LA FORMAZIONE INFERMIERISTICA
Merita particolare attenzione perché, riguardando la componente principale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) per numero di operatori coinvolti (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, 2023), costituisce per la popolazione un determinante di salute molto significativo, che, per questa ragione, deve pretendere di potersi allineare con gli standard di riferimento più avanzati nel mondo.
È verosimile che il divario tra lo sviluppo del nursing italiano e quello dei paesi anglosassoni sia dovuto in gran parte alla scelta del modello culturale adottato nella formazione infermieristica, che, all’inizio del secolo scorso, ha abbandonato i cardini del “nightingalismo”, basato essenzialmente sull’assoluto rigore nell’acquisizione dei saperi disciplinari, sulla laicità e sull’indipendenza dal medico (McDonald, 2001), per approdare con il Regio Decreto del 1925 a più facili percorsi, che non interferissero con gli interessi delle “lobby” del tempo (Regno d’Italia, 1925).
In Italia, il primo esempio compiuto di formazione infermieristica istituzionale risale alla scuola Regina Elena di Roma (Palazzo, 1957), fondata nel 1910 per volontà della stessa regina, su sollecitazione di aristocratiche intellettuali di origine britannica, che avevano conosciuto ed apprezzato il modello formativo sviluppato da Florence Nightingale.
Le prime studentesse infermiere, quindi, provenivano dalle migliori famiglie dell’alta borghesia italiana e, probabilmente, parlavano anche molto bene l’inglese, dato che molte insegnanti, inclusa la direttrice, erano state fatte venire appositamente dall’Inghilterra, poiché esse stesse si erano diplomate nella scuola di Nightingale (Palazzo, 1957).
Le critiche a questo nuovo modello formativo non mancarono e non arrivarono solo dal clero o dalle corporazioni mediche come ci si aspettava, ma anche dalle rappresentanze sindacali della categoria dell’epoca, che non vedevano di buon occhio la formazione avanzata degli infermieri.
In occasione del terremoto della Marsica del 1915, a pagina 4 dell’edizione di gennaio della rivista L’Infermiere, si legge testualmente:
“Non possiamo tacere in questo momento la manifestazione di egoismo e indifferenza data dal personale della Scuola Convitto Regina Elena. Queste eleganti ed aristocratiche apostolesse di cattedra, che pretendono di poter giudicare mercenaria l’opera del personale di assistenza degli ospedali e si atteggiano a modelle di infermiere; queste famose nours [sic] dalla candida cuffia altro non sono che delle sportrici delicate di una mansione, i cui veri sacrifici cercano sempre di allontanare, e che deve a loro procurare onori e réclame; queste nordiche e nomadi fanciulle che non disdegnano ballare il tango intorno ai padiglioni dove giace l’umanità sofferente; queste sirene ammirate e corteggiate da medici e da primari le di cui macchine fotografiche ricevono l’impressione delle sorridenti e andalusite figure” (L’Infermiere, 1915).
Probabilmente, anche prese di posizione come questa indussero il governo dell’epoca ad istituire una commissione ministeriale per definire il futuro della formazione infermieristica, le cui prevedibili conclusioni si affermarono facilmente intorno a questo concetto riportato testualmente nei verbali dei lavori della stessa:
“I medici sono essi i depositari dei processi evolutivi, che si affermano in un campo, che è chiuso alla comprensione delle infermiere, anche se venute al massimo grado della gerarchia ………. consideriamo l’assistenza infermiera come un gradino, sia pure l’ultimo, della ben connessa scala, al cui vertice splende il fulgore della scienza medica” (Commissione Ministeriale per lo studio della riforma dell’assistenza infermiera, 1919).
Per fortuna, nel tempo, è stato recuperato molto del terreno perso in questo ambito e, con l’ingresso degli studenti infermieri nelle università alla fine degli anni Novanta, il divario che separava la formazione infermieristica italiana di base da quella del resto del mondo avanzato è andato via via colmandosi.
Il percorso formativo attuale (Figura 1) prevede, infatti, per gli infermieri, le ostetriche e gli infermieri pediatrici tre distinti corsi di laurea abilitanti per le rispettive professioni di riferimento, inseriti all’interno della medesima classe (L-SNT1) e un unico corso di laurea magistrale non abilitante, che costituisce da solo una specifica classe di laurea (LM-SNT1) (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2009; Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, 2009a).
