Il dibattito sulle casacche segnaletiche per prevenire le interruzioni durante il giro della terapia: una revisione narrativa


RIASSUNTO
Introduzione Per ridurre le interruzioni durante la somministrazione della terapia, negli ultimi anni sono state introdotte in alcuni ospedali inglesi delle casacche colorate con la scritta “Sto preparando la terapia, non interrompere”. Obiettivo del presente articolo è valutare gli effetti desiderabili e indesiderabili di questa iniziativa descritti in letteratura e attraverso i media.
Materiali e metodi E’ stata condotta una revisione della letteratura e delle pubblicazioni riportate dai media mediante le seguenti parole chiave: tabard, red tabard, nursing, nurses, interruptions, drug round, medication errors, nurse-patient relation, patient safety. Le 87 fonti trovate sono state analizzate da tre ricercatori seguendo l’evoluzione del dibattito scientifico e mediatico.
Risultati
Malgrado la progressiva diffusione delle casacche negli ospedali, non vi sono ancora sufficienti evidenze a favore del loro utilizzo. L’impatto sociale rilevato dai media inglesi è controverso: le casacche possono causare per alcuni pazienti il timore di sentirsi vulnerabili, di non potere interagire, ma anche l’irritazione per il messaggio “Non disturbare”. Anche gli infermieri soffrono perché accusati di ignorare i pazienti. In Francia l’implementazione delle casacche è stata bloccata a causa di non trascurabili reazioni degli infermieri e dei pazienti.
Conclusioni
Gli infermieri sono molto provati dalle interruzioni e riconoscono che alcune di esse sono evitabili. Le casacche riducono l’accessibilità perché esibiscono un messaggio ambiguo che scoraggia l’interazione. In alcune culture è consentito interrompere l’altro mentre si lavora, in altre non è accettato. La valenza culturale delle interruzioni suggerisce la validazione del messaggio e della casacca prima della sua introduzione nei reparti, esplorando il vissuto degli infermieri e dei pazienti. Per evitare le interruzioni non è sufficiente introdurre un’unica strategia ma occorre sviluppare un intervento organizzativo di più ampio respiro.
Parole chiave: casacca segnaletica, somministrazione della terapia, interruzioni, infermieri, errori di terapia, relazione infermiere-paziente, sicurezza del paziente
 


Debate on using of red tabard to prevent interruptions during drug rounds: a narrative review

ABSTRACT
Introduction In recent years, red tabards with the sign “Drug round in progress, [please] do not disturb” have been introduced in some british hospitals in order to reduce interruptions during drugs administration. The aim of this narrative review is to assess the desirable and the undesirable effects of the tabards’ introduction as reported in scientific literature and through media.
Methods A review of scientific literature and media sources was made by using the keywords tabard, red tabard, nursing, nurses, interruptions, drug round, medication errors, nurse-patient relation, patient safety. The 87 articles retrieved have been analysed by three researchers, who have synthesized the contents following the evolution of the scientific and media debate.
Results In spite of the progressive use of tabards in hospitals, there is yet no sufficient evidence for or against them. As reported by british media the social impact of tabards is controversial: tabards can cause patients negative feelings, such as fear to be unable to interact and vulnerable, as well as irritation for the message “Do not disturb”. Nurses suffer too as they feel accused of ignoring the patients. In France, tabards implementation has been blocked due to significant reaction of nurses and patients.
Conclusion Nurses are very tired of interruptions and recognize that some are avoidable. Tabards make nurses less approachable, as they convey an ambiguous message that discourages interaction. In some cultures it is tolerated to interrupt persons during their work, in others this is not accepted. The cultural valence of interruptions suggests that the tabards should be validated before being introduced in hospital wards, and that the feelings of nurses and patients towards it should be explored. In order to avoid interruptions a single strategy is not sufficient; a wide-ranging intervention is needed.
