Percezioni e vissuti degli infermieri coinvolti nella sperimentazione del modello di Infermieristica di Famiglia e di Comunità nella AUSL Toscana Centro: un’indagine qualitativa

ISSN: 2038-0712 – L’Infermiere 2023,60:1, e21 – e31 - DOI: 10.57659/SSI.2023.003

Documenti


Riassunto

Introduzione
Con il documento OMS Salute 21 “la salute per tutti nel 21° Secolo”, è stata delineata la figura dell’Infermiere di Famiglia e di Comunità. La regione Toscana ha introdotto l’Infermiere di Famiglia e Comunità con Decreto Regionale n.597/2018, avviando la sperimentazione di un nuovo modello assistenziale. Lo scopo dello studio è stato quello di indagare le percezioni e i vissuti degli infermieri coinvolti nella sperimentazione nell’ambito della AUSL Toscana Centro.

Materiali e metodi
Indagine fenomenologica realizzata mediante l’effettuazione di interviste semi-strutturate, faccia a faccia o audio-registrate rivolte a 23 infermieri. Le registrazioni sono state trascritte e i dati narrativi sono stati analizzati secondo passaggi analitici volti a individuare i temi fondamentali e sottotemi correlati (approccio dell’analisi di contenuto).

Risultati
Il campione era costituito prevalentemente da infermieri di sesso femminile con un’età media di 51 anni. Dai dati raccolti attraverso le interviste sono state identificati 4 temi sostanziali: (1) Prepararsi al cambiamento; (2) La relazione: fare gioco di squadra; (3) Un vortice di emozioni; (4) Il professionista del territorio: status ed evoluzione.

Discussione e conclusioni
Sulla base di quanto acquisito nelle interviste, la sperimentazione ha permesso agli infermieri di acquisire nuove conoscenze e crescere professionalmente. Anche se gli intervistati non hanno fornito una definizione univoca di Infermiere di Famiglia e Comunità (e questo suggerisce un’eventuale riflessione sul percorso formativo ancora necessario), tutti rilevano l’utilità del modello per i cittadini e la necessità di possedere competenze specifiche.

Parole chiave: Infermiere di Famiglia e di Comunità, vissuti esperienziali, modello organizzativo.

Perceptions and experiences of nurses involved in testing the model of Family and Community Nursing in the Central Tuscany AUSL: a qualitative survey.
ABSTRACT

Introduction
With the WHO Health 21 document “Health for all in the 21st Century”, the figure of the Family and Community Nurse was outlined. Tuscany introduced the Family and Community Nurse with regional law no. 597/2018, starting the experimentation of a new care model. The purpose of the study is to investigate the perceptions and experiences of the nurses involved in the experimentation within AUSL Toscana Centro.

Materials and methods
A phenomenological study, made by carrying out semi-structured, face-to-face, and audio-recorded interviews, was conducted, included 23 nurses. The recordings were transcribed and the narrative data were analysed according to analytical steps aimed at identifying the fundamental themes and related protocols (content analysis approach).

Results
The sample consisted predominantly of female nurses with an average age of 51 years. From the data collected through the interviews, 4 substantial themes were identified: Preparing for change; The relationship: being a team player; A whirlwind of emotions; the professional in keeping with its surroundings: status and development.

Discussion and conclusions
Although this study did not provide an unequivocal definition of Family and Community Nurse, all of the interviews highlighted the usefulness of the model for citizens and the need to possess specific skills.

Key words: Family and Community nurse, experiences, organizational model.


IMPLICAZIONI PER LA PRATICA
– L’esperienza professionale maturata in ambito territoriale si è rivelata fondamentale per i nuovi IFeC durante l’implementazione del modello.
– Il sostegno e la “vicinanza” della Direzione infermieristica (sentita specialmente nella riorganizzazione delle attività a favore degli IFeC) ha messo gli IFeC in condizione di intraprendere il nuovo percorso.
– Il lavoro in equipe e la rete di consulenza costituita da “infermieri esperti” in specifici ambiti (pediatrico, delle lesioni difficili, della salute mentale e dipendenze, delle cure di fine vita, degli accessi vascolari, della gestione di stomie e PEG, della gestione per paziente ventilato e del supporto all’autocura) è un punto di forza del modello.
– Il rapporto/legame IFeC-Persona-Famiglia permette il raggiungimento degli obiettivi di salute.
– La formazione propedeutica all’implementazione del modello è stata utile, ma occorre implementare ulteriormente per omogenizzare le competenze dei professionisti e in modo da fornire strumenti per fronteggiare sfide di salute sempre più complesse.
– L’entusiasmo degli IFeC porta a nuove idee e proposte per progetti futuri, che dovrebbero essere presi in seria considerazione dalle Organizzazioni.

