La strutturazione del quesito clinico per reperire le prove di efficacia. Una revisione della letteratura


RIASSUNTO
Introduzione Formulare un quesito ben strutturato a partire dalla pratica clinica è un’abilità difficile da acquisire ma è l’elemento chiave per un processo decisionale basato sulle prove di efficacia (evidence based). Un quesito clinico ben strutturato prevede quattro elementi: il paziente, la popolazione o il problema (P), l’intervento (I), il confronto (C) e l’esito (O). L’obiettivo della presente revisione della letteratura è di 1) indagare l’origine del format PICO 2) conoscere il suo razionale e 3) la sua evoluzione dalle origini a oggi.
Materiali e metodi E’ stata effettuata una ricerca bibliografica che ha previsto la consultazione delle banche dati The Cochrane Library, PubMed e CINAHL. I titoli, abstract e full-text delle voci bibliografiche trovate sono stati valutati indipendentemente da due autori. Sono stati inoltre consultati manuali relativi alla pratica basata sulle prove di efficacia (evidence based practice) e di metodologia della ricerca al fine di reperire ulteriori informazioni circa la formulazione del quesito clinico e verificare quale fosse il metodo suggerito. Sono inoltre stati contattati esperti di evidence based practice riconosciuti a livello internazionale.
Risultati Richardson e collaboratori definiscono nel 1995 le caratteristiche di un quesito clinico ben strutturato nel format PICO. Il suo utilizzo può migliorare la specificità e la chiarezza concettuale dei problemi clinici, consente di ricavare più informazioni nella fase che precede la ricerca bibliografica, conduce a strategie di ricerca più articolate, fornisce un numero maggiore di risultati pertinenti e contribuisce a stabilire i criteri per la selezione degli studi da considerare. In letteratura sono disponibili numerose varianti del format originario (PICOM, PICOS, PICOT, eccetera), nate nell’ambito delle diverse discipline dell’area sanitaria e socio-sanitaria.
Discussione Le varianti della matrice originaria presentano elementi integrativi, a volte opzionali; tali varianti cercano di includere le prospettive delle diverse professioni e offrono opportunità alternative di articolazione del bisogno informativo. Nonostante il format PICO sia comunemente utilizzato e sembri facilitare la ricerca, la sua validità nel rappresentare compiutamente il bisogno informativo clinico o le incertezze non è ancora stata sufficientemente dimostrata. Sono quindi necessari ulteriori studi.
Conclusioni Un quesito clinico ben strutturato può aiutare i clinici a focalizzare il problema e la ricerca di strategie efficaci. Senza un quesito ben formulato, la progettazione e la conduzione di una ricerca diventa un’operazione difficile e dispendiosa che non consente il recupero di informazioni pertinenti e valide.
Parole chiave: evidence-based practice, pratica infermieristica, decisione clinica, format PICO, formulazione del quesito, revisione della letteratura
 


Formulating a clinical question for evidence-based practice. A literature review

ABSTRACT
Introduction The formulation of a well-built clinical question is a difficult skill to learn, yet it is fundamental to the evidence-based decision-making process. It should include four elements: the patient, the problem or the population (P), the intervention (I), the comparison/control (C) and the outcome(s) (O). The aim of this literature review is to 1) identify the origin of PICO template 2) explore its rationale 3) identify its evolution and variants.
Methods A review of the literature through The Cochrane Library, PubMed and CINAHL databases was carried out. Titles, abstracts and full-texts (if available) of the retrieved citations were independently evaluated by two reviewers. Evidence-based practice and research manuals were consulted and internationally recognised experts in evidence-based practice were involved.
Results The PICO framework was introduced in 1995 by Richardson et al. The use of PICO improves the specificity and the clarity of clinical problems, leads to more articulated search strategies, better search results and to identify the appropriate studies for the review. In literature, there are several variant of the original PICO’s structure (PICOM, PICOS, PICOT, etc.) which have emerged in different health and social contexts.
Discussion The variations of PICO’s structure, with additional and sometimes optional components, aim to satisfy the information needs of different professions and contexts. While PICO is considered useful to improve the research in literature, its validity in the fulfilment of clinicians’ information needs has not been demonstrated yet. Further studies are needed.
Conclusions A well-built clinical question can help the practitioners to focus on the main problem and guide the literature research. A poorly constructed question may lead to an unclear research, which prevent to retrieve relevant information.
Keywords: evidence-based practice, nursing practice, clinical decision making, PICO framework, clinical question formulation; literature review


 