Keywords: tabards, drug round, interruptions, nurses, therapy errors, nurse-patient relation, patient safety


 

INTRODUZIONE
La relazione tra paziente e infermiere, secondo Northhouse & Northhouse (Northouse LL, et al., 1998), è determinata anche dalla comunicazione non verbale dove la divisa assume un ruolo chiave (Kalisch BJ, et al., 1985) perché influenza le interazioni e l’immagine professionale percepita. Secondo Mangum e colleghi (Mangum S, et al., 1997), e più tardi Berry e Bendapudi (Berry LL, et al., 2003), i pazienti sviluppano un’idea sulla competenza professionale di un operatore nei primi dodici secondi di contatto visivo e, in questo processo, uno dei fattori determinanti è proprio la divisa (Bixler S, et al., 2000).
Gli anziani rappresentano l’infermiere con l’uniforme bianca mentre i giovani gradiscono anche altri colori; tuttavia, i pazienti sono confusi quando gli infermieri non indossano divise identificabili e gli operatori sanitari stessi concordano sul fatto che ciò che indossano è importante per la loro identificazione (Skorupski VJ, et al., 2006). Kaser e colleghi (Kaser M, et al., 2009), nel loro studio condotto negli Stati Uniti, hanno documentato la diversa percezione dei pazienti quando gli infermieri indossano uniformi di vari colori. Tramite l’impiego della Nurse Image Scale (NIS), un questionario in cui viene chiesto di dare un giudizio relativamente a una serie di immagini che ritraggono uno stesso infermiere con diverse divise, su un campione di 100 pazienti (età media 51 anni) è risultato che la divisa di colore rosso è la meno preferita, dopo – nell’ordine – quella di colore blu, bianco, porpora, nero e rosa. I giovani pazienti hanno indicato il rosso quale colore tradizionalmente associato a emozioni sia positive (quali romanticismo e amore) sia negative (quali la lotta e il sangue).
In un precedente studio statunitense (Albert NM, et al., 2008), a 499 pazienti e visitatori, in età sia adulta sia pediatrica, era stato chiesto di valutare quale uniforme, tra le otto proposte (differenti per stile e colore), era più professionale; i dati hanno mostrato come gli adulti, a differenza dei bambini, hanno una percezione diversa dell’infermiere a seconda della sua divisa e quella di colore bianco è risultata quella capace di comunicare maggiore professionalità. Il risultato è in linea con la letteratura ed è riconducibile al fatto che la divisa bianca è tradizionalmente associata all’immagine dell’infermiere (Kaser M, et al., 2009).
Dalle discussioni in merito alla divisa degli infermieri, negli ultimi anni si è aperto un dibattito collaterale in seguito alla pubblicazione dell’articolo Nurses develop disposable drug rounds tabards sul Nursing Times nel 2010 (Anonimo, 2010). Nell’articolo si spiegava, a scopo informativo, che in alcuni ospedali inglesi erano state introdotte casacche segnaletiche di colore rosso (pettorine), le tabard, che riportavano scritta l’indicazione di non disturbare chi le indossava durante il giro di terapia per minimizzare le interruzioni degli infermieri durante la somministrazione dei farmaci, ridurre il rischio di errore e quindi aumentare la sicurezza dei pazienti. La Aberdeen Royal Infirmary fu una delle strutture che introdusse queste casacche; in tre reparti gli infermieri utilizzarono casacche rosse corredate su entrambi i lati dal messaggio “Drug round in progress, please do not disturb” (giro della terapia in corso, per favore non disturbare).