INTRODUZIONE
L’infermiere di Famiglia e di Comunità (IFeC) è la figura professionale delineata dalla regione Europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel documento “Health 21: Salute per tutti nel 21°Secolo” (WHO, 1998). L’IFeC, secondo la definizione dell’OMS, è un professionista in grado di creare una relazione di fiducia con gli individui che compongono la comunità, per promuovere la salute e consentire di raggiungere il più elevato livello di benessere possibile (WHO, 1998, pag.15-16).
Già dopo la conferenza mondiale di ALMA ATA (1978), alcuni stati membri dell’OMS hanno attuato politiche sanitarie di prevenzione e promozione alla salute. Si è passato così da un modello focalizzato principalmente alla malattia ad un modello rivolto alla famiglia e alla comunità, ponendoli protagonisti attivi della loro salute. Il modello si concentra sulle cure primarie ed evidenzia l’importanza dell’educazione nei riguardi della salute rivolta alle famiglie, specialmente dove vi è la presenza di anziani e/o bambini (OECD, 2020). Nel contesto internazionale, sono stati strutturati diversi modelli che potessero dare una risposta alle nuove esigenze definite dall’OMS. Ad esempio, il modello britannico prende spunto dagli americani, ampliando le competenze infermieristiche, quali la diagnosi e il trattamento dei bisogni assistenziali, la promozione e il mantenimento dello stato di salute, anche attraverso interventi di tipo relazionale come l’orientamento della famiglia ai servizi(NMC, 2005).Inoltre, la Scozia, nel 2008, ha progettato il The review of nursing nel quale i modelli infermieristici devono essere adattati in relazione alla comunità di riferimento. Per fare ciò è richiesta una conoscenza specifica in salute pubblica, salute preventiva, salute mentale, tutela ai bambini e dei disabili (Kennedy, 2008). In Spagna i cittadini possono scegliere il loro infermiere di famiglia, che solitamente ha in carico circa 1500 utenti. La promozione alla salute, l’educazione individuale e familiare sono gli interventi su cui si basa l’assistenza infermieristica (Rocco et al., 2017; Obbia, 2014; Delamaire, Lafortune, 2010).
Nel contesto italiano, le regioni del Friuli-Venezia Giulia (FVG), della Liguria e del Piemonte hanno offerto interessanti spunti per sottolineare differenze e similitudini tra modelli. Il Progetto sperimentale “Infermiere di Comunità” nasce nel 1999 in FVG, nell’Azienda Sanitaria Bassa Friulana, nel quale l’infermiere costituisce una connessione interna della comunità (rete sociale), che a sua volta rappresenta un potenziale per poter rispondere a bisogni cognitivi, emotivi e sociali della popolazione nel territorio. L’infermiere, a livello distrettuale, è parte integrante della comunità in maniera organica e connettivale e collabora con medici di medicina generale (MMG), assistenti sociali e altri professionisti dell’equipe territoriale (AIFeC, 2020; Pellizzari, 2008).
In questo contesto, diversi studi hanno analizzato, attraverso un disegno qualitativo, il vissuto esperienziale degli infermieri sul territorio. Ad esempio, nello studio di Brouwers et al. (2017) sono state individuate sia le barriere che le opportunità di miglioramento nell’assistenza rivolta allo specifico target geriatrico. Per quanto riguarda la comunità, l’attenzione dei professionisti a livello territoriale è concentrata anche sull’assistenza ai pazienti affetti da decadimento cognitivo e da patologie psichiatriche. L’approccio del professionista si basa sulla programmazione di visite domiciliari con supervisione proattiva rivolta agli utenti e alle famiglie, in modo da rendere la famiglia consapevole e autonoma nella gestione e relativa evoluzione delle patologie (Laird et al., 2017).
Gli infermieri territoriali dedicano un focus particolare alla strutturazione di percorsi rivolti agli utenti e alle loro famiglie all’interno del percorso di cure palliative; supportandoli in ogni momento sia nell’educazione terapeutica che nel processo emotivo di elaborazione del lutto. Le sfide in questo ambito riguardano lo sviluppo di conoscenze per costruire una relazione di aiuto con l’utente e la sua famiglia, ma anche per l’acquisizione di abilità di coping nella gestione delle proprie emozioni in modo da fronteggiare il pesante carico emotivo ed assistenziale (Reid, 2013).
Tuttavia, seppur diversi studi abbiano analizzato il vissuto esperienziale degli IFeC, si tratta di ricerche che sono state condotte principalmente nel contesto internazionale e non in quello italiano. Dopo alcuni di anni di esperienza legata all’implementazione del Chronic Care Model (PSR, 2008-2010), il 4 giugno 2018 la regione Toscana ha approvato il documento “Indirizzi per lo sviluppo del modello assistenziale Infermiere di Famiglia e di Comunità” (DGR n.597), nel quale l’IFeC veniva definito come il professionista che prende in carico le famiglie e la comunità di uno specifico territorio. Sapendo che ci sono differenze sia professionali che organizzativi tra il contesto italiano ed internazionale, avere scarsa letteratura su questo topic è un limite importante. Dunque, conoscere il vissuto esperienziale degli IFeC italiani risulta essere fondamentale, perché attraverso l’analisi dell’esperienza diretta delle persone coinvolte nell’implementazione di questo modello, sarà possibile identificare eventuali criticità su cui intervenire al fine di migliorarne così la qualità assistenziale erogata.

OBIETTIVI
Lo scopo del presente studio è di esplorare a distanza di un anno dall’avvio della sperimentazione, le percezioni degli infermieri coinvolti nel nuovo modello assistenziale di Infermieristica di Famiglia e di Comunità nella AUSL Toscana Centro.

METODI
Disegno
È stata condotta un’indagine qualitativa fenomenologica (Sasso et al., 2015 p. 135). È stata scelta questa metodologia perché attraverso la ricerca fenomenologica è possibile indentificare l’essenza di un fenomeno. In accordo a quanto definito da Mortari et al. (Mortari L, Zannini L, 2017), nel presente studio le esperienze sono state descritte così come sono apparse e quindi come sono state percepite dalle persone intervistate. Il ricercatori hanno avuto un ruolo attivo nell’ascolto e nella comprensione delle esperienze e dei vissuti descritti dai partecipanti, cercando di trovare similitudini e differenze tra esperienze dei partecipanti stessi.