INTRODUZIONE
La pratica basata sulle prove di efficacia, o evidence-based practice (EBP), un movimento culturale che si è progressivamente diffuso a livello internazionale, rappresenta un approccio alla pratica clinica in cui le decisioni risultano dall’integrazione tra l’esperienza del sanitario e l’utilizzo coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori prove di efficacia disponibili, mediate dalle preferenze della persona assistita (Sackett DL et al. 1996). Nel corso degli ultimi anni, la definizione di pratica basata sulle prove di efficacia si è progressivamente evoluta fino a riconoscere che il contesto, le circostanze e le risorse disponibili sono una determinante non trascurabile delle decisioni cliniche (Haynes RB et al. 2002; Di Censo A et al. 1998) e che l’esperienza professionale costituisce l’unico fattore che può integrare in maniera equilibrata tutti gli altri elementi (Di Censo A et al. 2005).
Prendere decisioni cliniche è il punto di arrivo di un processo complesso che spesso è incerto. L’incertezza può riguardare diversi aspetti della presa di decisione come, per esempio, la diagnosi del problema di salute fino agli esiti di un trattamento; in tale complessità decisionale, diventa difficile sia considerare tutte le ipotesi che è possibile formulare, sia confrontarle adeguatamente tra loro. La decisione in ambito clinico può essere rappresentata come un continuum che va da decisioni semplici e intuitive a decisioni molto complesse e calcolate. Quindi, ogni decisione comporta attività che richiedono un diverso grado di coinvolgimento cognitivo (Pravettoni G et al. 2011; Croskerry P, 2005).
La pratica basata sulle prove di efficacia può aiutare a risolvere le incertezze attraverso l’utilizzo della conoscenza esplicita derivante dalla ricerca. Considerato l’impatto significativo sulla presa in carico delle persone assistite e gli esiti clinici correlati, la competenza nell’erogare un’assistenza sanitaria basata su prove di efficacia viene ormai riconosciuta come un’abilità professionale irrinunciabile e uno standard formativo fondamentale per tutte le professioni sanitarie, infermieri inclusi (Dawes M et al. 2005).
I professionisti sanitari hanno a che fare quotidianamente con l’esplosione della letteratura scientifica. Una delle principali motivazioni per lo sviluppo di banche dati come PubMed e CINAHL è stata proprio quella di avere un maggiore controllo dell’informazione; tuttavia, questa motivazione rimane realizzata solo in parte perché non si ha un maggiore controllo ma solo un accesso più rapido a una maggiore quantità di informazioni. Questi elementi pongono un’importante sfida al clinico nel reperire in maniera efficiente l’informazione e nell’attuare efficaci strategie di autoapprendimento in cui l’assistenza alla singola persona stimola la ricerca di informazioni che gli consentano di colmare i gap di conoscenza.
Una componente fondativa di queste strategie è rappresentata dall’abilità nel formulare domande appropriate e ben costruite, un processo fondamentale che è alla base della pratica clinica quotidiana e uno degli elementi che caratterizzano la competenza professionale (Booth A, 2006). In questa direzione, la letteratura documenta la scarsa frequenza con cui i clinici formulano quesiti durante la pratica e la loro poca qualità e possibilità di risposta (Currie LM et al. 2003; Villanueva EV et al. 2001). A questo proposito, Booth (Booth A, 2005) ha stimato che, in media, i sanitari si pongono due domande ogni tre assistiti valutati e che il 30-60% di questi quesiti non ha risposta: in alcuni casi, questo è dovuto al fatto che chi si pone la domanda non crede che riuscirà a trovare risposta; in altri casi, i quesiti formulati rimangono insoluti per il limitato accesso alle prove di efficacia, alla mancanza di una formazione specifica per interrogare le banche dati ma anche per la difficoltà incontrata nella formulazione del quesito stesso (Ely JW et al. 2002).
Come indicato da Dawes nell’articolo Sicily statement on evidence-based practice (Dawes M et al. 2005), il primo passo del processo di pratica basata sulle prove di efficacia prevede che il bisogno di informazioni sia convertito in quesiti strutturati e focalizzati (foreground question) e che il professionista sia consapevole delle sue carenze conoscitive; “sapere cosa si ha bisogno di sapere” rappresenta il requisito base per avviare il processo che innesca reazioni positive, come il porre domande e il cercare le risposte. Prima di intraprendere la ricerca bibliografica, un’operazione preliminare e indispensabile è quella di chiarire le caratteristiche e l’ampiezza del quesito, definendolo in tutti i suoi aspetti. Sapere con precisione cosa si sta cercando e avere le idee chiare su che cosa è prioritario trovare e cosa non lo è rappresenta la condizione necessaria, e non sempre ovvia, per arrivare al risultato, consentendo di mettere subito a punto la strategia di ricerca più appropriata per evitare perdite di tempo. Nell’ottica della pratica basata sulle prove di efficacia, a oggi, il modo suggerito per formulare quesiti focalizzati è di strutturarli secondo il format PICO, acronimo che indica quattro elementi rappresentati da:

  • il paziente, la popolazione o il problema da risolvere (patient/population/problem, P);
  • l’intervento (intervention, I);
  • il confronto (comparison, C);
  • l’esito (outcome, O) (Tabella 1).

Tabella 1. Significato dell’acronimo PICO (Chiari P et al. 2011, modificato)

Considerato che l’intervento può includere l’esposizione a un intervento/trattamento, un test diagnostico o un fattore di rischio, i quesiti clinici formulati secondo il format PICO possono essere classificati, anche in ambito infermieristico, in una delle seguenti categorie (Tabella 2):

  • eziologia/rischio;
  • diagnosi;
  • prognosi;
  • terapia/trattamento/intervento.

Tabella 2. Le diverse tipologie di quesito (GIMBE, 2012, modificato)


Obiettivo

L’obiettivo di questa revisione della letteratura è di indagare l’origine e il razionale del format PICO e di conoscerne l’evoluzione dalle sue origini a oggi.

MATERIALI E METODI
E’ stata effettuata una ricerca bibliografica che ha previsto la consultazione delle banche dati The Cochrane Library, PubMed e CINAHL, tra dicembre 2013 e febbraio 2014. La strategia di ricerca ha previsto l’utilizzo di termini sia controllati sia liberi combinati con gli operatori booleani “AND” e “OR”, senza porre limiti temporali all’interrogazione né alla lingua di pubblicazione (Tabella 3).

