La voce del corpo: studio qualitativo sull’uso del tocco nella relazione infermiere-assistito


RIASSUNTO
Introduzione Il contatto fisico è un aspetto fondamentale dell’assistenza infermieristica in quanto completa la comunicazione e la relazione di aiuto con il paziente. Poiché mancano studi, con questa ricerca qualitativa si vuole esaminare come viene usato il contatto, le caratteristiche del tocco, le percezioni e i vissuti provati dai protagonisti di tale relazione.
Materiali e metodi Lo studio, di tipo qualitativo fenomenologico, si è svolto nei mesi di settembre e ottobre 2014. Sono state condotte interviste semi-strutturate ai pazienti e agli infermieri delle unità operative di broncopneumologia e chirurgia toracica di un policlinico universitario milanese.
Risultati Il contatto fisico non procedurale è considerato utile per la pratica infermieristica sia dagli assistiti sia dagli infermieri. Il tocco sembra essere uno strumento utile per prendersi cura, per ridurre le distanze e creare fiducia.
Conclusioni Le mani dell’infermiere trasmettono vicinanza e sicurezza, portando così beneficio all’assistito. L’infermiere ha modo di riconoscere il paziente come essere umano e, allo stesso tempo, si riconosce come persona, si sente utile e migliora il proprio modo di agire, personalizzando i propri interventi.
Parole chiave: contatto fisico, fiducia, relazione d’aiuto
 


Body’s voice: qualitative study on the use of touch in the nurse-patient relationship

ABSTRACT
Introduction Physical touch is an important aspect of nursing care because it completes the nurse-patient relationship and communication. Given the presence of few studies, the purpose of this qualitative study is to examine the use and characteristics related to the touch and investigate perceptions, feelings and experiences of both nurses and patients in this type of relationship.
Materials and methods Qualitative phenomenological study took place in the months of September and October 2014. Semi-structured interviews were conducted with patients and nurses of two clinical units, respiratory medicine and thoracic surgery, in a university hospital in Milan.
Results Non-procedural touch is considered useful for nursing practice by patients and also by nurses. Touch may be useful for caring, for reducing distances and for creating trust.
Conclusions Hands of nurse convey proximity and security and it leads benefits for the physical condition of the patient. Nurse has the opportunity to recognize the patient as human being and, at the same time, to recognize himself as a person and improves his way of act, customizing his interventions.
Keywords: physical touch, trust, his helping relationship


 

INTRODUZIONE
Il contatto fisico è indispensabile al professionista sanitario per mettersi in relazione con l’assistito ed è uno strumento fondamentale per l’assistenza (McDonald et al., 2001; Draper, 2014). L’infermiere si relaziona con persone che soffrono ed entra in contatto con l’intimità della persona, sia in senso fisico sia psicologico (Nucchi et al., 2004). Il contatto fisico, presupponendo fiducia e rispetto (Gleeson et al., 2005), costituisce l’inizio della relazione d’aiuto, ma anche il mezzo attraverso il quale si accede alla sfera più intima dell’individuo (Williams, 2001; Nucchi et al., 2004; Cunico et al., 2014). E’ quindi uno strumento importante e determinante per raggiungere un’elevata qualità delle cure e migliorare gli effetti degli interventi infermieristici (Nucchi et al., 2004). Anche quando l’assistenza è limitata nel tempo, come nei servizi di endoscopia, il contatto è un mezzo per ottenere informazioni che altrimenti rimarrebbero celate (Bundgaard, 2011).
Le poche ricerche condotte sul contatto fisico hanno tentato di identificarne le caratteristiche, le proprietà e i benefici nella relazione infermiere-assistito, producendo tuttavia risultati contrastanti, frequentemente autoreferenziali (Marchetti, 2015), poco chiari e meritevoli di ulteriori approfondimenti. Inoltre, questi studi si riferiscono principalmente al massaggio come tecnica con finalità terapeutiche in specifici quadri patologici (De Luca, 2010).
Secondo la definizione, il tocco è un atto o un’azione compiuta con l’uso di una mano o del corpo che ci permette di entrare in relazione con altre persone, oggetti o animali. Nella quotidianità, infatti, sono inevitabili le situazioni di contatto con ciò che ci circonda; ciò spiega come l’esperienza del tocco sia legata, quindi, a diversi concetti, tra cui quelli d’intimità, di corpo e di malattia. Intimità significa vicinanza a livello psicologico ed emotivo: attraverso il tocco, l’assistito dà all’infermiere il permesso di accedere a informazioni più profonde rispetto a quelle trasmesse dalla semplice comunicazione verbale: ovvero comunica le aspettative, i desideri, la progettualità e le emozioni (Cunico et al., 2014). Il concetto di corpo è strettamente connesso alla pratica infermieristica: è inteso sia come struttura anatomica, su cui il professionista studia e interviene, sia come identità propria e soggettiva, con cui, invece, egli si relaziona (Cunico et al., 2014). Draper (2014) illustra come i concetti di corpo e di embodiement siano legati a quello di tocco e come questo tocco esperto sia un esempio del modo in cui siamo in grado di leggere il corpo di un altro individuo e di percepire la nostra abilità. La malattia modifica la relazione con il proprio corpo e l’infermiere tenta di dare voce, attraverso l’assistenza e la cura quotidiana, all’esperienza di malattia del paziente (Picco et al., 2009), infonde sicurezza, limitando il disagio e il dolore (Edwardsson et al., 2003). Infine, l’uso del tocco può essere di aiuto in quelle situazioni in cui le parole sono inappropriate (Schimidt, 2013).
Oltre al tocco procedurale esistono altre modalità di tocco utili per l’intervento assistenziale (Gala et al., 2003; Palese et al., 2010). Queste modalità di tocco sono:

