IMPLICAZIONI PER LA PRATICA
– Il monitoraggio continuo degli eventi di violenza subiti dagli infermieri è essenziale per conoscere l’entità di questo fenomeno. Interventi strutturali che mirano alla creazione di regolamenti antiviolenza e sui livelli di staffing sono necessari per prevenire e gestire il fenomeno delle aggressioni.
– Tutti i contesti assistenziali, sia ospedalieri che territoriali, devono essere considerati nella valutazione, prevenzione e gestione della violenza sul posto di lavoro per la trasversalità di questo fenomeno.
– Programmi integrati e multimodali di prevenzione e gestione che considerino la natura multifattoriale del fenomeno sono in grado di contrastare la violenza verso gli infermieri.
INTRODUZIONE
Il personale sanitario è spesso esposto al rischio di aggressione da parte di pazienti, utenti o loro parenti e caregivers (Estryn-Behar et al., 2008, Iennaco et al., 2013, Magnavita and Heponiemi, 2012). Nella letteratura internazionale sono presenti differenti definizioni per descrivere il fenomeno della violenza sul posto di lavoro. La definizione più ampiamente utilizzata di violenza legata al lavoro è quella che è stata accettata dalla Commissione Europea e adattata da Wynne, Clarkin, Cox e Griffiths (Wynne et al., 1997), che la descrive come incidenti in cui il personale subisce abusi, è minacciato o aggredito in circostanze legate al lavoro, che implicano una sfida esplicita o implicita alla loro sicurezza, al benessere o alla salute. Il valore di questa definizione è da ricercare sia nella sua completezza che nella sua inclusività. Dal 2002 al 2013 gli eventi di violenza che si sono verificati sul luogo di lavoro sono stati molto più frequenti per il settore sanitario e di assistenza sociale rispetto ad altre aree (National Institute for Occupational Safety and Health, 2002). Un’indagine del 2013 dell’US Department of Labor ha stimato che il tasso di incidenza di aggressione per gli operatori ospedalieri è pari a 7,8 su 10.000, in confronto a un valore inferiore a 2 su 10.000 per i lavoratori delle industrie (U.S. Department of Labor, 2013). La violenza sul luogo di lavoro rappresenta un fenomeno in forte crescita negli ultimi anni per le professioni sanitarie, in particolar modo per gli infermieri, considerati la categoria più vulnerabile per la tipologia di lavoro svolto sempre a stretto contatto con le persone e in situazioni non ordinarie che possono generare facilmente tensione (Pich et al., 2017). Inoltre dalla prospettiva culturale l’infermieristica è una professione considerata meno autorevole di quella medica (Ferri et al., 2016). In Nord America, l’Emergency Nurses Association conferma che la violenza contro gli infermieri è estremamente comune (Gacki-Smith et al., 2009) e che circa un quarto degli infermieri riferisce di aver subito violenza fisica più di 20 volte negli ultimi 3 anni e quasi 1 su 5 di aver subito abusi verbali più di 200 volte durante lo stesso periodo. Un’indagine successiva, condotta nel 2018 dall’American Nurses Association, riporta che il 62% degli infermieri intervistati ha subito almeno un episodio di violenza sul posto di lavoro (American Nurses Associaion (ANA), 2019). Uno studio europeo del 2019 evidenzia che su 260 infermieri di 5 paesi diversi, il 20,4% ha confermato di essere stato aggredito fisicamente sul posto di lavoro negli ultimi 12 mesi e la maggior parte di questi (76,9%) ha affermato che l’incidente non avrebbe potuto essere evitato. Il 92,3 % dei partecipanti ha riferito di essere stato aggredito da pazienti o utenti nella carriera professionale (Tomagová et al., 2020). In Italia la prevalenza annuale di violenza sul posto di lavoro varia dal 48,6% al 65,9% (Guglielmetti et al., 2016, Terzoni et al., 2015).
Negli ultimi 15 anni l’attenzione su questo argomento ha prodotto molte evidenze grazie a studi che indagano l’incidenza degli episodi di violenza sul luogo di lavoro riportati dagli infermieri. Una revisione di letteratura ha permesso di affermare che il trend di questo fenomeno è crescente e i dati estrapolati indicano la necessità di approfondire gli studi per poter intraprendere azioni di prevenzione e trattamento (Edward et al., 2014). Sebbene i comportamenti violenti e aggressivi dei pazienti siano prevalentemente sperimentati dal personale che lavora nelle unità di salute mentale e nei dipartimenti di emergenza, la violenza e l’aggressività dei pazienti sono in aumento in altre aree ospedaliere, comprese le unità di medicina generale e chirurgia, pediatria e terapia intensiva (Ferri et al., 2016). In ambito extraospedaliero sono documentati episodi di violenza e aggressioni presso i servizi territoriali di assistenza infermieristica domiciliare (Byon et al., 2020) e distrettuale (Fafliora et al., 2015) e anche i servizi pre-ospedalieri di ambulanza e soccorso sono esposti a questo fenomeno (Coskun Cenk, 2019, van der Velden et al., 2016). Le cause del fenomeno sono molteplici ed includono: personale ridotto, carico di lavoro elevato, caratteristiche degli assistiti e approcci assistenziali inappropriati (Pich et al., 2017).
I fattori di rischio per la violenza nei luoghi di lavoro sono molteplici e comprendono: lavorare con persone con precedenti di violenza o sotto l’effetto di stupefacenti o con problematiche mentali; movimentare e trasportare i pazienti; lavorare da soli; limitazioni strutturali dell’ambiente lavorativo; mancanza di formazione ed addestramento del personale; riduzione del numero del personale specialmente durante l’orario di visita e i pasti; elevato turnover; sicurezza inadeguata; tempi di attesa e affollamento; percezione della violenza come parte inevitabile del lavoro e la sfiducia verso la segnalazione degli episodi (Occupational Safety and Health Administration (OSHA), 2015).
Un aspetto comune di questo fenomeno a livello globale riguarda la tendenza a non riportare gli episodi di violenza (underreporting, miscommuncation), soprattutto nelle forme verbali (Hesketh et al., 2003) sia per mancanza di sistemi di reporting efficaci, sia per timore di conseguenze (se la violenza è stata commessa da colleghi), sia per la tendenza ad accettare tali episodi come parte del lavoro dell’infermiere (Azami et al., 2018, Pich et al., 2017).
