RIASSUNTO
Introduzione Le capacità empatiche e le strategie di coping vengono identificate come competenze infermieristiche cardine per fronteggiare efficacemente i problemi.
L’obiettivo di questo lavoro è misurare le capacità empatiche e le strategie di coping di un campione di infermieri di endocrinologia e diabetologia.
Materiali e metodi  Lo studio è di tipo osservazionale trasversale e considera un campione  di convenienza di 69 infermieri. Per rilevare le strategie di coping  è stato utilizzato il Coping Orientation to Problems Experienced-nuova  versione italiana (COPE-NVI) mentre per l’empatia il Jefferson Scale of  Physician Empathy nella versione HP2 (JSPE-HP2).
Risultati  Il punteggio medio complessivo ottenuto dagli infermieri nel COPE-NVI è  stato di 140 punti (DS=±12) mentre quello ottenuto nella JSPE-HP2 è  stato di 109 punti (DS=±12). Più della metà degli infermieri (52%) si  sono posizionati nella fascia corrispondente al più alto livello di  empatia (da 111 a 140). Non è emersa alcuna relazione statisticamente  significativa (p=0,568) fra l’empatia e il coping.
Conclusioni Gli infermieri specializzati in endocrinologia e diabetologia possiedono buoni livelli empatici e di coping; lo studio non ha individuato una correlazione fra i due indici.
Parole chiave: empatia, strategie di coping, infermieri, relazione, comunicazione
 
Empathic skills and coping strategies in a group of nurses: an observational survey
ABSTRACT
Introduction  Empathy skills and coping strategies are identified as basic nursing  competences to deal problems. The aim of the study is to measure empathy  skills and coping strategies in a sample of nurses of endocrinology and  diabetology.
Methods This is a cross-observational  study with convenience sample of 69 nurses. The Coping Orientation to  Problems Experienced-Italian new version (COPE-NVI) has been used to  measure coping strategies and the Jefferson Scale of Physician Empathy  HP2 version (JSPE-HP2) has been used to measure empathy skills.
Results  The overall average score of COPE-NVI was 140 points (SD=±12). The  average score of JSPE-HP2 was 109 points (SD=±12). More than half of  nurses (52%) have reached the highest level of empathy (range 111-140).  There was no statistically significant relationship between empathy and  coping.
Conclusions The nurses specialized in  endocrinology and diabetology have good empathic skills and coping  strategies although the study does not demonstrate correlation between  two indexes.
Keywords: empathy, coping strategy, nurses, relationship, communication
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INTRODUZIONE
A  causa della progressiva evoluzione scientifico tecnologica, negli  ultimi anni si è assistito a un costante incremento della popolazione  geriatrica con conseguente aumento di patologie croniche e di  comorbilità (Istat, 2013).
La figura infermieristica spesso  rappresenta l’anello di unione tra la persona e il percorso di cura  intrapreso dal paziente. Le competenze infermieristiche necessarie per  rispondere a tali bisogni sono sempre più ampie e vanno da quelle  tecniche e cognitive fino a quelle comunicativo-relazionali. Queste  ultime, spesso considerate come abilità individuali facoltative, sono  invece considerate non meno importanti delle competenze cliniche e  tecnico-operative (Decreto Ministeriale n. 739/1994).
L’infermiere  infatti è colui che aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte attraverso  un percorso di cura, adeguando la comunicazione alla sua capacità di  comprendere ed è colui che ascolta, informa, coinvolge l’assistito e  valuta con lui i bisogni assistenziali; infine sostiene i familiari e le  persone di riferimento dell’assistito (Silvestro A, 2009).
Per fare  fronte a un’efficace comunicazione è fondamentale sviluppare delle  capacità empatiche, ovvero un atteggiamento verso gli altri  caratterizzato da un impegno di comprensione dell’altro, escludendo  un’attitudine affettiva personale e il giudizio morale, per creare una  vera relazione di fiducia (Fields SK, et al., 2004). Rogers ha definito  l’empatia come “la capacità di percepire il mondo privato del cliente  come se fosse proprio, senza mai perdere la condizione del ‘come se’”  (Rogers CR, 2008). In termini più comuni l’empatia può essere indicata  come il “mettersi nei panni dell’altro”.
