Sicurezza per gli operatori sanitari, le nuove norme


Un trend in crescita quello della violenza sugli operatori sanitari, un fenomeno che vede tra i più colpiti gli infermieri ma che riguarda tutte le professioni sanitarie e socio-sanitarie.
Ieri, 24 settembre, è entrata in vigore la legge 14 agosto 2020, n 113, “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 9 settembre scorso.
L’approvazione di questa legge rappresenta un doppio segnale di civiltà: il primo verso i cittadini che sanno di poter contare su professionisti concentrati sui loro problemi e non sulla difesa da attacchi che non hanno ragion d’essere; il secondo verso gli operatori che ora hanno una forma di tutela in più per un lavoro che fino a ieri nella pandemia li ha fatti definire ‘eroi’, ma che già oggi comincia a essere al centro di nuove violenze” così ne ha commentato l’approvazione Barbara Mangiacavalli – presidente FNOPI.
Per entrare nel merito dei contenuti e comprendere che cosa e come cambierà dall’entrata in vigore della norma, abbiamo incontrato Giuseppe Battarino, magistrato, esperto di questioni giuridiche della sanità, che ha collaborato con FNOPI alla redazione del Codice Deontologico ed è un attento e arguto conoscitore del mondo degli infermieri.
Un suo commento della legge è stato pubblicato su Questione Giustizia.

Dottor Battarino, ci voleva proprio una legge…
Per una volta non siamo di fronte a una legge-manifesto, di quelle che servono solo a proclamare l’interesse dei legislatori per un fenomeno: in questo caso la legge n. 113 del 2020 è coerente e c’è un equilibrio: il fenomeno di condotte aggressive è reale e lo è altrettanto la necessità di contrastare la sua crescita.
Quello che si deve ricercare è la tutela degli operatori sanitari come persone, come lavoratori ma anche la tutela del diritto dei cittadini all’assistenza: che è possibile solo garantendo l’ordinato svolgimento delle attività sanitarie e socio-assistenziali.

La norma prevede misure di monitoraggio, prevenzione e educazione: quali e come secondo lei potranno concretamente incidere sul problema della violenza agli operatori?
Non è un effetto diretto quello che ci si aspetta da previsioni come queste. Ma fanno parte di un’opera di prevenzione e soprattutto culturale che va avviata. Intendo culturale in senso ampio: conoscenza da parte dei cittadini della realtà delle cose, comprensione di ciò che legittimamente ci si può attendere (e che cosa no) nei luoghi e dalle persone che garantiscono l’assistenza, percezione chiara che quei luoghi e quelle persone sono un bene comune attentamente tutelato.

Come lei ha avuto modo di sottolineare in altre occasioni, la norma prevede anche alcuni interventi di natura sanzionatoria. Perché normarne di altri, non erano sufficienti quelli già esistenti nel codice penale?
Le nuove tutele sanzionatorie vengono costruite mediante quattro interventi: la previsione specifica di aggravante per reati commessi ai danni di operatori sanitari; l’inserimento di una nuova ipotesi di aggravante comune; una modifica del regime di procedibilità per i reati di percosse e lesioni che diventano perseguibili d’ufficio se commessi in danno di operatori sanitari, quindi anche senza querela; l’introduzione di una specifica fattispecie di illecito amministrativo per l’ingiuria.
Il segnale è forte: chi commette reati contro infermieri e medici avrà molte meno occasioni di evitare sanzioni.

Nell’articolo 7 si parla di adozione, da parte delle strutture in cui opera il personale sanitario e socio-sanitario, di misure volte a stipulare specifici protocolli con le forze di polizia per garantire il loro tempestivo intervento. Non è troppo generico? Questo può secondo lei generare un effetto a macchia di leopardo? E ancora, a tal proposito prima di questa legge non esistevano coordinate giuridiche e operative?
La previsione di “protocolli operativi” con forze di polizia è in effetti generica. Ma in questo, come in altri casi, gli strumenti che la legge mette a disposizione devono essere usati bene: non è più tempo di distacco o disinteresse da parte della dirigenza delle aziende sanitarie e ospedaliere rispetto alle vicende di cui i lavoratori sono vittime. È tempo invece – la nuova legge dà questo messaggio – di tutelarli attivamente, senza eccezioni, in ogni occasione di aggressione o di comportamenti impropri da parte dell’utenza.
Quanto all’azione delle forze di polizia, sulla base di norme generali, che risalgono addirittura al Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, del 1931, ma anche del Codice di procedura penale del 1989, vale, per ufficiali e agenti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, l’obbligo di tutelare i cittadini, di prevenire i reati, di impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori.
È vero che i luoghi di cura vivono del rapporto tra operatori sanitari e cittadini richiedenti assistenza; e che gli interventi di soccorso sul territorio vedono impegnati soccorritori professionali e volontari del sistema di risposta all’emergenza sanitaria in scenari “aperti” e complessi. Ma da parte degli appartenenti alle forze di polizia non può che esserci una piena tutela del personale sanitario e dei soccorritori, senza limitazioni in qualsiasi luogo, come un ambulatorio, una sala d’attesa di un ospedale, un mezzo di soccorso: che non possono essere delle terre di nessuno dove infermieri, medici e volontari sono esposti a comportamenti illeciti. Certo, ancora una volta c’è una responsabilità dei vertici delle aziende nel dotare quei luoghi anche di forme adeguate e costanti di sorveglianza.

Un’ultima domanda. Sarà sufficiente la risposta normativa ancorché ampiamente condivisa?
Come ho detto i segnali che il Parlamento ha dato sono forti, ma cadono in un contesto sociale di deprivazione culturale caratterizzato dalla scarsa educazione al corretto uso delle risorse collettive.
Un numero crescente di utenti non comprende la necessità di regole di accesso e di distribuzione delle prestazioni e reagisce con condotte aggressive di vario tipo all’applicazione di quelle regole, necessarie.
C’è da fare un grande lavoro di contrasto all’analfabetismo funzionale, e nel campo della sanità gli infermieri possono essere dei formatori diffusi e quotidiani, in ogni contatto con i cittadini.
È un investimento anche sulla sicurezza.

25 settembre 2020

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