Numerosi sono gli studi che hanno analizzato le conseguenze della violenza nei confronti degli infermieri ed includono non solo lesioni fisiche ma anche conseguenze psicologiche (Sofield and Salmond, 2003) come rabbia, paura o ansia, sintomi di disturbo da stress post-traumatico (Inoue et al., 2006), senso di colpa, stress acuto, diminuzione della produttività lavorativa (Chen et al., 2010), riduzione della soddisfazione sul lavoro (Berlanda et al., 2019), maggiore intenzione di lasciare il lavoro, abbassamento della qualità della vita correlata alla salute e persino morte (Gates et al., 2011, Gillespie et al., 2013b). Gli effetti della violenza in ambito sanitario possono estendersi oltre le singole vittime e i testimoni fino ad interessare l’organizzazione del servizio locale e agli interi sistemi sanitari con conseguenze sulla sicurezza e la qualità dei servizi offerti alla popolazione. Le aziende sanitarie possono incorrere in costi legati alla riduzione della credibilità professionale, una diminuzione della produttività e della soddisfazione sul lavoro, tutti fattori associati a un aumento del turnover di dipendenti. Costi aggiuntivi possono derivare da multe, azioni legali per responsabilità, aumento dei premi assicurativi per la compensazione dei lavoratori e perdita di entrate a seguito di pubblicità negativa derivante da incidenti violenti (Gerberich et al., 2004, Wax et al., 2016). Vi è anche una relazione tra l’ambiente lavorativo, la comunicazione tra gli operatori e una minor tendenza a subire episodi di violenza da parte di pazienti o familiari (Berlanda et al., 2019). In Italia sono disponibili alcuni studi che confermano il trend internazionale della violenza nei confronti degli operatori sanitari (Cannavò, 2020). Come negli altri Paesi, l’area clinica maggiormente esplorata è stata quella dell’emergenza anche grazie ad uno studio nazionale condotto nel 2016 che ha rilevato un’esposizione degli infermieri di pronto soccorso a violenza verbale pari al 76% e a violenza verbale e fisica nel 15,5% (Ramacciati et al., 2019). Sebbene il numero di studi relativi a questo fenomeno sia cresciuto negli ultimi anni, per avere una conoscenza più ampia e comprensiva è necessario condurre studi in aree clinico assistenziali differenti da quelle maggiormente studiate come l’emergenza e la psichiatria.
Per poter sviluppare programmi di promozione della salute per gli infermieri che lavorano in contesti sanitari particolarmente a rischio per episodi di violenza da parte dei pazienti e caregivers è indispensabile conoscere a fondo il fenomeno della violenza sul posto di lavoro, le sue cause e le conseguenze che determina.
Lo scopo di questo studio è descrivere le caratteristiche degli episodi violenza vissuti dagli infermieri sul posto di lavoro negli ospedali italiani e sul territorio e identificare le differenze significative emerse dalle risposte fornite dagli infermieri che hanno subito una violenza rispetto a coloro che non hanno vissuto questo tipo di esperienza.
METODI
Disegno dello studio
Sulla base del protocollo CEASE-IT (Bagnasco et al., 2021), lo studio ha adottato un disegno di tipo osservazionale descrittivo trasversale e la raccolta dati è stata condotta nel periodo compreso tra gennaio e aprile 2021 presso ASL, Aziende Ospedaliere e/o Universitarie/IRCCS identificate dai principal investigator afferente al settore scientifico disciplinare Med/45 di otto università italiane coinvolte nel progetto.
Popolazione di studio
La popolazione in studio è rappresentata dagli infermieri che esercitavano la propria professione in area medica, chirurgica e aree assimilabili, area critica e servizi territoriali delle ASL, Aziende Ospedaliere e/o Universitarie/IRCCS.
Criteri di inclusione
Hanno potuto partecipare allo studio gli infermieri che:
– svolgevano la propria professione nei contesti clinici di medicina, chirurgia e reparti assimilabili, area critica e servizi territoriali presso le strutture partecipanti
– hanno espresso la volontà alla partecipazione attraverso la compilazione del consenso informato.
Criteri di esclusione
Nel caso in cui alcuni infermieri avessero cambiato unità operativa durante la fase di raccolta dati, questi sono stati inclusi una sola volta.
Procedure
Tutti gli infermieri dei centri partecipanti sono stati invitati a partecipare attraverso l’invio tramite e-mail del link per l’accesso riservato al materiale informativo e al questionario dello studio. Dal momento dell’invio delle e-mail, è stato concesso il tempo di 15 giorni per poter rispondere in modo completo al questionario e consentirne la successiva archiviazione automatica da parte del software della piattaforma web. L’invio del questionario compilato ha corrisposto alla dichiarazione di consenso alla partecipazione allo studio.
Strumenti
L’ambiente di lavoro infermieristico è stato valutato attraverso la versione italiana validata (Squires et al., 2013) del Practice Environment Scale of the Nursing Work Index (PES-NWI). Il PES-NWI indaga le caratteristiche del contesto organizzativo nel quale si svolge l’attività degli infermieri definito come l’insieme delle caratteristiche organizzative del contesto lavorativo atte a facilitare o ostacolare l’assistenza infermieristica (Lake, 2002). Il PES-NWI è costituito da 31 affermazioni suddivise in 5 sottoscale: (1) appropriatezza dello staffing e delle risorse, (2) capacità di leadership e supporto infermieristico del coordinatore infermieristico, (3) presupposti per la qualità dell’assistenza infermieristica, (4) rapporto medico-infermiere, (5) coinvolgimento degli infermieri nell’organizzazione aziendale. Ad ogni affermazione è possibile assegnare un punteggio su scala likert dove 1= forte disaccordo, 2= parziale disaccordo, 3=parziale accordo, 4=forte accordo. Ogni sottoscala prevede il calcolo del punteggio medio. Il punteggio medio di 2,5 è indicatore di ambiente di lavoro neutro. Punteggi medi inferiori a 2,5 descrivono ambienti di lavoro negativo, punteggi medi superiori a 2,5 ambienti di lavoro positivo. Oltre ai punteggi medi di ogni sottoscala è calcolato il punteggio medio totale che comprende tutte le 5 sottoscale.
Il livello di staffing è stato valutato attraverso le domande tratte dall’indagine condotta sugli infermieri per lo studio RN4CAST Italia (Squires et al., 2013), adattate per questo studio.
La versione italiana, adattata e validata del questionario VENT Questionnaire (Violence in Emergency Nursing and Triage) costituita da 69 domande suddivise in 7 sezioni è stata utilizzata per descrivere le esperienze di comportamenti violenti subite dagli infermieri in termini di violenza fisica, verbale o abuso sessuale durante il turno di lavoro nei dodici mesi precedenti. La prima sezione è costituita dalla domanda filtro sull’esercizio della professione negli ultimi 12 mesi. La seconda sezione include domande demografiche. La terza sezione include domande relative all’esperienza personale di aver subito un episodio di violenza da parte dei pazienti e/o caregivers. La quarta e quinta sezione includono domande sui fattori associati alla violenza sul posto di lavoro che promuovono, intensificano o ridimensionano gli episodi di violenza e il tipo di comportamento violento vissuto.
La sesta sezione contiene le domande relative alle iniziative locali finalizzate alla prevenzione del rischio di episodi di violenza rivolti agli infermieri.
Dimensione del campione
La dimensione minima del campione richiesta per singola università era pari a 460 infermieri, definita sulla base di un margine di errore del 5%, un tasso di drop out del 20% e un livello di confidenza del 95%.
Considerando la popolazione infermieristica italiana pari a circa 450.000 iscritti agli Ordini delle Professioni Infermieristiche è stata ipotizzata, pertanto, una dimensione del campione pari a circa l’1% della popolazione ovvero 4600 infermieri.
