INTRODUZIONE
La formazione dei professionisti e lo sviluppo dell’identità professionale, quale acquisizione dei valori e della cultura distintivi della professione di riferimento, non può prescindere dalla promozione della partecipazione alla sfera associativa, pubblica e politica della famiglia professionale a cui si appartiene.
Le associazioni professionali sono gruppi di individui che condividono gli stessi interessi e decidono di unire i loro sforzi per raggiungere obiettivi comuni (Treccani vocabolario online, 2018); costituiscono un’importante risorsa per aiutare a sviluppare cultura e visione della professione (Prandstraller, 1995), consentono ai professionisti di aggregarsi e operare, con impegno continuativo, per perseguire progetti specifici, condivisi e sinergici, e per elaborare strategie di intervento mirate al superamento di criticità e al potenziamento dei ruoli professionali (Matthews, 2012).
L’associazionismo infermieristico e ostetrico riveste un importante ruolo per sostenere lo sviluppo della professione, migliorarne l’immagine sociale, incrementare gli standard dell’assistenza (Esmaeili et al., 2013).
Le associazioni professionali sono efficaci per promuovere la professione soprattutto quando, con i loro affiliati, supportano lo sviluppo di azioni di politica professionale e assumono ruoli di advocacy per la difesa della salute dei cittadini (DeLeskey, 2003).
Essere membro di un’associazione professionale significa dedicare parte del proprio tempo a partecipare attivamente allo scambio di idee, ad ampliare e approfondire conoscenze e competenze professionali; richiede di avere un atteggiamento cooperativo per lo sviluppo di progetti, per promuovere la qualità dell’assistenza e migliorare le condizioni di lavoro dei professionisti (Kaeryn, 2005; Bauman, 2008).
In Italia, le associazioni professionali sono state catalizzatrici di idee e movimenti finalizzati al riconoscimento, alla tutela e alla valorizzazione della figura dell’infermiere e dell’ostetrica (Calamandrei, 1986; Sironi, 2012; Galletti et al., 2017). Infatti, quelle più rappresentative, a livello nazionale e internazionale, hanno partecipato attivamente al processo per individuare le funzioni specifiche e le norme che regolano le professioni (un esempio è il Codice deontologico dell’infermiere 2019) e per determinare le relazioni con altri gruppi di possibili competitori (Prandstraller, 1995).
In tempi recenti, l’importanza delle associazioni professionali, enti ben distinti dagli Ordini delle professioni sanitarie (Legge 11 gennaio 2018, n. 3, art. 4), è stata richiamata dall’art. 5 della Legge n. 24/2017 che riconosce alle ‘associazioni tecnico-scientifiche’ una funzione chiave ai fini della promozione dell’evidence-based practice.
Nel nostro Paese l’associazionismo professionale ha dato luogo all’istituzione di una pluralità di gruppi associativi, alcuni di carattere disciplinare-generalista, altri collegati ad ambiti gestionali, altri ancora ad ambiti assistenziali specifici infermieristici e ostetrici. Sono state censite circa 57 associazioni professionali infermieristiche (FNOPI, 2018) mentre per le ostetriche vi sono 3 associazioni scientifiche riconosciute e diverse associazioni regionali multidisciplinari di cui manca un elenco ufficiale (dati forniti dalla Presidente della Società italiana di scienze ginecologico-ostetriche-neonatali). È molto difficile conoscere il numero di infermieri e ostetriche che sono effettivamente associati e la tipologia di attività scientifico-culturali operativamente svolte.
La numerosità delle associazioni infermieristiche e ostetriche è indice dello sviluppo raggiunto in differenti contesti clinico-assistenziali ma potrebbe altresì agire da fattore critico, per due motivi:
- nell’elenco delle associazioni sono presenti più organizzazioni che rappresentano i medesimi ambiti clinico/assistenziali e altre che si collegano, attraverso la denominazione o lo statuto, a associazioni mediche. Questi aspetti meritano attenzione in quanto, per non ridurre la specificità clinica alla sola capacità tecnica, è opportuno che le associazioni si ancorino al core delle rispettive discipline e non perdano il senso generale della professione (Manara, 2007; Marmo, 2014);
- la pluralità di associazioni è un importante indicatore di un fluire vario e democratico d’idealità e contributi ma vi è la necessità di prevedere forme di integrazione e collaborazione. Il rischio infatti è che, su istanze particolari e individuali, si continuino a strutturare associazioni disperdendo le energie in piccoli rivoli localistici mentre il valore delle associazioni è nel grado di coesione che generano tra i membri (Rapp e Collin, 1999; Patterson et al., 2007) e con altre associazioni con cui si condividono le finalità.
