Alcune riflessioni sul contesto sanitario e sullo stato della professione


Comunicazione della Presidente presentata all’Assemblea straordinaria del Consiglio nazionale dei Collegi Ipasvi – Roma 7 giugno 2013

Il quadro generale
Il Paese vive una fase critica fra le più impegnative della sua storia recente. La crisi economica produce, in maniera sempre più palese, pesanti ricadute nelle strutture e nei sistemi che hanno fin qui accompagnato e sostenuto la vita della collettività nazionale. Nell'ultimo biennio la necessità di riportare "i conti" dello Stato nell'ambito di un’equilibrata sostenibilità, ha contribuito a rendere ancor di più pesante e critica la situazione del mercato del lavoro – in generale e in sanità – e lo stato del Welfare (Servizi sanitari, Servizi sociali, Scuola e Istruzione, Servizi di sostegno per le situazioni di fragilità lavorativa e sociale), incidendo sulla coesione e sulle relazioni intercategoriali e sociali.
Il permanere dell'obiettivo del contenimento della spesa nella Pubblica amministrazione – e quindi anche nella Sanità – e le palesi conseguenze che il raggiungimento di tale obiettivo comporta, induce a riflettere su alcuni aspetti:
la salute rientra tra i diritti costituzionalmente garantiti e, pertanto, per rendere fruibile tale diritto, vanno contemperati gli sforzi per raggiungere l'equilibrio di bilancio con l'impegno verso la reale garanzia dell'attuazione dei LEA e l'aiuto e il supporto – anche questo costituzionalmente previsto – a chi è in condizioni di fragilità, non autosufficienza, povertà;
la sanità rappresenta uno dei più importanti comparti del Paese non solo sul versante finanziario, ma anche sul versante occupazionale e produttivo e quindi economico;
la sanità è un rilevante volano per l'accrescimento del know how nella ricerca scientifica, tecnologica, nelle scienze mediche, assistenziali, educative, gestionali e organizzative.

La salute, dunque, insieme all'organizzazione e ai professionisti che se ne occupano – sanità – deve essere considerata più che un fattore di spesa, un valore sia per l'economia del Paese, sia per il servizio alla collettività.
La necessità di una visione più ampia si rileva anche nel Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti, la quale evidenzia – da una parte – che anche per il 2012 si sono confermati “i progressi già evidenziati negli ultimi esercizi nel contenimento dei costi e nel riassorbimento di ingiustificati disavanzi gestionali” e che i risultati delle azioni di controllo della spesa sanitaria e di assorbimento dei disavanzi nelle Regioni in squilibrio strutturale “sono ancora una volta incoraggianti”.
Ma dall'altra sottolinea che la sanità si trova “di fronte a scelte ancora impegnative” e avverte che non mancano “segnali preoccupanti sul fronte della qualità dei servizi garantiti ai cittadini,mentre sono ancora previsti rilevanti tagli delle risorse destinate al settore” e “sempre più limitate appaiono le possibilità di ricorrere ad ulteriori entrate straordinarie”.
Il risultato del 2012 ha consentito di rivedere le previsioni della spesa sanitaria nel prossimo quinquennio e di prefigurarne una riduzione sul Pil dal 7,1% del 2012 al 6,7% del 2017. Il buon andamento è riconducibile soprattutto alle Regioni in “Piano di rientro” che presentano una flessione delle perdite di circa il 44%, ma anche un saldo negativo più che raddoppiato per quanto attiene la mobilità sanitaria. 

In questo quadro situazionale, continua a ridursi il costo del personale (35,6 miliardi di euro) con un decremento dell'1,4% rispetto al 2011. Tale riduzione è conseguente agli interventi di contenimento di tale costo derivanti dai contenuti dell'articolo 2, comma 71, della legge 191/2009 e dell'articolo 8, del decreto legge 78/2010 che ha disposto il blocco dei rinnovi contrattuali per il periodo 2011/2013.
In sintesi, sempre secondo la Corte dei Conti, il freno alla crescita della spesa è da ricondurre alle misure di contenimento messe in campo sia a livello nazionale (blocco dei contratti collettivi nazionali di lavoro, interventi in materia di contenimento della spesa farmaceutica), sia a livello regionale con l'attuazione dei Piani di rientro e dei programmi operativi (accreditamento degli operatori privati con l'assegnazione di tetti di spesa e attribuzione di specifici budget, riorganizzazione della rete ospedaliera ecc.. ). Per quanto attiene il blocco delle assunzioni e di ogni altra forma di reclutamento, la Corte osserva, tra l'altro, che questo – a fronte del progressivo pensionamento del personale – può incidere sia sull'offerta sanitaria e il mantenimento dei Lea, sia sull'effettivo conseguimento degli obiettivi di risparmio preventivati. 

L'esigenza di assicurare i livelli essenziali di assistenza, infatti, induce i gestori del servizio ad adottare procedure “alternative” per sopperire alla mancanza di personale (lavoro straordinario o in regime di prestazioni aggiuntive oppure altre fattispecie come l'acquisto di prestazioni professionali da privati) che, tutte insieme, “vanificano le conseguenze della misura rigorosa del blocco in termini di mancato risparmio, se non addirittura comportando maggiori costi”.