Analisi dei dati
I dati categorici sono stati analizzati in termini di percentuale e frequenza assoluta e confrontati attraverso il test chi-quadrato di Pearson. Le variabili continue sono state descritte in termini di valore medio e deviazione standard (SD), analizzate con il test T di Student e riportate le differenze medie (MD). Le variabili considerate possibili predittori di episodi di violenza sono state confrontate tra il gruppo degli infermieri che non hanno subito violenza negli ultimi 12 mesi e/o negli ultimi sette giorni con il gruppo degli infermieri che hanno subito violenza.
Aspetti etici
Il protocollo di studio è stato sviluppato con l’intento di tutelare i diritti dei soggetti partecipanti attraverso il rispetto degli aspetti etici e deontologici previsti per la Buona Pratica Clinica e di Ricerca (D.M. 14/7/97), nonostante non siano previste somministrazioni di farmaci. Lo studio è stato condotto in accordo con la dichiarazione di Helsinki (versione di Fortaleza 2013) e in conformità alle norme vigenti in materia di studi clinici e di buona pratica clinica. Poiché sono state poste domande personali e richieste informazioni socio anagrafiche, il protocollo è stato sottoposto ed approvato dal Comitato Etico delle Regione Liguria (78/2020 – DB id 10357). È stata garantita l’assoluta volontarietà di partecipazione allo studio ed è stata garantita la possibilità di non prestare il proprio consenso o di ritirarsi dallo studio in ogni momento della sua esecuzione.
RISULTATI
Il questionario è stato distribuito a N=21051 infermieri delle 22 strutture partecipanti (ASL, Aziende Ospedaliere e/o Universitarie/IRCCS). Rispetto alla dimensione del campione stimata in 4600 infermieri, il numero complessivo di rispondenti pari a N=6079 infermieri ha generato un tasso di risposta del 28,8%. Alcuni infermieri non hanno risposto a tutte le domande del questionario e di conseguenza il denominatore varia nei risultati riportati. L’età media degli infermieri che hanno partecipato allo studio era pari a 43.2 anni (SD 10.8), il sesso prevalente era quello femminile (n=4631; 76.2%). I dettagli demografici completi del campione sono presentati in Tabella 1.
Il 32,4 % degli infermieri (n=1969) ha subito violenza nell’ultimo anno e/o negli ultimi sette giorni. Di questi, il 46% (n=920) ha subito violenza negli ultimi sette giorni. Il numero di episodi di violenza segnalati dagli infermieri negli ultimi dodici mesi precedenti il completamento del questionario è stato pari a 35347 con una media di 8 (SD=72). La minaccia verbale senza contatto fisico è stata la forma più comune di violenza subita, riportata dal 84% degli infermieri che hanno subito violenza (n = 1657) con una media di 15 episodi anno per infermiere (SD=102).
Tutte le variabili indagate dal questionario come possibili predittori di episodi di violenza sono state confrontate tra il gruppo di infermieri che non hanno subito violenza negli ultimi 12 mesi e/o negli ultimi sette giorni con il gruppo di infermieri che hanno subito violenza. Le variabili per le quali sono risultate differenze statisticamente significative sono state raggruppate in cinque categorie: (a) caratteristiche dei professionisti (Tabella 2), (b) caratteristiche degli assistiti (Tabella 3), (c) caratteristiche organizzative e professionali (Tabella 4), (d) misure preventive presenti sul posto di lavoro (Tabella 5), (e) caratteristiche dell’ambiente di lavoro (Tabella 6).
Caratteristiche dei professionisti
Dal confronto tra gli infermieri che non hanno subito violenza rispetto a coloro che l’hanno subita sono risultate statisticamente significative le differenze tra alcune caratteristiche dei professionisti (tabella 2). Rispetto al titolo di studio le differenze significative maggiori (χ² 15,2; p = 0,004) erano: il diploma di scuola regionale tra i rispondenti che non avevano subito violenza (+4.7%), la laurea triennale tra i rispondenti che l’avevano subita (+3,7%). Rispetto al possesso del titolo di master la differenza significativa (χ² 9,21; p =0,002) era il mancato possesso di tale titolo tra i rispondenti che non avevano subito violenza (+4,3%).
Le differenze significative maggiori sull’area di lavoro emergevano nel gruppo rispondenti che avevano subito violenza (χ² 298; p < 0,001), in particolare per l’area emergenza/urgenza (+11,6%) e l’area salute mentale (+7,2%). Sui destinatari dell’assistenza (pazienti adulti vs pazienti pediatrici), emergeva una differenza significativa (χ² 11,8; p < 0,001) nel gruppo di infermieri rispondenti che avevano subito violenza nel prestare assistenza a pazienti adulti (+2,4%). I rispondenti che avevano subito aggressioni indicavano maggiormente (+17,3%) di percepire la violenza come parte inevitabile del loro lavoro (χ² 159; p < 0,001). Inoltre, tra coloro che avevano subito violenza (χ² 54,0; p < 0,001) era maggiore la percezione di aumento degli episodi (+9,4%). L’età media (t=5,57; p < 0,001) e il numero medio di anni di esperienza (t=4,23; p < 0,001) sono risultati maggiori tra gli infermieri che non hanno subito violenza con una differenza statisticamente significativa rispetto ai partecipanti che l’hanno subita.