Un’importante azione per limitare queste criticità è stata posta in essere, nel 2017, dalla Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI (attuale FNOPI) che ha promosso la creazione di una Consulta delle associazioni infermieristiche come luogo di confronto, in merito a tematiche professionali, tra ordine e associazioni (FNOPI, 2017).
Nell’epoca attuale la scelta dei professionisti di essere membri di un’associazione e il senso di appartenenza a una famiglia professionale hanno subito importanti modifiche. Infatti, la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica, hanno dato origine alla riorganizzazione dell’intera struttura sociale, caratterizzata anche dal mutamento dei codici cognitivi e comunicativi e dall’avvio di processi di trasformazione delle forme dell’interazione sociale (Moorley e Chinn, 2013).
In ambito professionale l’utilizzo incrementale dei social media, sia come social networking, media sharing, blogging e tweeting, ha favorito la diffusione di cultura professionale e potenziato la comunicazione online tra professionisti (Ventola, 2014). Tale fenomeno ha però un impatto sulla professionalità, l’etica e la privacy, facendo emergere una nuova forma di socializzazione ai comportamenti professionali: l’e-professionalism. Cain e Romanelli (2009) hanno definito l’e-professionalism come le attitudini e i comportamenti che riflettono i paradigmi della professionalità tradizionale, ma si manifestano attraverso i media digitali. L’e-professionalism si interessa a come i professionisti si presentano e rappresentano negli ambienti virtuali ma va oltre il semplice concetto di netiquette. Infatti, lo sviluppo di comunità online richiede che la professione infermieristica faccia evolvere la propria identità estendendo gli attributi di persona e professionalità a un ambiente non reale (Cain e Romanelli, 2009; Casella et al., 2014; Mugavin, 2014) ma salvaguardando la dignità e il decoro professionale.
Pochi studi hanno analizzato l’uso dei social da parte delle associazioni. Alcuni siti incoraggiano le associazioni ad utilizzare il mezzo social per raggiungere gli iscritti, per velocizzare il contatto tra associazione e iscritto, per informare sulle attività e per attrarre nuovi iscritti (Santoro, 2012).
Ventola (2014) evidenzia i benefici nell’uso dei social, tra cui la possibilità di crowdfunding, la condivisione di esperienze tra differenti professionalità, la formazione a distanza. Emergono però anche aspetti negativi, infatti un recente studio ha dimostrato che l’utilizzo dei social network può rappresentare una minaccia per l’adesione a un’associazione professionale nel caso in cui venga diffusa pubblicità negativa dai membri o ex membri (Farina et al., 2016).
Le associazioni professionali infermieristiche e ostetriche sono importanti per lo sviluppo culturale e per consolidare l’appartenenza alla famiglia professionale, ma dopo gli importanti cambiamenti in ambito sociale, formativo e organizzativo che hanno caratterizzato l’ultimo decennio, pochi studi hanno cercato di rappresentare il sentire dei professionisti in merito all’associazionismo e le motivazioni che spingono o meno ad appartenere a un’associazione, oggi.
Pertanto un gruppo di ricerca composto dagli studenti del I anno del corso di Laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma ha condotto uno studio qualitativo per esplorare come infermieri e ostetriche italiani percepiscono e partecipano all’associazionismo professionale.
Gli obiettivi dello studio sono: raccogliere vissuti e opinioni di infermieri e ostetriche in merito alle associazioni professionali infermieristiche e ostetriche; comprendere le motivazioni che spingono ad appartenere o meno ad una associazione professionale.
MATERIALI E METODI
Disegno dello studio: studio qualitativo descrittivo.
È stato individuato un approccio qualitativo poiché favorisce l’espressione di percezioni e vissuti consentendo di dare senso e significato alle esperienze personali (Bengtsson, 2016) di infermieri e ostetriche sul fenomeno oggetto di studio.
