RIASSUNTO
Introduzione L’evoluzione dei bisogni di salute espressi dai cittadini in questi ultimi vent’anni e i cambiamenti che hanno riguardato sia i luoghi di cura, sia le competenze espresse dai diversi professionisti della salute, pongono interrogativi circa i caratteri che assume il ruolo dell’infermiere. Lo scopo di questo studio è di esplorare la natura e le caratteristiche dell’assistenza infermieristica in Italia e i fattori rilevanti dell’attuale fase di sviluppo della professione, attraverso le percezioni, le opinioni, le valutazioni, le aspettative e i valori degli infermieri.
Materiali e metodi E’ stato effettuato uno studio qualitativo di tipo fenomenologico. Sono stati arruolati con metodo propositivo 144 infermieri afferenti a 24 strutture sanitarie pubbliche e private della Regione Lombardia. Sono stati effettuati e trascritti 18 focus group. Per l’analisi dei dati è stato utilizzato il metodo fenomenologico di Colaizzi.
Risultati La pratica infermieristica è costituita da un’attenzione ai bisogni del paziente che assume forme di decisionalità differenti in funzione delle relazioni con gli altri professionisti, del contesto operativo di appartenenza e del tempo a disposizione. Il sapere che guida l’agire infermieristico è descritto in modo sfumato, si definisce l’importanza dell’esperienza quale fattore che orienta l’azione, e i modelli concettuali infermieristici non sono esaustivi nel fornire una cornice di lettura e di interpretazione dei bisogni delle persone assistite. Il sistema organizzativo viene vissuto come distante e le logiche burocratiche prevalgono su quelle processuali. In questo scenario l’infermiere tende ad assumere un ruolo di garanzia e di interconnessione tra i diversi attori del processo di cura.
Conclusioni Lo studio ha fatto emergere elementi di crisi, di tensione e di transizione. La “liquidità disciplinare”, le richieste di pazienti e caregiver e le nuove dimensioni del ruolo dell’infermiere sollevano necessariamente alcuni quesiti relativi alle competenze che il professionista stesso dovrebbe possedere per dare solidità al proprio agire. Il corpus professionale dovrebbe sentirsi chiamato a teorizzare nuovamente su chi sia l’infermiere, su quali saperi guidino il suo agire, su quali fenomeni di salute siano oggetto degli interventi autonomi e complementari messi in atto dal professionista.
Parole chiave: assistenza infermieristica, bisogni di salute, ricerca qualitativa, aspettative, ruolo, decisionalità
Which health needs do nurses deal with? A multicenter qualitative study
ABSTRACT
Introduction The evolving of the health needs expressed by citizens in the last 20 years and the changes of both health care facilities and the expertise of the health professionals, raise questions about the features of nursing role. This study aims to explore the nature and the features of the Italian nursing care as well as its development through the nurses’ perceptions, opinions, assessments, expectations and values.
Materials and methods A phenomenological qualitative study has been conducted. 144 participants have been recruited on voluntary basis from 24 private and public health care facilities of Lombardy region. 18 focus groups have been conducted and integrally transcribed. Data have been analyzed with Colaizzi phenomenological method.
Results Nursing means taking care of patients’ needs, which involves different decision-making processes depending on relations with other professionals, work place and time. The description of the knowledge guiding nurses’ actions is not clear, the experience is considered as an action-guiding factor and the nursing conceptual models are not exhaustive enough to make patients’ needs fully understandable. The organizational system is perceived as far off and bureaucracy prevails over actions. In this scenario, nurses take up the role of controller and networker among the different actors involved in the healthcare process.
Conclusions The study highlighted some elements of crisis, tension and transition. The discipline liquidity, the patients and caregivers’ requests and the role that nurses assume today inevitably rise some questions about what kind of skills the professional should have to act validly. Professionals should theorize again on who nurses are, what guides their actions, what health needs represent the core of autonomous and supported intervention carried out by the professional.
Keywords: nursing, health needs, qualitative research, expectations, role, decision-making
INTRODUZIONE
E’ passato un ventennio dall’emanazione del profilo professionale dell’infermiere (d.m. n. 739/1994), pietra miliare per la professione tutta, nel quale viene statuito che l’infermiere “partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività […] identifica i bisogni di assistenza infermieristica […] e formula i relativi obiettivi; […] pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico”.
Nel nostro Paese, questi ultimi vent’anni di vita dei sistemi sanitari sono stati attraversati da orientamenti, tendenze e cambiamenti che hanno aperto lo spazio a una riflessione sulle interconnessioni e sugli esiti che tali orientamenti hanno determinato nei caratteri che oggi assume la presa in carico dei bisogni di salute delle persone da parte degli infermieri. In particolare, si possono identificare alcuni ambiti generali di trasformazione che paiono emergere e manifestarsi come elementi di stringente attualità e che possono influire sulla presa in carico sopradescritta. Anzitutto, i cambiamenti di natura demografica della popolazione italiana e, più in generale, l’evoluzione dei bisogni manifestati dai pazienti e dai caregiver: oggi assistiamo alla comparsa di nuovi bisogni di salute e, soprattutto, all’affermazione di nuove modalità di percepire, concepire, manifestare e porgere tali bisogni nelle relazioni con gli operatori sanitari (Castaldi S, 2013). In secondo luogo, questi anni hanno visto proporre una modifica della concezione dei luoghi entro i quali si sostanziano le attività di risposta ai bisogni di salute dei cittadini (Manzoni E, 2013); l’attenzione sempre crescente al potenziamento dell’assistenza sul territorio e le molteplici proposte di riorganizzazione del sistema sanitario, verso il ridimensionamento della centralità della struttura ospedaliera e verso l’individuazione di modelli organizzativi aventi lo scopo prioritario di rispondere, anche strutturalmente, alle modifiche della domanda di salute dei cittadini, rappresentano alcuni esempi in tal senso.