Tabella 1. Caratteristiche del personale | |||||||||
Università degli studi di Bari – Aldo Moro | Università degli studi di Brescia | Università degli studi di Genova | Università degli studi de L’Aquila | Università degli studi di Milano | Università degli studi di Modena e Reggio Emila | Università del Piemonte Orientale | Università di Roma | Totale | |
Media
(SD)
|
Media (SD)
|
Media (SD)
|
Media (SD)
|
Media (SD)
|
Media (SD)
|
Media (SD)
|
Media (SD)
|
Media
(SD)
|
|
Età | 37,9 (10,2)
|
41,5 (10,6)
|
46,4 (10,2)
|
46,6
(9,6)
|
39,4 (10,9)
|
43,7 (10,5)
|
42,3 (10,2)
|
46,6
(9,4)
|
43,2
(10,8)
|
Anni di esperienza | 11,6
(9,9)
|
15,4 (11,6)
|
19,6 (12,3)
|
18,7 (12,2)
|
13,4 (11,3)
|
16,7 (12,8)
|
16,0 (11,5)
|
16,1 (10,7)
|
16,3
(12,1)
|
N
(%)
|
N
(%) |
N
(%) |
N
(%) |
N
(%) |
N
(%) |
N
(%) |
N
(%) |
N
(%)
|
|
Sesso | |||||||||
Femmine | 405
(56,2) |
380 (75,1) | 1460
(82,5) |
74
(30,5) |
479 (76,4) | 619 (82,2) | 461
(82,5) |
659
(73,1) |
4631
(76,2) |
Maschi | 267
(37,0) |
119 (23,5) | 310
(17,5) |
165 (67,9) | 139 (22,2) | 127 (16,9) | 85
(15,2) |
226
(25,1) |
1318
(21,7) |
Non dichiarato | 49
(6,8)
|
7
(1,4)
|
26
(1,5)
|
4
(1,6)
|
9
(1,4)
|
7
(0,9)
|
12
(2,1)
|
16
(1,8)
|
130
(2,1)
|
Titolo di studio | |||||||||
Diploma regionale | 59
(8,2) |
155 (30,6) | 795 (44,9) | 52
(21,4) |
152 (24,2) | 283 (37,6) | 188
(33,6) |
265
(29,4) |
1949
(32,1) |
Diploma universitario | 36
(4,9) |
38
(7,5) |
128
(7,2) |
23
(9,5)
|
53
(8,5) |
70
(9,3) |
45
(8,1) |
84
(9,3) |
477
(7,8) |
Diploma laurea triennale infermieristica | 558
(77,4) |
262 (51,8) | 701 (39,6) | 118
(48,6)
|
371 (59,2) | 347 (46,1) | 266
(5,9) |
422
(46,8) |
3045
(50,1) |
Diploma laurea magistrale scienze infermieristiche | 33
(4,6) |
24
(4,7) |
77
(4,4) |
37
(15,2)
|
28
(4,5) |
32
(4,2) |
33
(5,9) |
87
(9,7) |
351
(5,8) |
Dottorato di ricerca in infermieristica
|
35
(4,9)
|
27
(5,3)
|
68
(3,8)
|
13
(5,3)
|
23
(3,7)
|
21
(2,8)
|
27
(4,8)
|
43
(4,8)
|
257
(4,2)
|
Master diprimo/secondo livello | |||||||||
Si | 236
(32,7)
|
117 (23,1)
|
398 (32,9)
|
96
(39,5)
|
174 (23,4)
|
163 (21,6)
|
147
(26,3)
|
350
(38,8)
|
1654
(27,2)
|
Area principale di lavoro | |||||||||
medica | 271
(37,6) |
120 (23,7) | 583 (32,9) | 63
(25,9) |
256 (40,8) | 286 (38,2) | 179
(32) |
197
(21,9) |
1975
(32,5) |
chirurgica | 83
(11,5) |
103 (20,4) | 59
(18,8) |
44
(18,1) |
125 (19,9) | 136 (18,2) | 95
(16,9) |
150
(16,6) |
1068
(17,6) |
emergenza/urgenza | 100
(13,9) |
33
(6,5) |
196 (11,1) | 41
(16,9) |
54
(8,6) |
57
(7,6) |
97
(17,4) |
209
(23,2) |
787
(13,0) |
terapia intensiva | 88
(12,2) |
46
(9,1) |
107
(6,0) |
19
(7,8) |
97
(15,5) |
53
(7,1) |
69
(12,3) |
92
(10,2) |
571
(9,4) |
pediatrica/materno infantile | 3
(0,4) |
20
(4,0) |
14
(0,8) |
4
(1,6) |
14
(2,2) |
11
(1,5) |
14
(2,5) |
0
(0,0) |
80
(1,3) |
territorio/comunità | 89
(12,3) |
3
(0,6) |
31
(1,8) |
9
(3,7) |
10
(1,6) |
49
(6,6) |
22
(3,9) |
63
(6,9) |
276
(4,5) |
salute mentale | 27
(3,7) |
127 (25,1) | 197 (11,1) | 2
(0,8) |
58
(9,3) |
49
(6,6) |
26
(4,7) |
52
(5,8) |
538
(8,9) |
ambulatorio/day-hospital | 20
(2,8) |
38
(7,5) |
210 (11,9) | 41
(16,9) |
5
(0,8) |
90
(12,0) |
45
(8,1) |
136
(15,1) |
585
(9,6) |
cure palliative | 23
(3,2) |
0
(0,0) |
8
(0,5) |
0
(0,0) |
8
(1,3) |
6
(0,8) |
6
(1,1) |
0
(0,0) |
5
(0,8) |
altro | 17
(2,4)
|
16
(3,2)
|
70
(3,9)
|
20
(8,2)
|
0
(0,0)
|
11
(1,5)
|
6
(1,1)
|
0
(0,0)
|
140
(2,3)
|
Tabella 2. Caratteristiche del personale | |||||
Nessuna
violenza subita |
Violenza subita nell’ultimo anno o ultima settimana | ||||
Media (SD) | Media (SD) | Differenza Media | t di student | ||
Età | 43,7 (10,67) | 42,0 (11,01) | 1,656 | 5,57 | p < ,001 |
Anni di esperienza | 16,8 (12,13) | 15,4 (11,90) | 1,365 | 4,23 | p < ,001
|
Nessuna
violenza subita |
Violenza subita nell’ultimo anno o ultima settimana | ||||
N (%) | N (%) | Chi-quadrato | |||
Titolo di studio | 15,2 | p 0,004 | |||
Diploma regionale | 1380 (33,6 %) | 569 (28,9 %) | |||
Diploma universitario | 326 (7,9 %) | 151 (7,7 %) | |||
Diploma laurea triennale infermieristica | 2010 (48,9 %) | 1035 (52,6 %) | |||
Diploma laurea magistrale scienze infermieristiche | 230 (5,6 %) | 121 (6,1 %) | |||
Dottorato di ricerca in infermieristica | 164 (4,0 %) | 93 (4,7 %) | |||
Master di primo/secondo livello | 9,21 | p 0,002 | |||
No | 3041 (74,0 %) | 1384 (70,3 %) | |||
Si | 1069 (26,0 %) | 585 (29,7 %) | |||
Area principale di lavoro | 298 | p <0,001 | |||
medica | 1392 (33,9 %) | 583 (29,6 %) | |||
chirurgica | 793 (19,3 %) | 275 (14,0 %) | |||
emergenza/urgenza | 378 (9,2 %) | 409 (20,8 %) | |||
terapia intensiva | 457 (11,1 %) | 114 (5,8 %) | |||
pediatrica/materno infantile | 57 (1,4 %) | 23 (1,2 %) | |||
territorio/comunità | 199 (4,9 %) | 77 (3,9 %) | |||
salute mentale | 268 (6,5 %) | 270 (13,7 %) | |||
ambulatorio/day-hospital | 413 (10,1 %) | 172 (8,7 %) | |||
cure palliative | 43 (1,0 %) | 8 (0,4 %) | |||
altro | 102 (2,5 %) | 38 (1,9 %) | |||
Area pediatrica | 298 (7,3 %) | 97 (4,9 %) | 11,8 | p <0,001 | |
Area adulti | 3812 (92,7 %) | 1872 (95,1 %) | |||
Violenza come parte inevitabile lavoro | 159 | p <0,001 | |||
No | 2350 (57,2 %) | 786 (39,9 %) | |||
Si | 1760 (42,8 %) | 1183 (60,1 %) | |||
Frequenza degli episodi | 54,0 | p <0,001 | |||
in aumento | 2618 (63,7 %) | 1440 (73,1 %) | |||
in diminuzione | 211 (5,1 %) | 67 (3,4 %) | |||