  • il tocco di conforto;
  • il tocco intimo, orientato alle attività che coinvolgono parti del corpo come i genitali, le natiche, le cosce, il seno;
  • il tocco protettivo che mira alla tutela emotiva dell’infermiere o a proteggere l’assistito (Gleeson et al., 2005; O’Lynn et al., 2011; Cunico et al., 2014).

Il tatto è l’unico organo di senso a possedere un duplice effetto in quanto toccare presuppone anche l’essere toccati, non solo fisicamente, ma talvolta anche emotivamente (De Marinis, 2007). Edvardsson (2003) sottolinea come il tocco porti con sé tale effetto sia sull’assistito sia sull’infermiere. L’operatore con il tocco percepisce il proprio valore come persona e come professionista e scopre di potere alleviare la sofferenza di un’altra persona con il contatto. Anche De Luca (2010) parla di un dialogo tra corpi, quello dell’individuo che soffre che non viene più definito soltanto dai sintomi e dalla malattia e quello dell’infermiere, che riscopre aspetti importanti dell’assistenza. Il tocco quindi porta beneficio a entrambi i protagonisti della relazione d’aiuto (Fédor et al., 2008; Green, 2013): favorisce lo scambio di emozioni tra i protagonisti della relazione d’aiuto trasmettendo rispetto e sentimenti positivi (Chang,1999; Williams, 2001). Per gli infermieri l’interazione fisica con i pazienti può ridurre lo stress, migliorare il benessere sul posto di lavoro, ridurre il rischio di burnout e di bassa soddisfazione professionale (Pedrazza, 2015).
In letteratura le principali variabili riconosciute che influiscono nelle situazioni di tocco sono quattro:

  • caratteristiche dell’infermiere;
  • caratteristiche del paziente,
  • effetto misto;
  • condizioni che si verificano nel contesto quotidiano (Estabrooks, 1992).

