Nel contesto della professione infermieristica, il concetto di “Cura dei Curanti” emerge come un pilastro fondamentale, reso evidente nel periodo della pandemia, non solo per la salute delle persone assistite, ma anche per il benessere dei professionisti stessi (Di Schiena, Filippini, Arcadi, 2021). L’articolo 15 del Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche del 2025 offre una visione chiara e impellente dell’importanza di prendersi cura non solo delle persone che assistiamo, ma anche dei colleghi e delle loro famiglie. Esplorando maggiormente i valori di solidarietà, auto aiuto, presa in cura, altruismo, compassione e gentilezza, possiamo comprendere come questi non siano solo idealistici, ma essenziali per la crescita personale e professionale nel mondo infermieristico e più in generale nel mondo della cura e dell’assistenza.
Ma la cura dei curanti non è solo una dimensione relazionale tra colleghi: è anche una responsabilità etica e sistemica. Come sottolinea il nostro Codice, la promozione del benessere di chi esercita la cura è una condizione necessaria per garantire la qualità e l’umanizzazione dell’assistenza. In un momento storico in cui il burnout ha raggiunto livelli allarmanti, con il 40,2% degli infermieri italiani che presenta un elevato livello di esaurimento emotivo e il 59% che si dichiara molto stressato a causa del proprio lavoro (FNOPI, 2023), parlare di gentilezza e cura tra curanti non è un lusso, ma un’urgenza.
La solidarietà costituisce la base su cui si costruisce una comunità professionale sana, unita e che punta al futuro. In un ambiente di lavoro dove le sfide quotidiane possono essere fin troppo impegnative e contemporaneamente monotone con il rischio di entrare in un loop poco virtuoso, è fondamentale che i membri dell’equipe si uniscano per affrontare le difficoltà insieme. La scrittrice Luigina Mortari, nel suo libro Aver cura di sé (2013), evidenzia come la cura reciproca non solo sia un gesto altruista, ma anche una forma di resilienza collettiva. Mortari afferma: “La cura di sé non è un atto egoistico, ma un atto di responsabilità nei confronti di chi ci circonda.” Questa affermazione sottolinea l’importanza di riconoscere che il benessere individuale è intimamente legato al benessere della comunità.
E proprio nel prendersi cura gli uni degli altri, in quei piccoli gesti di vicinanza, si annida il seme della cura per sé e per l’altro. Come ricordava Eugenio Borgna, “Senza vivere in noi stessi questo tentativo continuo, oscuro, a volte difficile, a volte impossibile, di un’attenzione rivolta permanentemente a cogliere cosa si muove in noi per cercare di cogliere cosa si muove nell’altro, non si può fare alcuna umana disciplina che implichi un contatto con l’altro”. La gentilezza rivolta ai curanti è prima di tutto una forma di attenzione attiva, che si esprime nel riconoscere il vissuto dell’altro, nel non voltare lo sguardo davanti al suo affaticamento.
La solidarietà si manifesta in molte forme, dall’ascolto attivo all’offerta di aiuto pratico, e ogni piccolo gesto può contribuire a creare un ambiente lavorativo più armonioso. In questo contesto, l’altruismo diventa una pratica quotidiana, dove i professionisti si supportano a vicenda, riconoscendo che è difficile svolgere la propria professione senza l’assistenza e la comprensione degli altri.
L’auto aiuto rappresenta un fondamento della cura, un’importante strategia di gestione dello stress e del burnout. Vito Mancuso, nel suo libro La forza di essere migliori (2019), mette in evidenza la necessità di coltivare la consapevolezza delle proprie emozioni. Mancuso scrive: “La vera forza non sta nel non cadere mai, ma nel sapere come rialzarsi.” Questo pensiero invita ogni infermiere a prendersi tempo per riflettere e lavorare su sé stesso, creando le basi per una professione efficace che riconosce le proprie e le altrui debolezze facendone uno stimolo alla cura di sé e degli altri.
Praticare l’auto aiuto significa riconoscere i propri limiti e saper dire “no” quando necessario, preservando così l’equilibrio interiore. Come suggerisce Mortari (2013), la cura di sé include anche il riconoscimento del proprio bisogno di sostegno e delle proprie vulnerabilità. In un ambiente lavorativo che valorizza l’auto aiuto, gli infermieri sono più propensi a condividere le loro esperienze e a creare reti di sostegno che possono rivelarsi inestimabili nei momenti di difficoltà.
La compassione intesa come virtù umana, risulta come forza condivisa di connessione, come afferma Zighetti nel suo testo Essere esseri umani (2016) ”la compassione verso la persona che soffre risulta strettamente collegata alla motivazione di aiutarla; dunque, dal provare compassione per gli altri può derivare un sentimento positivo di ricompensa intrinseca, attraverso la possibilità di sperimentarne il significato, fermarlo e elaborarlo nella relazione, nell’incontro e nel tempo. L’accoglienza del collega nel momento di difficoltà riporta all’umanità di entrambi e può gratificare tanto da rigenerare l’intero gruppo di lavoro.
La cura dei curanti passa anche attraverso la possibilità di riflettere sul proprio agire, di dargli un senso, di narrarlo. In questo, la medicina narrativa rappresenta non solo una metodologia, ma una postura professionale che consente di custodire il significato del lavoro di cura anche nei contesti più sfidanti. Raccontare e ascoltare storie di buona cura tra colleghi, nei percorsi formativi o nei momenti di condivisione informale, è un gesto che rigenera: permette di riconoscere la bellezza anche nella fatica, di trasformare l’esperienza in consapevolezza, e la solitudine in appartenenza. È nella possibilità di “mettere in parola” ciò che si vive che spesso si attiva un processo di cura reciproca profonda e duratura.