stabile | 1281 (31,2 %) | 462 (23,5 %) | |||
Tabella 3. Caratteristiche e comportamenti degli assistiti | ||||
Nessuna
violenza subita |
Violenza subita nell’ultimo anno o ultima settimana | Chi-quadrato | ||
Esistenza di categorie dell’assistito con maggiore probabilità violenza | 64,2 | p <0,001 | ||
No | 2030 (49,4 %) | 757 (38,4 %) | ||
Si | 2080 (50,6 %) | 1212 (61,6 %) | ||
Caratteristiche dell’assistito | ||||
Uso di sostanze illecite | 17,6 | p <0,001 | ||
No | 1588 (38,6 %) | 872 (44,3 %) | ||
Si | 2522 (61,4 %) | 1097 (55,7 %) | ||
Etilismo | 15,1 | p <0,001 | ||
No | 1780 (43,3 %) | 957 (48,6 %) | ||
Si | 2330 (56,7 %) | 1012 (51,4 %) | ||
Problemi di salute mentale | 22,5 | p <0,001 | ||
No | 1459 (35,5 %) | 823 (41,8 %) | ||
Si | 2651 (64,5 %) | 1146 (58,2 %) | ||
Dolore acuto | 14,7 | p <0,001 | ||
No | 3097 (75,4 %) | 1571 (79,8 %) | ||
Si | 1013 (24,6 %) | 398 (20,2 %) | ||
Deficit cognitivo | 13,5 | p <0,001 | ||
No | 3058 (74,4 %) | 1550 (78,7 %) | ||
Si | 1052 (25,6 %) | 419 (21,3 %) | ||
Demenza | 5,10 | p 0,024 | ||
No | 2443 (59,4 %) | 1230 (62,5 %) | ||
Si | 1667 (40,6 %) | 739 (37,5 %) | ||
Aspettative non realistiche | 10,0 | p 0,002 | ||
No | 1726 (42,0 %) | 743 (37,7 %) | ||
Si | 2384 (58,0 %) | 1226 (62,3 %) | ||
Aspetti culturali | 3,67 | p 0,055 | ||
No | 2143 (52,1 %) | 975 (49,5 %) | ||
Si | 1967 (47,9 %) | 994 (50,5 %) | ||
Comportamenti dell’assistito | ||||
Agitato | 36,1 | p <0,001 | ||
No | 1263 (30,7 %) | 459 (23,3 %) | ||
Si | 2847 (69,3 %) | 1510 (76,7 %) | ||
Guardare fissamente | 9,97 | p 0,002 | ||
No | 2832 (68,9 %) | 1277 (64,9 %) | ||
Si | 1278 (31,1 %) | 692 (35,1 %) | ||
Tono della voce | 9,07 | p 0,003 | ||
No | 1137 (27,7 %) | 473 (24,0 %) | ||
Si | 2973 (72,3 %) | 1496 (76,0 %) | ||
Postura | 8,84 | p 0,003 | ||
No | 2424 (59,0 %) | 1082 (55,0 %) | ||
Si | 1686 (41,0 %) | 887 (45,0 %) | ||
Minaccioso | 4,22 | p 0,040 | ||
No | 1384 (33,7 %) | 611 (31,0 %) | ||
Si | 2726 (66,3 %) | 1358 (69,0 %) | ||
Camminare avanti e indietro | 21,8 | p <0,001 | ||
No | 2937 (71,5 %) | 1291 (65,6 %) | ||
Si | 1173 (28,5 %) | 678 (34,4 %) |
Tabella 4. Caratteristiche organizzative e professionali | ||||
Nessuna
violenza subita |
Violenza subita nell’ultimo anno o ultima settimana | Chi-quadrato | ||
Caratteristiche del personale | ||||
Carico di lavoro | 17,7 | p <0,001 | ||
No | 1682 (40,9 %) | 695 (35,3 %) | ||
Si | 2428 (59,1 %) | 1274 (64,7 %) | ||
Staffing | 6,92 | p 0,009 | ||
No | 1968 (47,9 %) | 872 (44,3 %) | ||
Si | 2142 (52,1 %) | 1097 (55,7 %) | ||
Assenza di competenze per la gestione della violenza | 22,7 | p <0,001 | ||
No | 2613 (63,6 %) | 1374 (69,8 %) | ||
Si | 1497(36,4 %) | 595 (30,2 %) | ||
Atteggiamento e tipo di assistenza | 36,0 | p <0,001 | ||
No | 2677 (65,1 %) | 1434 (72,8 %) | ||
Si | 1433 (34,9 %) | 535 (27,2 %) | ||
Comunicazione inadeguata con i pazienti | 58,3 | p <0,001 | ||
No | 1679 (40,9 %) | 1009 (51,2 %) | ||
Si | 2431 (59,1 %) | 960 (48,8 %) | ||
Comunicazione professionale inadeguata | 18,2 | p <0,001 | ||
No | 2979 (72,5 %) | 1528 (77,6 %) | ||
Si | 1131 (27,5 %) | 441 (22,4 %) |
Tabella 5. Misure di prevenzione presenti e formazione | ||||
Nessuna
violenza subita |
Violenza subita nell’ultimo anno o ultima settimana | Chi-quadrato | ||
Misure di prevenzione presenti sul luogo di lavoro | ||||
Formazione specifica | 7,66 | p 0,006 | ||
No | 1500 (36,5 %) | 791 (40,2 %) | ||
Si | 2610 (63,5 %) | 1178 (59,8 %) | ||
Segnaletica | 27,6 | p <0,001 | ||
No | 3362 (81,8 %) | 1497 (76,0 %) | ||
Si | 748 (18,2 %) | 472 (24,0 %) | ||
Fissare oggetti mobili | 7,22 | p 0,007 | ||
No | 3352 (81,6 %) | 1661 (84,4 %) | ||
Si | 758 (18,4 %) | 308 (15,6 %) | ||
Vetri di sicurezza al triage/accoglienza | 24,5 | p <0,001 | ||
No | 2451(59,6 %) | 1304 (66,2 %) | ||
Si | 1659 (40,4 %) | 665 (33,8 %) | ||
Zone ad accesso limitato | 12,8 | p <0,001 | ||
No | 2183 (53,1 %) | 1142 (58,0 %) | ||
Si | 1927 (46,9 %) | 827 (42,0 %) | ||
Aumento misure di sicurezza nei momenti di bassa affluenza | 4,75 | p 0,029 | ||
No | 3247 (79,0 %) | 1507 (76,5 %) | ||
Si | 863 (21,0 %) | 462 (23,5 %) | ||
Personale di sicurezza | 9,33 | p 0,002 | ||
No | 1698 (41,3 %) | 895 (45,5 %) | ||
Si | 2412 (58,7 %) | 1074 (54,5 %) | ||
Misure di restrizione | 11,6 | p <0,001 | ||
No | 3617 (88,0 %) | 1671 (84,9 %) | ||
Si | 493 (12,0 %) | 298 (15,1 %) | ||
Piani di gestione dei pz violenti | 9,07 | p 0,003 | ||
No | 2655 (64,6 %) | 1349 (68,5 %) | ||
Si | 1455 (35,4 %) | 620 (31,5 %) | ||
Procedure chiare per la gestione degli eventi di violenza | 18,0 | p <0,001 | ||
No | 2281 (55,5 %) | 1206 (61,2 %) | ||
Si | 1829 (44,5 %) | 763 (38,8 %) | ||
Formazione finalizzata alla riduzione delle aggressioni completata | 14,1 | p <0,001 | ||
No | 434 (46,5 %) | 173 (36,0 %) | ||
Si | 500 (53,5 %) | 307 (64,0 %) | ||
Procedure della tua organizzazione efficaci per la prevenzione della violenza | 158 | p <0,001 | ||
No | 986 (24,0 %) | 760 (38,6 %) | ||
Si | 814 (19,8 %) | 235 (11,9 %) | ||
In parte | 2310 (56,2 %) | 974 (49,5 %) |
Tabella 6. Practice Environment Scale of the Nursing Work Index e ore di assistenza settimanali | |||||
Variabile | Nessuna
violenza subita |
Violenza subita nell’ultimo anno o ultima settimana | Test di significatività
|
||