Tabella 3. Strategia di ricerca bibliografica

Per essere considerati pertinenti, e quindi eleggibili per la revisione, i documenti dovevano essere di natura metodologica e formativa, riguardare la strutturazione del quesito clinico, fare riferimento al format PICO, al razionale dei suoi quattro elementi costitutivi e alla sua origine ed evoluzione.
I titoli e gli abstract delle voci bibliografiche sono stati valutati indipendentemente dal primo e dal terzo autore che hanno selezionato gli articoli da reperire in versione integrale; questi, a loro volta, sono stati valutati con la stessa modalità ricercando nel testo riferimenti, citazioni o rimandi al format PICO e alla sua origine. Nel caso in cui si fosse trovata una citazione o un rimando a una fonte di interesse, si è proceduto in maniera retrospettiva al recupero del documento e alla sua analisi.
Sono stati inoltre consultati manuali relativi alla pratica basata sulle prove di efficacia e sulla metodologia della ricerca al fine di reperire ulteriori informazioni circa la formulazione del quesito clinico e verificare quale fosse il format suggerito. Sono inoltre stati contattati degli esperti di evidence-based practice quali Ciliska, Cullum, Di Censo e Rosenberg, per un parere in merito al format PICO.

RISULTATI
Sono state reperite 177 voci bibliografiche che, dopo l’eliminazione dei documenti duplicati (47) e non pertinenti (90), sono state ridotte a 40. I manuali consultati sono stati 13 (Polit DF et al. 2014; Chiari P et al. 2006, 2011; Sironi C, 2010; Corrao S, 2007; Heneghan C et al. 2007; Di Censo A et al. 2005; Pomponio G et al. 2005; Craig JV et al. 2002; Hamer S et al. 2002; McKibbon A et al. 2000; Muir Gray JA, 1999; Sackett D et al. 1998).
La ricerca bibliografica ha messo immediatamente in luce che la letteratura disponibile è rappresentata da un corpus di contributi altamente eterogenei per contenuti; sono presenti in gran numero le revisioni narrative e sistematiche della letteratura di taglio clinico che partono da un problema convertito in quesito utilizzando il format PICO (non incluse nel presente lavoro); a seguire, i contributi di taglio metodologico/formativo e quelli più recenti, di tipo sperimentale, finalizzati a valutare la specificità e la sensibilità del format PICO nella ricerca di risposte rilevanti e precise. Le indicazioni reperite in letteratura verranno di seguito presentate considerando l’origine, il razionale e l’evoluzione del format PICO.

L’origine
Già nel 1993, nel primo numero della serie Users’ guides to the medical literature, una delle più note pubblicazioni apparse su Journal of the American Medical Association, Oxman, Sackett, Guyatt e l’Evidence-Based Medicine Working Group (Oxman AD et al. 1993) affermavano che i quesiti clinici dovevano essere formulati chiaramente per poter garantire risposte chiare e che la maggioranza di essi poteva essere strutturata prevedendo una relazione tra il paziente, un’esposizione (a un trattamento, a un test diagnostico o a un potenziale rischio) e uno o più esiti specifici di interesse. Nel 1994, lo stesso Oxman e collaboratori (Oxman AD et al. 1994), nel quarto numero della medesima serie, avevano specificato che i criteri da utilizzare per selezionare le revisioni sistematiche della letteratura reperite per rispondere al quesito clinico formulato, dovrebbero riguardare i pazienti, l’esposizione e gli esiti di interesse.
Nel 1995, Rosenberg e Donald (Oxman AD et al. 1994) riprendono la questione e specificano che i quesiti possono riguardare la diagnosi, la prognosi, il trattamento, il danno iatrogeno, la qualità dell’assistenza sanitaria o i costi correlati. In qualsiasi caso, il quesito dovrebbe essere il più specifico possibile, includendo la tipologia di paziente, l’intervento e l’esito clinico.
E’ nell’editoriale pubblicato nel 1995 su ACP Journal che Richardson e collaboratori (Richardson SW et al. 1995) contribuiscono più di tutti a definire in maniera organica le caratteristiche di un quesito clinico ben strutturato; essi sostengono che la domanda dovrebbe essere formulata in maniera tale da facilitare la ricerca di una risposta precisa. Al fine di raggiungere tale obiettivo, il quesito dovrebbe essere focalizzato e ben articolato in quattro parti “anatomiche”: il paziente o il problema a cui è indirizzato, l’intervento o l’esposizione considerati, il confronto o l’esposizione, quando rilevante, e gli esiti clinici di interesse. Gli stessi autori suggerirono in maniera empirica il punto di partenza della formulazione del quesito, cioè il prestare attenzione alle domande che sorgono durante la pratica chiedendosi a quale tipologia appartengono (diagnosi, prognosi, terapia/trattamento, prevenzione, educazione) e di scriverle articolandole nei loro quattro elementi.
Nel 1998 Sackett e collaboratori (Sackett D et al. 1998) tracciano in maniera più chiara le aree da cui possono sorgere i quesiti identificando gli “otto compiti centrali del lavoro clinico” (risultati clinici, eziologia, diagnosi differenziale, esami diagnostici, prognosi, terapia, prevenzione e aggiornamento) e osservano che, affinché ne possano beneficiare sia il clinico sia la persona assistita, i quesiti stessi devono essere formulati in maniera tale da indirizzare la ricerca verso risposte rilevanti e precise. Confermando il lavoro di Richardson e collaboratori (Richardson SW et al. 1995) essi sostengono che i quesiti clinici ben formulati contengono quattro elementi che sono: il paziente o il problema da risolvere, il tipo di intervento, sia esso spontaneo o relativo al disegno clinico (una causa, un fattore prognostico, un trattamento, eccetera), un confronto tra i due interventi, se esso appare rilevante (in caso contrario l’acronimo diventa PIO), e l’esito clinico o gli esiti di interesse.
Nel 1998 Flemming (Flemming K, 1998), con Di Censo e collaboratori (Di Censo A et al. 1998), sul secondo numero di Evidence-based Nursing dedica un intero articolo alla formulazione dei quesiti clinici estendendo i principi della medicina basata sulle prove di efficacia all’ambito infermieristico. Flemming individua tre componenti fondamentali che sono:

  • la situazione, che identifica il paziente o il problema da risolvere;
  • l’intervento, che può essere terapeutico, preventivo, diagnostico o di taglio organizzativo;
  • l’esito a cui si è interessati;
  • l’intervento di confronto, se necessario, come alternativa da comparare all’intervento prescelto.