E’ in questo scenario generale che le diverse professioni di cura posizionano le proprie reciproche specificità disciplinari e nel quale, altresì, si colloca la dinamica del ruolo dell’infermiere nelle attuali organizzazioni sanitarie; “ruolo” inteso nell’accezione sociologica più propria, cioè come comportamento atteso in un sistema di relazioni. Oggi, il professionista infermiere è chiamato a dare senso alla propria attività − in particolare nella costante ridefinizione della relazione con gli altri operatori e con i pazienti stessi − in una forma che parrebbe oscillare tra l’essere elemento passivo del funzionamento autonomo di un’organizzazione-macchina e il definirsi invece professionista che scambia autonomia e responsabilità, un “auto-re” (Cavicchi I, 2011), in un’organizzazione più attenta alle sue sostanziali finalità, anche attraverso forme di responsabilizzazione degli operatori sanitari su modelli manageriali, competenze e procedure di tipo gestionale che si manifestano nelle più attuali posizioni e funzioni strettamente connesse a tali finalità (risk manager, case manager, quality auditor, eccetera).
Le riflessioni sul ruolo dell’infermiere chiamano inevitabilmente in causa la questione disciplinare, così come tradizionalmente intesa. Parrebbe, infatti, che l’assodata tradizione del “bisogno di assistenza infermieristica”, come fondamento e ambito specifico ed esclusivo della ricerca e della pratica infermieristica, non sia più in grado di reggere, da solo, la complessità dei bisogni e delle domande di salute degli assistiti. Le istanze di pluralismo disciplinare e scientifico, di approccio critico e anti-riduzionista e di cambiamento di verso nella relazione tra “teoria e pratica” sono percepite ed espresse in forma sempre più chiara, così come pare più delineata l’urgenza di sottoporre a maggiore capacità critica le classiche teorie dell’infermieristica (Manara DF, 2007).
Le trasformazioni sopracitate si crede possano inevitabilmente influenzare le istanze e le aspettative di sviluppo professionale percepite ed espresse da parte degli stessi infermieri, aspetti strettamente connessi alla natura, all’evoluzione e alle caratteristiche sia della pratica, che gli infermieri realizzano (l’assistenza infermieristica), sia della natura dei saperi a cui gli infermieri stessi attingono per assicurare la medesima pratica (l’infermieristica come “sapere” e disciplina scientifica).
Per tali motivazioni il Consiglio direttivo dell’Accademia di scienze infermieristiche (ASI) ha dunque deliberato di sviluppare, nel triennio 2012-2015, un progetto di ricerca sul tema “Di quali bisogni di salute si occupa l’infermiere?”. In tal modo l’ASI ritiene di contribuire all’approfondimento di una questione fondativa e tuttora attuale dell’infermieristica, strettamente connessa all’identità dell’infermiere, alla natura del sapere della propria disciplina e della pratica assistenziale, compresa la sua relazione con la persona assistita, gli altri professionisti della salute e il contesto generale. Tale progetto ha trovato nella Cattedra di scienze infermieristiche dell’Università degli Studi di Brescia specifiche forme di collaborazione scientifica e operativa.
Lo scopo del presente lavoro è di esplorare la natura e le caratteristiche dell’assistenza infermieristica attualmente esercitata in Italia e i fattori rilevanti dell’attuale fase di sviluppo della professione infermieristica mediante l’interpretazione di percezioni, opinioni, valutazioni, aspettative e valori degli infermieri.
MATERIALI E METODI
Disegno di studio
E’ stato effettuato uno studio qualitativo di tipo fenomenologico.
I dati sono stati raccolti attraverso la tecnica del focus group.
Per il reporting della ricerca sono state seguite le linee guida riportate nel documento Consolidated criteria for reporting qualitative research (COREQ), di Tong e colleghi (Tong A et al., 2007).
Partecipanti
I partecipanti, arruolati con metodo propositivo, sono stati reclutati in strutture sanitarie pubbliche e private della Regione Lombardia. Le persone coinvolte nei gruppi sono state distribuite eterogeneamente e per stratificazione secondo i seguenti criteri:
- ambito operativo di provenienza (6 categorie): aree medica, chirurgica, critica e delle cure intensive, psichiatrica e della salute mentale, delle cure domiciliari, della residenzialità protetta e della riabilitazione;
- anzianità di servizio (2 categorie): “giovane”, con esperienza lavorativa inferiore a 5 anni, e “anziano”, con esperienza lavorativa superiore ai 5 anni;
- struttura di appartenenza (4 categorie): ospedale per acuti pubblici o privati, ASL e/o servizi territoriali, residenze sanitarie assistenziali e case di riposo e strutture riabilitative, associazioni e studi professionali.