Media (SD) | Media (SD) | Differenza Media | t di student | ||
Ore di assistenza alla settimana
|
34,3 (5,42)
|
34,8 (5,04) | -0,484 | -3,06 | p 0,002 |
Numero di pazienti assistiti nell’ultimo turno
|
10,4 (8,38) | 13,7 (9,45) | -3,259 | -13,50 | p < ,001 |
PES 1
Appropriatezza dello staffing e delle risorse
|
2,6 (0,72) | 2,4 (0,74) | 0,208 | 10,36 | p < ,001 |
PES 2
Capacità di leadership e supporto infermieristico del coordinatore infermieristico
|
3,0 (0,70) | 2,9 (0,74) | 0,116 | 5,92 | p < ,001 |
PES 3
Presupposti per la qualità dell’assistenza infermieristica
|
2,8 (0,64) | 2,6 (0,62) | 0,160 | 9,25 | p < ,001 |
PES 4
Rapporto medico-infermiere
|
2,8 (0,70) | 2,7 (0,73) | 0,111 | 5,67 | p < ,001 |
PES 5
Coinvolgimento degli infermieri nell’organizzazione aziendale
|
2,6 (0,67) | 2,4 (0,68) | 0,200 | 10,82 | p < ,001 |
PES Composito | 2,8 (0,58) | 2,6 (0,58) | 0,159 | 9,93 | p < ,001 |
Caratteristiche degli assistiti
Per quanto riguarda le caratteristiche degli assistiti, dal confronto tra gli infermieri che non hanno subito violenza e coloro che l’hanno subita sono risultate differenze statisticamente significative per alcune di queste (tabella 3). Rispetto all’esistenza di categorie di assistiti che attuano con maggiore probabilità comportamenti violenti la differenza significativa (χ² 64,2; p < 0,001) era nel ritenerla esistente tra i rispondenti che avevano subito violenza (+11,0%). Differenza significativa è stata riscontrata nel non ritenere favorenti dai rispondenti che avevano subito violenza l’uso di sostanze illecite da parte degli assistiti (+5,7%; χ² 17,6; p < 0,001), l’etilismo (+5,3%; χ² 15,1; p < 0,001), i problemi di salute mentale (+ 6,3%; χ² 22,5; p < 0,001), il dolore acuto (+4,4%; χ² 14,7; p < 0,001), il deficit cognitivo (+4,3%; χ² 13,5; p < 0,001) e la demenza (+3,1%; χ² 5,10; p = 0,024). E’ stata riscontrata differenza significativa nel ritenere favorenti dai rispondenti che avevano subito violenza: le aspettative non realistiche da parte degli assistiti (+4,3%; χ² 10,0; p = 0,002) e gli aspetti culturali (+2,6%; χ² 3,67; p = 0,055). Rispetto ai comportamenti tenuti dagli assistiti sono state riscontrate differenze significative nel ritenerli favorenti dai rispondenti che avevano subito violenza: agitazione (+7,3%; χ² 36,1; p < 0,001), guardare fissamente (+4,0%; χ² 9,97; p = 0,002), tono della voce (+3,7%; χ² 9,07; p = 0,003), postura (+4,0%; χ² 8,84; p = 0,003), atteggiamento minaccioso (+2,7%; χ² 4,22; p = 0,040) e camminare avanti e indietro (+5,9%; χ² 21,8; p < 0,001).
Caratteristiche organizzative e professionali
Rispetto alle caratteristiche organizzative e professionali, dal confronto tra gli infermieri che non hanno subito violenza e coloro che l’hanno subita sono risultate differenze statisticamente significative per alcune di queste (tabella 4). Differenza significativa è stata riscontrata nel non ritenere favorenti dai rispondenti che avevano subito violenza le seguenti caratteristiche: assenza di competenze per la gestione della violenza (+6,2%; χ² 22,7; p < 0,001), atteggiamento del professionista e il tipo di assistenza erogata (+7,7%; χ² 36,0; p < 0,001), comunicazione inadeguata con i pazienti (+10,3%; χ² 58,3; p < 0,001) e comunicazione inadeguata tra professionisti (+5,1%; χ² 18,2; p < 0,001). Differenza significativa è stata riscontrata nel ritenere favorenti dai rispondenti che avevano subito violenza le seguenti caratteristiche: carico di lavoro (+5,6%; χ² 17,7; p < 0,001) e staffing (+3,6%; χ² 6,92; p = 0,009).
Misure di prevenzione e formazione specifica
Per quanto riguarda le misure di prevenzione e la formazione specifica presenti sul luogo di lavoro, dal confronto tra gli infermieri che non hanno subito violenza e coloro che l’hanno subita sono risultate differenze statisticamente significative per alcune di queste (tabella 5). Differenza significativa è stata riscontrata nell’assenza, dichiarata dai rispondenti che avevano subito violenza rispetto alle seguenti misure: formazione specifica (+3,7%; χ² 7,66; p = 0,006), fissaggio di oggetti mobili utilizzabili come arma (+2,8%; χ² 7,22; p = 0,007), vetri di sicurezza agli sportelli di accettazione/triage (+6,6%; χ² 24,5; p < 0,001), zone ad accesso limitato (+4,9%; χ² 12,8; p < 0,001), personale di sicurezza (+4,2%; χ² 9,33; p = 0,002), l’utilizzo di piani per la gestione dei pazienti violenti (+3,9%; χ² 9,07; p = 0,003), procedure chiare per la gestione degli eventi di violenza (+5,7%; χ² 18,0; p < 0,001). Differenza significativa è stata riscontrata nella presenza dichiarata dai rispondenti che avevano subito violenza rispetto alle seguenti misure: segnaletica (es. poster di campagne anti violenza) (+5,8%; χ² 27,6; p < 0,001), aumento delle misure di sicurezza in orari di bassa affluenza (+2,5%; χ² 4,75; p = 0,029) e disponibilità di misure di restrizione (3,1%; χ² 11,6; p < 0,001). Rispetto alla formazione finalizzata alla prevenzione delle aggressioni, differenza significativa è stata riscontrata nel completamento di questa tra i rispondenti che avevano subito violenza (+10,5; χ² 14,1; p < 0,001). Per quanto riguarda le procedure della propria organizzazione, differenza significativa maggiore è stata riscontrata nel ritenerle non efficaci tra i rispondenti che avevano subito violenza (+14,6%; χ² 158; p < 0,001).