Le interruzioni e il loro potenziale effetto sugli errori durante la somministrazione delle terapie costituiscono da sempre un aspetto delicato al quale i ricercatori hanno dedicato molta attenzione (Pape TM, et al., 2005). L’interruzione è generalmente considerata un’infrazione, ne è prova il fatto che chi interrompe sente spesso la necessità di scusarsi a priori; oltre una certa soglia le interruzioni possono provocare anche una crisi nell’interazione (Kerbrat-Orecchioni C, 1998). Inoltre, come ogni attività linguistica, anche l’interruzione è sottoposta a regole di organizzazione piuttosto precise, che variano da lingua a lingua: il livello di tolleranza riguardo al numero e alla modalità delle interruzioni differisce secondo la nazionalità e la cultura, anche se sembra essere presente un tratto comune nella relazione fra interruzione e posizione sociale degli interlocutori: potere interrompere è privilegio di chi si trova in posizione più elevata, che detiene più potere. Tuttavia, se l’interruzione proviene da una persona che si trova in posizione di “inferiorità” il gesto può essere facilmente percepito come “insolente”; per questa ragione le interruzioni sono ammesse con più tolleranza nel contesto familiare piuttosto che nel contesto formale e lavorativo, perché le regole di cortesia (politeness) vi si esercitano in maniera più restrittiva. E’ da tenere presente che l’interruzione può essere non solo un esercizio di potere ma anche una ricerca di contatto, di relazione, per fornire una consulenza o un supporto, come nel rapporto tra pazienti e infermieri. Va quindi riconosciuto che esistono alcune interruzioni evitabili, ovvero interruzioni intrusive, e altre inevitabili, ovvero necessarie allo svolgimento dell’attività assistenziale, e quindi identificabili come interruzioni cooperative (Murata K, 1994; Li HZ, et al., 2004, Li HZ, 2001; Nakane I, 2007). E’ proprio per ridurre le interruzioni evitabili che sono state proposte e introdotte le casacche segnaletiche; questa iniziativa però ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica, di infermieri e ricercatori e aperto il dibattito scientifico e sociale, dapprima in Inghilterra e più recentemente in Francia, sui risultati e sulle conseguenze di queste casacche ma anche riguardo alla loro percezione da parte di pazienti, familiari, altri infermieri e personale sanitario più in generale.
L’obiettivo del presente articolo è documentare il dibattito riportato in letteratura e nei media, riguardo all’impiego di casacche segnaletiche per limitare le interruzioni durante il giro di terapia.

MATERIALI E METODI
E’ stata condotta una revisione della letteratura utilizzando le seguenti parole chiave: tabard, red tabard, nursing, nurses, interruptions, drug round, medication error, nurse-patient relation, patient safety. Queste parole sono state combinate tra di loro prima su banche dati biomediche quali Medline e CINAHL e poi sul motore di ricerca Google per rintracciare articoli scientifici e giornalistici. Le 87 fonti emerse sono state recuperate e quindi analizzate per pertinenza da due ricercatori; complessivamente, 19 fonti sono state ritenute pertinenti alla tematica e quindi analizzate da quattro ricercatori che hanno sintetizzato i messaggi chiave del dibattito in chiave storico-evolutiva (Polit e Tatano-Beck, 2014).

RISULTATI
Il dibattito nella letteratura scientifica
Scott e collaboratori, nel 2010 (Scott J, et al., 2010), hanno condotto una studio con l’obiettivo di esplorare l’impatto delle casacche sulle interruzioni, sul personale sanitario, sui pazienti e sui rischi infettivi. Tra gennaio e marzo 2008 erano stati osservati 602 giri di terapia, di cui 369 prima dell’introduzione delle casacche e 233 dopo la loro introduzione. E’ stato poi somministrato un questionario di valutazione agli infermieri che avevano indossato la casacca, al personale sanitario e ai pazienti. Solo il 41% degli infermieri aveva risposto al questionario: di questi, il 67% aveva indossato con continuità la casacca mentre circa un terzo non ne ha avuto l’opportunità per problemi dovuti al lavaggio delle stesse. Il 61% aveva gradito il colore rosso delle casacche e il 73% le aveva considerate adeguate, sebbene per alcuni siano state fonte di disagio a causa del caldo e della taglia non sempre adatta. Solo il 47% (n=43) dei pazienti coinvolti aveva risposto al questionario: tutti (100%) ritenevano importante l’uso delle casacche e, secondo l’86%, chi le indossava era comunque considerato un operatore sanitario al quale eventualmente rivolgersi per ricevere aiuto. Gli infermieri si erano sentiti sostenuti nell’iniziativa delle casacche dall’82% dei colleghi, dal 49% del personale medico, dal 45% degli altri operatori sanitari; il 49% dei pazienti e il 42% dei parenti non aveva invece apprezzato e sostenuto l’iniziativa. Per quanto concerne il rischio infettivo, i tamponi eseguiti su tutte le casacche avevano restituito la crescita del medesimo tipo di colture presenti normalmente sulle uniformi dell’équipe, rinvenute precedentemente. La numerosità delle interruzioni, infine, si era ridotta in modo statisticamente significativo passando da una media di 6 a 5 interruzioni per ciascun giro di terapia (p<0,001); la maggioranza delle interruzioni poteva essere comunque evitata attraverso la formazione del personale, l’educazione di pazienti e visitatori, il riempimento dei carrelli dei farmaci con il necessario e chiedendo alle persone di ritardare la loro richiesta piuttosto che interrompere l’infermiere durante il giro di terapia (Scott J, et al., 2010).