Routasalo (1999) ha dimostrato che il contesto familiare e la cultura di provenienza hanno un’influenza importante in questo tipo di interazione. Edwards (1998) ha valutato la variabile del genere nella relazione infermiere-assistito, dimostrando che le situazioni di tocco tra persone dello stesso sesso sono più frequenti rispetto a quelle tra persone di sesso opposto. Altre variabili indagate in letteratura sono: l’età (Gleeson et al., 2005; Adomat et al., 1994; Routasalo, 1999); la forma di contatto utilizzata e la parte del corpo coinvolta (Grousset, 2009); le caratteristiche delle mani che toccano, l’intensità del tocco, le condizioni generali dell’assistito e l’ambiente circostante (Schimidt, 2013).
Sebbene il tocco sia considerato utile nel progetto di assistenza per individuare e alleviare il dolore o per favorire la relazione e permettere al paziente di sentire il suo corpo, il tema del contatto fisico, di tipo non procedurale e non terapeutico, è poco affrontato e discusso sia nell’ambito della ricerca sia in quello della pratica clinica. Si ritiene però utile per la pratica infermieristica capirne il significato, le percezioni a esso legate e il modo di utilizzarlo/viverlo da parte di entrambi gli attori coinvolti.
Questa indagine si è posta, pertanto, l’obiettivo di indagare il concetto di contatto fisico e in particolare di analizzare le percezioni e i vissuti provati sia dalla persona assistita sia dall’infermiere nell’ambito della degenza in un contesto ospedaliero. 

MATERIALI E METODI
E’ stata scelta una metodologia di ricerca qualitativa fenomenologica, volta a indagare le percezioni e i vissuti dell’individuo (Russel, 2004). La ricerca è stata condotta coinvolgendo assistiti e infermieri all’interno delle unità operative di broncopneumologia e chirurgia toracica di un policlinico universitario milanese. La scelta degli ambienti citati è stata motivata dall’elevata presenza di tecnologia, come i presidi per il supporto respiratorio, che interferisce nella comunicazione verbale, e dalla necessità di utilizzare la comunicazione non verbale per controllare i sintomi, come dolore e dispnea, trasmettendo sicurezza e calma. 

Campione
Si è effettuato un campionamento di convenienza fino a saturazione dei dati, cioè fino a quando le descrizioni dei partecipanti non sono risultate ripetitive e non evidenziassero nuovi temi (Russel, 2004). Sono stati inclusi tutti i pazienti ricoverati presso le unità operative di broncopneumologia o chirurgia toracica nel mese di settembre del 2014, che avessero un’età maggiore o uguale ai 18 anni, che acconsentissero alla partecipazione allo studio, che comprendessero e fossero in grado di esprimersi in lingua italiana. Gli assistiti dovevano essere ricoverati da almeno 48 ore e dovevano avere una condizione respiratoria tale da poter sostenere un’intervista. Per quanto riguarda gli infermieri, sono stati inclusi coloro che prestavano servizio nei reparti sopra citati, che fossero presenti nel medesimo periodo e che avessero dato il consenso all’intervista. 

Strumento
Si è utilizzata un’intervista semistrutturata face to face suddivisa in due parti e diversa per i due campioni. La prima parte includeva la raccolta di dati socio-anagrafici.
Per gli assistiti veniva chiesto: età, sesso, titolo di studio, professione attuale, stato civile, background culturale, precedenti esperienze di ricovero.
Per gli infermieri veniva chiesto: età, sesso, diploma, scolarità e partecipazione a corsi sulla comunicazione, cultura di provenienza, esperienza professionale ed esperienza nello specifico reparto.
La seconda parte consisteva in domande guida aperte che proponevano i quesiti della ricerca: “Che importanza ha il contatto fisico nella relazione tra paziente e infermiere? Qual è la sua esperienza in merito?”. L’intervistato poteva rispondere liberamente interrompendo il colloquio quando lo desiderava. Le domande erano poste in base al colloquio specifico quindi se l’intervistato aveva già descritto alcuni aspetti si evitavano le domande non più necessarie. Le interviste, della durata media di circa 20 minuti, sono state audioregistrate e in seguito trascritte oppure, in caso di mancato consenso alla registrazione, trascritte direttamente chiedendo conferma all’intervistato durante la verbalizzazione. A ogni intervista è stato associato un codice identificativo alfanumerico (numero progressivo dell’intervista seguito da: A – assistito; I – infermiere; M – medicina; C – chirurgia). 