Setting e partecipanti
Il gruppo di ricerca ha selezionato un campione propositivo di 337 professionisti, infermieri e ostetriche, individuati tra i colleghi di lavoro o di università e che avessero differenti età anagrafiche, percorsi formativi ed esperienze lavorative.
I professionisti sono stati informati telefonicamente delle finalità dello studio ed è stata loro chiesta la disponibilità a partecipare rispondendo ad un questionario online.
Strumento indagine
I dati sono stati raccolti con un questionario strutturato ad hoc e composto da domande a risposte aperte.
Le domande sono state costruite nel seguente modo: definita la domanda di ricerca, tutto il gruppo di ricerca ha dato origine a un brainstorming per determinare quali aree avrebbero dovuto essere indagate. Sono state così individuate 4 aree
- percezione del professionista circa l’associazionismo professionale;
- l’opinione del professionista circa il contributo che l’associazionismo apporta allo sviluppo della professione;
- l’esperienza del professionista circa la partecipazione ad una associazione professionale;
- le motivazioni della non adesione ad una associazione professionale.
A partire da queste aree, 8 membri del gruppo di ricerca hanno formulato le domande che sono state successivamente sottoposte alla revisione e al consenso di tutto il gruppo di ricerca per verificare che gli elementi indispensabili per la finalità dell’indagine fossero stati tutti inclusi e che le domande fossero chiare, comprensibili e non condizionassero le risposte dei partecipanti.
La validità di facciata dello strumento d’indagine (Corbetta, 1999) è stata testata dall’intero gruppo di ricerca.
Ottenuta la versione definitiva delle domande queste sono state organizzate per aree e disposte secondo successione logica (Tabella 1).
Al termine del questionario sono state inserite 7 domande di tipo socio-anagrafico (età anagrafica, genere, titolo di studio e regione in cui è stato conseguito, anni di esperienza lavorativa, regione in cui attualmente lavora).
Raccolta dati
A coloro che hanno accettato di partecipare allo studio è stata inviata per posta elettronica una lettera di presentazione della ricerca, le modalità per rispondere alle domande e un link che rimanda al questionario, da compilare online attraverso la piattaforma Google moduli®. Questa modalità di esecuzione è stata scelta sia per raggiungere i rispondenti sparsi su una area geografica estesa, sia per dare agli intervistati la più ampia possibilità di rispondere alle domande grazie all’autonoma scelta del momento.
Un promemoria per la compilazione del questionario è stato inviato dopo 10 giorni dal primo invio.
I dati sono stati raccolti nel periodo marzo – aprile 2018.
Considerazioni etiche
Per questa indagine non è stata necessaria l’approvazione del comitato etico.
La partecipazione è avvenuta su base volontaria e tutti i rispondenti sono stati informati che l’invio delle risposte del questionario online sarebbe stato considerato come esplicito consenso alla partecipazione.
Tutti i dati sono stati resi anonimi dal sistema di registrazione per garantire ai partecipanti l’anonimato e la privacy.
Analisi dei dati
Le risposte alle domande aperte sono state analizzate con la content analysis (Elo e Kyngas, 2008), metodo scelto in ragione della sua flessibilità e dell’efficacia nel rilevare i tratti esperienziali dei partecipanti.
In questo studio i dati sono stati sottoposti a una content analysis induttiva perché vi sono poche e frammentate conoscenze sull’argomento (Bengtsson, 2016).
A garanzia dell’anonimato i testi sono stati resi anonimi attribuendo a ciascun partecipante un codice alfa numerico (in cui la R sta per rispondente, il numero è stato casualmente attribuito all’intervistato e ‘s’ sta per chi è iscritto a un’associazione mentre ‘n’ sta per chi non è iscritto).
Le risposte al questionario sono state acquisite tabulandole su foglio Excel®.
Non sono stati usati software di elaborazione. Tutte le risposte sono state lette per avere una visione generale, quindi si è proceduto alla categorizzazione individuando le etichette descrittive e successivamente le sotto-categorie. Con un processo di astrazione, le sotto-categorie sono state tra loro combinate e sono state accorpate in temi, individuati utilizzando il più possibile parole/concetti espressi dai rispondenti.