Modalità di conduzione dei focus group
La realizzazione dei focus group è stata affidata a un gruppo di ricerca composto da 16 infermieri opportunamente formati alla conduzione di questo tipo di indagini.
Per garantire l’affidabilità dell’intero percorso (Polit DF et al., 2004) è stato realizzato un focus group iniziale, utilizzato come test per il perfezionamento del metodo e degli strumenti di raccolta dei dati e per una più precisa definizione dei criteri di controllo della procedura di conduzione dell’intervista.
Successivamente, la raccolta dei dati è stata effettuata nel periodo compreso tra dicembre 2013 e febbraio 2014, presso le 24 strutture sanitarie della Regione Lombardia che hanno autorizzato l’indagine sulla base di specifici accordi di collaborazione tra il comitato scientifico e le direzioni infermieristiche delle strutture stesse.
I focus group sono stati realizzati presso strutture sanitarie denominate “capofila”, individuate e organizzate in quattro macroaree territoriali regionali, e sono stati suddivisi in tre sottogruppi, ciascuno dei quali è stato oggetto di approfondimento di specifiche tematiche (vedi Tabella 1).
La tabella 1 mostra lo schema organizzativo adottato per la distribuzione dei partecipanti.
Ciascun focus group è stato gestito da almeno due membri del gruppo di ricerca, uno con il ruolo di conduttore e l’altro con il ruolo di osservatore. I dati sono stati raccolti nel rispetto dell’anonimato e dopo aver ottenuto l’esplicito consenso scritto da parte dei partecipanti.
Ciascuna intervista realizzata nei focus group è stata condotta secondo una procedura articolata nella forma riportata nella tabella 2.
Modalità di analisi dei dati
Le interviste sono state audio registrate e successivamente trascritte integralmente.
Per l’analisi dei dati ci si è avvalsi del metodo fenomenologico di Colaizzi (Colaizzi PF, 1978), seguendone i relativi passaggi ed esercitando il bracketing (Fain JA, 2004) in tutte le fasi. Per garantire l’affidabilità dell’intero percorso di ricerca, l’analisi e la codifica delle trascrizioni sono state condotte in modo indipendente dai ricercatori e dai membri del comitato scientifico ed è stata successivamente effettuata una validazione consensuale.
Non è stato usato un software per l’analisi dei dati.
L’analisi si è conclusa al raggiungimento della saturazione dei dati, quando non emergevano elementi nuovi.
Il member checking si è realizzato in un incontro plenario durante il quale sono stati condivisi i materiali prodotti ed è stato possibile individuare alcuni aspetti meritevoli di precisazione.
Considerazioni etiche
La partecipazione al focus group è avvenuta su invito ed era su base volontaria. E’ stato chiesto a tutti i partecipanti un consenso scritto per la registrazione audio della discussione. La ricerca si è svolta secondo le linee guida di Helsinki ed è stata autorizzata dalle direzioni infermieristiche degli enti coinvolti.
RISULTATI
In totale sono stati effettuati 18 focus group con 134 partecipanti su un totale di 144 persone invitate (93% di adesione); i rimanenti 10 (7%) non hanno partecipato per l’impossibilità di presentarsi al focus group per imprevisti e impegni professionali o personali. In questi casi, il comitato scientifico ha ritenuto di non chiedere alla persona assente di partecipare a focus group successivi, per non alterare la stratificazione definita in sede metodologica.
Ciascun focus group è durato mediamente tre ore.
La tabella 3 mostra le principali caratteristiche sociodemografiche dei partecipanti.
Il lavoro di analisi ha consentito di individuare 2.296 significati, che hanno dato luogo all’identificazione di 26 gruppi di temi, di cui 5 emergenti. In Appendice 1 a pagina e101 sono riportate alcune frasi significative tratte dai focus group, suddivise per tematica.
La natura della pratica assistenziale
“Ci occupiamo di tutto”
Rappresenta il primo pensiero più frequentemente espresso in risposta alla domanda che ha introdotto i focus group, ovvero: “di cosa vi occupate nella pratica clinica?”.
Occuparsi di tutto significa anzitutto prendersi carico del paziente “a 360°”, nella sua totalità, in una dimensione che vede la persona come portatrice di tutti i bisogni e l’infermiere come colui che se ne occupa.
L’idea trasmessa è altresì quella di un’assistenza infermieristica totale, che si esprime in attività di sostituzione, di aiuto, di indirizzo volte a rispondere ai bisogni, ai problemi e alle esigenze della persona assistita.
Occuparsi di tutto, significa inoltre “fare di tutto”, in un contesto di contrazione delle risorse.
