La salute degli stranieri irregolari a Torino: offerta di servizi e bisogni rilevati


Gli stranieri regolarmente presenti a Torino, stando ai dati Istat e Ismu, sono circa l’8% della popolazione; gli irregolari sono, invece, 9 ogni 1.000 abitanti e rappresentano il 13,4% degli stranieri. I migranti hanno alti tassi di occupazione e costituiscono un notevole bacino di manodopera per molte imprese: pur essendo pari a circa il 6,5% della popolazione, generano il 10% del Pil italiano. Risulta pertanto chiaro quanto il fenomeno migratorio possa rappresentare una risorsa per il Paese ospite.
A Torino si è quindi promossa una ricerca sui percorsi di salute delle persone emigrate in questa città, grazie a Ires Piemonte, organizzazioni del terzo settore quali Gruppo Abele, G.L. (Giustizia e libertà), Ufficio per la pastorale dei migranti, Sermig, Associazione Mosaico, Camminare insieme, Simm (Società italiana di medicina delle migrazioni), Gris Piemonte (Gruppo regionale immigrazione e salute), Ccm (Comitato collaborazione medica). La realizzazione del progetto è stata affidata all’associazione Il nostro pianeta. Scopo della ricerca era rilevare un eventuale allontanamento degli stranieri dai servizi sanitari pubblici e privati, dopo le innovazioni normative dello scorso 2010. Si sono anche analizzati eventuali percorsi di salute alternativi messi in atto dagli stessi soggetti per evitare il contatto con strutture pubbliche e del privato sociale.
Utilizzando le mappe grezze di rischio si è recuperata l’esperienza di chi è a stretto contatto con la popolazione straniera, soprattutto irregolare; in particolare si sono raccolte informazioni da operatori presenti nei servizi di prima accoglienza come Pronto soccorso, Centri Isi, spazi sanitari del terzo settore e servizi socio-sanitari con elevata frequentazione di migranti. Una seconda fase ha invece permesso di ascoltare la voce dei migranti, regolari e non. Le interviste sono state effettuate da mediatori culturali a persone provenienti da: Africa settentrionale, Europa dell’est, Africa sub-sahariana, America latina e Cina.

Stranieri e servizi sanitari
Nelle strutture ospedaliere pubbliche gli operatori (2 su 10) hanno rilevato variazioni: un medico del Mi.Sa ha osservato una riduzione nella richiesta di interventi preventivi e di diagnosi precoce, con una diminuzione della compliance; un medico del Pronto soccorso ha, invece, notato una iniziale flessione degli accessi, seguita da un lento ritorno all’affluenza ordinaria. Gli operatori dei servizi pubblici territoriali rilevano soprattutto maggior tensione e paura; particolarmente viene segnalato un calo di interventi preventivi e, nel caso dei Ser.T, una maggiore difficoltà a mettere in atto progetti di ri-abilitazione e reinserimento lavorativo o sociale.
Per quanto riguarda i servizi sanitari privati, il Sermig segnala una riduzione dell’affluenza pari al 15%, mentre Camminare insieme riporta soprattutto un ribasso nell’accesso di persone con scarsa istruzione e maggiore diffidenza nei confronti delle strutture sanitarie. Particolarmente allarmante è la segnalazione di apertura di cliniche abortive illegali: si sono riscontrati problemi post-aborto e “le pillole abortive si vendono alla luce del sole a Porta Palazzo, con chissà quali schifezze dentro”.
Sono state, infine, realizzate interviste presso servizi e luoghi ad elevata frequentazione di stranieri: luoghi di accoglienza prossimi a problemi di marginalità sociale, associazioni e luoghi di varia natura con alta presenza di migranti e infine sportelli, servizi di accoglienza e orientamento. Per una parte di essi è stato rilevato un moderato-lieve calo dell’utenza all’annuncio del Pacchetto sicurezza, recuperato comunque dopo breve tempo. Sottolineano, inoltre, un maggior malessere e paura nel quotidiano: sembra che ciò allontani gli stranieri dai servizi, li porti a trascurare i problemi o a trovare soluzioni alternative.