Il rigore del processo è stato garantito da sei componenti del gruppo di ricerca che indipendentemente hanno seguito il processo di analisi e al termine condiviso i loro risultati per individuare similitudini e differenze nell’analisi. Al termine tre ricercatori hanno proceduto un’integrazione dei temi emersi e prodotto i risultati finali di sintesi.
I dati quantitativi sono stati analizzati con metodi di statistica descrittiva.
RISULTATI
Descrizione del campione
Il tasso di risposta complessivo è stato del 42%.
Essendo i questionari completi in tutte le loro parti sono stati tutti inclusi nello studio.
Per quanto riguarda il campione è risultato composto da 121 infermieri (87%), 6 infermieri pediatrici (4%) e 13 ostetriche (9%).
L’età media è di 32 anni (range 22 – 62). Per quanto riguarda il genere 94 (67%) sono donne e 46 (33%) uomini.
Il titolo di studio abilitante è stato conseguito in un arco temporale che va dal 1980 al 2018; il 74% del campione si è laureato dopo il 2002; l’esperienza lavorativa media in anni di servizio è di circa 10.3 (range 0 – 40); il 51% del campione ha una esperienza lavorativa tra 1 e 5 anni.
I contesti in cui i rispondenti lavorano sono eterogenei (tabella n. 2), tra le unità operative più rappresentate vi sono i reparti del livello 2 di assistenza (area chirurgica, medica e materno-infantile) e del livello 1 (terapie intensive e sub-intensive).
I partecipanti sono stati infine invitati a indicare la regione nella quale hanno conseguito il titolo abilitante e quella in cui lavorano. Complessivamente, si sono formati o lavorano in 13 regioni, ma la maggior parte del campione si è laureato nel Lazio (49%) e nel Lazio lavora (44%), in Emilia-Romagna (14%) e ivi lavora (18%), in Lombardia (13%) e ivi lavora (12%).
Risposte al questionario
La categorizzazione delle risposte (tabella 3) ha fatto emergere interessanti temi (nel testo sottostante evidenziati in grassetto) che descrivono il fenomeno indagato.
L’associazionismo professionale è stato descritto attraverso 4 temi: gruppo di professionisti ma anche ente di rappresentanza e tutela accentuando l’aspetto amministrativo e legale del termine associazione; viene inoltre rappresentato come modalità per lo sviluppo di competenze e per la promozione della professione. Coerentemente con queste risposte, alla domanda se l’associazionismo può contribuire allo sviluppo della professione ben 135 soggetti (97%) hanno risposto si (solo 5 soggetti (4%) hanno risposto no).
Si dichiarano iscritti a una associazione professionale 56 soggetti (40%) mentre 84 soggetti (60%) non sono iscritti a nessuna associazione.
Coloro che sono iscritti ad un’associazione sono soggetti con età media di 39 anni (range 25 – 62; 2 ostetriche e 54 infermieri); le associazioni professionali alle quali sono iscritti sono presentate nella tabella 4. I rispondenti hanno rappresentato la loro esperienza come membri di un’associazione con 4 temi: condivisione, crescita e apprezzamento dei servizi. Alcuni hanno rappresentato la propria partecipazione all’associazione come negativa.
La motivazione dell’iscrizione è descritta da 3 temi: motivi formali ma anche per ricevere formazione-informazione e dare sostegno alla professione.
Circa il contributo che si riceve dall’essere associato 9 soggetti hanno risposto nulla, dalle altre risposte emergono 3 temi: l’aggiornamento-formazione, la condivisione e anche motivi formali.
Sul contributo dato dall’iscritto all’associazione 12 soggetti hanno indicato nessuno. Dalle altre risposte è possibile individuare 3 temi: il contributo economico, il contributo organizzativo e la partecipazione. Sul contributo dato dall’iscritto all’associazione 12 soggetti hanno indicato nessuno. Dalle altre risposte è possibile individuare 3 temi: il contributo economico, il contributo organizzativo e la partecipazione. Al contributo dato dall’associazione alla comunità professionale 9 soggetti indicano nessuno. Dalle altre risposte è possibile individuare 3 temi: promozione della professione, condivisione/informazione e anche rappresentanza e tutela.
