Instaurare una relazione d’aiuto efficace ai tempi del Covid-19: l’infermiere e il paziente come Atena e Odisseo


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DESCRIZIONE DEL FENOMENO
In questo strano tempo, in un contesto caratterizzato da ondate, picchi, zone, dove il paziente con la polmonite da Covid-19 superata la porta del nosocomio si trova ad essere catapultato in un viaggio paragonabile agli avventurosi e travagliati viaggi di Ulisse, pieni di nostalgia e di speranza, di smarrimento e di fiducia, diventa essenziale la figura dell’infermiere, come essenziale era la figura di Atena, dea greca della sapienza, delle arti e della guerra che vegliava instancabile sul cammino tormentato e periglioso del coraggioso guerriero greco.
“Lo osservo nascosta dietro un cespuglio odoroso. Odisseo è sugli scogli, fissa il mare come se la vedesse, là in fondo, la sua isola tanto sospirata e non la potesse toccare. Itaca, la chiama di notte, nel sonno, come se fosse la più bella delle terre e non uno schizzo di rocce e campi. Itaca dai saliscendi, dalle baie improvvise, dai vigneti sghembi e dai monti irregolari, Itaca dove quest’uomo ha lasciato il suo scettro che qualcuno vuole sottrargli” (Oliva, 2020).
Non poter vedere la propria Itaca, non poter affrontare la malattia con l’abbraccio dei propri cari, acuisce le sofferenze fisiche del paziente e rende più difficoltoso il tragitto; il compito dell’infermiere si fa dunque più arduo e la necessità di instaurare una relazione di aiuto e di acquisire competenze emotive più urgente.
“Cosa fa la mia Penelope? Si domanda ogni giorno il re senza regno, mentre io gli leggo la mente” (Oliva, 2020).
Il paziente si sente disorientato: oltre le barriere fatte di occhiali, visiere, mascherine, tute protettive, riesce a scorgere soltanto gli occhi dei professionisti; ma il professionista è tale perché partendo dal riconoscere le proprie istanze interiori, vive il suo ruolo in termini relazionali, esce da schemi prefissati e adatta il proprio intervento alla persona che ha di fronte scoprendo in esso tutti i suoi bisogni ma anche tutte le sue potenzialità.
“Eppure, in cuor mio ricevo la conferma di ciò che già sapevo: questo naufrago che il bosco mi ha consegnato senza vesti e sfinito dal mare, questo reietto raccattato dalla foce del fiume è un uomo speciale” (Oliva,2020).