Partecipanti
Attraverso un campionamento propositivo (Fain, 2004), sono stati inclusi nello studio gli infermieri coinvolti nella sperimentazione del modello di Infermieristica di Famiglia e di Comunità nell’AUSL Toscana Centro, che avevano manifestato il consenso alla partecipazione allo studio. Non sono stati applicati ulteriori criteri di inclusione/esclusione, allo scopo di ottenere un campione il più possibile eterogeneo (Sandelowski, 2000, Teddlie, 2007).
Le esperienze sono state portate alla luce tramite l’effettuazione d’interviste semi-strutturate, faccia a faccia e audio-registrate. La persona è stata invitata a presentarsi e a raccontare la propria esperienza lavorativa inerente all’implementazione del modello di Infermieristica di Famiglia e di Comunità nella AUSL Toscana Centro. La Gran tour question (l’Infermiere di Famiglia e di Comunità…) ha permesso all’intervistato di esprimersi in maniera libera, iniziando la narrazione secondo una prospettiva assolutamente personale. Le Key question (Punti di forza…; criticità…) hanno consentito di cogliere le percezioni dei partecipanti in relazione a specifici aspetti.
Le interviste sono state condotte in spazi opportuni per il rispetto della privacy, all’interno delle Case della Salute di Castelfiorentino (FI), Montespertoli (FI), Lastra a Signa (FI), Agliana (PT) e Montale (PT). Durante la raccolta dati, l’intervistatore per mettere a proprio agio i partecipanti, vestiva abiti informali e si approcciava con cordialità e rispetto. Durante le interviste non sono stati utilizzati strumenti per la documentazione del linguaggio non verbale dei soggetti e il ricercatore si è limitato a osservare l’eventuale insorgenza di manifestazioni di disagio o difficoltà che limitassero l’espressione dei vissuti.
Sono stati intervistati 23 infermieri su un totale di 26 coinvolti nella sperimentazione, ma la saturazione dei dati (ripetizioni, ridondanza nelle descrizioni dei vissuti) (Blasi, 2010), è stata raggiunta dopo 7 interviste. Nonostante la saturazione, gli autori hanno deciso di continuare le interviste in modo da valorizzare l’esperienza di ogni singolo IFeC. Le interviste sono state svolte da un singolo autore, che non conosceva i partecipanti e che non aveva esperienza pregressa di lavoro in ambito domiciliare.

Analisi dei dati
L’analisi dei dati narrativi è stata svolta secondo l’approccio dell’analisi di contenuto (Sandeloski, Barroso, 2002). Le interviste audio-registrate sono state letteralmente trascritte in un documento elettronico di scrittura (formato.doc.). A ogni intervista trascritta è stato attribuito un numero da 1 a 23, in modo tale da mantenere l’anonimato delle persone intervistate. In seguito, due autori (uno dei quali aveva svolto le interviste), hanno intrapreso in maniera indipendente il processo di extracting significant statement e di codifica dei dati. Di seguito i passaggi svolti in ordine sequenziale:
a) Le interviste sono state lette più volte, per ottenere un’idea generale dell’intero contenuto.
b) È stata eseguita una lettura più approfondita volta a individuare per ogni intervista le unità significative, ossia le porzioni di testo (frasi o quotations) ritenute importanti (units meaning).
c) Il significato di ogni units meaning è stato identificato in un concetto chiave e quindi tradotto in un’etichetta o sottotema.
d) Le etichette sono state raggruppate in categorie o temi, in base alla loro analogia concettuale.
e) I ricercatori si sono confrontati per giungere ad un accordo sulle units meaning, sulle etichette e sulle categorie e hanno analizzato le differenze e le relazioni tra le varie categorie.
Tra i due autori sono state riscontrate differenze minime nella definizione del nome di alcune etichette, ma non del loro significato.

Rigore metodologico
Le strategie per garantire l’attendibilità, la fedeltà e la credibilità dei risultati sono state le seguenti:
– Prima dell’esecuzione delle interviste e prima dell’analisi dei dati gli autori hanno effettuato il braketing (Creswel, 2013). Nello specifico, il ricercatore ha raggruppato le proprie conoscenze e opinioni sull’Infermieristica di famiglia e di comunità e le ha scritte su un quaderno, per entrare in contatto in modo genuino col fenomeno e per descriverlo fedelmente, così com’è stato percepito dai soggetti (Richards, Morse, 2009).
– Al termine dell’intervista, il ricercatore puntualizzava gli aspetti salienti emersi, al fine di averne conferma da parte dell’intervistato (assessment of the credibility).
– L’analisi dei dati è stata inizialmente svolta in maniera indipendente da parte di due ricercatori per poi condividere le analisi interpretative e giungere a un accordo finale sull’individuazione delle units meaning, delle etichette e delle categorie (triangolazione dell’analisi dei dati) (Chiari et al., 2014).
– Un terzo ricercatore ha guidato e supervisionato i due autori durante il processo di analisi dei dati.
– Per 7 infermieri è stato svolto il member check (Chiari et al., 2014); ossia l’autore che ha svolto le interviste ha esposto ai partecipanti in maniera individuale, le etichette e le categorie e ha chiesto la conferma o la smentita rispetto ai vissuti personali. I partecipanti hanno dichiarato il loro accordo su quanto presentato dal ricercatore.
– La presentazione dei risultati è supportata da frasi espresse direttamente dai partecipanti (stralci di interviste originali).

Considerazioni etiche
L’indagine è stata realizzata dopo approvazione della direzione infermieristica della AUSL Toscana Centro. Tutti i partecipanti hanno manifestato il loro consenso in forma scritta prima della partecipazione. L’identità dell’intervistato è conosciuta dal solo intervistatore. L’indagine ha rispettato i parametri previsti per la riservatezza delle informazioni secondo l’art. 13 del D. L.vo 30 giugno 2003, n. 196 e successive modifiche e integrazioni. In accordo con la normativa italiana non è stata richiesto il parere del comitato etico in quanto lo studio non ha coinvolto pazienti.