Figura 1 – Attuale modello formativo dell’infermiere.
Legenda: L-SNT1: Classe delle lauree nelle professioni sanitarie infermieristiche e nella professione sanitaria ostetrica; LM-SNT1: Classe di laurea Magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche; S.I.: Scienze Infermieristiche; S.O.: Scienze Ostetriche; LM IN SIO: Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche.
I laureati della classe L-SNT1 possono accedere ai master di 1° livello e ai corsi di perfezionamento, oltre che alla laurea magistrale in scienze infermieristiche ed ostetriche, talvolta in ragione del titolo specifico, come accade, ad esempio, per il master in infermieristica di area critica, a cui possono accedere solo i laureati in infermieristica, talvolta in ragione della classe di laurea a cui appartiene il titolo posseduto, come può accadere, ad esempio, per il master di management per le funzioni di coordinamento, a cui accedono, in genere, i laureati di tutte le classi di laurea delle professioni sanitarie.
Molti dei master di primo livello attivati negli atenei italiani nel campo delle professioni sanitarie e riconosciuti dal Ministero della Salute (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche, s.d.) sono, tuttavia, specifici per gli infermieri oppure da essi frequentati in modo prevalente.
I laureati della classe LM-SNT1, ovvero i laureati magistrali in scienze infermieristiche e ostetriche, accedono, oltre che ai master di 1° livello e ai corsi di perfezionamento, anche ai master di 2° livello e al dottorato di ricerca.
Con riferimento al dottorato di ricerca, nell’ambito delle professioni sanitarie sono attivi in Italia percorsi di dottorato di ricerca con curricoli specifici per le discipline infermieristiche e frequentati quasi esclusivamente da infermieri in possesso di laurea magistrale in scienze infermieristiche e ostetriche. Agli infermieri è data altresì l’opportunità di frequentare dottorati di ricerca multidisciplinari, quindi non strettamente focalizzati sulla disciplina infermieristica.
Tornando alle lauree magistrali, quando furono attivate, circa 20 anni fa, c’era l’esigenza prevalente di dare attuazione alla legge 251 del 2000, che istituiva i servizi di assistenza infermieristica e individuava in questo percorso accademico il requisito minimo per accedere alla dirigenza degli stessi (Ministero della Salute, 2000).
Pertanto, nel tempo, i corsi di laurea magistrale in scienze infermieristiche e ostetriche si sono orientati verso lo sviluppo di contenuti prevalentemente trasversali a queste discipline, come il management dei servizi assistenziali, la didattica e la ricerca, con apprezzabili ricadute migliorative non solo in ambito gestionale, formativo e scientifico, ma anche nelle attività assistenziali quotidiane (ad esempio attraverso l’espressione di una leadership più solida), considerato che molti infermieri laureati magistrali continuano a svolgere la loro attività sulla base dell’abilitazione conseguita con la laurea di primo livello.
Tuttavia, per ragioni legate alla sostenibilità e all’ammodernamento del SSN, oltre che alla valorizzazione professionale degli infermieri, è oggi necessario un riassetto della classe LM-SNT1, che preveda, unitamente al mantenimento dell’attuale percorso “generalista”, l’istituzione di più corsi di laurea magistrale a connotazione disciplinare nei diversi ambiti clinici delle scienze infermieristiche.
A questo proposito, il dibattito nazionale, che ha coinvolto istituzioni professionali e accademiche di riferimento, sembra riscontrare un ampio consenso sull’urgenza di attivare, in via prioritaria, almeno tre corsi di laurea magistrale ad indirizzo specialistico per gli infermieri, da svilupparsi rispettivamente negli ambiti delle cure primarie, intensive e pediatriche, e di scindere l’attuale corso di laurea magistrale ad indirizzo generalista in due specifici corsi di studio, scienze infermieristiche e scienze ostetriche, per continuare a sviluppare competenze avanzate anche nel campo del management sanitario, della didattica e della ricerca (Figura 2).
Figura 2 – Auspicabile modello formativo dell’infermiere.
Legenda: L-SNT1: Classe delle lauree nelle professioni sanitarie infermieristiche e nella professione sanitaria ostetrica; LM-SNT1: Classe di laurea Magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche; S.I.: Scienze Infermieristiche; S.O.: Scienze Ostetriche; S.I.S.: Scienze Infermieristiche Specialistiche.