Analisi
Tutte le interviste, riportate fedelmente, sono state lette e analizzate, indipendentemente, da tre ricercatori con formazione infermieristica (ST, IMR, RM) che avevano già condotto indagini fenomenologiche. E’ stata realizzata una tabella a più colonne (Mortari, 2013): nella prima sono state riportate le frasi significative di ogni intervista; nella seconda è stato fatto un riassunto descrittivo ed esplicativo del testo citato in modo da identificarne la qualità specifica; nella terza è stato definito un primo elenco provvisorio di etichette elaborate. In seguito per ottenere una concettualizzazione che fosse il più possibile fedele alla qualità del materiale testuale e capace di rendere con la maggiore precisione possibile il significato enucleato, sono state messe a confronto le etichette attribuite dai diversi ricercatori con il materiale raccolto. Terminata l’analisi, le etichette sono state raggruppate in categorie, cioè si sono individuate tutte le etichette che identificavano tipologie di unità testuali che avevano una certa analogia (Mortari, 2013). L’analisi è stata prima condotta separatamente per i due sottogruppi, successivamente si è proceduto a un confronto e a un’integrazione dei temi emersi così da sottolineare la reciprocità dell’esperienza del contatto e del tocco non procedurale (De Marinis, 2007; De Luca, 2010).
Nella sezione successiva ogni citazione viene riportata con il codice identificativo corrispondente all’intervista da cui è stata tratta.

Tabella 1. Caratteristiche socio demografche degli assistitiConsiderazioni etiche
E’ stata richiesta l’autorizzazione al dirigente dell’Unità operativa complessa – SITRA e sono stati informati i responsabili infermieristici di area e di unità operativa. All’inizio di ogni incontro è stato illustrato a ogni partecipante lo scopo dello studio, è stato richiesto il consenso verbale all’intervista e alla registrazione dei dati. Si è ricordato a ogni intervistato che avrebbe potuto ritirarsi dallo studio in ogni momento e per qualsiasi motivo. 

RISULTATI
Sono stati presi in esame 21 assistiti, 18 sono stati osservati e intervistati, 3 solo osservati; delle 18 interviste 13 sono state condotte in medicina. Inoltre sono state condotte 14 interviste agli infermieri, delle quali 3 in chirurgia. Le caratteristiche generali dei partecipanti all’indagine sono illustrate in tabella 1 e tabella 2.
Dall’analisi delle interviste raccolte da entrambi i gruppi, sono state riconosciute tre tematiche principali, all’interno delle quali sono stati poi individuati dei sottotemi, così come riassunto in tabella 3.

Il tocco come strumento per prendersi cura
Toccare per conoscere
Il contatto fisico è considerato parte integrante delle attività infermieristiche sia dai pazienti sia dagli infermieri. Il professionista, attraverso le mani e la loro azione, percepisce se stesso come essere umano e riconosce l’assistito nella sua interezza come persona, fornendogli una relazione tra pari: “… la nostra figura professionale perde se non utilizziamo il contatto fisico. Io sento l’espressione completa di quello che faccio, della mia professione” (4IM); “Il contatto fisico ti serve a capire che davanti hai un’altra persona” (10IM); “Ti permette di stabilire un contatto diverso da quello impostato dalle parole” (1IM); “Tu toccando una persona riesci a capire se si abbandona, se si rilassa, se invece rimane rigida… è uno strumento di conoscenza delle reazioni della persona” (7IM). 

Tocco procedurale
Il contatto fisico viene utilizzato dal professionista in quanto legato alle attività e alle procedure quotidiane per confortare, rassicurare e tranquillizzare l’assistito. I pazienti hanno la percezione che il tocco procedurale sia quello maggiormente presente all’interno della realtà ospedaliera.
“Qui vengono solo per fare la terapia con le flebo, attacca-stacca” (2AM); “Le uniche volte che mi toccano così è sempre per la terapia che mi fanno endovena quindi cioè attaccano, staccano, fanno il lavaggio e basta” (7AM).

Tabella 2. Caratteristiche socio demografche degli infermieriToccare per confortare
Gli assistiti attribuiscono al contatto non procedurale un’utilità e una sensazione di piacere con beneficio sul dolore e ansia. Gli assistiti riferiscono: “… mi metteva a mio agio, anche io mi rilassavo e sentivo meno dolore e tutto” (4AC); “Mi tranquillizzava tenendomi le mani sulle spalle” (7AM); “Ti fa sentire che sei comunque… come in un rapporto normale… quasi come a casa” (8AM); “Ti dà un senso come se capisse qual è veramente il problema” (10AM); “Sì, mi dà un senso di tranquillità” (15AM).
Le risposte degli infermieri alle interviste confermano ciò che viene espresso dagli assistiti.
Il contatto fisico viene utilizzato dal professionista: “in modo che non si sentano soli, abbandonati e… protetti… accetti così il senso, non il senso della malattia no, però il senso del ricovero… fai star bene la persona, a suo agio, in sicurezza… rappresenta sicurezza, vicinanza, conforto e allo stesso tempo incoraggiamento” (1IC). 