Le riflessioni
L'analisi del Rapporto della Corte dei Conti, comprensiva della segnalazione delle difficoltà registrate nel monitorare e nel garantire i livelli di assistenza, è stata sostanzialmente condivisa dal Governo, dalle Regioni e dalle forze politiche. Ad oggi però non si rileva che ciò abbia prodotto un cambiamento di linea nelle parte prevalente delle Regioni che sembrano ormai inchiodate alle loro responsabilità di governo della spesa locale, con il rischio di perdere di vista la prospettiva e l'evoluzione indispensabile del sistema.
D'altra parte l'apertura ad un limitato superamento del blocco del turn over stabilita dall'articolo 4 bis del cosiddetto “Decretone Balduzzi”, approvato in via definitiva alla fine dell'ottobre 2012 (Al fine di garantire i Lea, gli enti del Servizio sanitario delle Regioni con Piano di rientro sottoposte al blocco automatico del turn over dal 2012 possono procedere a nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato, nel limite massimo del 15% del personale cessato dal servizio, previo accertamento del raggiungimento anche parziale degli obiettivi previsti dal Piano di rientro) non ha certo permesso di superare la criticità della situazione assistenziale, né di rompere la staticità del mercato del lavoro che ultimamente colpisce anche gli infermieri.

E' aumentato, infatti, il tempo d'attesa dei neo laureati infermieri per inserirsi nelle strutture organizzative del sistema sanitario. Il tasso occupazionale è sceso, ad un anno dalla laurea, dal 94% del 2007 all’83% del 2010 con segni oggettivi di un’ulteriore riduzione.
Ciò nonostante, secondo i dati forniti da Almalaurea e da fonti ufficiali quali l'Istat e l'Ocse, le professioni sanitarie risultano al primo posto tra le lauree che hanno prodotto il maggior numero di occupati, con una richiesta sempre crescente di figure come infermieri, ortottisti, audiometristi. Può essere utile rilevare – sempre attingendo ai dati forniti – che le professioni sanitarie sembrano essere premiate anche sul fronte retributivo, classificandosi seconde, solo dopo Ingegneria, nella speciale classifica sull'entità della busta paga a 5 anni dal conseguimento del titolo accademico, con una media di 1.662 euro al mese. Un valore ben più alto di quello relativo a lavoratori fuoriusciti da corsi di studio storicamente prestigiosi, come Giurisprudenza (1.285 euro), Architettura (1.256 euro), Lettere (1.073 euro).

Le difficoltà occupazionali per la nostra categoria, inducono ad una attenta riflessione su altri due grandi campi di interesse professionale: il fabbisogno formativo e il campo di attività.

Il fabbisogno formativo
Permane il differenziale tra la richiesta totale delle Regioni ( 24.143 posti ), con differenza di -8.024 (-33%) e la richiesta della Federazione (22.189 posti), con differenza di -6.070 (-27%) sull'offerta delle Università.
Il rapporto nazionale D/P cala da 2,8 a 2,7 con valori diversi per aree geografiche: al Nord da 2,1 a 2; al Centro dal 2,2 a 2,1 e al Sud dal 5,6 al 5,2.
In totale, le domande presentate per l'A.A. 2012/2013 sono state 43mila su circa 16mila posti disponibili, con un differenziale di 26mila giovani.

Il differenziale in negativo, potrà accentuarsi ulteriormente con la nuova disciplina universitaria in materia di accreditamento e attivazione dei corsi di laurea. Tale disciplina impone un numero minimo di docenti Universitari (denominati “docenti di riferimento”) per ogni corso attivato, calcolato tenendo conto sia del numero di studenti programmati, sia del numero di sedi e della loro collocazione geografica. 
L'applicazione di tale norma sta mettendo in sofferenza molte Università, che avevano la consuetudine di aprire corsi di laurea anche con pochi o pochissimi docenti universitari. La  norma, oltretutto, prevede un impegno crescente nei prossimi anni accademici, dato che fissa incrementi annui della numerosità fino al 2016, anno in cui l’assetto definitivo dovrà essere a regime. 

I Rettori, per fronteggiare tale prospettiva, consapevoli che non esistono, al momento, condizioni finanziarie e di programmazione favorevoli per reclutare nuove risorse di docenti e di ricercatori, profilano la chiusura di sedi o di interi corsi, muovendosi non infrequentemente secondo logiche di convenienza politica o baronale più che di congruenza con i dati fattuali e con i bisogni regionali e nazionali del servizio sanitario. 