Coloro che non sono iscritti ad un’associazione sono soggetti con un’età media di 29 anni (range 22 – 53; 6 infermieri pediatrici, 11 ostetriche e 68 infermieri). Sui motivi della non iscrizione emergono 4 temi: motivi economici e situazione lavorativa. Ma viene anche indicata la non conoscenza e la mancanza di interesse.
Alla domanda in cui si chiedeva se hanno usufruito dei servizi proposti da un’associazione, in 59 (70%) hanno indicato che non ne hanno usufruito e la motivazione è stata il costo elevato; coloro che invece ne hanno usufruito descrivono l’esperienza come positiva perché è stata arricchente. Circa il desiderio di appartenere ad una associazione professionale 20 rispondenti hanno detto no.
Coloro ai quali piacerebbe iscriversi hanno motivato il desiderio con 3 temi: l’appartenenza, la formazione e per ricevere servizi e tutele. Sul contributo che, se iscritti, potrebbero dare all’associazione emerge il tema della partecipazione. Circa il contributo che l’associazione potrebbe dare alla comunità professionale emergono 2 temi: il riconoscimento della professione e la crescita professionale.
DISCUSSIONE
Gli infermieri e le ostetriche che hanno partecipato allo studio sono per la maggior parte giovani professionisti; il 70% del campione sono Millennials[1] (età compresa tra i 22 e i 37 anni) con la peculiarità di essere ‘nativi digitali’ (Stevanin et al., 2015).
Questo aspetto si riflette nei testi delle risposte, in molti casi non particolarmente articolati e formulati a mo’ di messaggistica istantanea.
Dai partecipanti non traspare una chiara conoscenza circa le funzioni dell’associazionismo e sulla distinzione tra associazioni professionali (di natura privatistica) e sistema ordinistico (enti sussidiari dello Stato). I temi rilevati, infatti, evidenziano un’ampiezza di ‘visioni’: dal far parte di un gruppo di professionisti a essere iscritto a un ente di tutela e rappresentanza.
Le associazioni sono espressione della vita sociale. Merton definisce un’associazione professionale come un’organizzazione di professionisti competenti che si uniscono per svolgere funzioni/attività sociali che non potrebbero svolgere come singoli individui (Matthews, 2012); sono importanti per aiutare i professionisti a risolvere i propri problemi e per scambiare idee e opinioni (Esmaeili et al., 2013).
Un aspetto molto presente, più volte richiamato dai partecipanti, è quello di percepire le associazioni come luoghi per la valorizzazione del ruolo e la promozione della professione, ciò potrebbe anche essere dovuto ad un modo di ‘sentire’ nell’attuale momento storico. Infatti, lo sviluppo professionale, inteso anche come visibilità della professione e accountability, è un aspetto critico in tutto il mondo e studi dimostrano che gli infermieri non ricevono dal pubblico il dovuto riconoscimento per la loro professionalità (Baldwin et al., 2017).
Le associazioni professionali e le organizzazioni professionali (professional association e professional organization) sono particolarmente importanti per generare energie, nuove idee, e mantenere una professione proattiva che difenda i bisogni dei pazienti e degli infermieri, e la fiducia che la società ripone nei professionisti (Matthews, 2012).
Partecipare alle attività associative consente ai professionisti di sviluppare una ‘coscienza collettiva’ e acquisire consapevolezza circa sé stessi e la propria professione (Kim-Godwin et al., 2010), aspetti che favoriscono l’empowerment del professionista e lo rendono capace di entrare con maggior appropriatezza e incisività nei contesti socio-sanitari.
Tutti i partecipanti individuano le associazioni come gruppi per promuovere lo sviluppo di conoscenza e visione condivisa. Tale sviluppo è visto principalmente come formazione-informazione che si ottiene con la partecipazione a corsi di aggiornamento ma anche come crescita personale data dal confronto e dalla partecipazione. Questo aspetto è confermato dalla letteratura di settore, infatti un’associazione professionale aiuta i membri a realizzare e mantenere uno status professionale, a far sviluppare abilità specifiche attraverso interventi formativi, a definire standard per la pratica professionale, ad agire politicamente per lo sviluppo di una comunità basata su norme e valori condivisi (Philips e Leahy, 2012).