Circa la recente innovazione normativa, questa risulta conosciuta dai migranti soprattutto attraverso i media e il passaparola tra connazionali; viene vissuta come discriminatoria e non rispettosa dei diritti umani. Ciò porta alla percezione di un’Italia mutata e, secondo alcuni, xenofoba. La possibilità di essere denunciati dalle autorità sanitarie qualora ci si rechi in una struttura pubblica appare molto forte: “se vengo fermato dalle forze dell’ordine entro pochi mesi posso essere rimpatriato, per questo motivo non vado più in nessuna struttura sanitaria pubblica per visite o cure”. C’è un’aumentata tendenza a evitare le strutture pubbliche e cercare informazioni in contesti informali, tra conoscenti o attraverso un contatto con gli operatori fuori dagli uffici competenti. Incrementato appare il numero di persone che si spacciano per medici, nonché la vendita illegale di farmaci e l’automedicazione attraverso l’assunzione di dosi consistenti di antibiotici generici: “molte mie amiche per paura si rifiutano di farsi visitare nelle strutture sanitarie e si arrangiano con i farmaci che si trovano a Porta Palazzo e che costano un occhio della testa”. Si riporta infine in molte interviste il ricorso aumentato a soluzioni illegali per l’interruzione volontaria di gravidanza.
Dall’indagine appare chiaro quanto il rapporto dei migranti con i servizi sanitari sia sempre stato difficile, ancor prima del Pacchetto sicurezza: emerge una scarsa conoscenza dei servizi sanitari nonché una difficoltà nell’accesso.
Gli scenari osservati si presentano quindi diversificati: si passa da condizioni di illegalità a situazioni di irregolarità non deviante. Per gli irregolari che non vivono in ambienti criminali gli effetti della legge appaiono molto più gravi: per questi il passaggio allo status di fuorilegge, provocato dall'introduzione del reato di clandestinità è stato destabilizzante, mentre chi vive di attività delinquenziali appare meno alterato da questo nuovo stato di cose. Anche gli stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro Paese non sono al sicuro da queste paure: in un periodo di crisi, la perdita del lavoro è un'eventualità reale e preoccupante; il rischio è quindi quello di perdere il permesso di soggiorno. Si può ben comprendere come un simile rischio influisca sulla qualità di vita di queste persone e le sue conseguenze vengano osservate e riportate da parte dei servizi in termini di diffusa presenza di problemi psicologici e psicopatologici, accompagnati dall'aumento di dipendenze da alcol e droghe.
Si è rilevata in generale una scarsa presenza di malattie da importazione, mentre sono molto diffuse le malattie da adattamento (es. stress, elementi depressivi, sradicamento, spaesamento) e le malattie acquisite, dovute alle diversità climatiche e nutrizionali, alla precarietà delle condizioni di vita. C’è una stretta connessione tra le patologie riscontrate e le condizioni di vita di queste persone: per esempio la malnutrizione è un chiaro indicatore di povertà e d’inadeguate abitudini alimentari, mentre molti traumi sono correlati ad incidenti sul lavoro in condizioni non sufficientemente protette.
L’indagine svolta a Torino ha inoltre permesso di evidenziare alcuni risvolti negativi derivanti dalle innovazioni normative (in particolar modo a seguito dell’introduzione della legge 94/2009). Essa ha confermato, sia da parte degli operatori sia da parte dei migranti, una maggior paura e diffidenza degli stranieri irregolari nel rivolgersi ai servizi sanitari e non: anche l’accesso al Pronto soccorso e in pediatria appare ridotto. Altrettanto colpisce la variazione nella tipologia delle prestazioni richieste, come la riduzione degli interventi di prevenzione e diagnosi precoce: ciò è preoccupante non solo per la salute e la qualità di vita del singolo individuo, quanto per l’intera collettività, che risulta danneggiata dalla diffusione di malattie infettive non più sotto il controllo dei servizi competenti.