Due dimensioni dell’empatia  considerate determinanti al fine di generare una risposta empatica sono  la condivisione emotiva (componente affettiva) e la comprensione del  vissuto dell’altro (componente cognitiva) (Hojat M, et al., 2002). Un  professionista con un elevato livello di capacità empatiche non solo  saprà rispondere con maggiore efficacia ai bisogni della persona  assistita ma saprà anche accogliere e progettare un percorso di cura più  mirato e personalizzato, saprà lavorare maggiormente in gruppo e trarre  dall’esperienza professionale la massima ricchezza. A questo proposito  alcuni studi hanno osservato come a una maggiore capacità empatica sia  associato un migliore esito della malattia e una maggiore soddisfazione  degli operatori stessi (Kim SS, et al., 2004).
Per rispondere ai  bisogni della persona assistita in maniera olistica non è meno  importante la capacità dell’infermiere di sapere fronteggiare situazioni  stressanti, ovvero possedere quelle che vengono definite strategie di coping (Happell B, et al., 2013).
Il concetto di coping  può essere definito come la capacità di fronteggiare, gestire e  risolvere i problemi, ovvero l’insieme di strategie mentali e  comportamentali messe in atto per fronteggiare una situazione critica  (Beasley M, et al., 2003). La capacità di coping si riferisce  non soltanto alla risoluzione pratica dei problemi ma anche alla  gestione delle proprie emozioni e dello stress derivati dal contatto con  i problemi. Questi due aspetti sono ugualmente importanti ed entrambi  possono essere sviluppati: non sarebbe utile infatti sapere risolvere  concretamente un problema senza al contempo sapere gestire in maniera  fisiologica le emozioni scatenate dal problema stesso. Ogni evento in  grado di produrre una reazione emozionale potrebbe essere definito come  avvenimento stressante (Pancheri P, 1993), per cui uno stimolo produrrà o  meno una reazione di stress a seconda di come viene interpretato e  valutato (Lazarus RS, et al., 1984).
Le capacità e le abilità finora  descritte vengono identificate come competenze cardine per gli operatori  sanitari per fronteggiare in maniera efficace i problemi presenti in  una popolazione di pazienti sempre più complessa e avvicinarsi sempre di  più a un’umanizzazione delle cure, senza la quale alcuna pratica  assistenziale verrà considerata efficace e di qualità (Haque OS, et al.,  2012).
Obiettivo
L’obiettivo di questo studio è misurare le capacità empatiche e le strategie di coping in un campione di infermieri di endocrinologia e diabetologia.
MATERIALI E METODI
Lo  studio è di tipo osservazionale trasversale e ha considerato un  campione di convenienza costituito da infermieri iscritti  all’Associazione nazionale infermieri di endocrinologia e diabetologia  (ANIED). I questionari sono stati somministrati, compilati e raccolti  nel periodo compreso tra novembre 2012 e febbraio 2013.
Strumenti di misurazione
Per descrivere le strategie di coping  possedute dal campione è stato utilizzato il Coping Orientation to  Problem Experienced nella nuova versione italiana (COPE-NVI) (Sicaa C,  et al., 2008). Il questionario è composto da 60 affermazioni; per  ciascuna sono presenti quattro possibili risposte corrispondenti a una  scala di gradimento che va da “di solito non lo faccio” a “lo faccio  quasi sempre”. Il punteggio complessivo va da 60 a 240 punti: maggiore è  il punteggio, maggiore è il benessere psicologico di fronte a  situazioni stressanti.
Nelle istruzioni è stato specificato di  rispondere facendo riferimento a quello che abitualmente si fa di fronte  a situazioni stressanti più che a un evento in particolare.
Lo strumento indaga cinque dimensioni:
- sostegno sociale: la ricerca di comprensione, di informazioni e di sfogo emotivo;
 - strategie di evitamento: l’utilizzo di negazione, distacco comportamentale e mentale;
 - attitudine positiva: l’atteggiamento di accettazione e reinterpretazione positiva degli eventi;
 - orientamento al problema: le strategie positive, attive e di pianificazione;
 - orientamento trascendente: la pratica religiosa e l’assenza di umorismo.
 
L’attitudine  positiva e l’orientamento al problema, al contrario delle strategie di  evitamento, sembrano portare a benessere, proteggendo dal disagio  psicologico. Il sostegno sociale e l’orientamento trascendente, invece,  riguardano aspetti molto complessi del comportamento umano e, quando  utilizzate nel processo di coping, queste ultime due dimensioni non sembrano favorire il benessere.