Alcuni dei partecipanti indicano che le associazioni favoriscono la partecipazione politica. In letteratura la voce collettiva delle associazioni infermieristiche è indicata come la più grande risorsa per influenzare le politiche professionali; inoltre essere membro di un’associazione è rapportato positivamente ad una più attiva partecipazione politica (DeLeskey, 2003).
Dei partecipanti allo studio, coloro che dichiarano di essere iscritti ad un’associazione professionale fanno parte per l’83% dei Baby Boomers, per il 69% della Generazione X e solo per il 27% dei Millennials. Questi dati sono indicativi di un diverso modo di intendere l’appartenenza alla famiglia professionale da parte delle nuove generazioni di infermieri (Mugavin, 2014).
La letteratura di settore indica che nessuna delle caratteristiche personali come età, sesso e razza sono motivanti all’aderire o a raccomandare ad altri di aderire ad un’associazione professionale (Ki, 2018). È stato però riscontrato che l’adesione è più rilevante per gli infermieri che lavoravano da più tempo e per gli infermieri disoccupati o in cerca di lavoro (Festová e Bártlová, 2013); ed è fortemente influenzata nell’ambiente di lavoro dal gruppo dei pari (Bauman, 2008; Philips e Leahy, 2012). Coloro che si iscrivono ad una associazione hanno un background formativo più ampio (Taft e Nanna, 2008).
Infatti, non solo gli infermieri con istruzione superiore, in particolare con laurea magistrale, aderiscono più spesso ad organizzazioni professionali ma i membri di un’associazione scientifica professionale tendono ad avere maggiori aspettative in termini di crescita professionale rispetto ai non membri (Niebuhr et al., 2007). Questi ultimi elementi sono riscontrabili anche nelle caratteristiche socio-culturali dei partecipanti al presente studio.
I partecipanti indicano diverse associazioni professionali a cui sono iscritti, ma per alcune sorge il dubbio che i rispondenti non abbiano chiaro il concetto, infatti indicano di essere iscritti all’Albo e ad “Infermiere oggi”. Altri indicano la loro iscrizione alla FNOPI/FNOPO e l’appartenenza a sindacati di categoria. Quest’ultime due indicazioni sono coerenti con alcuni fattori che i partecipanti hanno indicato come motivanti l’iscrizione ad una associazione: motivi istituzionali (Albo professionale) e tutela del professionista. Le associazioni infermieristiche e ostetriche hanno la funzione di rappresentare gli interessi delle rispettive professioni (Tarvydas et al., 2009), di tutelare gli interessi dei membri, fornendo loro benefici che non è possibile ricevere senza l’adesione a tale organizzazione (DeLeskey, 2003).
La partecipazione alle organizzazioni professionali è quindi un modo con cui la persona tutela anche i propri interessi individuali (Olson, 2000).
Altri fattori indicati da tutti i partecipanti come motivanti l’adesione ad un’associazione sono: il sostegno, la formazione e l’aggiornamento professionale, l’informazione, la curiosità personale o il suggerimento di colleghi. Elementi già indicati dalla letteratura di settore (DeLeskey, 2003). Mentre tra i benefici dell’essere membro di un’organizzazione professionale vengono elencati formazione, incontri annuali, networking, certificazioni, aiuto nel trovare lavoro, web side, interazione con i colleghi (Esmaeili et al., 2013), mantenimento della certificazione (Thackeray et al., 2005). Tutti i partecipanti considerano utile il contributo che l’associazione può dare con riviste e newsletter e partecipazione a convegni, corsi di aggiornamento in senso generale. Si tratta di servizi propri di un’associazione professionale e conosciuti da vari decenni (Yeager 1981; Shelander 1998).
In letteratura viene anche ricordata l’importanza dello sviluppo delle conoscenze con webinar e web-based media, nuovi strumenti per aiutare e rafforzare l’apprendimento (Greggs-McQuilkin, 2005; Baldwin et al., 2017). Questo aspetto non viene evidenziato nelle risposte date dal campione nonostante la presenza di molti Millennials.
Le associazioni professionali hanno sia strumenti organizzativi sia expertise che consentono la disseminazione di conoscenze avanzate (advanced knowledge) in aree professionali specifiche. È proprio attraverso associazioni professionali specifiche che è possibile sviluppare ricerche e pubblicazioni, dare un supporto evidence-based alla pratica infermieristica e aiutare a migliorare l’assistenza (Baldwin et al., 2017).