La pratica è eseguire attività
La dimensione tecnica dell’assistenza infermieristica occupa sicuramente un posto di rilievo nell’agire quotidiano degli infermieri intervistati, i quali sovente raccontano ciò di cui si occupano attraverso l’elencazione di una serie di attività, azioni e procedure – all’interno delle quali la gestione della terapia farmacologica è predominante – che appaiono costituite da un’elevata standardizzazione e ancorate a un modello organizzativo essenzialmente di tipo funzionale: la frequente affermazione “facciamo i giri” è, infatti, emblematica in tal senso.
“Ci occupiamo dei bisogni”
Gli infermieri utilizzano sovente la parola “bisogno” per descrivere gli ambiti di intervento dell’agire quotidiano; meno frequentemente vengono invece accostati alla parola “bisogno” gli elementi qualificatori e descrittivi del concetto espresso.
I bisogni primari o di base − così definiti − rappresentano un’area di gestione infermieristica particolarmente citata, sia in riferimento all’ambito di autonomia decisionale, sia in merito alla relazione con le figure di supporto: questi professionisti, che in taluni contesti operativi − anzitutto i reparti definiti “meno specialistici” − diventano i soggetti principalmente coinvolti nel soddisfacimento dei bisogni primari, anche per via della mancanza di tempo che vede l’infermiere più coinvolto in altre attività.
Gestire il bisogno significa anzitutto effettuare una valutazione atta a identificarne la presenza e, in secondo luogo, a mettere in atto interventi volti a soddisfarlo, in un regime di autonomia/dipendenza che risulta molto diversificato a seconda dei contesti operativi e delle relazioni tra professionisti.
La pratica è valutare/accertare
La pratica clinica è inoltre pregna di attività di accertamento, valutazione e monitoraggio. Gli infermieri valutano in continuazione e con competenza moltissimi aspetti attraverso l’osservazione e l’utilizzo di scale di valutazione, il tutto mediato dall’esperienza e dal contesto. Valutare è fondamentale sia per “leggere” i bisogni del paziente, sia per raccogliere dati utili da riferire al medico in un rapporto interprofessionale di sinergia, vissuto in parte come collaborazione e in parte come dipendenza.
La pratica è informare/educare
Dalla totalità dei focus group emerge che gli infermieri si occupano di informare i pazienti e i caregiver, di educarli all’autocura, di promuovere l’autogestione domiciliare di aspetti assistenziali specifici. La fase di dimissione, per l’infermiere, è il momento di maggiore richiesta di sostegno alla gestione domiciliare e di maggiore impegno informativo/educativo.
Si constata una generale inadeguatezza quali-quantitativa degli interventi educativi per mancanza di tempo e poca consapevolezza dell’importanza attribuita sia da parte dei pazienti sia dei professionisti stessi.
La pratica è relazione
Una tematica spesso emersa riguarda la relazione che intercorre tra l’infermiere e il paziente/caregiver, in particolare nei caratteri che assume, negli esiti e nelle criticità. Anzitutto, la relazione rappresenta il principale strumento per creare e rafforzare il rapporto di fiducia. Infatti, è più volte descritta l’importanza di prendersi carico sia del paziente sia dei familiari, sin dal primo incontro, e gli effetti della vicinanza relazionale in termini di riduzione di stati d’animo quali paura e ansia, particolarmente presenti soprattutto nei familiari dei pazienti. La fiducia è dunque l’elemento su cui si fonda la relazione d’aiuto e rappresenta la base a partire dalla quale costruire il percorso assistenziale. Porsi in atteggiamento di ascolto aiuta altresì il paziente e il familiare nel percorso di accettazione della malattia, dona sollievo e conforto e migliora l’adesione ai trattamenti, in uno scenario in cui l’infermiere è visto come il principale punto di riferimento, considerazione che emerge anche in altre tematiche.
Il contatto con il paziente e l’essere di sostegno a lui e ai familiari da una parte gratifica e viene riferito come principale elemento di soddisfazione, dall’altra viene vissuto come il peso emotivo conseguente al coinvolgimento nella relazione.
La pratica è documentare
“Troppa burocrazia”, questa è l’affermazione che sintetizza un pensiero dominante nella totalità dei focus group effettuati. Gli infermieri si occupano di documentare, molto più che in passato; compilare cartelle infermieristiche, scale di valutazione e richieste di varia natura richiede molto tempo (“ogni giorno un foglio in più, una scheda nuova”) che viene sottratto all’assistenza al paziente. Gli infermieri si vedono più occupati in attività documentarie piuttosto che in attività di contatto con il paziente, che sono sempre più affidate agli operatori di supporto.
Bisogni e attese di pazienti e caregiver
I pazienti manifestano un sostanziale bisogno di ascolto e di ricevere informazioni esaustive. Le informazioni maggiormente richieste riguardano la diagnosi, il proprio stato di salute e il percorso clinico/terapeutico successivo al ricovero. Il paziente si rivolge all’infermiere in quanto considerata la figura professionale più prossima e richiede di essere supportato nelle decisioni, di essere trattato come persona e rispettato nella sua fragilità e unicità. Mentre il paziente “subisce” la malattia, il caregiver “subisce” la gestione della malattia; per tale motivo, le attese dei caregiver sono riferite a ricevere informazioni di tipo clinico e assistenziale, rivolte a renderli capaci di gestire la situazione clinica del proprio caro al domicilio.
