La difficile morte dei certificati


“Entro massimo due anni spariranno certificati e anche autocertificazioni, a tutto vantaggio del tempo e delle tasche di cittadini e imprese”. “È vietato per tutte le amministrazioni chiedere ai cittadini ed alle imprese dati già in loro possesso”. “I certificati richiesti dalle amministrazioni ai cittadini certificano solo la loro incapacità di scambiarsi i dati”. “Basta ai cittadini-fattorini”.
Non si tratta di dichiarazioni del nuovo Governo sulla semplificazione, si tratta invece di titoli e di virgolettati di Bassanini sulla stampa della primavera del 2001, dopo l’entrata in vigore del testo unico sul documento amministrativo (Dpr 445/00). Oltre dieci anni fa quindi.
Ora una nuova legge pare definitivamente segnare la sorte di questi pezzi di carta che hanno accompagnato tutte le date importanti delle nostre vite. Dal 1° gennaio 2012 infatti i certificati hanno validità solo nei rapporti tra i privati e le amministrazioni non potranno più chiedere ai cittadini certificati o informazioni già in possesso di altre pubbliche amministrazioni.
Le nuove norme – ci dice il sito del Ministro Patroni Griffi – hanno come obiettivo la completa "de-certificazione" del rapporto tra Pubblica amministrazione e cittadini e l’attuazione di queste disposizioni richiede un profondo cambiamento nei comportamenti quotidiani delle amministrazioni. Ecco le principali novità:
1) le certificazioni rilasciate dalle Pa in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della Pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi, tali certificati sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni sostitutive di certificazione o dell'atto di notorietà. Dal 1° gennaio 2012 le amministrazioni e i gestori di pubblici servizi non possono più accettarli né richiederli;
2) i certificati devono riportare, a pena di nullità, la frase: "il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi". Le amministrazioni devono adottare le misure organizzative necessarie per evitare che, dal 1° gennaio 2012, siano prodotte certificazioni nulle per l'assenza della predetta dicitura;
3) le amministrazioni sono tenute a individuare un ufficio responsabile per tutte le attività volte a gestire, garantire e verificare la trasmissione dei dati o l'accesso diretto agli stessi da parte delle amministrazioni procedenti; tale adempimento risulta indispensabile, anche per consentire "idonei controlli, anche a campione" delle dichiarazioni sostitutive, a norma dell'articolo 71 del Testo Unico in materia di documentazione amministrativa;
4) le amministrazioni devono individuare e rendere note, attraverso la pubblicazione sul proprio sito istituzionale, le misure organizzative adottate per l'efficiente, efficace e tempestiva acquisizione d'ufficio dei dati e per l'effettuazione dei controlli medesimi, nonché le modalità per la loro esecuzione;
5) la mancata risposta alle richieste di controllo entro trenta giorni costituisce violazione dei doveri d'ufficio e viene in ogni caso presa in considerazione ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei responsabili dell'omissione;
6) le pubbliche amministrazioni possono acquisire senza oneri le informazioni necessarie per effettuare i controlli sulla veridicità delle dichiarazioni e per l'acquisizione d'ufficio, con qualunque mezzo idoneo ad assicurare la certezza della loro fonte di provenienza.

Sin qui la norma: funzionerà questa volta e assisteremo veramente alla sparizione dei certificati? Non ne sono così convinto e un qualche visita-campione in un ufficio anagrafico del Comune di Roma aiuta il mio scetticismo. In realtà gli impiegati fanno il loro dovere e, dopo aver chiesto a cittadini piuttosto stupiti a cosa serva il certificato richiesto, li informano che no, non possono farlo se il destinatario è un’amministrazione. La risposta è scontata e banale: “ma me l’hanno richiesto loro!”. Che succede allora? che l’impiegato comprensivo fa in generale l’unica cosa che può fare: emette il certificato, sia pure con la dicitura che non può essere usato verso amministrazioni pubbliche e il cittadino se ne va tranquillo con il suo pezzo di carta e anche, in caso fosse proprio vero, con l’atto notorio: due pezzi di carta invece di uno, ma sempre meglio che tornare due volte!
Ma perché la norma di semplificazione potrebbe non funzionare questa volta come non hanno funzionato sino ad ora i tanti provvedimenti che vietavano alle amministrazioni di chiedere dati che la Pa nel suo complesso avesse già?
Credo che siamo stati sconfitti (sino ad ora… la speranza è l’ultima a morire e magari questa è la volta buona!) nella lotta alla “burocrazia dei certificati” da due diverse e avventate speranze: la prima, la più facile a raccontare, è quella che immaginava che l’innovazione, una volta innescata, avrebbe prodotto da sola il consenso all’interno delle amministrazioni (un errore simile all’esportazione della democrazia in Iraq per intenderci). Non è stato così, né così poteva essere: l’innovazione tecnologica, quella che allora chiamavamo “la rivoluzione digitale”, avrebbe avuto bisogno di robuste iniezioni di organizzazione, di cure da cavallo di meritocrazia, di abbondanti aggiunte di personale specializzato e qualificato, di solidi accompagnamenti di “vademecum” e provvedimenti attuativi. In una parola di “cura” e di attenzione. Non ci sono state e la controffensiva l’ha avuta vinta quasi dappertutto, lasciando qua e là sacche di resistenza capeggiate da testardi innovatori, ormai un po’ sfiduciati anch’essi.
La seconda illusione era che si potesse decertificare senza una efficiente e affidabile rete per lo scambio dei dati tra le amministrazioni. Non che non si sia fatto nulla: alla Rupa (Rete unitaria della Pa) è succeduto l’Spc (Sistema pubblico di connettività), ma in realtà pochi se ne sono accorti e la tensione fattiva che ne aveva accompagnato i primi passi si è spenta da tempo. Il più è ancora da fare e lo dimostra l’insistenza con cui le leggi anche degli ultimi anni impongono (grida manzoniane!) di aprire le grandi basi di dati: gridando sempre più forte ad amministrazioni sorde. Che non sia un problema tecnologico ormai lo sanno anche i bambini, che invece sia qualcosa che riguarda potere, privilegi, rendite di posizione e non bit è qualcosa di cui spesso, più o meno ingenuamente, ci dimentichiamo.

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