Uno studio eseguito presso il Colchester General Hospital nella regione dell’Essex, in Inghilterra, aveva valutato gli effetti dell’uso delle casacche per un mese misurando il numero delle interruzioni, il tempo necessario a completare il giro di terapia e il numero complessivo di farmaci somministrati. I risultati avevano dimostrato una riduzione del numero delle interruzioni del 28%. In seguito a questo risultato la durata dello studio fu estesa di altri 3 mesi. La sperimentazione successiva aveva determinato, per effetto delle minori interruzioni, una riduzione media di 38 minuti del tempo del giro della terapia delle ore 8:00, una riduzione media di 9 minuti per ogni giro della terapia delle ore 18:00 e una riduzione del 71% del numero di interruzioni in generale; c’è stata inoltre una percezione positiva dell’iniziativa da parte del personale che indossava le casacche in quanto i giri di terapia erano più veloci, le cure erano erogate tempestivamente e c’era una maggiore sensazioni di sicurezza e fiducia (Eradiri O, et al., 2010).
Nel 2009 presso i reparti chirurgici dell’ospedale universitario di Udine è stato valutato l’effetto di un programma ospedaliero multi intervento comprendente l’uso delle casacche rosse recanti il messaggio “Sto preparando farmaci. Per favore non disturbare”. I risultati forniti dallo studio si sono rivelati paradossali: al tempo zero, prima dell’inserimento delle casacche, le interruzioni erano una ogni 3,2 farmaci somministrati; dopo la loro introduzione, si contava un’interruzione ogni 2,3 farmaci somministrati (p=0,041). La durata media delle interruzioni è tuttavia passata da 10 a 5 secondi circa. In particolare, dopo l’introduzione delle casacche, sono diminuite quelle provenienti dai pazienti (dal 26,5% al 14%) ma sono aumentate quelle da parte dei membri del personale (dal 24,7% al 40,5%). Questo effetto è stato considerato dagli autori paradossale perché le interruzioni che provengono dai pazienti dovrebbero essere considerate inclusive e non intrusive l’assistenza infermieristica: i pazienti durante la terapia chiedono informazioni sui farmaci, condividono preoccupazioni e informazioni sugli effetti della terapia e forniscono agli infermieri la possibilità di accertare i bisogni e garantire cure globali e individualizzate (Tomietto M, et al., 2012). Quando gli infermieri indossano la casacca con un messaggio che invita a non disturbare, i pazienti potrebbero interpretarlo erroneamente interferendo nella costruzione del rapporto tra infermieri e pazienti.
Malgrado la progressiva diffusione delle casacche negli ospedali, Raban e Westbrook (Raban MZ, et al., 2013) nella loro revisione sistematica della letteratura, hanno recentemente affermato che non vi sono ancora sufficienti evidenze a favore del loro utilizzo.