Caratteristiche dell’ambiente di lavoro
Rispetto alle caratteristiche dell’ambiente di lavoro (tabella 6) sono risultate statisticamente significative le differenze tra i partecipanti che non hanno subito violenza e coloro che l’hanno subita per le seguenti variabili: ore medie di assistenza settimanali (t=-3,06; p = 0,002) risultate maggiori tra gli infermieri che hanno subito violenza (MD +0,48) e numero medio di pazienti assistiti nell’ultimo turno (t=-13,50; p < 0,001) risultato maggiore tra gli infermieri che hanno subito violenza (MD +3,25). Per quanto riguarda il PES-NWI sono risultati maggiori, con una differenza statisticamente significativa, i punteggi medi tra gli infermieri che non hanno subito violenza nelle seguenti sottoscale: appropriatezza dello staffing e delle risorse (t=10,36; p < 0,001), capacità di leadership e supporto infermieristico del coordinatore infermieristico (t=5,92; p < 0,001), presupposti per la qualità dell’assistenza infermieristica (t=9,25; p < 0,001), rapporto medico-infermiere (t=5,67; p < 0,001), coinvolgimento degli infermieri nell’organizzazione aziendale (t=10,82; p < 0,001), punteggio composito (t=9,93; p < 0,001).
DISCUSSIONE
Il campione che ha preso parte allo studio rappresenta gli infermieri del nord, del centro e del sud Italia ed è il primo in questo ambito a comprendere un numero così ampio di partecipanti. Il tasso di risposta del 28,8% è in linea con altri studi (Hesketh et al., 2003, Yang et al., 2018) che considerano tutte le aree di lavoro degli infermieri. Questo ci ha permesso di superare ampiamente la dimensione stimata del campione includendo nello studio l’1,3% della popolazione infermieristica italiana.
Le caratteristiche demografiche degli infermieri che hanno partecipato allo studio sono rappresentative della popolazione reale degli infermieri italiani descritti dal “profilo della Sanità 2019” dell’Italia pubblicato da OCSE e Commissione Europea (OECD et al., 2019). Il tasso di violenza subita dagli infermieri italiani pari al 32,4% è inferiore rispetto a studi condotti in Turchia 55% (Aksakal et al., 2015), Libano 54% (Alameddine et al., 2015), Brasile 52% (Ceballos et al., 2020), Hong Kong 44% (Cheung and Yip, 2017), Stati Uniti 38,8% (Bureau of Labor Statistic, 2017) e superiore alla media europea pari al 22% (Estryn-Behar et al., 2008) e a quella canadese 28,8% (Canadian Federation of Nurses Uninion, 2017). Sebbene gli autori non avessero pianificato la conduzione dello studio in epoca COVID-19, la raccolta dati si è realizzata durante la pandemia e i rispondenti nel fare riferimento ai 12 mesi precedenti hanno permesso di esplorare il fenomeno delle aggressioni avvenute durante la pandemia. Precedenti studi che hanno analizzato il fenomeno della violenza nei diversi contesti lavorativi degli infermieri condotti in Italia riportavano tassi più elevati compresi tra 43% (Magnavita and Heponiemi, 2011) e 45% (Ferri et al., 2016). Il numero inferiore di centri e di infermieri partecipanti di questi studi potrebbe aver sovrastimato il fenomeno.
Allo stesso tempo il numero ridotto di visitatori nei contesti sanitari, determinato dalle misure di contenimento della pandemia, potrebbe aver influito sulla riduzione del fenomeno delle aggressioni verso gli infermieri. Studi condotti in epoca COVID-19 mostrano tassi di violenza verso gli infermieri superiori negli Stati Uniti (44%) (Byon et al., 2021) e in Turchia (58%) (Ozkan Sat et al., 2021), inferiori in Spagna (17%) (Aspera-Campos et al., 2020) e in Cina (18%) (Yang et al., 2021). Queste differenze potrebbero essere giustificate dalle diverse politiche di contenimento della pandemia adottate dai diversi paesi che hanno prodotto effetti diversi sugli accessi alle strutture sanitarie. L’età media e la media di anni di esperienza inferiori nel gruppo degli infermieri che hanno subito violenza è in linea con i risultati ottenuti in studi precedenti dove l’età compresa tra 30 e 39 anni (Celik et al., 2007, Ramacciati et al., 2019) e l’esperienza lavorativa limitata (Al-Omari, 2015, Tomagová et al., 2020) sono identificate come maggiormente a rischio per eventi di violenza. Il possesso di titolo di laurea in infermieristica, così come il titolo di master di primo livello, prevalente tra gli infermieri che hanno subito violenza e un maggior possesso del titolo di diploma di scuola regionale tra gli infermieri che non l’hanno subita conferma i risultati di studi condotti in altri paesi (Celik et al., 2007, Cheung and Yip, 2017). Infatti, il possesso di titoli di studio più elevati è frequentemente associato ad un rischio maggiore di subire eventi di violenza. Le aree di lavoro dell’emergenza/urgenza e della salute mentale che hanno presentato una differenza maggiore tra gli infermieri che hanno subito violenza confermano i risultati ottenuti nello studio di Ferri del 2016 dove la violenza fisica è stata rilevata maggiormente negli ambienti di psichiatria mentre quella di tipo verbale nelle aree dell’emergenza e geriatriche (Ferri et al., 2016). Sebbene l’assistenza rivolta a pazienti adulti risulti prevalente tra gli infermieri che hanno subito violenza, precedenti studi italiani non hanno valutato questa differenza. Percepire la frequenza degli episodi di violenza in aumento e riconoscerli come parte inevitabile del lavoro fanno comprendere l’effettiva percezione negativa degli infermieri che hanno subito questi eventi. Fattori di rischio identificati dalla letteratura come fattori predittivi di violenza quali: uso di sostanze illecite, etilismo, problemi di salute mentale, dolore acuto, deficit cognitivo e demenza, nel nostro studio sono state maggiormente indicate come possibili fattori predittivi dagli infermieri che non avevano subito violenza. Tale differenza potrebbe essere giustificata dalle aree specifiche presso le quali sono stati condotti tali studi, prevalentemente in ambito di emergenza/urgenza (Avander et al., 2016, Hamdan and Abu Hamra, 2015) e di salute mentale (Baby et al., 2014). Le aspettative non realistiche degli utenti e le differenze culturali per le quali sono state rilevate differenze statisticamente significative tra i due gruppi, sono state documentate come fattori di rischio anche in studi precedenti condotti in altri paesi (Hamdan and Abu Hamra, 2015, Ogundipe et al., 2013). I comportamenti degli assistiti che hanno presentato differenze significative e identificati come favorenti gli episodi di violenza, come postura e tono di voce, rappresentano un insieme di segnali che debbono essere considerati dagli infermieri e che possono anticipare l’evento violento come rilevato nello studio condotto in emergenza/urgenza da Gillespie nel 2013 (Gillespie et al., 2013a). Al contrario di quanto riportato negli studi di Yang e AbuAlRub (AbuAlRub and Al Khawaldeh, 2014, Yang et al., 2018) gli aspetti professionali quali assenza di competenze per la gestione della violenza, atteggiamento del professionista e tipo di assistenza erogata, competenze comunicative non sono state ritenute favorenti gli eventi di violenza con differenze statisticamente significative tra i due gruppi di infermieri. Il carico di lavoro e lo staffing assumono un significato importante secondo gli infermieri che hanno subito violenza che li ritengono causa di violenza. Numerosi studi condotti in diversi paesi e nei vari contesti lavorativi hanno rilevato in maniera analoga questo collegamento tra il fenomeno della violenza e l’elevato carico di lavoro e uno staffing inadeguato (Brophy et al., 2018, Gillespie et al., 2013a, Stowell et al., 2016). I nostri risultati hanno evidenziato differenze per quanto riguarda le misure di prevenzione e la formazione specifica presenti sul luogo di lavoro tra gli infermieri che non hanno subito violenza e coloro che l’hanno subita. In particolare, le misure di prevenzione quali presenza di personale di sicurezza, vetri di protezione agli sportelli di accettazione, procedure chiare per la gestione delle aggressioni sono risultate assenti in misura più frequente per gli infermieri che hanno subito violenza. Alcuni di questi interventi di prevenzione sono stati oggetto di valutazione anche in altri studi. Nel 2018 Chang, studiando l’effetto moderatore di un clima di prevenzione della violenza sulla relazione tra aggressioni subite e intenzione di cambiare unità operativa degli infermieri, individua nelle politiche aziendali e nel sistema di segnalazione una delle strategie efficaci per il controllo e la prevenzione della violenza in ambito ospedaliero (Chang et al., 2018). Dal confronto tra i due gruppi è emerso che gli infermieri che hanno subito violenza hanno completato programmi formativi in misura maggiore rispetto a coloro che non l’hanno subita.