Toccare i più fragili e vulnerabili
Per entrambi i gruppi di intervistati, mentre il tocco procedurale coinvolge tutti gli assistiti, quello di conforto è indirizzato generalmente alla persona che ne ha bisogno perché più vulnerabile, fragile e solo nell’affrontare la malattia e l’ospedalizzazione.
Gli assistiti riferiscono: “Credo possa essere importante per chi ha bisogno di un conforto, magari la sera che uno ha più pensieri… sapere che c’è qualcuno che ti ascolta… che ti fa compagnia se non hai nessuno” (3AM); “Una carezza, una mano, nel momento in cui sei, cioè se sei più debole come posso dire, nel senso psicologico. Se sei più debole psicologicamente in quel momento, magari perché vuoi andare a casa o non ne puoi più” (8AM).
Gli infermieri commentano: “Quando cerchi di rincuorare, quando magari ti trovi davanti a un paziente con difficoltà, con situazioni un po’ particolari, pazienti abbattuti, tristi…” (6IM). “Secondo me più un paziente è grave, più è importante il contatto fisico, perché aiuta a metterci sul suo stesso piano… soprattutto nelle persone che magari sono allettate e che magari non riescono a guardarti negli occhi… pazienti che si aggravano… con i quali si vanno a toccare determinati argomenti, ci può essere il momento in cui ti avvicini, ti siedi accanto a lui e lo abbracci” (7IM).
Per quanto riguarda la categoria delle persone più fragili tutti concordemente individuano le persone anziane: “… sì magari in quelli un po’ più anziani, più avanti di età, che hanno più bisogno di conforto diciamo” (14AM); “Poi soprattutto gli anziani, che magari sono soli” (11IM). 

Tabella 3. Tematiche principali e sottotemi presi in esame durante le intervisteIl tocco che riduce le distanze
Attenzione e individualità
Secondo quanto emerge dalle interviste, l’infermiere non si pone problemi nell’utilizzare il contatto fisico: “Come lo fanno va bene” (1AM) e spesso non chiede il permesso di entrare nella sfera intima dell’assistito, causando sensazione di disagio e imbarazzo nella persona, che percepisce di essere oggetto di cura, uguale a tutti gli altri. “Se ci pensi sono estranei, chi li ha mai visti, è una questione di pudore” (1AM); “Cioè magari prima del contatto forse sentire con la voce prima quello che uno ha così magari quando lo tocca sa già che, nel senso. Magari chiedere se può prima… sì perché magari per voi noi siamo asessuati, non so. Secondo me, devo dire la verità questo mi dispiace e mi imbarazza” (10AM).
Gli assistiti accettano il tocco semplicemente perché lo ritengono necessario e fondamentale al trattamento della propria condizione clinica ma chiariscono che la sua vera accettazione e, quindi, il ricevere da esso un effetto benefico dipende da alcuni fattori come il tempo di conoscenza, la fiducia oltre che da fattori individuali e dell’approccio personalizzato all’assistito da parte dell’infermiere. Un assistito riferisce: “Uno magari non ci pensa… l’infermiere gli ha spostato un coso e questa ha urlato come una matta. Quindi, secondo me, bisognerebbe cercare di capire forse prima di toccare se… di capire quello che la persona potrebbe avere” (10AM). 

Toccare è essere toccati
E’ attraverso l’esclusivo uso delle mani che l’infermiere riesce a riconoscere l’individualità e a trasmettere un messaggio di vicinanza; uno “stare vicino” e un “sentirsi vicino”. Gli infermieri dichiarano: “Rappresenta sicurezza, vicinanza, conforto e allo stesso tempo incoraggiamento”(1IC); “Far capire che siamo lì per loro… ha bisogno, sei lì. E’ un po’ come togliere le barriere. Insomma, sei più vicino” (3IM). 