Il dibattito attraverso i media
Il Queen Elizabeth The Queen Mother Hospital, nel Margate, gli ospedali di Middlesex, Colchester, Cardiff, Aberdeen e Derby, la Aberdeen Royal Infirmary, il Christie Hospital, il Cardiff and Vale e le strutture della East Kent Hospitals University NHS Foundation Trust sono alcuni esempi di strutture inglesi che negli ultimi anni hanno introdotto nei loro reparti le tabard, ovvero le casacche rosse con riportata la scritta di non disturbare da fare indossare agli infermieri durante la preparazione e somministrazione della terapia. L’obiettivo perseguito era la diminuzione delle interruzioni durante questa fase delicata di lavoro e la riduzione del rischio di commettere errori. L’iniziativa però ha scatenato una forte reazione di opposizione da parte dell’opinione pubblica, soprattutto di gruppi di pazienti ma anche da parte di alcuni operatori sanitari (Macfarlane J, 2011; Beckford M, 2011, a; Beckford M, 2011, b); la discussione è stata ripresa e continuata attraverso un “botta e risposta” di articoli pubblicati su riviste quali il Daily mail, il The Telegraph e il Nursing Times.
Due posizioni forti che hanno rappresentato l’opposizione all’introduzione delle casacche sono state quella di Joyce Robins, giornalista nel campo della sanità e fondatrice dell’organizzazione Patient Concern – impegnata a promuovere l’empowerment di tutti gli utenti dei servizi sanitari – e Cristina Odone, giornalista, ricercatrice presso il Centre for Policy Studies ed ex redattrice e vice direttrice rispettivamente delle riviste online Catholic Herald e New Statesman.
Joyce Robins aveva sostenuto che l’iniziativa delle casacche fosse ridicola: il giro della terapia è spesso l’unica occasione per i pazienti di incontrare e parlare con l’infermiere e quindi, anche se involontariamente, il messaggio comunicato dalle casacche sembra essere “don’t bother me, I’m too important” (non disturbarmi, è troppo importante quello che sto facendo/sono troppo importante per essere disturbato). Questo genera distanza e potrebbe scoraggiare la ricerca di interazione da parte dei pazienti che spesso sono già intimiditi e resi vulnerabili dalla condizione in cui si trovano. Joyce Robins, al posto delle casacche, aveva piuttosto suggerito di visitare i pazienti prima del giro della terapia in modo tale da prevenire e gestire le eventuali richieste dei pazienti riducendo “alla radice” le potenziali interruzioni (Macfarlane J, 2011; Beckford M, 2011, a; Beckford M, 2011, b; Calkin S, 2011, a; Calkin S, 2011, b; Summer S et al., 2011).
Cristina Odone aveva espresso una dura critica al personale infermieristico partendo da un’esperienza personale: la giornalista spiegava che le casacche comunicano la perdita di identità del ruolo dell’infermiere; inoltre il loro impiego lascia i pazienti e i familiari in uno stato di preoccupazione (Odone C, 2011).
Queste considerazioni di Odone sono state poi contestate da Summer S e Summer HJ e ritenute assurde oltre che piene di stereotipi sugli infermieri. Allo stesso tempo, però, gli autori avevano sostenuto che il problema degli errori durante la somministrazione dei farmaci, più che alle interruzioni, è dovuto alla carenza di personale e al carico di lavoro a cui gli infermieri sono sottoposti. Secondo loro, inoltre, il lieve beneficio delle casacche non giustifica il rischio che le stesse inibiscano i pazienti nel formulare una richiesta (Summer S et al., 2011).
L’iniziativa delle casacche ha anche ricevuto l’accusa di essere una soluzione economica al problema della carenza del personale (Beckford M, 2011, b).
D’altro canto però il problema delle interruzioni o più in generale il problema degli errori commessi durante il giro della terapia, per esempio la somministrazione di farmaci o dosi sbagliate, è reale e molto sentito dagli stessi operatori e dalle istituzioni. Il giro della terapia è riconosciuto come un processo molto delicato e complesso e lo stesso Peter Carter, amministratore delegato del Royal College of Nursing, pure considerando cruciale disporre di un adeguato numero di personale per prevenire gli errori terapeutici, era d’accordo nel sostenere l’iniziativa delle casacche in quanto pensata per offrire sostegno al personale stesso, aiutandolo a concentrarsi sul proprio lavoro (Macfarlane J, 2011; Beckford M, 2011, a; Beckford M, 2011, b; Calkin S, 2011, a; Calkin S, 2011, b).