Molto spesso non c’è corrispondenza tra le richieste manifestate da pazienti e caregiver e le possibilità di fornire risposta da parte degli infermieri; vengono identificate situazioni nelle quali qualcun altro interviene in risposta alle richieste (operatori socio sanitari, familiari, assistenti informali) e, sporadicamente, emergono bisogni non soddisfatti da nessuno in quanto l’infermiere non possiede competenze e/o tempo per rispondere e nessun altro professionista si prende carico della domanda che, pertanto, rimane inevasa.
Infermieri e caregiver
Un aspetto ricorrente in tutti i focus group riguarda la constatazione che i familiari sono sempre più presenti nei luoghi di cura rappresentando sia un ostacolo sia una risorsa. Vengono sottolineate la difficoltà a gestire il confronto con familiari sempre più informati, diffidenti e sfiduciati nei confronti di medici e infermieri, e il disagio causato dal mancato riconoscimento del ruolo e delle competenze dell’infermiere. I familiari rappresentano però una risorsa, sia come fonte di informazione sia come punto di riferimento per il paziente in termini di supervisione e aiuto nelle attività della vita quotidiana, in risposta alle croniche carenze di organico.
I saperi dell’infermieristica
Per ciò che concerne la natura del sapere, dai focus group emerge una conoscenza che può essere ricondotta prevalentemente a un sapere teorico, acquisito con la formazione di base e permanente, e un sapere pratico, dato dall’esperienza e dal confronto quotidiano con i pazienti e i loro familiari. In molti casi si riconosce un’equivalenza tra le diverse forme di conoscenza, utilizzate come binomio inscindibile e nello stesso tempo dicotomico. In alcuni casi il fattore determinante è l’esperienza.
Il sapere procedurale è considerato importante per guidare e supportare la presa di decisioni e intervenire in modo autonomo, in particolare nella gestione dei trattamenti farmacologici.
Oltre alle modalità classiche (formazione/esperienza) l’infermiere recupera il sapere nel confronto quotidiano tra i diversi professionisti. Molti identificano come punto di riferimento il collega esperto, soprattutto nel caso dell’infermiere neofita. Si riconosce anche nel paziente e nei parenti una fonte importante di conoscenza per comprendere i problemi di salute e per rispondervi. Nel confronto quotidiano con i colleghi esperti, con i medici e gli altri professionisti si acquisiscono nuove conoscenze e competenze.
I contenuti della conoscenza teorica sono stati indagati con domande dirette, poiché non emersi spontaneamente dalla discussione. I partecipanti hanno risposto fornendo un elenco di ciò che consideravano sapere teorico: scienze biomediche (anatomia, fisiologia, patologia, farmacologia, eccetera), psicologia, pratica basata su prove di efficacia (evidence-based practice), osservazione e raccolta dati e modelli concettuali infermieristici.
Il riferimento a modelli concettuali è emerso solo a domanda specifica; i più citati sono il modello delle prestazioni infermieristiche e la teoria dei bisogni della corrente hendersoniana. Molte considerazioni mettono in luce come il modello concettuale può essere una guida, ma non è esaustivo per affrontare i fenomeni di salute di cui si occupa l’infermiere; inoltre, frequentemente, esso è ritenuto un limite/ostacolo, soprattutto quando richiede una compilazione eccessiva della documentazione o quando vissuto come burocrazia.
Decisionalità, autonomia e responsabilità
Come può essere appellata la decisione partendo dai racconti degli infermieri? Gli infermieri hanno utilizzato molte locuzioni per descrivere le decisioni dando evidenza di un processo molto variegato in cui vengono assunte posizioni diversificate, nelle quali, frequentemente, decisione e autonomia sono utilizzati in modo correlato e a volte come sinonimi: “agire da solo”, “un agire orientato”, “prendere una decisione”, “assumere una decisione”, “decidere”, “processo decisionale”, “decisione”, “decisione autonoma”, “la decisione scaturisce da un confronto, si colloca dentro a una storia”.
La decisione è descritta come un fenomeno contestualizzato. Il contesto è il luogo in cui si svolge il lavoro ma anche la situazione caratteristica in cui si è chiamati ad agire. Il luogo ricorrente è il proprio reparto e il contesto è citato per evidenziare la specifica funzione dell’infermiere mentre non è invece utilizzato per collocarsi all’interno di un sistema più generale.
Quando si parla di decisione gli infermieri individuano i soggetti delle scelte, più che i contenuti, e questi possono essere espressi sia in forma singola, sia collegiale (insieme di specifici professionisti o équipe); sono infermieri, medici, altri professionisti, paziente e familiari. Prevalentemente parlano di sé ma citano spesso la coppia infermiere-medico. Gli altri professionisti sono delle rare apparizioni, i pazienti e/o le loro famiglie non sono quasi mai coinvolti nel processo decisionale e nei rari casi in cui accade pare che questo sia più sbilanciato a favore della famiglia rispetto al paziente.