Questo risultato appare controverso in letteratura. Infatti, sebbene in numerosi studi la formazione finalizzata alla prevenzione delle aggressioni sia stata considerata uno degli interventi preventivi più frequenti, la revisione sistematica di Geoffrion (Geoffrion et al., 2020), ha evidenziato che potrebbe non avere un effetto diretto sulla violenza sul posto di lavoro. Tali interventi, infatti, sono risultati in grado di aumentare le conoscenze e la consapevolezza del personale ed incentivare atteggiamenti positivi alla base di un piano strategico di prevenzione. Strategie di gestione dei tempi di attesa, anche attraverso sistemi informatici, informazione e assistenza agli utenti e programmi di educazione del personale sanitario, sono interventi che, se attuati in maniera integrata, sono in grado di ridurre il fenomeno dell’aggressione (Gillespie et al., 2014, Touzet et al., 2019). Nel nostro studio, gli infermieri che hanno subito violenza hanno sperimentano maggiori carichi di lavoro e maggiori orari di lavoro settimanali. L’insieme delle caratteristiche organizzative del contesto lavorativo, atte a facilitare o ostacolare l’assistenza infermieristica, sono state valutate con livelli migliori da parte degli infermieri che non hanno subito violenza. Aspetti simili sono stati studiati da un recente studio canadese (Havaei and MacPhee, 2020) che ha mostrato come il carico di lavoro era direttamente correlato alla violenza sul posto di lavoro. Inoltre, l’aumento delle segnalazioni da parte degli infermieri di standard compromessi e di interruzioni durante le attività infermieristiche erano correlati a un aumento delle segnalazioni di violenza fisica ed emotiva.
CONCLUSIONI
Il presente studio ha reso noto l’elevato tasso di violenza subita dagli infermieri italiani portando alla luce le vaste dimensioni che questo fenomeno assume in ogni contesto assistenziale. È emerso come le caratteristiche dei professionisti, degli assistiti, dell’ambiente di lavoro e di tipo organizzativo-professionali siano tutte coinvolte dal fenomeno della violenza sul posto di lavoro determinandone una natura multifattoriale. Solo attraverso programmi integrati e multimodali di prevenzione e gestione della violenza sul lavoro è possibile contrastarla. L’impegno delle amministrazioni deve realizzarsi attraverso politiche che rifiutino la violenza nell’ambito dell’attività professionale e destinando risorse alla prevenzione e gestione di questo fenomeno. Lo sviluppo e la promozione di iniziative chiave nel campo della salute e sicurezza per gli infermieri, la definizione di obiettivi e responsabilità in relazione alla violenza sul lavoro e il monitoraggio e la rendicontazione dei risultati delle politiche per la prevenzione e la gestione di attacchi e incidenti di violenza dovrebbero essere posti nell’agenda di ogni amministrazione sanitaria. È importante che gli infermieri e tutti gli operatori sanitari possano sentirsi protetti e tutelati dalle loro amministrazioni in caso di abusi verbali o fisici al fine di fornire cure di alta qualità nella massima sicurezza per i pazienti e per sé stessi.
Working Group CEASE-IT
Marino Anfosso, ASL 1 Imperiese, Imperia;
Maria Caputo, Policlinico Bari, Bari;
Bruno Cavaliere, Policlinico San Martino, Genova;
Isabella Cevasco, EO Ospedali Galliera, Genova;
Carmelo Gagliano, ASL 3 Genovese, Genova;
Lorella Gambarini, Azienda Ospedaliera Nazionale SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo, Alessandria;
Francesco Germini, ASL Bari, Bari;
Silvana Giroldi, ASL 4 Chiavarese, Chiavari (GE);
Monica Guberti, AUSL/IRCCS, Reggio Emilia;
Simona Milani, ASL Biella, Biella;
Giovanni Muttillo, ASL Teramo, Teramo;
Franco Piu, ASL 5 Spezzina, La Spezia;
Barbara Porcelli, ASL2 Roma, Roma;
Silvia Rossini, Spedali Civili, Brescia;
Alessandro Sili, Policlinico Tor Vergata, Roma;
Cristina Torgano, Azienda Ospedaliera Universitaria Maggiore della Carità, Novara;
Laura Zoppini, ASST AGOM Niguarda, Milano.
Ringraziamenti
Ringraziamo la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) per il co-finanziamento che ha permesso la realizzazione dello studio CEASE-IT.
Un ringraziamento a tutte le infermiere e gli infermieri, le coordinatrici e i coordinatori infermieristici, i dirigenti e i responsabili dei centri coinvolti nello studio.
Un ringraziamento a:
Ilaria Benvenuti, ASL 4 Chiavarese, Chiavari (GE)
Nicola Bertolotto, ASL 3 Genovese, Genova;
Silvia Cilluffo, ASST AGOM Niguarda, Milano;
Antonella Croso, ASL Biella;
Silvio Falco, ASL 1 Imperiese, Imperia;
Antonella Molon, Azienda Ospedaliera Universitaria Maggiore della Carità, Novara;
Paolo Musatti, Spedali Civili, Brescia;
Cinzia Maria Papappicco, Università di Bari;
Monica Seroni, ASL 5 Spezzina, La Spezia
Valentina Simonetti, Università di Bari;
Davide Ulivieri, Policlinico San Martino, Genova;
Conflitto di interessi
Gli autori di questo manoscritto non hanno conflitti di interessi come definito dalla politica editoriale di “L’Infermiere”. Inoltre, non hanno altri interessi che possano aver influenzato i risultati e la discussione di questo articolo.
Finanziamenti
Lo studio è cofinanziato dal Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Genova, da Alpha Alpha Beta Chapter Sigma International e da FNOPI.