Inoltre, durante il giro della terapia, è comunque pratica comune chiedere ai pazienti o ai visitatori di non disturbare gli infermieri; le casacche sono semplicemente un rafforzativo. Nessun infermiere, indipendentemente dalla casacca, si rifiuterebbe mai di aiutare un paziente e, comunque, gli operatori addetti al giro della terapia sono sempre seguiti da colleghi che restano a disposizione per rispondere a eventuali richieste (Beckford M, 2011, a).
Diversi articoli hanno poi riportato testimonianze ed esperienze che mostrano alcuni esiti positivi riconducibili alle casacche: Penny Searle, direttrice di reparto del Queen Elizabeth the Queen Mother Hospital, aveva affermato che le casacche aiutano gli infermieri a essere più produttivi e a svolgere più efficientemente il loro lavoro; l’iniziativa inoltre era stata sostenuta sia dagli infermieri sia dai pazienti; le casacche avevano avuto molto successo anche presso gli East Kent Hospitals, portando a un ulteriore diffusione dell’iniziativa in altri reparti e strutture inglesi (Macfarlane, 2011; Beckford M, 2011, a; Summer S et al., 2011).
La bufera mediatica sollevata, tuttavia, aveva spinto gli East Kent Hospitals a rimuovere la scritta “Do not disturb” (non disturbare) dalle proprie casacche, lasciando solo la scritta “Drug round in progress” (giro della terapia in corso). Steve Hams, vice capo infermiere e responsabile della qualità presso queste strutture, aveva spiegato che questa decisione era stata presa proprio per rendere chiaro che in alcun modo si voleva minare il rapporto tra paziente e infermiere e che le casacche erano state introdotte solo per offrire il meglio delle cure ai propri pazienti che, tra l’altro, avevano apprezzato l’iniziativa perché trasmetteva loro un maggiore senso di sicurezza (Beckford M, 2011, b; Calkin S, 2011, a; Calkin S, 2011, b; Hams S, 2011).
Anche Suzette Woodward, direttrice della National Patient Safety Agency, in maniera più cauta, aveva espresso il suo sostegno all’iniziativa delle casacche: spiegava, infatti, che seppure le evidenze nel ridurre le interruzioni da parte delle casacche stesse non erano ancora convincenti, questo non implicava, a priori, che l’approccio fosse sbagliato; l’iniziativa doveva essere considerata come parte di un progetto più grande finalizzato al miglioramento della qualità e della sicurezza delle cure. Rimane comunque importante la presenza di sufficiente personale, a supporto degli operatori impegnati durante i giri della terapia, che restino a disposizione dei pazienti (Calkin S, 2011, a).
Infine Jenni Middleton, una giornalista del Nursing Times, in seguito a una visita presso gli East Kent Hospitals – strutture maggiormente rimaste nell’occhio del ciclone del dibattito – aveva colto e sottolineato la differenza tra le casacche “dipinte” negativamente dai media e ciò che erano nella pratica quotidiana. Aveva riportato inoltre lo sconcerto provato rispetto alla reazione dei media di alcuni responsabili di queste strutture, come Steve Hams e Lynne Wilkinson, vicedirettrice di reparto (Middleton J, 2011).
La bufera sul tema delle casacche attraverso i media inglesi si è via via ridimensionata ma si è riproposta in Francia in occasione della raccomandazione data della French Haute Autorité de Santé, autorità nazionale nell’ambito della salute in Francia (French Haute Autorité de Santé, 2011): si consigliava infatti l’introduzione di una casacca gialla riportante la scritta “Préparation de médicaments. Ne pas déranger” (farmaci in preparazione, non disturbare). Questa raccomandazione tuttavia non è stata accolta, in quanto gli ospedali in cui si è sperimentato l’uso delle casacche hanno rapidamente abbandonato l’idea in seguito alla forte reazione contraria degli stessi infermieri coinvolti nell’iniziativa (Le Bourlais CH, 2012).