Un approfondimento a sé merita la descrizione del processo decisionale che si sviluppa tra infermiere e medico. Questa coppia, frequentemente citata, pare influenzata soprattutto dalla relazione interna che si muove sull’asse della fiducia e del riconoscimento e/o sui confini e sconfinamenti tra le specifiche competenze professionali. Gli infermieri hanno sottolineato come, nella quotidianità lavorativa, siano presenti tensioni tra gli ambiti di competenza delle due professioni. Nel processo decisionale l’infermiere gioca la sua autonomia e collaborazione con il medico attraverso una grande varietà di posizioni: sostituisce il medico in sua assenza, anticipa le richieste del medico, mette a disposizione dati e valutazioni, assume il ruolo di suggeritore, accetta e/o subisce prescrizioni dal medico per prestazioni autonome proprie. Queste sovrapposizioni, sconfinamenti e ingerenze sono per lo più vissute con fatica.
La maggioranza delle decisioni riguardano l’operatività dell’infermiere, le azioni in sé. Si pone l’accento sul “fare” del professionista. In misura minore sono stati citati esempi in cui le decisioni sono richiamate come scelte di trattamento dei problemi del paziente, vengono focalizzate le alterazioni di salute e i quadri clinici che sono la cornice in cui si iscrivono le scelte dell’infermiere, ed esempi in cui le decisioni tengono in considerazione le connessioni con i vari operatori, presenti in differenti momenti. In questo caso c’è più attenzione agli altri professionisti. La descrizione delle attività è collocata in uno sviluppo temporale, c’è un prima e un dopo. Pur parlando talvolta di “percorso del paziente”, non sono invece sottolineati i differenti contesti di cura in cui questo si sviluppa.
L’infermiere e il sistema organizzativo
Gli infermieri delineano un’organizzazione in cui gli obiettivi son definiti e calati dall’alto, senza il coinvolgimento del corpus professionale. L’autorità viene esercitata in modo formale e più ci si allontana dalla propria posizione funzionale più si vive il distacco con l’autorità. Gli infermieri si sentono frustrati dalla carenza di attenzione nei loro confronti, descrivono una direzione infermieristica lontana, per la quale ciò che conta non sono le persone, intese come risorsa, ma l’efficienza e la funzionalità.
Gli infermieri, in misura meno rilevante, hanno rappresentato invece un’organizzazione in cui la bussola di rifermento è costituita dai bisogni espressi dai pazienti e dai caregiver e il percorso dei professionisti è soprattutto orientato al loro soddisfacimento e nella quale è importante l’integrazione tra le prestazioni dei singoli professionisti. In questo scenario viene descritta un’autorità esercitata in funzione del possesso di conoscenze e competenze, la leadership appare di tipo partecipativo e gli obiettivi non sono predeterminati ma negoziati e stabiliti con i professionisti. Anche la comunicazione è orientata a tutelare e presidiare gli obiettivi attraverso un continuo lavoro di negoziazione e consenso.
Gli infermieri chiedono all’organizzazione di essere messi nelle condizioni di fare quel “tutto” di cui si occupano e c’è il desiderio, spesso non esaudito, di poter rappresentare e vedere riconosciuto compiutamente il proprio lavoro.
Nell’organizzazione, gli infermieri si attribuiscono un ruolo di connessione: la prossimità con il malato li pone nella situazione di gestire l’insieme. La presenza continua e la vicinanza inducono l’infermiere a rendersi disponibile, una disponibilità che è percepita anche come una forzatura, ovvero l’infermiere non si può sottrarre alle richieste dell’utente e del sistema. Questa posizione centrale, di interfaccia, è gestita con modalità differenti.
Molto diffusa è la definizione “essere punto di riferimento” per il paziente e il caregiver, nonché all’interno dell’équipe. In misura minore, l’infermiere assume il ruolo di collegamento all’interno del contesto in cui opera: rende disponibili informazioni che indirizzano gli altri operatori, in particolare quelle del medico verso il paziente. In misura analoga, l’infermiere svolge un ruolo di indirizzo e coordinamento degli attori e delle attività clinico-assistenziali. In questo caso non solo si mette in contatto con gli altri professionisti ma mette i vari professionisti in contatto tra di loro e li attiva a prendersi in carico i problemi del paziente.
DISCUSSIONE
Le tematiche emerse dall’analisi hanno fornito molteplici spunti di discussione e hanno permesso di individuare alcuni aspetti che orientano alla formulazione di alcune ipotesi riguardanti l’attuale collocazione dell’infermiere nei servizi sanitari, la natura della pratica infermieristica e del suo sapere, le trasformazioni del ruolo professionale, nonché alcuni tra i principali elementi che compongono l’identità dell’infermiere oggi.
Di quali bisogni di salute si occupa l’infermiere?
Dalle parole degli intervistati parrebbe delinearsi una pratica indifferenziata, il cui focus è rappresentato da quel “ci occupiamo di tutto” che orienterebbe a una visione del campo di attività e responsabilità dell’infermiere in cui vengono oltrepassati i confini normativi della pratica e della tradizione scientifica e culturale della professione. I modelli concettuali, i metodi e gli strumenti della disciplina infermieristica sono infatti stati costruiti non per un “tutto”, bensì per un preciso scopo evolutivo della professione infermieristica, ovvero la risposta a un particolare bisogno di salute degli assistiti tale da configurare una precisa parte, distinta da quella delle altre professioni sanitarie.