REVISIONE DELLA LETTERATURA
Occorre partire dalla consapevolezza che in ogni condizione di salute, anche nello stadio terminale, in ogni circostanza, ogni uomo, indipendentemente dalla sua età, deve avere la possibilità di continuare a gettarsi completamente e pienamente nella corrente di fiducia, di libertà, di speranza che è la vita.
Carl Rogers sosteneva che in una relazione d’aiuto esiste un rapporto in cui almeno una delle due parti spinge al progresso e al raggiungimento dell’obiettivo, ma nonostante la differenza di potere e ruolo, è indispensabile che il paziente prenda in considerazione il fatto di essere anch’egli partecipe attivamente alla propria metamorfosi in quanto possiede in sé tutte le capacità per realizzarla.
Già Aristotele pensava che in ogni forma di vita si celasse una forza vitale intelligente che egli definiva entelechia o autocompiutezza. In particolare egli riteneva che il seme o l’uovo contengono già in sé tutto il potenziale che li trasformerà in un organismo di complessità infinitamente superiore: un albero, un essere umano senziente e saggio. Anche Jung faceva riferimento a questo processo di trasformazione definendolo processo di individuazione che spinge l’essere umano verso una maturità e una coscienza sempre maggiori. (Colmegna, Guida et al. 2010).
Purtroppo la rapidità di diffusione del Covid-19, il numero di morti correlati alla patologia e l’allarme amplificato dai media e dai social, hanno accresciuto la percezione del rischio, producendo un’accentuazione della paura, che pervade l’animo del paziente rendendolo ancor più angosciato e sconfortato (Sorrentino, 2020).
Ecco allora che rassicurare, trasmettere positività in una comunicazione efficace diventa particolarmente urgente; e ciò diventa possibile, in questo contesto, per lo più attraverso lo sguardo; uno sguardo legato più al guardare che al vedere, in quanto richiede intenzionalità, considerazione, condivisione.
Dalla disumanizzazione dello sguardo e dall’indifferenza gestuale a un’assistenza sanitaria di poca qualità in cui la dignità della persona sembra scomparire, il passo è breve. Attraverso uno sguardo sorridente è invece possibile manifestare una sincera attenzione ed un reale interesse verso i bisogni del paziente che si sente così valorizzato e quindi più predisposto a diventare partecipante attivo della metamorfosi.
Come sostiene Fenizia (2020) sembra che lo sguardo diretto possa permettere di incrementare la sincronizzazione neuronale e la capacità empatica e consentire di ridurre i livelli di stress; però egli ritiene pure che ci sia poca consapevolezza delle potenzialità dell’impatto neurofisiologico dello scambio di sguardi.
Così si esprime una collega infermiera che lavora in Canton Ticino in merito alla comunicazione che si realizza ai tempi del Covid attraverso lo sguardo “Penso che fino ad oggi non avevo mai compreso realmente quanto gli occhi delle persone possono parlare” (Bianchi, Prandi, 2020).
Dichiara una collega italiana: “Abbiamo dovuto cambiare il nostro modo di fare e iniziare ad imparare sul campo, con gli errori e con le conseguenze che ne sono implicate” (Arcadi, Simonetti et al. 2021).
Un’altra infermiera proferisce: “Quante emozioni trasmesse grazie a dei semplici sguardi” (Bianchi, Prandi, 2020).
Jean Watson, teorica infermiera americana, conosciuta per la sua teoria della cura umana specifica che per essere infermiere non è sufficiente saper realizzare delle tecniche ma occorre realizzarle attraverso una buona relazione di cura che manifesti interesse, che permetta al paziente di percepire il rispetto per la propria persona. E la Stein, allieva di Husserl, considera lo sguardo come veicolo che permette di entrare in empatia con l’altro e sentire ciò che lui sente (Fenizia, 2020).
Non possiamo affidarci a una pozione magica risolutiva, né tantomeno a una delle trasformazioni della mitica Atena, ma per mezzo dello sguardo, abbiamo la possibilità di instaurare un’autentica relazione d’aiuto attraverso la quale l’infermiere potrà identificare, oltre ai bisogni prioritari fisici e di sicurezza, il bisogno di appartenenza, di affetto, di rispetto reciproco, di assenza di pregiudizi, e ad essi rispondere.
Tra le richieste del paziente troviamo spesso il desiderio di comunicare con i propri familiari che spesso si scontra con l’impossibilità di ricevere il loro abbraccio in un angosciato isolamento. In questo caso risulta opportuno che il paziente, se in condizioni di farlo, possa stabilire un contatto vocale e, meglio ancora, visivo, con i familiari che a loro volta vorrebbero poter offrire il loro supporto.
Permettere di vedere e comunicare con i propri cari in orari prefissati e seguendo delle check list per effettuare videochiamate o colloqui telefonici ben condotti, potrebbe rappresentare una buona possibilità per abbattere le barriere dell’isolamento.
Inoltre le telefonate diventano uno strumento per aiutare anche coloro che non possono assistere personalmente la persona amata, soffrendo per un senso di colpa legato alla sensazione di abbandonarla (Siaarti Aniarti Sicp Simeu, 2020).
Nelle drammatiche condizioni di emergenza generate dalla pandemia da SARS – Cov-2 si comprende dunque che la comunicazione rappresenta un’area di esperienza complessiva che richiede lo stesso alto livello di conoscenze e competenze di tutte le altre aree della pratica clinica.
In questo tempo di pandemia diventa allora valido più che mai l’articolo 4 del nostro codice deontologico che afferma che il tempo di relazione è tempo di cura; la relazione tra infermiere e paziente che passa attraverso una comunicazione efficace diventa così possibilità di cura, e di salvezza in un viaggio che i due protagonisti di tale relazione intraprendono insieme.
“Salpiamo. Io resto seduta in poppa con le sembianze dell’anziano Mentore, socchiudo le labbra e chiedo a Zefiro di soffiare impetuoso: subito si gonfiano le vele” (Oliva, 2020).

