La vita spesso ci mette di fronte a sfide che sembrano insormontabili, eppure in quei momenti di fragilità, può nascere una sorprendente forza interiore.
Ne abbiamo parlato con Vito Verrastro e Maria Teresa Scelzo, infermieri dell’Hospice San Carlo di Potenza, dopo aver letto le parole scritte da un paziente ricoverato in un reparto di oncologia in attesa di diagnosi.
Le parole…
“Essendo ricoverato nel reparto di Oncologia dal 12 novembre 2024, come degente non si ha molto da fare nella corsia di un reparto. Il tempo a disposizione è smisurato rispetto alla vita esterna, indi per cui si cerca di ingannare il tempo girovagando cercando connessioni con qualcuno, oppure si va alla ricerca di un angolino tranquillo che ci ispiri per la sua particolare collocazione.
Questo luogo “privato” l’ho trovato non appena si varca l’ingresso del così detto “Hospice”, un reparto molto delicato e dedicato ai nostri cari simili che attendono il momento del trapasso circondati dall’amorevole presenza degli operatori sanitari e dai volontari.
Questo angolo l’ho scelto per almeno un paio di motivi: il primo, la mia cara mamma Rosa mi lasciò il 25 luglio 2013 proprio in questo “Hospice” e ritengo che sia un buon modo per sentirla più vicina in questo periodo dove la mia salute fa i capricci.
Come secondo motivo, potrei aggiungere che l’angolo che ho scelto come “infiltrato” (così mi ha definito una simpatica infermiera) lo trovo adatto per trovare quella giusta serenità necessaria in questi momenti così importanti per me per una buona meditazione in questa sorta di limbo, di purgatorio che mi porta dal luogo di ricovero a questo spazio adiacente che presagisce al nostro comune ultimo passaggio.
L’acquario, sistemato in una posizione strategica, rappresenta sicuramente la primaria forma di vita del nostro pianeta. Insomma, aver trovato questo posticino tutto mio, ha allietato di molto la mia permanenza ospedaliera e ha fatto da importante crocevia, fornendomi molti spunti su molteplici aspetti personali, che altrimenti non avrei vissuto. Grazie.”
Cosa ci raccontano queste parole?
Ci portano nel vissuto di un uomo che, nonostante le preoccupazioni e l’incertezza del suo futuro, riesce a trovare una forma di serenità e ispirazione in un angolo inaspettato di un Hospice.
Lì, vicino all’acquario che, con i suoi pesci e la sua quiete, diventa per lui un rifugio mentale e spirituale, un luogo dove il rumore del mondo si attenua e il cuore si apre alla possibilità di un’esperienza di pace e di connessione profonda. In questo spazio di silenzio e bellezza, il paziente riscopre la forza di guardare oltre la malattia, trovando, forse, una nuova visione della vita e riflettere sul significato dell’esistenza.
Ogni giorno, si reca in questo angolo che, purtroppo, è stato testimone qualche anno prima di una perdita profondissima per lui: la morte della madre. Ma questo non lo rattrista particolarmente, anzi, in questo momento di attesa lo aiuta a sentire la mamma più vicina. L’hospice diventa un rifugio, un luogo di quiete e di pace che gli permette di vivere meglio il tanto tempo a disposizione.
Un posto dove continuare a coltivare la speranza, perché come dice il paziente “io ancora non sono qui, io ancora mi salvo”. La possibilità di scrivere offerta al paziente ricoverato in oncologia, ci ha consegnato uno scritto profondamente significativo. Ricevere in hospice la testimonianza di una persona ricoverata in un altro reparto, alle prese con l’inizio di un percorso diagnostico che può portarlo alla diagnosi di tumore è cosa insolita. Allo stesso tempo poter donare serenità anche a persone non ricoverate in hospice, conferma che questa realtà non è solamente il luogo della sofferenza e della morte ma è anche e soprattutto il luogo che accoglie, che dà sollievo, che conforta.
Quali considerazioni possiamo fare…
Viviamo in una società che rigetta con forza l’idea della morte e che quindi tende ad allontanare il tema del fine vita. Di cure palliative si parla ancora troppo poco e, spesso, questo comporta interventi tardivi che rendono la vita dei malati e dei propri cari ancora più drammatica.
Malattia grave e inguaribile non significa incurabile.
Sconfiggiamo il tabù della morte per offrire, con le cure palliative, sollievo e migliorare la qualità di vita dei malati. Solo attraverso l’informazione e la comunicazione riusciamo a trasmettere al mondo sanitario e all’opinione pubblica la bontà e l’utilità delle cure di fine vita. Il testo scritto dal nostro “ospite infiltrato” è un contributo rilevante per diffondere la conoscenza della cura sempre possibile.
Marina Vanzetta
14 aprile 2025