Come un bucaneve


Carmelina ha gli occhi lucidi quando racconta la sua storia. Ogni parola è carica di emozione e, a volte, deve fermarsi per non crollare in un pianto liberatorio. La sua non è una favola, ma una storia tristemente segnata dalla sfortuna. Ascoltandola, si percepisce tutto il suo dolore e la sua stanchezza, eppure c’è qualcosa in lei che non cede. Carmelina è una che non molla, che ama la vita anche quando la vita non è stata generosa con lei.
È stato l’amore per le persone a lei care e la voglia di vivere a darle la forza di superare ogni ostacolo. Sebbene ora avrebbe desiderato solo un po’ di serenità, si è trovata a combattere un tumore. Ma il peggio è passato e Carmelina vuole continuare il suo cammino, sperando di non dover più lottare.
Alla fine del suo racconto, mi rendo conto che esistono persone sfortunate e mi sento incredibilmente fortunato in confronto a lei. La sua forza mi ha contagiato, riempiendomi di energia positiva. Da oggi, il suo motto sarà anche il mio: rialzarsi sempre, dopo ogni caduta.

Vito Verrastro Infermiere Hospice San Carlo Potenza

Mi chiamo Carmela, ma amo farmi chiamare Carmelina, la mia storia inizia 58 anni fa all’età di 12 anni quando ho dovuto lasciare le vesti di ragazzina spensierata e felice ed indossare l’abito di sorella maggiore, diventando improvvisamente adulta per occuparmi di Vincenzo, mio fratello minore affetto da ciò che in seguito si scoprirà essere la distrofia muscolare di Duchenne.
Mia madre Angela Maria e mio padre Giuseppe seppur genitori esemplari non possono prendersi cura totalmente di Vincenzo, bisogna andare a lavorare nei campi per campare, ed allora divento in un momento sorella e mamma di Vincenzo vivendo troppo prematuramente l’esperienza di chi deve assistere una persona non più in grado di svolgere autonomamente le proprie necessità e cosa ancor più drammatica vivere la scomparsa di un fratello come se fosse un figlio.
Gli anni passano divento solo anagraficamente maggiorenne, perché di fatto lo sono già, il tempo non cancella i ricordi ma aiuta a metterli da parte ed allora è il momento di ritornare in carreggiata con le amiche coetanee lasciate anni prima e riprendere una vita normale fatta di appassionanti letture della rivista Grand Hòtel e di primi amori.
Ma l’amore sembra non arrivare, magari è colpa del mio passato, ma quando tutto sembrava andare storto ecco qua che all’età di 29 anni, molto tardi per l’epoca, arriva Francesco che in seguito diventerà mio marito.
Con il matrimonio arriva una bella casa, ma anche la convivenza non tanto bella con mia suocera Caterina.
Passa un anno ed arriva Sandra, figlia primogenita, due anni dopo arriva Antonio secondogenito maschio colui che porterà avanti il cognome, due anni dopo arriva Enza e siamo a tre, un bel numero ma non basta passano altri tre anni ed arriva Giuseppe.
Ora la famiglia sembra al completo e gli anni trascorrono sereni, fino a che all’età di quattro anni Antonio inizia ad avere problemi di deambulazione, cade ripetutamente in modo strano ed ha difficoltà a rialzarsi. Iniziano le prime visite per capire di cosa si tratta. Siamo agli inizi degli anni 80 e prima di giungere alla diagnosi di distrofia muscolare ci vollero diversi ricoveri fuori regione, procedure invasive e tentativi terapeutici che alterarono notevolmente il clima familiare.
Nemmeno il tempo di capire bene cosa avesse Antonio che anche l’ultimo arrivato Giuseppe inizia ad avere gli stessi problemi motori.
Allora decidemmo di recarci in un centro specializzato a Napoli per cercare di capire bene cosa stesse accadendo.
Con il cuore spezzato per la malattia dei due figli da un lato e il dover lasciare le altre due figlie a Potenza, trascorsi molto tempo in ospedale tra visite e terapie ma alla fine arriva la diagnosi, Distrofia Muscolare di Duchenne.
Una diagnosi infausta per una mamma, che non può accettare di vedere soffrire e poi morire prematuramente i suoi figli. Cade lo sconforto in tutta la famiglia, ma non posso mollare bisogna pensare al futuro e allora ho deciso di donare tutta me stessa per dare il massimo ai due poveri figli che di lì a poco non ci saranno più. Mio marito non reagisce cosi, anzi al contrario diventa anche lui fonte di preoccupazione, non accetta la malattia dei figli e si rifugia nell’alcool.
Sono anni difficili, tutto il peso familiare cade su di me, ritornano i ricordi dell’adolescenza trascorsa con mio fratello, ma ora le cose sono più difficili.
Arriva la morte di Antonio, un duro colpo, mi sento a terra, ma bisogna pensare anche alla futura “morte” di Giuseppe ed allora si riparte sempre più da sola. Muore anche Giuseppe, l’intera famiglia è a pezzi non si sa da dove ricominciare. Si ricomincia allora dalla dipendenza di mio marito sempre più invalidante per la famiglia, non c’è tempo di fermarsi a pensare, bisogna andare avanti.
Dopo molti anni quando finalmente la dipendenza di mio marito sembra essere sotto controllo ecco un’altra diagnosi carcinoma polmonare che colpisce proprio mio marito Francesco, che dopo soli tre mesi muore lasciandomi sempre più sola.
Riparto nuovamente, le mie figlie crescono diventano grandi, arrivano i matrimoni, sembra esserci un po’ di quiete dopo tanta tempesta.
Posso fare anche la nonna dedicandomi al caro nipotino. Passano gli anni ed ecco che l’apparente tranquillità viene interrotta da un terribile incidente stradale che colpisce mia figlia maggiore Sandra, incidente che ironia della sorte porta all’amputazione della gamba destra per la povera Sandra e al ritorno del terribile ricordo della disabilità.
Ormai settantenne e stanca fisicamente e mentalmente, quest’ultimo evento proprio non riesco ad accettarlo, ripeto tra me e me “ma Dio esiste, perché’ tutte a me”, “cosa ho fatto di male”. Ancora una volta non c’è spazio per fermarmi bisogna aiutare mia figlia in gravi difficoltà, del resto so cosa significa.
Ma un bel giorno di fine estate arriva l’ennesima e triste diagnosi, questa volta tocca a me carcinoma della mammella. Non ci posso credere, non ho più la forza per combattere, all’orizzonte si prospetta un intervento chirurgico e poi chemioterapia e radioterapia, troppo impegno fisico e mentale, per il mio corpo già duramente provato dalla vita.
Piango e mi dispero vorrei non fare niente e lasciare che la malattia faccia il suo corso, sono spaventata soprattutto dagli effetti devastanti della chemio.
Ma dopo un momento di sconforto, ascoltando le parole delle mie figlie e dei familiari più cari mi convinco ad affrontare l’ennesimo male.
Dopo l’iniziale scoraggiamento, non vedo l’ora di terminare il percorso di cura e riprendere nuovamente il duro cammino della vita augurandomi che il futuro non riservi ancora brutte sorprese, non so se ho più la forza di ripartire se mi fermo di nuovo.

Carmelina
22 agosto 2025

STAMPA L'ARTICOLO