Alcuni partecipanti indicano anche che le associazioni devono dare contributi puntuali su specifiche aree afferenti al lavoro e supporto scientifico (Linee guida, best practice). Quest’ultimo aspetto è sicuramente un segno dei tempi e della Legge n. 24/2017.
Interessante è il concetto che l’associazionismo può rafforzare la professione perché aiuta ad acquisire più elevati livelli di competenze ma anche motivazionali. In letteratura è stato dimostrato che i membri di associazioni professionali dichiarano una maggiore soddisfazione lavorativa (Taft e Nanna, 2008).
Inoltre, la soddisfazione personale e professionale è fondamentale per il mantenimento dell’appartenenza (Ki e Wang, 2016), in questo senso il membro di un’associazione professionale percepisce la quota che versa come un investimento (Ki, 2018). Alcuni partecipanti hanno indicato anche l’aspetto della condivisione.
Infatti, nelle associazioni, specialmente se piccole, il contatto immediato tra i membri (riunirsi, parlare, condividere) consente loro di identificarsi e di avere un’esperienza diretta di vita.
Invece, nelle grandi associazioni, dove il contatto personale è meno intenso, emerge l’aspetto di organismo di difesa dei diritti della propria comunità e di conquista di più ampi margini di autonomia (Donati e Vincenzi Amato, 1991).
Considerando l’intero campione, coloro che dichiarano di non essere iscritti a un’associazione professionale appartengono per l’85.7% ai Millennials.
Questo dato è in linea con quanto riportato in letteratura, infatti sebbene infermieri e ostetriche costituiscano il gruppo più numeroso di operatori sanitari, i più giovani sono poco propensi ad impegnarsi in associazioni professionali (DeLeskey 2003).
I partecipanti indicano tra i motivi della non iscrizione la mancanza di conoscenza circa le associazioni professionali, ma anche l’incertezza perché non ci si sente rappresentati o perché non si ravvede la necessità. In letteratura come ostacoli alla partecipazione ad una associazione sono indicati il non capire/vedere i benefici, il non condividerne le finalità, il non sentirsi in grado di dare un contributo come membro (Alotaibi, 2007).
Vengono indicate anche motivazioni personali come le responsabilità familiari, la mancanza di tempo, i costi o la collocazione della sede dell’associazione (White e Olson, 2004; Niebuhr e Biel, 2007; Alotaibi 2007; Taft e Nanna, 2008; FestovaÌ e BaÌrtlovaÌ, 2013).
I partecipanti indicano anche una motivazione non presente in letteratura: essere neo-laureato e lavorare in uno stato estero. In effetti, la provenienza geografica di formazione del campione evidenzia una prevalenza dal Lazio (vedi anche Polillo 2015) con la necessità, dopo la laurea di trasferirsi, per lavorare, in altre regioni o in un altro paese UE. Questo fenomeno di mobilità lavorativa è lo specchio di una nuova realtà che si è delineata negli ultimi anni in Italia (Quotidiano Sanità, 2017).
Tra coloro che non sono iscritti a un’associazione professionale l’87% ha dichiarato che gli farebbe piacere iscriversi, probabilmente perché, anche attraverso questa indagine, sono stati sollecitati a riflettere su questa modalità per uno sviluppo personale e professionale.
Quest’aspetto potrebbe essere un suggerimento per le associazioni professionali affinché non solo si rendano più visibili ma anche cerchino di far convergere in modo organico gli ambiti di operatività evitando duplicazioni e frammentazioni.
Differentemente dalle aspettative del gruppo di ricerca, i partecipanti non hanno sviluppato con le loro risposte l’aspetto dei social media e delle community come modalità alternative o innovative dell’associazionismo professionale. Probabilmente la famiglia infermieristica e ostetrica è più lenta nel realizzare il potenziale applicativo e di innovazione che può essere dato dalle nuove tecnologie (Ferguson, 2013).
Limiti
La percentuale di rispondenti non è stata alta ma il campione composto da soggetti di differenti età e provenienti da diversi contesti formativi e lavorativi è uno spaccato della realtà professionale infermieristica e ostetrica italiana.