RISULTATI
Il campione (Tabella 1), costituito da 23 IFeC, era composto prevalentemente da soggetti di sesso femminile (n= 21), con un’età media era di circa 51 anni e anzianità di servizio media di 14 anni. Per quanto riguarda il livello di istruzione, solo due partecipanti erano in possesso di un titolo di formazione post-base, nello specifico un master di I° livello in Sanità Pubblica e Assistenza Territoriale e un master di I° livello in Wound care.
Nelle descrizioni dell’esperienza sono emerse 4 temi fondamentali sostenute da 13 etichette, che rappresentano i concetti che interpretano il contenuto delle units meaning(Figura 1).

Tabella 1. – Genere, età media e anni medi di servizio nel territorio in base al distretto di appartenenza.

Distretto N infermieri intervistati Sesso

 

 

 

Età media in anni, range Anni medi di esperienza lavorativa in Assistenza Domiciliare, range Formazione post-base specifica per l’ambito territoriale
F M
Lastra a Signa 8 7 1 51, 50-54 15, 1-30 1
Montale 2 2 0 46,5, 44-49 9, 4-14 0
Agliana 2 1 1 55, 50-60 17,5, 11-24 0
Montespertoli 4 4 0 52, 41-58 9, 1-18 0
Castelfiorentino 7 7 0 50, 40-55 18, 6-25 0


Figura 1. – Rappresentazione grafica dei Temi emersi e dei sottotemi correlati.

TEMA 1: La preparazione al cambiamento
Secondo gli infermieri che si approcciano al modello IFeC è fondamentale una preparazione, che si costruisce sia con l’esperienza lavorativa individuale che con una formazione propedeutica.

L’esperienza lavorativa precedente, specialmente all’interno dell’assistenza domiciliare integrata, ha permesso agli infermieri di attuare senza sforzo una presa in carico globale delle famiglie all’interno della comunità di riferimento. “(…) è stato facile avendo sempre lavorato sul territorio, ho fatto sia l’attività distrettuale che la sanità di iniziativa” [1]; “(…) Che lavoro a domicilio, a dicembre di quest’anno sono 11 anni (…) il nostro metodo di lavorare, più o meno si specchiava in questo modello. Noi ce l’avevamo già questo modo di essere (… ) quando entravamo in una casa, se ti chiedevano un’informazione, era etico (…) perché noi avevamo già questo tipo di approccio con il paziente (…)”[4]; “Noi infermieri facciamo tante cose e da sempre, almeno nella nostra realtà, da sempre le abbiamo fatte (…) per impostazione nostra, mentale (…) era un lavoro che già si faceva [8]”; “Noi ci eravamo già approcciate da tempo, è cresciuta gradualmente, te lo dico proprio perché è tanto tempo che lavoro all’assistenza domiciliare” [22].

La formazione ricevuta proposta dall’azienda in previsione dell’implementazione del nuovo modello assistenziale è stata ritenuta utile, anche se per alcuni intervistati sarebbe stato necessario potenziare ulteriormente la formazione esperienziale, sul campo: “(…) poi ho fatto il corso di formazione dell’Azienda e lo stage a Trieste 5 giorni. Il corso di formazione in aula e poi ‘on the job’ (…) mi è piaciuta. È stato un bello scambio tra colleghi, anche, poi in realtà serve ad aprire la mente, perché vedi altre realtà. Si, a me è piaciuta tanto, mi hanno dato anche spunti da riportare in pratica. Quindi è stata utile, si (…)” [5]; “(…) abbiamo avuto una formazione in aula e poi una formazione sul campo; in aula, attraverso, degli incontri, dove appunto ci è stato presentato questo modello, poi è stato creato un gruppo di colleghe, che hanno un’esperienza anche fuori dalla nostra Usl, per andare a conoscere una realtà che viveva già da qualche anno questo modello appunto di infermieristica (…)” [7]; (…) Io direi essenziale più esperienza (…), più esperienza, più esperienza, più incontri, più condivisioni anche con altre realtà (…) a distanza di tempo che ci sia anche un feedback” [6].
Per gli infermieri coinvolti è stato importante l’interesse e la partecipazione attiva dimostrata dalla dirigenza infermieristica durante l’intero processo di implementazione. La collaborazione tra infermieri e dirigenti ha consentito una giusta partenza.

La Modalità di reclutamento e l’organizzazione, cioè la modalità intrapresa dalla dirigenza per arruolare gli infermieri all’interno del progetto, unitamente ai cambiamenti organizzativi effettuati, hanno fatto sentire gli infermieri compresi e partecipi nelle decisioni. Tra i cambiamenti organizzativi, gli IFeC hanno particolarmente apprezzato lo sgravio da alcune attività puramente prestazionali, come ad esempio l’effettuazione dei prelievi venosi domiciliari. Questi cambiamenti hanno messo in condizione gli IFeC di raggiungere gli obiettivi stabiliti relativamente alla presa in carico globale della persona e della famiglia:“(…) È stata fatta la proposta, diciamo che lì per lì com’era messo a me non dispiaceva, non mi dispiaceva provare a cambiare qualcosa (…)” [4]; “(…) ci soddisfa perché siamo state messe in condizione dall’Azienda proprio di seguire meglio le persone perché non facendo più prelievi domiciliari e ambulatoriali, il nostro tempo lavoro è più dedicato all’Assistenza pura e c’ hai tempo di riflettere sulle cose (…) sono soddisfatta” [5]; “(…)Avere un capo che crede in quello che fa è un’altra cosa (…) veramente tanto e non è banale avere una dirigenza che funziona (…) ci credono loro per primi, in qualche modo è un incontrarsi rispetto al percorso. È diverso, c’è poco da fare (…)” [7].

