce l’instaurazione di una relazione;
  • prospettiva medica: è caratterizzata dalla volontà di agire secondo le possibilità di trattamento e influenzata dalla responsabilità del ruolo. I medici dedicano un tempo molto limitato ai pazienti e traggono le conclusioni sulla base di referti clinici, esami diagnostici e letteratura scientifica.

Concludendo, è opportuno sottolineare l’importanza del rispetto dei desideri, della volontà del paziente in merito alle cure di fine vita e di come questo sia centrale nell’assistenza. I familiari giocano un ruolo fondamentale nelle decisioni da intraprendere, in particolar modo quando il paziente perde la capacità di intendere e di volere, quindi il dovere di medici e infermieri è di porsi come guida per aiutarli a comprendere l’importanza di attuare trattamenti proporzionati alla situazione clinica in cui verte il paziente.
Gli infermieri, data la stretta vicinanza con i pazienti, sono in grado di comprendere le angosce, le paure ma anche gli effetti di un trattamento; per questo il loro coinvolgimento nelle decisioni può aiutare nella scelta dei trattamenti terapeutici da adottare.
 

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Bibliografia

– Biondo C. A., Silva M. J., Secco L. M. Dysthansia, euthansia, orthotanasia: the perceptions of nurses working in intensive care units and care implications. Rev Lat Am Enfermagem. 2009; 17:613-9.
– Mohammed S., Peter E. Rituals, death and the moral practice of medical futility. Nurse Ethics. 2009; 16: 293-301.
– Epstein E. G. Moral obligations of nurses and physicians in neonatal end of life care. Nurs Ethics. 2010; 17:577-89.
– Georges J. J., Grypdonck M. Moral problems experience by nurses when caring for terminally ill people: a literature review. Nurs Ethics. 2002; 9:155-78.