Prossimità
Il tocco non procedurale, utilizzato nelle forme e nei tempi adatti, permette di entrare in contatto su un livello più concreto andando a trasformare la relazione. “Ti dà un senso come se capisse qual è veramente il problema” (10AM); “Rompi quel rapporto, non professionale… non è il termine giusto… ma quella distanza che c’è tra due persone che non si conoscono fondamentalmente” (3IM).
Un assistito riferisce: “Ma non sanno cos’ho, intendo cosa ho dentro” (1AM). Con la vicinanza e la rimozione delle barriere, i messaggi di tale relazione comunicativa non sono più solo verbali ma anche non verbali, inconsci, provengono quindi dalla parte più profonda dell’individuo, quella che porta con sé il vero della persona, le esperienze vissute, le emozioni, le paure e le preoccupazioni. In tal modo emergono le differenze, non tutti gli assistiti sono uguali e ognuno manifesta il proprio bisogno e la propria accettazione in modo differente, così come spiega un assistito: “Dipende dalla persona in sé” (4AC). L’infermiere quindi può comprendere le differenze e agire sulla base di questa individualità, personalizzando il proprio modo di entrare in contatto: “Ognuno a modo suo trova il modo più giusto: chi ti carezza, chi ti mette una mano qui, sulla spalla, sul braccio” (1AM); “Dipende dalla persona che si ha di fronte, cioè se si percepisce che una persona apprezza il mio contatto fisico” (2IC). “E’ importante anche rendersi conto, ci sono delle persone che una volta che ricevono una brutta notizia preferiscono stare da sole” (10IM). 

Le barriere
Il contatto fisico, a sua volta, coinvolge l’infermiere come persona: “Provo sensazioni di affetto, empatia, tristezza e commozione allo stesso tempo… E’ un misto di emozioni… Ogni contatto, in realtà ogni paziente, ti ricorda a sua volta emozioni ed esperienze vissute da te” (1IM); “In ogni paziente vedo un pezzo di me, della mia esperienza. Cioè penso sempre che potrebbe essere un mio parente, mia madre o io stesso un domani” (8IM).
Ciò rende il professionista sensibile al dolore e alle emozioni dell’assistito, motivo per cui spesso egli stesso tende a evitare questo tipo di incontro e a costruire barriere. “Io di solito tendo a mantenere abbastanza le distanze… se la situazione non lo permette e mi devo sentire a disagio allora in quel caso non lo faccio” (2IC); “C’è qualche volta che non vedo l’ora di tirarmi fuori dalla cosa” (3IC); “Alcuni scambiano parole ma non usano alcun tipo di contatto fisico per confortare, stare vicino. Hanno forse paura di usarlo, forse hanno paura di un coinvolgimento. Non hanno voglia di andare al di là” (2IM); “Ti devi ricordare che ti devi schermare, dal dolore… Dovremmo crearci una, una barriera, ma nel senso una barriera trasparente, che ci deve essere ma ci deve permettere al tempo stesso di vedere la persona che ho di fronte, di sentirla e capirla. Spesso c’è chi costruisce un muro al posto di questa barriera trasparente… dipende da lei, dalla sua capacità di rimanere in piedi e di essere di conforto” (8IM).
Secondo quanto emerge dalle informazioni raccolte, le differenze principali che si manifestano tra i momenti di tocco sono determinate dalla situazione in cui si trova l’assistito e dalle caratteristiche personali dell’assistito e dell’infermiere: “C’è quello più aperto e quello più riservato” (3AM); “Immagino dipenda dagli infermieri: c’è chi ti fa la battuta, chi no… Dipende dal mio carattere, dal loro” (6AM); “Il carattere nostro, il modo di approcciare: se siamo aperti, chiusi. Anche la cura del corpo, l’idea” (1IC); “E’ una cosa legata alla nostra capacità di interagire e alla nostra capacità di usare il corpo come mezzo di interazione” (7IM).
Le variabili di genere, invece, non sembrano rilevanti per entrambi i protagonisti della relazione d’aiuto. Gli infermieri, inoltre, confermano che non esistono differenze rilevanti nei turni e nell’organizzazione del lavoro e che la decisione di utilizzare il contatto fisico o meno dipende dalla personalità dell’infermiere. “L’organizzazione del lavoro secondo me non influisce, non trovo differenze tra mattino, pomeriggio o notte. E nemmeno differenze di genere, maschi, femmine è uguale” (1IM).
Infine, in soli due casi, l’assistito fa riferimento a differenze di età ed esperienza professionale: “Sicuramente l’età… Io se mi vengono… all’inizio era così con le ragazze giovani, io mi vergognavo… Poi, le giovani, sai la poca esperienza, forse la poca esperienza mi spaventa” (1AM). Per qualche infermiere vi sono differenze legate all’età e al sesso dell’assistito: “Magari nei più anziani è diverso, forse preferiscono essere seguiti dallo stesso sesso diciamo” (2AC). 