TEMA 2: La relazione per fare gioco di squadra
Per gli IFeC il sentirsi parte della famiglia non è un sentimento eccezionale e consente la realizzazione di un legame che porta gli individui a raggiungere il pieno potenziale di salute, attraverso lo sviluppo di una relazione privilegiata. Far parte della famiglia richiede e comporta una sorta di alleanza e rispetto reciproco: “Il rapporto con il paziente, soprattutto i distretti piccoli come i nostri, il rapporto è estremamente in contatto diretto, dove la relazione di aiuto è preponderante (…), dove conosci anche le persone, li segui da anni, si instaura un rapporto familiare (…)” [2]; “(…) ti capita, perché quando entri in una casa, in qualche modo, abbracci quello che trovi e non è una questione formale, ma è una questione di sostanza. Loro sanno (…)” [7]; “(…) il nostro rapporto è continuo, diretto, si ha un contatto ‘familiare’, ecco non soltanto infermiere-paziente, ma è proprio un contatto di famiglia (…) È bello perché tu diventi una persona di famiglia (…) proprio vederti, la tua presenza li rallegra (…) è proprio lo scambio (…)” [18].
L’equipe multiprofessionale facilita la presa in carico globale della persona e della famiglia, ma il lavoro in equipe non sempre è facile: “(…) si collabora con i medici e con tutte le figure sanitarie che ruotano a domicilio (…)” [5]; “(…) abbiamo l’abitudine di fare spesso visite condivise: infermiere-assistentesociale – medico di famiglia. Ecco un’altra novità di questo progetto è il lavoro d’equipe (…) cioè la stessa persona, la stessa famiglia vengono valutati da professionisti diversi, però fa tutto centro su quella persona e su quella famiglia (…) Diciamo che il rapporto, come con tutte le persone, con alcuni è più collaborativo, con altri un po’ meno.” [6]; “(…) È stata chiesta una maggior collaborazione da parte dei medici (…) una parte da migliorare è il rapporto con alcuni medici curanti (…). Abbiamo un ottimo rapporto, con qualcuno, di collaborazione, con altri meno (…) Si qualcuno l’ha recepito un po’ così, qualche altro magari pensa di scaricarci qualcosa che però non è di nostra competenza. Le responsabilità sono diverse (…) con qualcuno bene, si lavora bene (…)” [9].
Nel nuovo modello l’IFeC si avvale di consulenti infermieristici con formazione specifica post-base, per avere una corretta visione di un determinato problema di salute (area specialistica) a carico di un componente della famiglia. Le aree per cui sono disponibili infermieri esperti per consulenze sono: le lesioni difficili, la salute mentale e le dipendenze, il fine vita, gli accessi vascolari, le stomie e PEG, la ventilazione meccanica-invasiva, la pediatria e il supporto all’autocura (progetto IDEA, Delibera GRT n 545/2017).

L’importanza delle consulenze fornite dagli infermieri esperti è riconosciuta da tutti gli intervistati: “(…) fra figure professionali diverse, possiamo darci una mano, ma per esempio, da un punto di vista Infermieristico, noi abbiamo la possibilità di attivare anche consulenti colleghi, in autonomia.” [6]; “(…) è stata creata una rete di consulenze infermieristiche. Ognuno di noi può, oltre ad avere il cellulare aziendale, chiamare un collega esperto per consulenza in una qualunque sfera (…) Mi sento meno sola, poi fra ‘simili’ è ancora meglio [tra pari-colleghi infermieri] (…)” [12]; “(…) con questa rete di consulenze… secondo me si offre un’ottima qualità (…)” [19].
Inoltre, il confrontarsi sui vissuti quotidiani durante i briefing e i debriefing aiuta i professionisti a supportarsi vicendevolmente. Gli IFeC si sentono parte di una squadra che collabora per la buona riuscita di un progetto comune. Il sostegno dei colleghi è un punto di forza: “(…) lo scambio a fine mattinata con le colleghe ‘io in quella situazione ho fatto così ecc.’, ‘ma lo sai che è proprio interessante questa cosa che hai fatto’. La condivisione del caso ti permette di ampliare le tue vedute, magari una ha una certa sensibilità, una certa propensione e te ce n’hai un’altra, quindi incrociare le cose, vuol dire che te impari da quello, quello e quell’altro e viceversa (…)” [7].

TEMA 3: Un vortice di emozioni
Prendere parte al cambiamento può non essere cosa semplice e oltre a questo La fatica dell’inizio è legata anche al fatto che gli IFeC, durante il primo periodo di sperimentazione del modello, hanno dovuto portare avanti il lavoro quotidiano e tenere il passo con la formazione: “(…) in questi mesi è stato estremamente faticoso… la formazione ci sta chiedendo tanto, i cambiamenti…però il lavoro in sé a me piace (…)” [2]; “La difficoltà è stata partire, sono stati corsi su corsi, è stato abbastanza impegnativo (…) insomma non è stato semplice rimettersi in discussione. La difficoltà è stata proprio quella: la paura del non conoscere, tornare a studiare e rimettersi in discussione (…)” [10]. Un punto di forza per gli IFeC è indubbiamente l’amore verso la professione e il piacere di essere infermiere: “(…) Allora, a me il mio lavoro piace tantissimo… e penso che sia uno dei più belli, sul domiciliare (…)” [2]; “(…) è un’esperienza stimolante (…) secondo me il vero infermiere è quello di famiglia (…) sono stato uno di quelli che l’ha voluto, si è offerto anche per farlo (…) ho fiducia. Credo che, come tante cose, non tu possa più tornare indietro (…)” [3].