La stasi occupazionale ha indotto alcuni Colleghi a chiedere o a sostenere la necessità della chiusura/sospensione di parte dei corsi di laurea in infermieristica.
Se è vero che una contenuta riduzione dei posti in ingresso non è necessariamente e automaticamente foriera di una riduzione dei laureati, è altrettanto vero che chiedere la soppressione di corsi di laurea in infermieristica – unico caso nell’intero panorama accademico nazionale – non risolve il problema della stasi occupazionale, mentre potrebbe mettere le basi per ben ulteriori problemi nel tempo medio (mantenimento/diminuzione dei Docenti e Ricercatori in Scienze infermieristiche, diminuzione della forza contrattuale della professione in ambito accademico, debole sviluppo della disciplina infermieristica ecc.).

Inoltre deve essere ben presente a tutti che non è possibile “fermare” la libera circolazione dei lavoratori e dei professionisti – anche infermieri – nell’Unione europea.
Né va peraltro sottovalutato che numerose Regioni hanno definito e stanno ponendo in atto piani di riorganizzazione della rete ospedaliera che “liberano” risorse professionali infermieristiche che vengono riallocate diminuendo, il tal modo, la necessità di assumere nuovi professionisti.

La questione va dunque affrontata in logica sistemica ed integrata tra FNC e Collegi provinciali – auspicabilmente riuniti in Coordinamento – tenuto conto del fatto che la vera governance del sistema sanitario è in mano alle Regioni.
La Rappresentanza professionale deve costantemente e sistematicamente stressare e rendere evidente che la carenza/mancanza di infermieri:
ha una oggettiva ricadute sul mantenimento dei LEA;
rende inattuale l’orientamento e il potenziamento delle cure primarie e dell’assistenza infermieristica domiciliare;
non permette l’attivazione delle strutture sanitarie e socio sanitarie territoriali intermedie;
rende inattuale l’attenzione e l’orientamento alla presa in carico di cittadini anziani e/o con patologie cronico-degenerative e/o fragili che necessitano di continuità ed estensività assistenziale lungo l’intero arco della vita. 

Infine, deve essere evidenziato che l'invecchiamento della popolazione infermieristica è un fenomeno ormai evidente, con effetti molteplici – stante la delicatezza delle prestazioni e funzioni che la nostra professione garantisce diuturnamente alla collettività – in termini di "tenuta del sistema assistenziale" e per l'efficentizzazione e la qualità del processo diagnostico e terapeutico.

Fasce d’età

F

M

Totale

% sul totale

54 e meno

271.708

74.529

346.237

84,0%

55-60

31.458

11.027

42.485

10,3%

61-65

9.787

4.172

13.959

3,4%

66 e oltre

7.356

2.036

9.392

2,3%

Totale

320.309

91.764

412.073

 100%

Dati IPASVI – 2013 

Il campo di attività
Il sistema sanitario sta uscendo da un’atavica pletora medica che ha reso l’Italia il Paese con il maggiore numero di medici rispetto alla popolazione. Il sovradimensionamento del numero di medici ha prodotto situazioni “uniche” nel panorama internazionale sia per quanto attiene il rapporto con le altre professioni sanitarie, sia nell’immaginario collettivo e nella percezione dei cittadini sul ruolo del medico stesso e sulla relazione che “deve” esserci tra quest’ultimo ed altri professionisti, come ad esempio gli infermieri.
L’impegno della compagine professionale tutta, su questa “questione”, deve essere forte e corale. Va attivato e mantenuto il confronto, l’analisi e il dibattito per quanto attiene il costrutto disciplinare, la sfera di decisionalità autonoma, l’evoluzione ormai fattuale delle competenze e dell’operatività infermieristica sia in campo clinico- assistenziale, sia in campo organizzativo-gestionale, sia in campo formativo.
E’ necessario un cambio di marcia: ci dicano in che cosa consiste l’atto medico, ci dicano sulla base di quali elementi giuridici, disciplinari, formativi, si sostengono alcune posizioni professionali che si riverberano nella stampa di settore e minano i rapporti e le relazioni professionali.

E’ finita la stagione dell’autoreferenzialità basata sulla mitologia della centralità e primazia della professione medica su tutte le altre professioni, ancorché riconosciute come indispensabili per la realizzazione dei processi assistenziali, curativi e diagnostico-terapeutici posti in essere per il raggiungimento di outcome ed esiti vantaggiosi per il mantenimento e il miglioramento dello stato di salute della collettività.
E’ di palese evidenza che la riflessione su quest’annosa “questione” riverbera anche sul tasso di occupazione degli uni piuttosto che degli altri, sulla ridefinizione dei paradigmi relazionali tra le professioni e tra le professioni e i cittadini e sul ridisegno dello status sociale ed economico/contrattuale. 
Ma è ormai un passaggio ineludibile nel quale bisogna entrare con equilibrio, capacità di ascolto e rigorosità disciplinare documentale e giuridica.
Sulla questione giuridica, del campo proprio di attività e sulla conseguente e diretta responsabilità professionale, attiveremo un tavolo – inizialmente interno con il supporto di giuristi ed avvocati – di riflessione e confronto, le cui elaborazioni saranno la base documentale per riflettere insieme agli “altri” con serenità di giudizio e con la mente rivolta anche al futuro.

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