Le alternative sanitarie scelte dai migranti comprendono da un lato ancora un ricorso, seppur non convenzionale, al Ssn, rivolgendosi, grazie alla mediazione di parenti o amici regolari, ad un medico di medicina generale per visite e ricette. Accanto a questo vi è il ricorso a farmaci del mercato illegale, le prescrizioni telefoniche da parte di medici del Paese d’origine o addirittura interventi chirurgici veri e propri – in particolare Ivg – effettuati in luoghi non idonei e da persone non autorizzate, con conseguenze gravi per la salute. L’uso improprio di farmaci, inoltre, compreso l’abuso o l’assunzione inadeguata di antibiotici, può portare facilmente ad un peggioramento delle condizioni di salute o alla creazione di resistenze antibiotiche. Il ricorso a tali strategie alternative sembra essere notevolmente aumentato dopo l’introduzione della suddetta legge.
In tale contesto di paura, destabilizzante è stata sicuramente la cattiva informazione portata da passaparola e mass media: i migranti non hanno chiarezza sui rischi di denuncia e sull’obbligo di segnalazione da parte degli operatori; tutte le etnie intervistate riportano l’esigenza di poter accedere ad informazioni utili in modo semplice e uniforme, senza dover ricorrere al passaparola dei connazionali o “correre da un servizio all’altro”. In altre parole, è mancato un progetto integrato e coordinato in grado di raggiungere le diverse realtà in modo mirato ed univoco.
La disinformazione si allarga anche al campo della conoscenza del funzionamento del Ssn e delle modalità di accesso ai diversi servizi esistenti: per esempio sono percepite deboli le connessioni presenti tra i servizi pubblici e del privato sociale, soprattutto a livello di conoscenza delle risorse reciproche. I migranti rivelano la problematicità di una accoglienza fredda e sbrigativa da parte del personale sanitario: nello specifico si parla di “infermieri frettolosi e sbrigativi” e di “accoglienza carente da parte del personale”. Un intervistato proveniente dall’America latina sottolinea che “c’è un grosso problema di comunicazione, non sempre dovuto alla lingua, ma spesso all’atteggiamento. I brasiliani sono orgogliosi, piuttosto che essere maltrattati rinunciano a curarsi”.
Per i migranti originari dell’Africa sub-sahariana e della Cina, questa criticità appare comunque spesso aggravata alla scarsa conoscenza da parte del personale della lingua e della cultura. Alcuni lamentano che il percorso di cura richieda molto tempo, con conseguente paura di licenziamento esasperata dall'introduzione della nuova legge. Tutto ciò sembra spingere queste persone ad affidarsi a percorsi di cura alternativi.
In alcuni servizi, comunque, in particolare i sanitari pubblici a bassa soglia, quelli appartenenti al privato sociale e i servizi non sanitari in generale, gli operatori possiedono una profonda conoscenza dei migranti che ad essi si rivolgono o che li frequentano. Grazie a ciò essi ottengono facilmente la fiducia dell’utenza straniera e rappresentano pertanto una considerevole risorsa, soprattutto in momenti di particolare diffidenza, al fine di conservare una via efficace di diffusione delle corrette informazioni di interesse sanitario e non solo. Gli stessi migranti ritengono che per alleviare la paura di denuncia sia necessario aver instaurato un rapporto di fiducia con il personale sanitario, oltre che con la struttura. L’infermiere è probabilmente il professionista sanitario che più di ogni altro si trova quotidianamente a gestire conflitti culturali con gli utenti, nonché tra gli utenti e le regole del Ssn: è fondamentale che egli ne assuma sempre maggiore consapevolezza, comprendendo che questo incontro con culture diverse modifica il suo modo di lavorare e di porsi in ambito professionale.
Per favorire l’instaurarsi di un adeguato rapporto di fiducia tra l’infermiere e il migrante può rivelarsi essenziale l’inserimento all’interno dei curricula formativi di una formazione interculturale, complementare ad un’adeguata preparazione in counseling transculturale, al fine di entrare in relazione con il paziente con una logica di attenzione ai bisogni, all’ascolto, alla vicinanza.
 

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Bibliografia

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