Il desiderio di crescere e migliorare per rispondere ai bisogni dei cittadini è insito in ogni intervistato. Gli IFeC si sono espressi liberamente sulla proposta d’idee e soluzioni organizzative potenzialmente funzionali anche alla crescita personale-professionale per ottimizzare l’assistenza: “(…) abbiamo chiesto di strutturare un briefing proprio per parlare dei casi più importanti, più complessi. Si, perché adesso lo facciamo, però è un pochino così.., invece proprio fare l’ora X in cui non entra nessuno (…) a noi piacerebbe che fosse disponibile una stanza, a parte, con orari precisi e dedicati (…)” [12]; “(…) è questa la scommessa da vincere, anche quella di non aver paura ‘oh io ho finito il turno, non mi chiamate più eh!’, non esiste (…) Bisogna sforzarci e cercare di fare un passo avanti anche se è difficile”[3]; (…) Bisogna, sicuramente parlarsi, parlarsi sempre (…) io sono dell’avviso che anche all’interno dei nostri territori, sarebbe opportuno cambiare gruppi di lavoro, cioè spostarsi (…)”[7].

TEMA 4: Il professionista del territorio: status ed evoluzione
Nell’affermare chi è l’IFeC (nonostante tutti gli intervistati riconoscano i concetti essenziali del modello e, quindi, nonostante la correttezza dei contenuti espressi), ogni infermiere ha fornito una definizione soggettiva di Infermiere di Famiglia e di Comunità:“ (…) secondo me, l’infermiere di famiglia e Comunità è un facilitatore, proprio un facilitatore dell’accesso ai servizi, anche un orientatore, perché insomma spesso c’è bisogno di orientare le persone all’utilizzo dei servizi (…) È un supporto (…) poi è anche un collaboratore” [5]; “(…) per me l’infermiere diciamo che è un promotore di salute ed è quella figura che prende in carico il ‘paziente’, nell’ambito della sua famiglia, quindi non solo rivolto a lui, ma rivolto anche a tutto l’ambito familiare, volendo essere più ambizioni anche all’ambito Comunitario (…)” [6].
Gli IFeC hanno fornito indirettamente una descrizione delle competenze e delle capacità necessarie nel nuovo modello. Gli elementi fondamentali nell’assistenza risultano essere la proattività, l’educazione terapeutica e l’empowerment, in parallelo l’approccio olistico alla persona/famiglia, l’autonomia professionale, la capacità di lavorare nel team multiprofessionale e la necessità di documentare quanto svolto: “(…) educazione terapeutica, mantenimento della salute e soprattutto sul mantenimento di quelle che sono le potenzialità. Poiché, a domicilio, la maggior parte sono pazienti anziani, per cui quello che è fondamentale è il cercare di preservare le potenzialità residue (…) deve essere proprio promotore della propria salute ed autocura, in questo senso la figura proattiva dell’infermiere (…) Quindi l’orientamento ai servizi finisce per essere una cosa fondamentale (…) Indirizzare (…) ti prendi carico (…)” [6]; “Il ruolo principale, fondamentale dell’infermiere così come lo percepisco io, è l’educazione e la relazione (…)” [12]; “(…) Diventiamo il loro confidente (…) Tutto… la parte psicologica, la sfera fisica, la prestazione, tutto. Si prende tutta la famiglia (…) rendergli la casa più agibile possibile, le condizioni più idonee possibili.” [18]; “(…) avere un occhio generale diverso, guardare a 360° sia l’utente stesso che chi gli stava accanto (…) multidisciplinarietà (…) la documentazione che è molto importante, sia per il passaggio delle consegne tra noi operatori, ma anche per avere una cartella idonea infermieristica (…)” [13]; “(…) perché l’infermiere di famiglia e di comunità ha una visione che si prende in carico il paziente e la famiglia orientativamente a 360°, in maniera globale (…) da risposte più concrete e aiuti più concreti (…) è l’infermiere stesso che si può attivare in questo senso, by-passando il medico, da un punto di vista di richiesta (…)” [21]; “(…) l’organizzazione del lavoro stesso, nel senso… noi addestriamo i parenti o i familiari, si fa un lavoro tanto sull’addestramento, noi parliamo tanto con la famiglia (…) si supervisiona poi il lavoro fatto (…)” [22].
Sono diversi i progetti che gli IFeC vorrebbero realizzare nel loro territorio in un futuro prossimo.
Le prospettive per il futuro si riflettono ad esempio nella costruzione di specifiche reti di collaborazione, nell’attivazione di percorsi speciali e canali preferenziali in risposta ai reali bisogni di salute dei cittadini:“(…) organizzare qualcosa con il volontariato, proprio per tamponare delle piccole cose semplici, che sarebbero sia assistenziali che sociali (…) bisogna riscoprire un po’ l’autoaiuto (…)” [8]; “(…)sul territorio è sempre mancata la figura dello psicologo, sia per il malato che per l’operatore (…)” [13] “Il villaggio degli ‘over’ oppure dei diversamente giovani… Ma te pensa se si potesse fare proprio, io così ragionando in maniera abbastanza futuristica, dei palazzi, delle strutture, delle case che prevedono il villaggio degli over oppure dei diversamente giovani (…) Dove tu ci metti, per esempio, una farmacia, un cinema (…) quella struttura la penseresti alla portata della persona che ci vive, in particolare dell’anziano, quindi: tragitti brevi, senza barriere architettoniche. Progettarla proprio per loro (…)” [7]. “(…) abbiamo bisogno di avere dei canali preferenziali per l’accesso a dei servizi (…)” [5]; “(…) ci deve essere un grosso collegamento con il sociale, perché non tutti hanno la fortuna di avere una rete familiare (…)”[6]; “(…) una rete preferenziale, snella con l’ospedale (…)” [2]; “La parte burocratica è ancora complicata (…)” [8].