Nonostante i numerosi contributi che si sono susseguiti dal 1993 a oggi, tutte le fonti convergono sostanzialmente sul lavoro di Richardson e collaboratori (Richardson SW et al. 1995). In Appendice 1, a pagina e104, è riportato il dettaglio dell’analisi dei documenti più salienti che rappresentano solo una minima parte di una serie di fonti molto articolate; per ciascun riferimento sono richiamate le rispettive citazioni, incluse quelle reperite attraverso l’analisi retrospettiva delle fonti.
Anche i lavori che non citano direttamente il lavoro di Richardson e collaboratori (Richardson SW et al. 1995) rimandano ad altri lavori che a loro volta lo riportano; essi sono quindi stati i primi autori a utilizzare l’acronimo PICO, così come confermato dal confronto diretto con Ciliska, Cullum, Di Censo e Rosenberg (Ciliska D, 2013; Cullum N, 2013; Di Censo A, 2013; Rosenberg W, 2013).

Il razionale
Hoogendam e collaboratori (Hoogendam A et al. 2012), riprendendo il lavoro di Strauss (Strauss SE et al. 2005), ribadiscono che il format PICO è utile per migliorare la formulazione dei quesiti clinici. La focalizzazione della domanda, come già sottolineavano Oxman e collaboratori nel 1993 (Oxman AD et al. 1993), orienta la ricerca bibliografica e fornisce gli elementi guida per reperire e valutare la pertinenza della letteratura in funzione al quesito. La focalizzazione della domanda può inoltre migliorare la condivisione dei problemi degli assistiti con i colleghi, ottimizzare la scarsa disponibilità di tempo per reperire informazioni utili a soddisfare il fabbisogno informativo e aiutare gli studenti ad apprendere le abilità per garantirsi un adeguato aggiornamento professionale al termine degli studi (Booth A, 2006).
Nel rispondere a un quesito clinico o nella conduzione di una revisione sistematica della letteratura, gli elementi chiave che compongono il format PICO contribuiscono a stabilire i criteri per la selezione degli studi da considerare. In generale, più è precisa l’individuazione degli elementi della domanda, più la revisione sarà focalizzata sul problema. Secondo Menzies (Menzies D, 2011), la formulazione di un quesito non chiaramente focalizzato può creare problemi nella definizione della strategia di ricerca bibliografica, dato che il quesito stesso fornisce i termini che individuano con precisione l’argomento in questione (Tugwell PS et al. 2011; Miller SA et al. 2001).
Un quesito clinico viene considerato focalizzato quando la domanda è rilevante e specifica (Goodare H et al. 1995; Smith R, 1996). La specificità è correlata al rispetto di criteri che consentono che lo stesso quesito possa essere sezionato in frammenti (Counsell C, 1997). Ogni frammento contribuisce alla demarcazione di un’area di studio e consiste in almeno quattro dimensioni: i soggetti sui quali lo studio è stato condotto, l’intervento di interesse, l’elemento di comparazione rispetto al quale l’intervento è stato valutato e gli esiti (outcome) (Sackett D et al. 1998; Counsell C, 1997; Richardson SW et al. 1995).
Gli elementi del format PICO possono essere quindi direttamente tradotti in parole chiave e in termini controllati utili per costruire la strategia di ricerca bibliografica (Cooke A et al. 2012; Jacqmin N, 2012; Timm DF et al. 2012; Wilton N et al. 2012; Davies KS, 2011; Schardt C et al. 2007; Da Costa Santos CM et al. 2007; Akobeng AK, 2005; Cuce Nobre MR et al. 2003; Stone PW, 2002; Villanueva EV et al. 2001; Flemming K, 1998; Mulrow C et al. 1997; Snowball R, 1997). Ciò facilita la consultazione delle banche dati consentendo la combinazione dei risultati di ciascuna interrogazione (Caldwell PHY et al. 2012), massimizzando il recupero delle prove di efficacia ed evitando interrogazioni inutili (Elkins MY, 2010; Santos CM et al. 2007; Akobeng AK, 2005; Cuce Nobre MR et al. 2003; Flemming K, 1999).
Una buona formulazione del quesito determina inoltre i criteri che verranno utilizzati per selezionare la tipologia degli studi da includere nella revisione (Engberg S et al. 2007; Fineout-Overholt E et al. 2005; Stone PW, 2002); infatti, se il quesito valuta l’efficacia di un trattamento/intervento, sarà necessario reperire studi clinici controllati e randomizzati, mentre una metasintesi di studi qualitativi fornirà la risposta migliore se il quesito riguarderà il significato o il vissuto di un assistito relativamente a un’esperienza correlata a una specifica condizione di salute (Fineout-Overholt E et al. 2005).
L’utilizzo del format PICO contribuisce a migliorare la specificità e la chiarezza concettuale dei problemi clinici, consente di ricavare più informazioni nella fase che precede la ricerca bibliografica e conduce a strategie di ricerca più articolate che possono fornire un numero maggiore di risultati pertinenti (Price CP et al. 2013; Haroon M et al. 2010; Huang Xiaoli MLS et al. 2006; Cheng GY, 2004; Miller SA et al. 2001; Booth A et al. 2000). Infatti, gli elementi del format PICO si trovano di frequente negli abstract dei lavori scientifici, rendendo più facile la loro identificazione; di conseguenza, l’utilizzo del format facilita la ricerca di risposte precise tra le numerose citazioni bibliografiche contenute all’interno delle banche dati (Schardt et al. 2007).
A oggi, il format PICO rappresenta la struttura migliore per formulare un quesito clinico; la Cochrane Collaboration (Higgins JPT et al. 2011), il Centre for Review and Dissemination dell’Università di York (CRD, 2009) e le agenzie e società scientifiche che sviluppano linee guida e raccomandazioni cliniche secondo il metodo GRADE lo hanno adottato come cornice di riferimento per la definizione della domanda ai fini della conduzione di revisioni sistematiche della letteratura di tipo quantitativo (Guyatt GH et al. 2011; De Palma R et al. 2009; Schunemann HJ et al. 2008).