A questa evoluzione formativa dovrebbe seguire, come naturale conseguenza, la revisione dei ruoli professionali, passando dall’attuale quadro che, ai sensi della legge 43 del 2006 (Ministero della Salute, 2006) e del vigente CCNL (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, s.d.), prevede tre livelli giuridici-economici per il personale infermieristico impegnato in attività clinico-assistenziali (generalista, a cui si accede con la laurea triennale; esperto-senior, a cui si accede dopo aver maturato un’esperienza sul campo o dopo aver frequentato specifici corsi di perfezionamento; specialista, a cui si accede con un master clinico), ad un nuovo assetto, che includa anche lo specialista infermiere in possesso di specifica laurea magistrale in campo clinico (di fatto, uno specialista di secondo livello) (Tabella 1).
A titolo di esempio, in questo nuovo assetto, il laureato magistrale in scienze infermieristiche nelle cure intensive e nell’emergenza avrebbe le competenze necessarie per l’assistenza di quei pazienti che versano in condizioni cliniche particolarmente compromesse e che, pertanto, richiedono cure complesse in ambienti idonei, cosiddetti di area critica; così come i laureati magistrali in scienze infermieristiche nelle cure neonatali e pediatriche avrebbero le competenze necessarie per gestire, ai diversi livelli di complessità assistenziale, la presa in carico del neonato, del bambino e dell’adolescente fino al giovane adulto; mentre i laureati magistrali in scienze infermieristiche nelle cure primarie agirebbero con appropriatezza clinica ed organizzativa nel territorio, dando finalmente corpo allo sviluppo dell’infermieristica di famiglia, un passaggio ineludibile per un SSN effettivamente orientato alla promozione della salute e non solo alla cura delle malattie.
Tabella 1 – Auspicabile scenario transitorio del profilo dell’infermiere clinico.
GENERALISTA | ESPERTO (SENIOR) | SPECIALISTA | SPECIALISTA II LIVELLO | |
Titolo di studio | Laurea | Laurea + Esperienza/ Perf.to | Laurea + Master | Laurea Magistrale |
Ambito operativo prevalente | Unità operative ospedaliere e territoriali di prevenzione, assistenza, cura e riabilitazione | Aree in cui si eseguono trattamenti che richiedono un’esperienza inf.ca certificata (es. ambulatori accessi vascolari, ferite difficili, ecc.) | Aree cliniche a rilevante complessità assistenziale, come l’area critica, le cure palliative, l’infermieristica di famiglia, pediatrica, ecc. | Aree cliniche a rilevante complessità assistenziale, come l’area critica, le cure palliative, l’infermieristica di famiglia, pediatrica, ecc. |
Competenze attese | Pratica clinica di base | Pratica clinica connessa ad interventi specifici, come la cura delle stomie, l’inserimento di PICC, ecc. | Pratica clinica connessa ad ambiti assistenziali specifici caratterizzati da rilevante complessità assistenziale | Pratica clinica connessa ad ambiti assistenziali specifici caratterizzati da rilevante complessità assistenziale |
Quindi, poca spesa per una utile impresa, che allineerebbe l’Italia al resto del mondo avanzato per quanto riguarda l’organizzazione dell’assistenza infermieristica e determinerebbe i presupposti per una maggiore sostenibilità del SSN, ripristinando i livelli di attrattività visti in passato per la professione infermieristica e migliorando complessivamente la qualità delle prestazioni assistenziali (Aiken, 2019; Aiken et al., 2014; McDonnell et al., 2015; Woo et al., 2017), oltre che aprendo la strada a prospettive di condivisione di competenze per le quali si registrano oggi gravi carenze nelle specialità mediche, come quelle che fanno riferimento all’area delle emergenze-urgenze.
La stessa AGENAS evidenzia nel rapporto annuale (ottobre 2022) che “gli infermieri con competenze avanzate possono migliorare l’accesso ai servizi e ridurre i tempi di attesa, fornendo al contempo la stessa qualità delle cure offerte dai medici” (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, 2022).
È evidente che, se non si inverte la tendenza, la grave carenza di infermieri mette a rischio la possibilità di portare a compimento improcrastinabili iniziative strutturali, come l’applicazione del DM 77 del 2022 (Ministero della Salute, 2022), nate con l’obiettivo di riequilibrare il nostro SSN, rendendone più coerente l’incontro tra l’offerta e la domanda di prestazioni sanitarie, in un’ottica proattiva di approccio alla salute piuttosto che solo reattiva di contrasto alla malattia.