DISCUSSIONE
Con la presente indagine sono state analizzate le percezioni degli infermieri coinvolti nella sperimentazione del modello assistenziale di Infermieristica di Famiglia e di Comunità avviato nella AUSL Toscana Centro nel dicembre 2018, in attuazione della Delibera GR Toscana n.597 del 18 giugno 2018. Questa spinta da parte della Regione costituisce un altro passo fondamentale verso una Sanità di Iniziativa (PSR, 2008-2010) e per lo sviluppo del potenziale infermieristico nel contribuire alla Salute della persona, della famiglia e della collettività.
Nel presente studio, le relazioni con i pazienti e familiari sono state descritte positivamente in tutte le interviste svolte; i legami forti e consolidati con le famiglie portano a un’assistenza consapevole e ricca di soddisfazioni per l’operatore. La centralità della famiglia è ritenuta cruciale; imprescindibili sono lo sviluppo di un rapporto basato sulla fiducia e la condivisione dell’assistenza finalizzata al raggiungimento della consapevolezza da parte degli assistiti. Lo studio di De Oliveira et al. (2019), sebbene esplori elementi inerenti il lavoro degli infermieri di assistenza domiciliare nei contesti rurali, suggerisce che l’instaurazione di buoni rapporti con la popolazione, unitamente al riconoscimento e alla gratitudine da parte delle famiglie generi soddisfazione lavorativa (De Oliveira et al., 2019).
Nell’implementazione del Modello IFeC il sostegno dei colleghi e la collaborazione con consulenti specialistici e medici di medicina generale è ritenuta fondamentale. L’equipe multidisciplinare è composta da più professionisti che lavorano per il benessere delle persone e delle famiglie, il lavoro in team favorisce la presa in carico globale della famiglia e della comunità. Si tratta di identificare i bisogni assistenziali e formulare una pianificazione condivisa del percorso di cura e assistenza, che possa aiutare le persone a raggiungere gli obiettivi di salute prefissati (Sasso et al., 2005). L’integrazione professionale, attraverso la modalità generativa, dà vita, quindi, a una nuova forma di assistenza in cui si mette in luce l’importanza della collaborazione tra le diversi figure professionali anche in termini di soddisfazione dei professionisti (Faith et al., 2009). Alcuni IFeC coinvolti nella presente indagine auspicano a una maggior partecipazione da parte dei MMG.
L’esperienza lavorativa precedente degli IFeC ha permesso che l’implementazione del modello avvenisse con maggior facilità, poiché gli infermieri coinvolti nella sperimentazione già lavoravano secondo strategie finalizzate alla presa in carico globale della persona e della famiglia e conoscevano in parte la comunità di riferimento. Nel nuovo modello è fondamentale che il professionista sanitario conosca profondamente la comunità, attraverso la rilevazione dei principali bisogni di salute, l’analisi della comunità stessa, del territorio, dei servizi presenti e attivabili (Martini, Sequi, 1995). Grazie alla formazione ricevuta i nuovi IFeC hanno conosciuto maggiormente la rete dei servizi disponibili. Dalle interviste emerge che l’assenza di una rete sociale solida vincola l’assistenza infermieristica e le criticità emergono chiaramente quando i bisogni dei cittadini non sono proporzionati rispetto ai servizi erogati. Molti degli infermieri intervistati rilevano, infatti, che l’assistenza può essere ostacolata dalla carenza dei servizi offerti. Questo tipo di deficit specialmente a livello sociale o comunitario, può avere effetti negativi sul personale infermieristico, favorendo situazioni di stress e fatica, che possono portare anche allo sviluppo del burn-out (Lenthall et al., 2009).
I pareri dei partecipanti in merito alla formazione svolta in virtù dell’implementazione del modello sono in parte contrastanti, poiché alcuni si ritengono completamente soddisfatti mentre altri hanno avanzato idee e spunti per perfezionare il percorso formativo (come un maggiore spazio per la parte esperienziale, on the job). Esistono realtà italiane, come la regione Piemonte, che hanno optato per la formazione degli IFeC con un master di primo livello “Infermiere di Famiglia e di Comunità” (attivo dal 2003). L’AIFeC ha stabilito gli indicatori per il percorso di apprendimento specialistico e raccomanda fortemente la partecipazione al Master Universitario di primo livello per gli IFeC (AIFeC, 2019). Dunque, sebbene tutti i partecipanti ricongiungano i concetti essenziali al modello, ognuno tende a enfatizzare particolarmente specifiche caratteristiche del ruolo rispetto ad altre, probabilmente anche in relazione alle proprie attitudini personali e alla propria esperienza sul campo, giungendo ad una definizione non univoca. Un percorso di formazione specifico potrebbe avere un ruolo cruciale nell’uniformare le competenze necessarie, ma anche la visione del ruolo e degli obiettivi si salute e assistenza. Infatti, la definizione univoca sulla figura, sul ruolo e sulle competenze dell’IFeC assume particolare rilevanza quando si pensa all’influenza che l’IFeC stesso ha sulla comunità di riferimento.
La Conferenza Stato-Regioni ha delineato solo a grandi linee il profilo dell’IFeC e, sebbene lo Stato Italiano ne abbia riconosciuto l’esistenza con la legge 77 del 2020, non è delineato un percorso formativo specifico ed omogeneo a livello regionale, né a livello nazionale (AIFeC, 2020). Da tenere in considerazione il Position Paper sull’IFeC per definirne il ruolo e la formazione. Il Position Paper è nato dal gruppo di lavoro composto dal direttivo di AIFeC e dai docenti delle Università del Piemonte (UNITO e UPO). Questo documento recepisce il profilo IFeC pubblicato nel 2018 dall’AIFeC e recepisce anche i risultati del progetto CoNSENSo e del progetto ENhanCe (CoNSENSO, 2015), coordinato dall’Università di Genova per conto della Regione Liguria, che ha definito un curriculum formativo europeo, confrontandosi anche con esperti internazionali (AIFeC, 2020).
La Comunità e le famiglie che la compongono sono elementi inscindibili: la famiglia è l’unità di base di una Comunità, cui poi si aggiungono servizi e professionisti locali. La famiglia avvertirebbe un senso di solitudine e smarrimento se non riuscisse a interagire con la realtà locale (Sasso et al., 2005). Proprio per questo motivo, l’IFeC è definito come “Attivatore di micro interventi che, uniti, possono favorire una collaborazione aggiuntiva alla “rete di care”, creando una relazione tra servizi formali e informali, creati “dalla comunità per la comunità”. L’obiettivo è proprio quello di avere famiglie e comunità “attive” su come migliorare la qualità di vita e consapevoli che la Salute non è un bene delegabile (Mislej, Paoletti, 2008). In relazione a questo, l’IFeC coinvolge attivamente la persona assistita e la sua rete familiare e propone interventi di empowerment individuale, ma anche per lo sviluppo del capitale sociale comunitario (Rocco et al., 2017; Mercadelli et al., 2018). L’empowerment, come processo che richiama il coinvolgimento attivo dei cittadini e della comunità nelle decisioni di salute e nell’organizzazione dei servizi, è uno degli strumenti fondamentali dell’IFeC. È chiarificante a questo proposito la definizione di Wallerstein del 2006: “L’empowerment è un processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita” (Wallerstein, 2006, pag.20). L’IFeC utilizza diverse strategie per fornire ai cittadini gli strumenti e le risorse per mantenere e/o recuperare la salute, per acquisire le capacità di gestire la propria vita convivendo con le malattie (Sasso et al, 2005). Studiando l’esperienza friulana si comprende l’utilità nella comunità locale di una figura di riferimento per la gestione della Salute. Nella bassa Friulana l’infermiere si occupa profondamente della comunità, creando una rete sociale di solidarietà, con un’attenzione particolare alle cure informali. Infatti, come anche emerso in alcune interviste, l’infermiere a Trieste prende in carico la comunità in maniera globale, uscendo talvolta dagli schemi classici dell’infermieristica. Grazie al sostegno della dirigenza infermieristica, anche dal punto di vista organizzativo (con lo sgravio da attività di tipo puramente prestazionale), gli infermieri intervistati si sono sentiti supportati e legittimati nello svolgimento di questo tipo di speciale assistenza.
Per gli intervistati l’amore per il proprio lavoro, unitamente al desiderio di crescere e migliorare, si accompagna alla formulazione di proposte che enfatizzano la centralità della persona, della famiglia e delle persone significative nella comunità nella quale sono inseriti e che rappresentano.