L’evoluzione
Dalla prima sistematizzazione del format PICO, pubblicata da Richardson e collaboratori (Richardson SW et al. 1995), che identifica le quattro parti anatomiche di una domanda ben strutturata, negli ultimi anni è andato nascendo e sviluppandosi un interesse sempre maggiore verso gli aspetti metodologici della formulazione di quesiti clinici ai quali poter rispondere. Ciò ha portato a varianti della matrice originaria che, pure ricalcando la struttura di base, presentano alcuni elementi integrativi, a volte opzionali.
Tali alternative sono nate dalla consapevolezza che non tutti i quesiti clinici sono compatibili con la prospettiva specificamente quantitativa del format PICO, considerata la necessità di includere anche variabili specifiche e più rappresentative dei bisogni informativi delle altre scienze della salute e sociali (Kloda AL et al. 2013; Davies KS, 2011).
Le varianti vengono descritte brevemente nel prosieguo del lavoro in funzione della tipologia di quesito (quantitativo o qualitativo e misto) per il quale il format viene utilizzato. Le varianti sono riportate anche in Appendice 2 a pagina e108, in ordine cronologico, dove sono indicati i metodi, i relativi elementi costitutivi e degli esempi.

La prospettiva quantitativa
PICOS
Al format PICO originale, Counsell (Counsell C, 1997) ha aggiunto la variabile “S”, ovvero il disegno di studio (study design), ottenendo l’acronimo PICOS. Secondo l’autore, questa formulazione aiuta a chiarire i criteri che gli studi primari devono soddisfare per essere inclusi nella revisione. Ognuna delle cinque componenti deve essere attentamente definita per trovare un giusto equilibrio tra una definizione troppo specifica per essere utilizzabile e una troppo generica per essere utile.

PICOT
Nel 2005, Fineout-Overholt e collaboratori (Fineout-Overholt E et al. 2005) hanno proposto il format PICOT, di cui il quinto elemento, opzionale, è rappresentato dall’arco temporale (timeframe, T), che si riferisce alle variabili di tempo come, per esempio, la durata della somministrazione dell’intervento o il momento in cui l’esito dovrebbe essere misurato.

PICOC
Petticrew e Roberts (Petticrew M et al. 2005) hanno proposto il format PICOC, dove “C” sta per contesto (context), ovvero dove si verifica il problema e dove viene effettuato l’intervento.

EPICOT+
Considerata l’esigenza di rendere omogenee le metodologie con cui gli autori di linee guida e revisioni sistematiche, una volta delimitate le aree grigie, forniscono raccomandazioni sulla necessità di ulteriore ricerca e strutturano le relative proposte, nel 2006 Brown e collaboratori (Brown P et al. 2006) suggeriscono il format EPICOT+. Esso è composto da sei elementi; oltre ai quattro originali del format PICO, troviamo l’evidenza (evidence, E), che indica la revisione sistematica delle prove disponibili in quel momento e che ogni quesito di ricerca deve prevedere, e il time stamp (T), ovvero la data in cui è stata effettuata l’ultima ricerca bibliografica. Gli autori propongono inoltre alcuni elementi opzionali, identificati dal “+”, per rendere il format proposto più flessibile:

  • il carico della malattia (disease burden, D), che può essere riferito alla prevalenza locale di una malattia/condizione o al suo impatto economico;
  • la puntualità (timeliness, T), che riguarda alcune specifiche temporali correlate agli elementi core (l’età media della popolazione, la durata della somministrazione dell’intervento e del confronto, la durata del follow-up);
  • la tipologia dello studio (study type, S), che si riferisce al disegno di studio più appropriato per rispondere al quesito.


PESICO

Il format PESICO (Schlosser RW et al. 2007) è stato specificamente strutturato per l’ambito relativo ai disturbi del linguaggio (comunicazione aumentativa e alternativa) e alla terapia occupazionale. Oltre agli elementi base del format PICO, esso prevede elementi aggiuntivi che forniscono dettagli rilevanti per rispondere a quesiti specifici di questo ambito:

  • la persona (person, P), che rappresenta la popolazione di interesse coinvolta nella decisione che deve essere presa e il problema che deve essere risolto;
  • l’ambiente (environment, E), che identifica il contesto in cui il problema si verifica;
  • gli stakeholder (S), elemento che descrive il punto di vista delle persone coinvolte (per esempio, l’équipe sanitaria, la famiglia o le persone significative) nei confronti del problema, dell’intervento o dell’esito;
  • l’intervento (intervention, I), che indica l’iniziativa proposta per modificare, verso la direzione desiderata, i comportamenti o le attitudini delle persone;
  • il confronto (comparison/intervention/exposure, C), che identifica la principale alternativa da comparare all’intervento prescelto;
  • l’esito (outcome, O).