Per  la valutazione del livello empatico è stata somministrata la Jefferson  Scale of Physician Empathy nella versione HP2 (JSPE-HP2) (Di Lillo M, et  al., 2009). La scala è costituita da 20 affermazioni in cui gli  intervistati indicano il loro accordo o disaccordo tramite una scala  Likert a 7 punti che va da “completamente in disaccordo” a  “completamente d’accordo”. L’intervallo di punteggio può variare da 20 a  140 punti; maggiore è il punteggio, più alto è il livello di empatia.  Per semplificare la lettura dei risultati riguardanti l’empatia,  l’intervallo di punteggio del JSPE-HP2 è stato suddiviso in 4 livelli:
- livello 1: da 20 a 50 punti, assenza di empatia;
 - livello 2: da 51 a 80 punti, basso livello di empatia;
 - livello 3: da 81 a 110 punti, medio livello di empatia;
 - livello 4: da 111 a 140 punti, alto livello di empatia.
 
Gli strumenti utilizzati per la ricerca (COPE-NVI e JSPE-HP2) sono validati in italiano, di facile compilazione, anonimi e di tipo self-report.
Analisi dei dati
I  dati sono stati imputati ed elaborati con il programma Microsoft Excel e  sono stati gestiti esclusivamente in forma aggregata. I risultati sono  stati presentati mediante distribuzioni di frequenza, indici di  posizione centrale (media e mediana) e di dispersione (deviazione  standard, DS, e intervalli di punteggio). Per il calcolo dell’indice di  correlazione di Pearson e per l’analisi della varianza (eta quadro) è  stato utilizzato il programma JsStat – analisi quantitativa dei dati e  data mining, versione 2.16.
Aspetti etici
Il  consenso alla raccolta dei dati è stato raccolto online attraverso  l’approvazione scritta dei partecipanti all’indagine previa compilazione  del questionario per via telematica. E’ stata garantita la  confidenzialità dei dati degli infermieri. Le schede di raccolta dei  dati erano anonime.
RISULTATI
Dei  125 infermieri contattati hanno partecipato in 69 (55,2%). Questi erano  prevalentemente donne (88,4%) con un’età media di 45 anni, per lo più  sposate (75%); il 58% ha indicato di possedere una formazione post base  (laurea magistrale, master, eccetera) e la durata media della loro  esperienza lavorativa è risultata di 22±8 anni.
Il punteggio medio  complessivo ottenuto dagli infermieri nel COPE-NVI è stato di 140 punti  (deviazione standard, DS=±12) in un intervallo da 107 a 178 punti. Per  il 98,5% degli infermieri è stato riscontrato un livello di empatia  buono (livello 3) o alto (livello 4); in particolare, per più della metà  degli infermieri (52,2%) è stato registrato il livello empatico più  alto (livello 4); solo per un infermiere è stato registrato un basso  livello di empatia (livello 2) (Figura 1).
Il punteggio medio  complessivo ottenuto dagli infermieri nella JSPE-HP2 è stato di 109  punti (DS=±12) in un intervallo da 66 a 133 punti; i punteggi suddivisi  per dimensione sono indicati in Tabella 1.
E’ emerso che essere separati o divorziati è correlato significativamente con una valutazione più alta delle capacità di coping (p=0,03).
Non  sono state trovate correlazioni tra variabili quali l’età, il genere,  la formazione e gli anni di servizio degli infermieri e il livello di  empatia e di coping.
Infine, il livello di empatia non è risultato correlato al livello di coping (r=0,07; p=0,568).
DISCUSSIONE 
L’umanizzazione  delle cure è uno dei principali motori di cambiamento per rispondere in  maniera efficace ai diversi e complessi bisogni espressi dalla persona  assistita (Haque OS, et al., 2012). Il problema dell’umanizzazione delle  cure si è accentuato da quando in Italia è stata condotta un’indagine  dal Tribunale del malato; essa ha dimostrato che, su oltre 20.000  pazienti, la quasi totalità degli interpellati lamentava un  atteggiamento indifferente o addirittura scostante di molti operatori  sanitari (Facco S, et al., 2013).
Nonostante ormai da tempo sia stato  dimostrato che, al di là di alcune predisposizioni personali più o meno  accentuate dell’individuo, le abilità e le competenze relazionali  possono essere acquisite o migliorate, esse vengono ancora spesso  considerate caratteristiche intrinseche del soggetto; infatti alcuni  ricercatori, per esempio, ritengono che l’empatia sia un valore che può  diminuire durante l’esercizio professionale ma anche migliorare con  specifiche attività educative e corsi mirati (Olsen D, 1991).
Questo progetto di ricerca si è posto l’obiettivo di esplorare alcune abilità di coping e il livello di empatia al fine di studiare percorsi formativi ad hoc  da avviare in particolare in quei contesti di cura in cui le abilità  relazionali sono tra i principali strumenti messi in atto per rispondere  ai bisogni dell’assistito.