RACOMANDAZIONI
Per riuscire a essere autentici ed efficaci nella relazione di aiuto, e quindi mostrare con responsabilità la propria attenzione verso l’altro, occorre intraprendere un cammino lungo e difficile, le cui tappe passano attraverso la crescita personale.
Colmegna, Guida et. al. (2010) sostengono che solo dalla profonda conoscenza della prima e più intima relazione Io-Me medesimo possiamo guardare alla relazione Io-Tu con autenticità, attenzione, sensibilità e rispetto.
Nell’attuale situazione di carico lavorativo, caratterizzato da ostacoli e impegno emotivo occorre però prestare particolare attenzione poiché si può transitare dalla condizione di empatia a quella di fusione emotiva di contagio emozionale, rischiando di provare lo stesso dolore (Trenta, 2020).
Come primo passo occorre imparare a riconoscere e gestire le proprie istanze interiori, siano esse sensazioni, bisogni o emozioni.
Nell’eventualità di eventi dolorosi del passato che continuano a evocare emozioni difficili e reazioni coatte, si potrà prenderne coscienza e lavorare sui conflitti nelle relazioni affettive e in quelle professionali attraverso un percorso di counselling o di psicoterapia.
Solo a partire da questa nuova consapevolezza l’infermiere potrà sviluppare una più vera ed efficace modalità di relazione e comunicazione con l’altro, e nello specifico con il paziente affetto da Covid-19. A partire da una migliore conoscenza di se stesso e delle proprie modalità di reazione di fronte alle problematicità potrà affinare la capacità di osservazione e di ascolto, coltivare il valore dello sguardo ma anche del contatto, e sviluppare senso di responsabilità e accettazione dell’altro.
Anche se talvolta i gesti come quello del sorriso e dello sguardo sorridente sono frutto di una modifica di prospettiva emotiva ciò crea una disposizione (virtuosa) alla buona relazione permettendo di cogliere gli aspetti positivi piuttosto che i limiti della persona a cui si rivolge lo sguardo. Come ritiene Fenizia (2020) si tratta di un processo che conduce alla saggezza, e richiede autoconsapevolezza e apertura al cambiamento sia intellettuale che emozionale.
Da questa relazione lo stesso infermiere riceve un arricchimento e inoltre, come sostenuto da Colmegna, Guida e al. (2010) ogni volta che ci si prende cura dell’altro, in maniera profondamente vissuta e partecipata, si ottiene oltre che un momento di sviluppo e di crescita personale, un momento di mutamento sociale, in qualsiasi campo di applicazione.

CONCLUSIONI
In conclusione, dalle indicazioni della letteratura risulta chiaro che per il raggiungimento dell’obiettivo di salute del paziente affetto da Covid-19, e per percorrere il tragitto della malattia, non raramente caratterizzato da pericoli e asperità, occorre instaurare una relazione di aiuto che passa attraverso la competenza e la coscienza di sé dell’infermiere, e attraverso la fiducia da parte del paziente, in un contesto comunicativo fatto di sguardi autentici e partecipazione.
Il viaggio seppur difficile e tortuoso permetterà a entrambi i protagonisti della relazione di acquisire nuove consapevolezze e arricchimenti.
“Ti sono sempre stata accanto. E ora non dubitare delle mie rivelazioni: questo è il porto di Forco, il vecchio del mare. Lo vedi quel monte dalla spalle boscose? È il Nerito a te tanto caro. Mentre lo nomino, dissolvo la nebbia e Odisseo vede chiaramente la sua amata patria. Si inginocchia e bacia la terra. Promette offerte, è implacabilmente felice come deve esserlo chi ritorna dopo una lunghissima assenza” (Oliva,2020).

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti
L’autrice dichiara di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

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Bibliografia

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