La parola “bisogno” è stata certamente tra le più ricorrenti nei focus group, espressione che lascia a intendere quanto il bisogno rappresenti un elemento costitutivo dell’essere infermiere, pur se descritto in modo indifferenziato e talvolta mettendo in atto un’operazione di gerarchizzazione. Infatti, pare affiorare una concezione di bisogno molto vicina all’etimo della parola stessa (bisogno inteso come necessità a cui far fronte) più che alla visione disciplinare che tradizionalmente accompagna il pensiero sul concetto stesso di bisogno, e un orientamento alla definizione di priorità nella presa in carico dei bisogni di salute degli assistiti che sono determinate prevalentemente da due fattori: il luogo in cui si situa l’attività dell’infermiere e le istanze dell’organizzazione e degli altri professionisti − in primis la figura del medico − determinando appunto il fenomeno che qui definiamo “gerarchizzazione del bisogno di salute”.
Inoltre, gestire i bisogni si configura principalmente in attività di accertamento che vedono tendenzialmente un passaggio diretto alla fase di attuazione; il percorso diagnostico e di pianificazione (Wilkinson JM, 2013) appare infatti molto sfumato e non ben identificato. Le considerazioni finora effettuate fanno emergere una fragilità identitaria del bisogno disciplinarmente inteso e mettono altresì in evidenza alcuni elementi che pongono in crisi quella forma di conoscenza definita da Carper (Carper BA, 1978) come “sapere teorico-teorico” che appare, agli occhi degli infermieri intervistati, non più sufficiente a leggere i bisogni e le istanze che gli assistiti portano con sé. In altre parole, il sapere che guida la pratica infermieristica non sembrerebbe più rappresentato da un modello teorico disciplinare sistematico dell’infermieristica, nucleo sul quale si è coagulato, fin dagli anni Ottanta per almeno due decenni, lo sforzo della comunità scientifica e professionale per sviluppare la scienza infermieristica, l’attività di ricerca e la modernizzazione della formazione di base e post base. Parrebbe peraltro delinearsi, seppure in forma tuttora abbozzata, una tensione culturale e scientifica: la teoria che nasce dalla pratica e che si fonda sull’esperienza che l’infermiere costruisce al letto del malato, confermando in tal modo alcuni orientamenti della letteratura sul tema (Polanyi M, 1958, Benner P, 1984; Manara DF, 2002).
Per ciò che riguarda la sfera di decisionalità dell’infermiere, appare emergere un orientamento alla presa decisionale influenzato prevalentemente dal contesto operativo di appartenenza e dal tipo di relazione che si instaura con i diversi soggetti chiamati in causa nel processo decisionale (anzitutto il legame di fiducia con il medico); la decisione in merito al percorso di risoluzione dei problemi di salute e i contenuti stessi della decisione appaiono molto sfumati, mentre emerge una presa decisionale spiccata e orientata alle prestazioni/attività. Numerose frasi significative fanno altresì affiorare alcuni elementi indicativi di una tensione verso lo sviluppo di competenze specialistiche di tipo estensivo, piuttosto che espansivo (Sironi C, 2008). Valutazione e decisionalità parrebbero infatti trasferirsi dall’ambito che dovremmo considerare più proprio − il processo di assistenza infermieristica in risposta a un bisogno di assistenza infermieristica − a quello tradizionalmente occupato dal medico, verso il quale è in atto spesso un modello di supplenza o di tentata sostituzione − per cause spesso determinate dalla presenza continua dell’infermiere al letto del malato, piuttosto che del medico − che alimenta la sopracitata tensione a competenze di tipo estensivo.
Ecco allora che il sapere infermieristico può essere definito come una “disciplina liquida”, cioè una disciplina che si adatta al vaso dell’organizzazione, al luogo e all’atteso e che le trasformazioni del contesto, degli attori e del sistema salute stanno rendendo molto incerta.
L’approfondimento delle tematiche legate al ruolo dell’infermiere all’interno delle organizzazioni di cura ha permesso di identificare alcuni elementi che sembrerebbero caratterizzare l’attuale posizionamento del professionista nel sistema sanitario e le dimensioni peculiari che esso assume.