Aiutare la persona a vivere “con la  malattia” e non “per la malattia” rappresenta una delle principali sfide  dei professionisti sanitari, in particolare quelli impegnati nei  contesti in cui la patologia cronica è spesso protagonista, come la  popolazione considerata nello studio.
La limitata presenza di studi di ricerca che misurino l’empatia e il coping  tra professionisti sanitari non permette di confrontare in modo  articolato i risultati emersi dal presente studio. La maggioranza delle  indagini svolte ha esplorato tali attitudini nei medici, nonostante un  recente studio sembri dimostrare che nella popolazione infermieristica  vi siano maggiori abilità relazionali ed empatiche rispetto a quella  medica (Hojat M, et al., 2003), o su studenti di infermieristica  (Pederson R, 2009). Kuo e collaboratori, a Taiwan, hanno fotografato le  competenze empatiche di infermieri impegnati in differenti contesti (Kuo  JC, et al., 2012); dai dati emersi sembra che le abilità empatiche  infermieristiche corrispondano a quelle rilevate in questo studio (il  punteggio medio nella JSPE-HP2 rilevato era di 110; 109 nel presente  studio). Nello studio di Kuo e collaboratori è emerso inoltre come la  genitorialità, la maggiore esperienza infermieristica e una precedente  esperienza in ambito psichiatrico possano influenzare significativamente  i livelli di empatia posseduti dal professionista.
Il campione preso  in esame rappresenta una popolazione specializzata (infermieri di  endocrinologia e diabetologia) prevalentemente femminile. Da studi  precedenti sembrerebbe che le donne presentino punteggi di empatia  significativamente più alti rispetto agli uomini in funzione a diversi  fattori, per esempio culturali, familiari, professionali, personali,  eccetera (Hojat M, et al., 2002; Crandall S, et al., 2009).
La  popolazione osservata è per lo più specializzata con un’importante  esperienza sul campo e una parallela e consistente formazione  certificativa acquisita nel tempo (il 58% degli infermieri ha svolto  percorsi di formazione post base). La partecipazione a percorsi di  studio inerenti l’assistenza a pazienti cronici può avere influito  sull’acquisizione di alcune importanti competenze relazionali che spesso  vengono rilevate come abilità innate dell’individuo.
Sembra che il livello di empatia non sia strettamente correlato a una positiva strategia di coping; pertanto non è automatico che a una risposta empatica si associ un’adeguata strategia di coping.  Lavorare sul concetto di sé è un aspetto cardine per poter affrontare  maggiori ostacoli e rispondere in maniera più adeguata a un bisogno. Gli  eventi stressanti che portano a una rivisitazione di sé sono molteplici  e tra questi parrebbe, dai risultati emersi, che le difficoltà che si  incontrano nella vita personale (per esempio nell’ambito delle  relazioni) possano fortificare le proprie capacità di affrontare  situazioni stressanti (coping), seppure non ci siano studi a conferma o negazione di questa ipotesi.
Data  la limitata numerosità del campione e la sua natura non probabilistica,  i dati devono essere interpretati con cautela e sono scarsamente  generalizzabili.
CONCLUSIONI
L’infermiere  ha un ruolo chiave nella relazione con l’assistito pertanto esplorarla  nelle sue dimensioni aiuta a comprenderne le potenzialità e i limiti e  su questi progettare futuri interventi formativi specifici e mirati.  Sensibilizzare i professionisti su questi temi sembra essere una  strategia efficace per migliorare gli esiti assistenziali e la qualità  delle cure (Haque OS, et al., 2012).
Questo studio ha esplorato la presenza di due competenze cardine dell’assistenza infermieristica, quali l’empatia e il coping,  e rappresenta una delle poche esperienze nazionali di carattere  osservazionale nell’ambito della cronicità. La gran parte degli studi su  queste tematiche sono svolti per lo più in paesi anglosassoni, come si  evince anche dalle linee guida emanate dalla Registered Nurses’  Association of Ontario (RNAO) inerenti alle relazioni terapeutiche  nell’assistenza infermieristica (RNAO, 2002). A causa della complessità  dell’argomento, delle diverse interpretazione attribuibili ai risultati e  dei pochi strumenti di indagine oggettivi che possano fotografare le  competenze relazionali, fino a oggi sono stati condotti pochi studi che  descrivono tale fenomeno. Sono necessari ulteriori studi, su campioni  più numerosi ed eventualmente anche in popolazioni differenti, per  confermare i risultati di questo studio e per approfondirne le  valutazioni.
 
			
		