Le narrazioni di esperienze di cura – tra professionisti, pazienti e familiari – testimoniano come la sobrietà, il rispetto, l’ascolto e l’accompagnamento possano generare pratiche cliniche efficaci, relazioni significative e una cultura della cura centrata sulla persona. La condivisione di queste storie favorisce la riflessione tra colleghi, rafforza il senso di appartenenza e contribuisce a costruire un approccio alla cura più umano, competente e consapevole (Arcadi et al., 2023).
La presa in cura tra colleghi richiede un’attenzione costante e una pratica di ascolto attivo. Essere presenti per i colleghi e dimostrare comprensione non solo aiuta a costruire relazioni più solide, ma promuove anche un clima di fiducia e di apertura. Ogni infermiere deve essere in grado di riconoscere i segnali di stress e disagio nei propri colleghi, creando un ambiente sicuro dove ciascuno possa esprimere le proprie vulnerabilità senza il timore di essere giudicato ma con la certezza di essere accolto.
In questo contesto, è opportuno richiamare un pensiero di Gianrico Carofiglio, il quale afferma nel testo Il passato è una terra straniera (2004): “La qualità delle relazioni umane è alla base di tutto ciò che facciamo.” Questo ci ricorda che le connessioni tra i professionisti non sono solo un aspetto secondario della professione, ma un elemento cruciale per il nostro agito quotidiano. La presa in cura non deve limitarsi a condizioni ovvie di difficoltà; richiede sensibilità e la capacità di intuire come gli altri si sentono, contribuendo a creare un’atmosfera collaborativa che riduce il rischio di burnout e stress.
L’altruismo e la gentilezza sono l’anima della professione infermieristica. In un ambiente dove il contatto umano è quotidiano e la vulnerabilità delle persone è manifesta, i gesti di gentilezza possono fare una differenza significativa. La gentilezza verso i colleghi, così come verso le persone che assistiamo, crea un cerchio virtuoso di supporto e comprensione. Come ha recentemente affermato Carofiglio (2025) “la gentilezza è una qualità etica sostanziale […] richiede intenzionalità e applicazione”, e questo vale non solo per le interazioni con i pazienti, ma anche tra professionisti. Ogni atto di altruismo, che sia un sorriso, un gesto di supporto o una parola di incoraggiamento, non solo solleva lo spirito di chi lo riceve, ma rafforza anche il legame all’interno del team.
La letteratura mostra inoltre che la gentilezza tra curanti riduce i livelli di stress e burnout, migliora la soddisfazione lavorativa, la comunicazione, l’aderenza alle procedure e la qualità percepita dell’assistenza. In ambito relazionale, favorisce la costruzione di un clima organizzativo più inclusivo, collaborativo e sicuro, potenziando la fiducia reciproca e la capacità del gruppo di affrontare situazioni critiche. Questi effetti si manifestano anche sul piano clinico: maggiore empatia, miglioramento dell’alleanza terapeutica e migliori esiti di cura, secondo il modello del “circolo virtuoso della gentilezza” (Ballatt & Campling, 2011; Fryburg, 2022; Gage, 2022).
Anche da autori come Rowling possiamo trovare spunti interessanti. Nella saga di Harry Potter, il saggio preside Albus Silente stimola i suoi studenti ad essere autentici affermando: “Sono le scelte che facciamo a definire ciò che siamo, non le nostre capacità” (Rowling, 2002). Questa frase sottolinea l’importanza delle decisioni e delle scelte personali nel plasmare la nostra identità, sia personale che professionale, piuttosto che semplicemente le nostre innate capacità o talenti. Siamo fatti di scienza e di coscienza, di conoscenze e competenze ma anche di valori, questi sono la nostra guida nell’agire, nel nostro contesto professionale: scegliere di esercitare gentilezza e altruismo è una decisione consapevole che può avere un impatto profondo sul benessere collettivo. Ogni infermiere ha il potere di influenzare l’atmosfera del proprio ambiente di lavoro attraverso azioni quotidiane che promuovono la gentilezza e la solidarietà.
Il concetto espresso nell’articolo 15 del Codice deontologico delle professioni infermieristiche di “Cura dei Curanti” rappresenta infine non solo un dovere verso le persone che assistiamo, ma anche un imperativo per il benessere di tutti coloro che operano nel campo della cura. I valori di solidarietà, auto aiuto, presa in cura, altruismo, compassione e gentilezza non devono essere considerati degli ideali astratti, ma piuttosto come principi pratici radicati nella quotidianità professionale. L’intero codice si prefigge questo scopo.
In conclusione, coltivare la consapevolezza delle proprie emozioni non è solo un atto di cura di sé, ma un contributo alla salute dell’intero sistema. Pertanto, promuovere un ambiente di Cura dei Curanti arricchisce non solo ogni individuo, ma l’intera professione, creando un cerchio virtuoso di supporto e benessere che alla fine si riflette nella qualità dell’assistenza fornita. Far propri questi valori e praticarli quotidianamente ci permette di costruire una comunità infermieristica più forte, resiliente e, soprattutto, umana, in grado di migliorare l’armonia di una intera società.
La Cura dei Curanti: Solidarietà, Altruismo, Compassione e Gentilezza nel Mondo Infermieristico
ISSN: ISSN 2038-0712 – L’Infermiere 2025, 62:3, e51 – e53