Alcuni dei soggetti reclutati hanno riferito di non aver risposto al questionario in quanto hanno trovato difficili le domande, probabilmente alcune richiedevano di esprimere esperienze personali e riflessioni sull’associazionismo per cui, per coloro che non conoscono il fenomeno, rispondere poteva essere difficoltoso.
Cosa lo studio apporta di nuovo
In Italia il fenomeno dell’associazionismo, sebbene sia stato fondamentale per lo sviluppo della professione infermieristica e ostetrica, è poco conosciuto e l’essere membro di una associazione professionale sembra essere un aspetto legato più a una ‘occasione’ personale di entrare in contatto con colleghi con i quali si condividono esperienze e interessi di formazione specifica che una operativa necessità per sostenere lo sviluppo culturale e scientifico della professione.
Un dato interessante, rilevato con questo studio, è che la gran parte degli infermieri e ostetriche non membri hanno dichiarato interesse ad associarsi ad un’organizzazione professionale, ravvedendone alcuni benefici. Dalle risposte è possibile tratteggiare l’associazione ideale che i non iscritti immaginano, una ‘multi-service’ che dà ai propri associati: tutela, rappresentazione/immagine, servizi di collocamento, aggiornamento/informazione, formazione scientifica e specifica in un determinato ambito lavorativo.
Emerge quindi la ‘visione’ di un’unica associazione, non distinta tra aspetti di sviluppo culturale-scientifico e aspetti di tutela e rappresentanza professionale.
Implicazioni per la pratica
I risultati dello studio sono utili per le associazioni infermieristiche e ostetriche per attivare una riflessione critica sulle proprie finalità e sulle loro capacità aggregative. Infatti, vi è bisogno di consapevolezza circa le aspettative e i bisogni di giovani professionisti non solo per essere attrattive e incrementare il numero dei propri iscritti ma anche per indirizzare finalità e scopi delle associazioni. Sarebbe utile promuovere e incentivare associazioni rivolte a categorie non considerate o escluse dalle attuali associazioni professionali riconosciute, tra cui giovani in formazione e novizi. È auspicabile l’attivazione di forme di integrazione, comunicazione e collaborazione tra le realtà associative già esistenti, non solo afferenti al medesimo ambito disciplinare, per avviare nuove sinergie e promuove la cultura interprofessionale. Considerando i pochi studi italiani in questo ambito, sarebbe utile avviare, partendo dai risultati della presente indagine, ulteriori studi per una comprensione più ampia del fenomeno e oggettivare alcune criticità che sono emerse (poca conoscenza, scarsa partecipazione, etc.).
CONCLUSIONI
Al termine del presente lavoro un dato molto importante su cui riflettere fin da subito è la disinformazione circa l’associazionismo professionale.
Sarebbe utile parlare con gli infermieri e le ostetriche, fin da quando sono studenti, circa le associazioni professionali, le ragioni per cui diventarne membri, i benefici per sé stessi e la propria famiglia professionale.
La qualità della vita professionale, il suo avanzamento, il riconoscimento che spesso viene denunciato come insufficiente, dipendono dalla partecipazione e dalla capacità di sviluppare proposte operative. In tempi di continui cambiamenti, come l’attuale, in cui falsi miti e vere falsità (fake news) minano la corretta informazione/comunicazione e possono influenzare negativamente chi opera in un ambito delicato come la sanità e minacciare la fiducia del cittadino nei professionisti, l’influenza delle associazioni può fare la differenza.
L’appartenere ad una associazione, non inteso come ‘semplice stare insieme’ ma come momento di ‘responsabilità sociale’ in cui vengono svolte attività finalizzate e strutturate, ha un impatto trasformativo nelle forme di pensiero e nelle abilità (capabilities) dei professionisti che operano nei servizi e nelle organizzazioni.
L’associazionismo è un percorso in primo luogo culturale che dà forza e linfa nuova alla partecipazione.
Corsi di studio, associazioni, sindacati, ordini, media sono i corpi intermedi che mediano tra chi è al lavoro sul campo e chi è nelle aule legislative, aule in cui professionisti sanitari devono essere presenti e attivi perché l’adeguatezza o meno delle politiche professionali non può che venire da loro stessi, dalla forza delle posizioni degli infermieri e delle ostetriche (Galletti et al., 2018) e delle loro associazioni.
Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.
Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.