Limiti dello studio
Il presente studio presenta diversi limiti. Ad esempio, come per tutti gli studi qualitativi, i risultati della presente indagine non possono essere generalizzati all’intera popolazione presa in esame, in quanto il vissuto esperienziale potrebbe essere altamente influenzato dal contesto di appartenenza. Per tale motivo sarebbe opportuno condurre ulteriori studi, in altre regioni, in modo tale da osservare omogeneità nei temi identificati.
Per il presente studio non è stato effettuato un audit trail (Robinson, 2003). Sarebbe interessante poter condurre una nuova indagine di tipo qualitativo a distanza di maggior tempo, 2 o 3 anni circa dall’implementazione del modello, in modo da esplorare le eventuali variazioni nei temi e nelle etichette emergenti. Sarebbe interessante replicare l’indagine per confrontare questi risultati con le percezioni e i vissuti degli IFeC durante la Pandemia da COVID-19. Studi mirati e rigorosi con approcci misti permetterebbero di correlare l’esperienza e le percezioni degli IFeC con i Nursing Sensitive Outcome (Cesa et al., 2014; Ausili, 2013) specifici per l’ambito territoriale. Ulteriori indagini utilizzando metodi di ricerca mista; consentirebbero un’esplorazione maggiormente approfondita del fenomeno, sia a livello locale che nazionale.

CONCLUSIONI
L’approccio dell’IFeC nella presa in carico globale della persona e della famiglia all’interno di una comunità collaborativa sembra la risposta adeguata ai reali bisogni di salute della popolazione e si configura come una scelta di successo anche per aumentare la soddisfazione degli infermieri. Gli infermieri coinvolti nella sperimentazione del modello di Infermieristica di Famiglia e di Comunità, probabilmente anche grazie al supporto organizzativo realizzato dalla Dirigenza Infermieristica della AUSL Toscana Centro, si sentono motivati e pronti ad un’assistenza infermieristica che vede come protagonista la famiglia e la comunità. Tuttavia, il potenziamento della rete sociale e l’implementazione di servizi specifici, anche alla luce di quanto evidenziato dai professionisti costantemente a contatto con le persone, è un elemento di supporto importante per i professionisti del territorio e offre l’opportunità di prendersi cura delle persone al proprio domicilio.
L’eterogeneità nel dare una definizione univoca della figura dell’IFeC e delle competenze richieste, suggerisce la necessità implementare un percorso formativo specifico e “rafforzato” rispetto a quello che è stato erogato. E’ auspicabile uniformare tale percorso sul territorio nazionale.
Data l’importanza dell’equipe per le cure domiciliari, la formazione degli IFeC (unitamente a quella dei MMG, degli specialisti e delle altre figure professionali presenti sul territorio), dovrebbe comprendere le strategie e le modalità per favorire la comunicazione e il lavoro in team.

Conflitto di interessi
Tutti gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi. Tutti gli autori dichiarano di aver contribuito alla realizzazione del manoscritto e ne approvano la pubblicazione.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e l’assenza di sponsor economici.

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