Il tocco che crea fiducia
La fiducia è, secondo le parole di assistiti e infermieri, il vero elemento caratterizzante la relazione d’aiuto ed è un presupposto necessario per l’utilizzo e l’accettazione del contatto fisico. 

Affidarsi
E’ proprio attraverso questo sentimento che l’assistito si sente sicuro e protetto: “E’ sempre un esperto, mi fido ciecamente di quello che fanno” (4AC); “Mi fa piacere essere comunque toccato da un professionista… sanno cosa devono controllare” (3AM). Il contatto ha bisogno di fiducia e, paradossalmente, la fiducia stessa passa anche attraverso il contatto fisico e, in particolare, attraverso il modo che l’infermiere ha di utilizzare le proprie mani, come riferiscono gli assistiti: “Io mi sento tranquillo se vedo che sanno fare il loro mestiere, se sono sicuri, con la mano ferma” (2AM); “Nelle parti giuste” (1AC). 

Superare le estraneità
Fiducia e conoscenza hanno bisogno di tempo per instaurarsi e crescere all’interno del rapporto.
Gli assistiti riferiscono: “Vabbè qui sono appena entrata… C’è chi ha anche i suoi tempi… quindi magari all’inizio è un po’ più… deve conoscere, deve entrare nel proprio ambiente” (2AC). Dichiarano inoltre che solo con l’aumentare del tempo di degenza e, di conseguenza, di approfondimento del rapporto, il gesto dell’infermiere diventa quasi “naturale” e normale, così come ci si aspetta da una relazione di qualsiasi tipo che avviene al di fuori dell’ambiente ospedaliero “Credo che con il tempo poi uno si abitua di più a stare qui e allora i rapporti tra le persone cambiano. Si lasciano più andare” (3AM). “All’inizio ero abbastanza comunque spaventato… no qui non ci faccio caso” (8AM). “Con qualcuno ci conosciamo da un po’ più di tempo, c’è un po’ più di confidenza… magari quindi diciamo… ci si lascia toccare…” (9AM). Anche per gli infermieri la fiducia e il tempo per conoscersi sono fattori importanti: “Dipende sempre dal paziente e da quanto tempo è qui” (1IC). In tal modo l’assistito riesce ad affidarsi, a mettersi nelle mani del professionista, responsabile non solo del to cure ma soprattutto del to care. Un assistito riferisce: “Con le mani ti tengono lì” (3AM); gli infermieri aiutano a tenere insieme i pezzi, le diverse parti che compongono l’interezza della persona, che non è fatta solo di corpo e di malattia. Il professionista percepisce non solo l’importanza della fiducia e del tempo nella relazione con l’assistito: “La situazione cambia quando c’è fiducia, quando il paziente mi conosce da tanto e c’è un rapporto di fiducia da tempo. E il paziente conosce me veramente. E’ un discorso di empatia, con la relazione di fiducia si stabilisce questa empatia” (10IM); ma anche la propria utilità e importanza nel percorso di cura della persona. 