Nel frattempo, stante il significativo divario tra la disponibilità di infermieri italiani e quella media dei paesi OCSE (Organization for Economic Cooperation and Development, 2023) equivalente ad una carenza di circa 110.000 unità, al fine di ridurre il fenomeno delle cure mancate o compromesse, di cui c’è ampia evidenza nella letteratura italiana ed internazionale (Cengia et al., 2024; Bagnasco et al., 2024; Recio-Saucedo et al., 2018), sarebbe auspicabile attribuire parte delle attività caratterizzate da bassa complessità assistenziale e con elevato livello di riproducibilità, ad una figura professionale che sia ricompresa nella stessa filiera formativa universitaria dell’infermiere, peraltro già presente in altri paesi OCSE.
Questa nuova qualifica, così formata, produrrebbe il doppio vantaggio di decongestionare il gravoso carico di lavoro degli infermieri e di offrire, attraverso il meccanismo del riconoscimento dei crediti formativi, un’opportunità di prosecuzione degli studi verso il conseguimento della laurea in infermieristica, mitigando, allo stesso tempo, il fenomeno degli abbandoni tra gli studenti infermieri.
Una filiera così reimpostata (Tabella 2), che parte dall’assistente infermiere e arriva fino allo specialista, cambierebbe il paradigma con il quale ci siamo confrontati negli ultimi 30 anni, basato essenzialmente sull’infermiere generalista, che condivide un mondo delle professioni sanitarie eccessivamente frammentato, fatto di oltre 20 profili diversi, offrendo, in una prospettiva di progresso, l’opportunità di ricalibrare nel tempo alcuni meccanismi, come 1) la ridefinizione degli attuali master, che non sempre trovano corrispondenze nel mondo globalizzato ed interconnesso nel quale viviamo, e 2) la riduzione degli attuali profili professionali in campo sanitario, il cui requisito formativo, per alcuni, potrebbe essere elevato al rango di specializzazione infermieristica, a tutto vantaggio del SSN e dei suoi utenti.
Tabella 2 – Auspicabile scenario a regime del profilo dell’infermiere clinico.
ASSISTENTE INF. | GENERALISTA | ESPERTO (SENIOR) | SPECIALISTA | |
Titolo di studio | Filiera inf.ca | Laurea | Laurea + Master | Laurea Magistrale |
Ambito operativo prevalente | Unità operative ospedaliere e territoriali di prevenzione, assistenza, cura e riabilitazione | Unità operative ospedaliere e territoriali di prevenzione, assistenza, cura e riabilitazione | Aree in cui si eseguono trattamenti che richiedono un’esperienza inf.ca certificata (es. ambulatori accessi vascolari, stomie, ferite difficili, ecc.) | Aree cliniche a rilevante complessità assistenziale come l’area critica, le cure palliative, l’infermieristica di famiglia, pediatrica, ecc. |
Competenze attese | Pratica di bassa complessità assistenziale sotto la responsabilità dell’infermiere | Pratica clinica di base | Pratica clinica connessa ad interventi specifici, come la cura delle stomie, l’inserimento di PICC, ecc. | Pratica clinica connessa ad ambiti assistenziali specifici caratterizzati da elevata complessità assistenziale |
Se la storia ci ha insegnato qualcosa, la professione infermieristica, prima di tutte le altre, deve assumersi la responsabilità di non ostacolare il cambiamento quando va nella direzione di una maggiore qualificazione degli infermieri, perché questa è la precondizione per garantire un’assistenza di qualità, una progressione di carriera, un riconoscimento economico e sociale e, soprattutto, un riavvicinamento dei giovani a questa professione.
Con riferimento alla professione medica, che costituisce insieme con quella infermieristica la struttura portante del nostro SSN, l’auspicio conclusivo è che questa analisi non venga letta in una logica di contrapposizione e di tutela degli interessi di categoria, perché il “nursing” non si contrappone alla medicina, semmai è parte integrante di essa, garantendone molto spesso i successi, per cui la crescita della medicina degli infermieri non può che favorire lo sviluppo della medicina del medico.
Conflitto di interessi
L’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.
Finanziamenti
L’autore dichiara di non aver ottenuto alcun finanziamento e l’assenza di sponsor economici.