PICOTT

PICOTT, proposto da Schardt e colleghi (Schardt C et al. 2007), prevede due elementi integrativi che sono rappresentati dal tipo di quesito (type of question, T), ovvero la tipologia di quesito in cui il problema clinico deve essere convertito (terapia, diagnosi, prognosi, eziologia e rischio), e il tipo di studio (type of study, T), riferito al disegno di studio più appropriato per rispondere al quesito formulato. Le due “T” fanno riferimento alle clinical queries di PubMed (PubMed for Handhelds) che aiutano a reperire le citazioni bibliografiche di interesse mettendo in relazione il tipo di quesito con il disegno di studio più appropriato per la sua risposta. Le clinical queries sono basate sul lavoro dell’Hedges Study Team della McMaster University, che ha dimostrato che l’utilizzo delle due “T” aggiuntive contribuisce a migliorare l’efficacia e l’efficienza delle interrogazioni (Wilczynski NL et al. 2002).

PECODR
Nello stesso anno Dawes e collaboratori (Dawes M et al. 2007) propongono il format PECODR, affermando, sulla scorta dei risultati di un lavoro condotto su 20 sinossi delle sintesi pubblicate sulla rivista Evidence-Based Medicine e i rispettivi abstract in versione originale, che la maggioranza degli elementi chiave di un quesito strutturato secondo il format PECODR riflette la struttura degli abstract degli studi primari e delle revisioni sistematiche disponibili in PubMed. PECODR è costituito da sei elementi che modificano e integrano il format PICOT con i seguenti elementi:

  • l’esposizione (exposure, E), in sostituzione della variabile intervento (intervention, I), per consentire l’inclusione di differenti tipi di studio, come gli studi caso-controllo e di coorte in aggiunta a studi clinici controllati e randomizzati;
  • la durata (duration, D), in sostituzione della variabile “T”, si riferisce alla durata del trattamento e/o all’intervallo di tempo entro cui valutare gli esiti;
  • i risultati (results, R).


PIPOH

La struttura PIPOH (ADAPTE Collaboration, 2009) è specificamente pensata per sviluppare e adattare, nel contesto locale, le linee guida relative all’ambito oncologico. Secondo gli autori, PIPOH supporta il panel di esperti nell’identificazione di quesiti clinici specifici che forniranno risposte utili a favorire l’applicabilità della linea guida nel contesto. Le cinque variabili previste da questo format sono:

  • la popolazione (population, P), che identifica la popolazione di assistiti di interesse, le caratteristiche, la condizione o la patologia (per esempio, le donne a rischio di tumore al collo dell’utero, a esclusione delle donne HIV positive o con displasia del collo dell’utero);
  • l’intervento (intervention, I), che può includere l’esposizione a un intervento/trattamento, un test diagnostico e/o un fattore di rischio;
  • i professionisti/operatori sanitari (professionals, P), che identifica i profili a cui la linea guida è indirizzata (per esempio, medici di base, infermieri, ostetriche, eccetera);
  • gli esiti (outcome, O), ovvero gli esiti degli assistiti (per esempio, la sopravvivenza, il miglioramento della qualità di vita, eccetera), quelli relativi ai sistemi organizzativi (per esempio, la diminuzione della variabilità nella pratica circa il rispetto degli intervalli di tempo per l’effettuazione dello screening) o gli esiti che riguardano la salute pubblica (per esempio, la diminuzione dell’incidenza del tumore al collo dell’utero);
  • contesto di cura (health care setting, H), indica il contesto sanitario in cui la linea guida verrà implementata.


PICOM

Proposto da Chiari e collaboratori (Chiari P et al. 2011), il format ricalca interamente la struttura PICO, integrando la variabile metodo (method, M) a indicare la tipologia di studio più appropriata per rispondere al quesito come, per esempio, linee guida, revisioni sistematiche della letteratura, studi clinici controllati randomizzati, studi di coorte, studi caso-controllo, eccetera.

La prospettiva qualitativa e mista
Il format PICO non rappresenta la strategia ottimale per effettuare sintesi di prove di ricerca qualitativa dato che quest’ultima cerca di comprendere il “come” e il “perché” di certi comportamenti, decisioni ed esperienze individuali e non “quanto” è l’effetto di una specifica variabile o “quale è” la relazione tra due variabili specifiche (Ausili D et al. 2010).
Nonostante la guida Cochrane per la conduzione di revisioni sistematiche di tipo qualitativo non indichi adeguate alternative al format PICO (Higgins JPT et al. 2011), la Cochrane Library propone il format PO nel caso in cui i quesiti riguardino i fenomeni correlati alla clinica. Queste domande di solito prevedono le variabili popolazione (population, P) ed esito (outcome, O) ma non l’intervento o il confronto; tuttavia, Ciliska (Ciliska D, 2013) avverte che il vissuto esperienziale e la comprensione del significato/essenza di un’esperienza umana non rappresentano un esito.
Secondo Cooke e collaboratori (Cooke A et al. 2012), i limiti riconosciuti del format PICO per la sintesi di prove qualitative includono il fatto che unendo le due componenti più comunemente utilizzate, ovvero la popolazione (P) e l’intervento (I), si recupereranno principalmente riferimenti bibliografici relativi alla ricerca quantitativa; di conseguenza, il revisore avrà la necessità di selezionare ulteriormente i risultati bibliografici per individuare gli studi qualitativi di interesse. Inoltre, il confronto (C) risulta essere irrilevante, dato che in genere non fa parte della domanda di ricerca qualitativa mentre sia l’intervento (I) sia l’esito (O) potrebbero avere bisogno di essere modificati per adattarsi al paradigma qualitativo. Pertanto, secondo Cooke e collaboratori (Cooke A et al. 2012), l’utilizzo del format PICO per le domande di ricerca qualitativa potrebbe diventare un esercizio soggettivo, piuttosto che uno strumento sistematico, come nel caso di quesiti di tipo quantitativo. Per tali motivi gli autori propongono il format SPIDER:

  • il campione (sample, S), ovvero il gruppo di partecipanti arruolato nella ricerca di tipo qualitativo;
  • il fenomeno di interesse (phenomenon of interest, PI);
  • il disegno dello studio (design, D);
  • la valutazione (evalutation, E), in sostituzione all’elemento esito, indica che gli esiti nell’ambito della ricerca qualitativa possono risultare meno osservabili rispetto a quelli della ricerca quantitativa (per esempio, i punti di vista, le attitudini, eccetera);
  • la tipologia di ricerca (research type, R) indica le tre tipologie di ricerca che possono essere ricercate (approccio qualitativo, quantitativo e misto).


PEO e PEOT

Dato che l’incertezza del clinico potrebbe riguardare non solo gli aspetti strettamente quantitativi ma anche le esperienze delle persone assistite o il significato che hanno per queste ultime, il quesito potrebbe riferirsi più a una situazione/circostanza piuttosto che a un intervento; in questa direzione nel 2003 Khan e collaboratori (Bettany-Saltikov J, 2012) propongono il format PEO costituito dai seguenti elementi:

  • la popolazione e il problema (population and problem, P), che descrive la popolazione di interesse che presenta uno specifico problema;
  • l’esposizione (exposure, E), che indica la situazione in cui la popolazione si trova coinvolta;
  • gli esiti o i temi (outcomes or themes, O) che rappresentano l’esperienza della popolazione in esame e che si vuole conoscere.

Khan e collaboratori suggeriscono anche l’aggiunta al format dell’elemento “T” (PEOT) per specificate la tipologia del disegno di studio che è necessario reperire per rispondere al quesito.

PS
Di Censo e collaboratori (Di Censo A et al. 2005, 2013) sostengono che, nel caso in cui si sia interessati alla scoperta di significati piuttosto che di relazioni causa-effetto fra variabili, può essere utilizzato il format PS, costituito dagli elementi popolazione (population, P), che descrive le persone assistite, le famiglie e comunità con uno specifico problema di salute, e l’elemento situazione (situation, S) che indica la condizione o l’esperienza che si vuole conoscere di più. I quesiti strutturati con il format PS possono riguardare il vissuto e il modo in cui le persone assistite, o quelle significative per queste ultime, organizzano la loro vita in particolari circostanze (per esempio, come viene elaborato il processo di adattamento a una diversa condizione di salute o dopo una diagnosi di malattia).

CIMO
Denyer e collaboratori (Denyer D et al. 2008) hanno introdotto il format CIMO per cercare di rispondere a quesiti inerenti all’ambito di studio dell’organizzazione e della gestione, considerata la crescente enfasi data al ruolo dei manager e dei policy maker nell’ambito dell’organizzazione sanitaria e la necessità di supportare chi ha responsabilità decisionali, in maniera tale che le decisioni siano ispirate a un’attenta valutazione delle informazioni scientifiche disponibili. Ciò ha portato a una rivalutazione della ricerca qualitativa, integrata con quella quantitativa, per migliorare le conoscenze sui determinanti della salute e cercare di dare risposte a quesiti come, per esempio: “Perché i clinici adottano certe innovazioni la cui efficacia non è stata dimostrata mentre, al contrario, non usano certi interventi di documentata qualità?”.
Il format CIMO prevede un contesto problematico (context, C) per cui viene suggerito un certo tipo di intervento (intervention, I), per produrre, attraverso meccanismi generativi specifici (mechanism, M), l’esito previsto (outcome, O).

ECLIPSE
Anche il format ECLIPSE di Wildridge e Bell (Wildridge V et al. 2002), progettato a partire dalla struttura originaria del format PICO, cerca di rispondere a quesiti relativi al management in ambito sanitario e sociale.
Il format è stato pensato per supportare coloro che rivestono ruoli manageriali e prevede 7 elementi:

  • l’aspettativa (expectation, E), che indica il miglioramento o l’innovazione attesa per cui l’informazione viene ricercata (per esempio, il miglioramento della fase di dimissione dall’ospedale);
  • il campione (client group, C), che rappresenta la popolazione di assistiti di interesse;
  • il contesto/luogo (location, L);
  • l’impatto (impact, I), che, analogamente all’esito, indica quale è il cambiamento atteso nel servizio e come si intende misurare;
  • i professionisti/operatori (professionals, P), ovvero i profili coinvolti;
  • il servizio (service, SE), che si riferisce alla tipologia di servizio per cui si sta cercando l’informazione (per esempio, i servizi ambulatoriali o le strutture gestite e organizzate completamente da infermieri come le nurse-led clinic o le strutture low care).


SPICE

Considerata l’importanza che la formulazione del quesito riveste per la pratica basata sulle prove di efficacia e l’indispensabile supporto fornito ai clinici dai librarian per il reperimento delle risposte, Booth (Booth A, 2006) ha esteso l’utilizzo del format PICO alla biblioteconomia, campo di indagine che va dallo studio dell’acquisizione dei beni librari o di risorse informative alla loro catalogazione, indicizzazione e conservazione, coniando l’acronimo SPICE. Il format SPICE comprende i seguenti elementi:

  • il contesto (setting, S), che risponde alla domanda “dove?”;
  • la prospettiva (perspective, P), che risponde alla domanda “per chi?”;
  • l’intervento (intervention, I) che risponde alla domanda “cosa?”;
  • il confronto (comparison, C) che risponde alla domanda “confrontato con che cosa?”;
  • la valutazione (evaluation, E) che risponde alla domanda “con quali risultati?”.