DISCUSSIONE E CONCLUSIONE
Lo studio ha trovato che il contatto fisico è percepito come utile sia dall’assistito sia dall’infermiere. Attraverso tale strumento, il corpo e, in particolare, le mani del professionista trasmettono un messaggio di vicinanza e rassicurazione nei confronti della persona che soffre. Nonostante ciò emerge che il contatto fisico e, in particolare, quello di tipo non procedurale è scarsamente utilizzato all’interno della realtà ospedaliera, come già aveva trovato Gleeson nelle sue ricerche (Gleeson et al., 2005). Il confronto tra le diverse percezioni ha chiarito che l’utilizzo di tale strumento dipende strettamente dalle condizioni cliniche e psicologiche della persona assistita, in particolare dalla sua fragilità e dalla personalità di assistito e di infermiere. L’elemento più rilevante e il presupposto più importante per dare inizio a un’interazione che preveda l’utilizzo del contatto fisico è, però, la fiducia. Come precedentemente illustrato da Gleeson è il tempo che permette di trasformare la relazione (Gleeson et al., 2005). L’assistito passa dal sentirsi dipendente all’affidarsi completamente nelle mani del professionista che, responsabile del to care, trasmette interessamento, sicurezza, vicinanza e, allo stesso tempo, è in grado di percepire le emozioni, le paure e, quindi, ciò che rende l’individuo unico. In questo modo l’infermiere migliora il proprio modo di operare, personalizzando gli interventi con maggior beneficio per l’assistito. Parallelamente, come anticipato anche dallo studio di Bundgaard (2011) il professionista, nonostante i ritmi e le difficoltà legate all’organizzazione del lavoro, percepisce di essere utile e d’aiuto, talvolta anche in misura maggiore di quando svolge le attività prettamente procedurali, e prova soddisfazione e sentimenti positivi. Anche tra le tesi di Edvardsson (2003) troviamo il riferimento a un vero e proprio scambio di energie che passa attraverso le mani del professionista e il corpo della persona assistita.
Come indica lo studio, il motivo per cui l’infermiere non si serve delle proprie mani come strumento di cura se non per le attività legate alle procedure e alla sostituzione e compensazione nei bisogni di assistenza infermieristica è la paura del coinvolgimento emotivo. L’infermiere non si sente sicuro e preparato ad affrontare situazioni che esplorano le dimensioni emotive e che toccano, in qualche modo, anche la sfera intima della propria persona. Si sviluppa quindi il concetto del “toccare è essere toccati”, dalle mani, dalla situazione e dalle emozioni, per l’assistito e per il professionista. Alcuni infermieri, durante le interviste, hanno accennato all’importanza del tema e alle scarse conoscenze su uso, significato e percezioni legate al tocco. Il professionista dovrebbe conoscere i significati che il contatto fisico assume per l’assistito, dovrebbe conoscerne le caratteristiche e i più importanti risultati in merito alle indagini svolte, al fine di poter riflettere e operare con un occhio nuovo considerando l’assistito come essere umano che chiede vicinanza e sicurezza e non solo terapia. Inoltre può essere un vantaggio, per il benessere degli assistiti, degli infermieri ma anche per la qualità delle cure, aiutare gli infermieri, attraverso la formazione e l’esperienza, a stabilire una relazione positiva con i pazienti attraverso il tocco, senza essere bloccati dalla sofferenza che potrebbero percepire e provare (Pedrazza, 2015).
In conclusione, lo studio ribadisce che il contatto fisico è già parte integrante del modo di operare del professionista in determinati ambiti e situazioni. Sebbene i risultati ottenuti non abbiano chiarito in modo esaustivo le discordanze sull’argomento emerse dalla letteratura, tale indagine vuole essere un punto di partenza per ricerche future che vedano nel contatto fisico di tipo non procedurale uno strumento per portare beneficio alla condizione fisica dell’assistito, in particolare per la gestione del dolore e delle situazioni di ansia, ma anche più in generale per sostenere il paziente da un punto di vista psicologico e sociale. La discussione del tema vuole essere, inoltre, per tutti gli infermieri un motivo di riflessione sul modo di osservare, conoscere e operare all’interno della relazione di fiducia.
Per quanto sia impossibile determinare risultati validi per tutti gli assistiti, è importante cercare di capire il significato che il tocco assume per ognuno, così da trasformare la relazione infermiere-assistito in relazione di fiducia e di aiuto e riscoprire di essere persona, prima ancora di operatore di cura.
 

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Bibliografia

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