Gli infermieri dei focus group parlano del loro agire a partire da due istanze fondamentali: da un lato, i nuovi bisogni di salute delle persone, dei familiari, della società stessa, che risultano eccedenti rispetto alle risposte che l’infermiere fornisce o è in grado di fornire, in particolare per quanto riguarda gli aspetti relazionali (così tanto presenti nelle parole degli intervistati); dall’altro, le richieste che conseguono alle transizioni in atto nel sistema socio-sanitario, nei servizi e nei modelli organizzativi degli ospedali e delle altre strutture che compongono il sistema stesso. In questo scenario pare delinearsi la figura di un professionista modellato da un’organizzazione “lavatrice” (Cavicchi I, 2011) vissuta come entità a se stante e come macchina burocratica che impone dall’alto priorità, obiettivi e compiti, più che definita in funzione delle nuove domande di salute delle persone assistite; gli infermieri soffrono perché “non hanno tempo”, cioè non riescono a rispondere a un bisogno espresso ma si offrono per garantire, in forme tra loro molteplici, il funzionamento dell’organizzazione in cui si trovano. Emerge dunque un elemento di transizione degno di nota: negli interstizi di un modello organizzativo meccanicistico si intravede un movimento evolutivo del ruolo dell’infermiere, che pare spostarsi da funzioni assistenziali dirette a funzioni di interconnessione dei processi di cura (in cui si collocano i nuovi ruoli oggi richiesti dalle organizzazioni: case manager, risk manager, quality controller, eccetera). Rispetto a queste funzioni il professionista stesso sembra assumere un atteggiamento ambivalente nella considerazione morale, da un lato, della consapevolezza che un “sistema curante” sembra affrontare in forma più efficace e giusta il bisogno di salute del malato e, dall’altro, che le strategie di coloro che detengono il potere nelle organizzazioni sanitarie sembrano più orientate al funzionamento efficiente della “macchina”, piuttosto che al bene della persona assistita. L’infermiere si presenta pertanto come il garante che sfrutta, per quanto possibile, gli interstizi della macchina burocratica per inserirsi in una logica processuale di attenzione ai bisogni del malato e con una tensione morale che vede nell’advocacy la sua principale espressione fattuale.
CONCLUSIONI
I risultati della ricerca, non certamente generalizzabili ma potenzialmente trasferibili anche in contesti differenti da quelli in cui sono stati prodotti, hanno permesso di evidenziare alcuni elementi di crisi, di tensione e di transizione che riguardano il posizionamento dell’infermiere nei contesti in cui è chiamato a fornire il proprio contributo in risposta ai bisogni di salute espressi dai cittadini.
La complessità delle richieste di pazienti e caregiver, che paiono orientarsi verso un unico grande bisogno di relazione e di educazione all’autocura, il cambiamento dei luoghi di cura non più caratterizzati dalla tradizionale divisione ospedale-territorio quanto da una logica di percorso, il ruolo dell’infermiere che appare caratterizzato da funzioni cliniche che si accompagnano – in una sorta di relazione stringente e necessaria – a funzioni di garanzia e di governo dei processi assistenziali, solleva necessariamente alcuni quesiti relativi alle competenze che il professionista stesso dovrebbe possedere per dare solidità al proprio agire. Nell’era del dibattito sulle competenze specialistiche dell’infermiere, questi risultati possono fornire elementi di riflessione circa la necessità di dotare le istituzioni formative e organizzative di alcuni strumenti utili a far acquisire al professionista infermiere competenze che si muovono nella direzione dell’integrazione tra ruolo clinico e ruolo gestionale, che siano orientate al potenziamento della funzione relazionale ed educativa e che – aspetto assolutamente non marginale – si vedano opportunamente collocate e riconosciute all’interno delle organizzazioni di cura.
La “liquidità” disciplinare che emerge dai risultati non deve condurci nell’errore di concludere che tutto ciò che la scienza infermieristica ha costruito in questi ultimi vent’anni nel nostro Paese non abbia apportato esiti positivi. Noi crediamo piuttosto che sia maturo il momento in cui il corpus professionale tutto debba sentirsi chiamato a teorizzare nuovamente su chi sia l’infermiere, su quali saperi guidino il suo agire, su quali fenomeni di salute siano oggetto degli interventi autonomi e complementari messi in atto dal professionista, ma con una logica bottom-up, a partire quindi da quell’esperienza che i colleghi hanno descritto così determinante nel guidare il pensiero e l’azione professionale. Sarà questa una soluzione per il rilancio della disciplina infermieristica? Non lo possiamo affermare, certo rappresenta oggi un’ipotesi molto importante per impostare una linea di ricerca futura sull’evoluzione della nostra disciplina.
Conflitti di interesse dichiarati: lo studio è stato in parte finanziato dalla Cattedra di scienze infermieristiche dell’Università degli Studi di Brescia e dal Collegio IPASVI Milano-Lodi-Monza e Brianza (MI-LO-MB).
RINGRAZIAMENTI:
Un sentito ringraziamento a tutti i partecipanti ai focus group, nonché alle Direzioni aziendali, sanitarie e infermieristiche che hanno collaborato alla realizzazione di questo studio. Un particolare grazie va ai colleghi del gruppo di ricerca che hanno condotto i focus group: Carla Amigoni, Sara Bonfadini, Cristian Carbone, Federica Dellafiore, Antonella Franceschetti, Annamaria Gallo, Maria Josè Rocco, Desirée Matteotti, Silvana Panariti, Gianandrea Polonioli, Lorena Salvini, Mirella Sgobbi, Annamaria Tanzi, Mariangela Vanalli, Eleonora Zanella, Laura Zoppini. In ultimo, ringraziamo lo Studio di analisi psicosociale di Milano, nella persona di Francesco D’Angella, per il supporto metodologico alla conduzione dei focus group, e il Consiglio direttivo del Collegio IPASVI MI-LO-MB per il supporto sia nella fase di realizzazione del progetto, sia nella preparazione del convegno di presentazione dei risultati.