Il format SPICE, sviluppato nel contesto della biblioteconomia evidence based, è stato successivamente adottato dal Joanna Briggs Institute per le revisioni sistematiche di tipo qualitativo (Booth A, 2006).

DISCUSSIONE
Sino dalla sua comparsa nel 1995, il format PICO è mutato nei sui elementi costitutivi; tale cambiamento sembra essere avvenuto parallelamente all’estensione del concetto di medicina basata sulle prove di efficacia (evidence based medicine) alle diverse discipline dell’area sanitaria e socio-sanitaria che hanno abbracciato questa proposta metodologica declinandola nel proprio specifico contesto professionale (Casati M, 2005). Ciò ha portato a varianti della matrice originaria che presentano elementi integrativi, a volte opzionali; tali varianti cercano di includere le prospettive delle diverse professioni e offrono opportunità alternative di articolazione del bisogno informativo, anche se va considerato che tali strutture non possono essere completamente esaustive nella descrizione di tutte le sue tipologie (Kloda AL et al. 2013).
Da un’analisi dei diversi manuali relativi alla metodologia della ricerca e/o alla pratica basata sulle prove di efficacia, delle principali banche dati di letteratura sanitaria (TripDatabase, The Cochrane Library e PubMed), dei siti Internet di numerose università prevalentemente statunitensi, canadesi ed europee (selezionate nell’elenco “Top University Ranking 2012”), di centri evidence-based practice, agenzie governative e società scientifiche internazionali e nazionali, il format PICO risulta essere il più conosciuto e diffuso per la formulazione del quesito clinico (Patella S, 2012) e, a oggi, quello suggerito per migliorare le interrogazioni in ambito clinico (clinical query).
I sostenitori della pratica basata sulle prove di efficacia affermano che l’utilizzo del format PICO, per convertire bisogni informativi specifici in quesiti ai quali poter rispondere, può supportare i clinici nell’identificazione delle risposte ai quesiti stessi (Richardson SW et al. 1995).
Sebbene la definizione di quesiti clinici strutturati rappresenti il cardine della pratica basata sulle prove di efficacia, la traduzione dell’incertezza nelle domande rimane il concetto più difficile da insegnare e un’abilità complessa da acquisire, come ha ben sottolineato Rosenberg (Rosenberg W, 2013). In merito, Huang e collaboratori (Huang KC et al. 2013) hanno evidenziato che, dall’analisi della completezza strutturale di 59 quesiti clinici inerenti all’ambito delle cure primarie, appena due contenevano tutti e quattro gli elementi del metodo, mentre solo il 37% presentava sia l’intervento sia il confronto, a conferma delle difficoltà incontrate dai clinici nella formulazione dei quesiti.
Nonostante il format PICO sia comunemente utilizzato negli studi clinici (Boudin F et al. 2010) e sembri facilitare la ricerca di una risposta all’interno del vasto mare dell’informazione sanitaria (Schardt C et al. 2007), la sua validità nel rappresentare compiutamente il bisogno informativo o le incertezze non è ancora stata sufficientemente dimostrata. Infatti, lo studio pilota condotto da Schardt e collaboratori (Schardt C et al. 2007) non ha dimostrato differenze statisticamente significative tra le interrogazioni di PubMed effettuate utilizzando il format PICO e l’interfaccia standard di PubMed, sebbene le prime presentino un livello di precisione maggiore nel reperimento dei documenti. Altri studi condotti con lo stesso obiettivo presentano limiti metodologici come, per esempio, la limitata disponibilità di tempo a disposizione dei partecipanti per la formulazione del quesito secondo il format PICO o l’erroneo utilizzo degli operatori booleani (Hoogendam A et al. 2012) oppure la mancata disponibilità di un sistema di indicizzazione che consenta l’estrazione automatica di tutti gli elementi di PICO e, conseguentemente, dei documenti pertinenti (Huang KC et al. 2013; Boudin F et al. 2010). A questo si aggiunge una non sempre ottimale strutturazione degli abstract di una quota significativa della letteratura biomedica (Huang Xiaoli MLS et al. 2006) che non consente di individuare rapidamente al loro interno gli elementi di PICO. Ciò rende quindi necessari ulteriori studi.

CONCLUSIONI
La comprensione e l’applicazione dei principi della pratica basata sulle prove di efficacia rappresenta un requisito indispensabile per i tutti i professionisti sanitari al fine di promuovere procedure basate su prove di efficacia e mantenere un’attitudine critica nei confronti della propria pratica ma anche uno standard formativo minimo e irrinunciabile dei programmi formativi e dei curricula (Dawes M et al. 2005). La focalizzazione della domanda è il passaggio che può migliorare la specificità e la chiarezza concettuale dei problemi clinici, orientare la ricerca bibliografica e fornire gli elementi guida per reperire la letteratura e valutarne la pertinenza.
Aiutare i clinici a convertire i propri bisogni informativi in quesiti focalizzati, che consentano di innescare ricerche e relative strategie valutative efficaci, rappresenta il punto di partenza del processo di pratica basata sulle prove di efficacia. Senza un quesito ben formulato, la progettazione e la conduzione di una strategia di ricerca in grado, da un lato, di rispondere ai quesiti e, dall’altro, di estrarre tutta l’evidenza rilevante, diventano operazioni difficili e dispendiose che non consentono il recupero di informazioni pertinenti e valide, al prezzo di uno sforzo ragionevole (Cullum N, 2013).
 

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