DISCUSSIONE
In letteratura ogni interruzione è considerata un’infrazione (Kerbrat-Orecchioni C, 1998) che assume una valenza culturale propria anche rispetto alla lingua (Bettoni C, 2006). Zorzi Calò D ha documentato che le interruzioni nella lingua italiana sono più frequenti rispetto, per esempio, a quelle nella lingua inglese perché svolgono funzioni diverse all’interno dello scambio comunicativo: in italiano le interruzioni tendenzialmente “preparano” mentre in inglese “riparano” uno scarto interpretativo (Zorzi Calò D, 1990). Infine, come già indicato, non tutte le interruzioni sono uguali: esistono le interruzioni cooperative e quelle intrusive (Murata K, 1994; Li HZ, 2004, Li HZ, et al., 2001; Nakane I, 2007), ovvero rispettivamente interruzioni che aiutano ed altre che ostacolano un processo lavorativo o un’interazione.
Interrompere gli infermieri durante la terapia può minacciare la loro attenzione e concentrazione, oltre che aumentare lo stress: nella loro pratica quotidiana gli operatori riconoscono le interruzioni evitabili (ad esempio, quelle del telefono, correlate al multitasking – che potremmo denominare interruzioni intrusive) e quelle inevitabili, ovvero necessarie allo svolgimento dell’attività assistenziale (Murata K, 1994; Li HZ, 2004, Li HZ, et al., 2001; Nakane I, 2007).
Dall’analisi del dibattito, i pazienti riportano che gli infermieri che indossano le casacche con la scritta “Non disturbare”, sono meno accessibili. Si tratta, infatti, di un messaggio che scoraggia l’interazione e che appare ambiguo nel contesto assistenziale. Le interruzioni del paziente non dovrebbero essere considerate intrusive, ma collaborative per l’assistenza infermieristica erogata perché aiutano a migliorarla e a personalizzare le scelte: i pazienti allertano gli infermieri su nuovi segni/sintomi, chiedono informazioni per poter gestire il problema di salute e così via. D’altra parte le casacche sembrano avere un potenziale effetto positivo perché riducono le interruzioni e, in questo modo, aiutano a guadagnare tempo: quando le interruzioni sono evitate, aumenta il tempo che gli infermieri possono dedicare ai loro pazienti aumentando, ad esempio, i giri di sorveglianza.
Tuttavia, le evidenze scientifiche a disposizione sull’efficacia delle casacche sono ancora limitate tanto da richiedere ulteriori ricerche, con disegni di studio più robusti. Inoltre, proprio per la valenza culturale dell’interruzione (in alcune culture è consentito interrompere l’altro mentre lavora, in altre non è accettato) è suggerita la validazione della casacca e del messaggio su di essa stampato prima della sua introduzione nei reparti, esplorando il vissuto di infermieri e pazienti in relazione al contesto in cui dovrebbe essere utilizzata. L’uso della casacca in una stanza con uno o più pazienti, invece che in un corridoio, fa comprendere immediatamente agli stessi che il messaggio è diretto a loro e riduce l’accessibilità alle cure infermieristiche; inoltre, potrebbe imbarazzare gli infermieri che le indossano e non influenzare la quantità complessiva di interruzioni se non sono attivate strategie organizzative di più ampio respiro. Diversamente, in un corridoio, oppure quando il messaggio è posto sulla schiena, di norma non rivolta ai pazienti, il messaggio dovrebbe essere percepito solo dal personale o dai visitatori. Non da ultimo va considerato anche il colore rosso della casacca, non gradito ai pazienti (Kaser M, et al., 2009) perché di norma utilizzato per indicare situazioni di pericolosità e allarme.

CONCLUSIONI
Gli infermieri sono esposti a numerose interruzioni durante il loro lavoro: quando si verificano in particolari momenti, le interruzioni possono indurre a commettere errori.
Pure nei limiti della revisione che ha individuato solo articoli giornalistici e scientifici (e non, per esempio, altre forme di comunicazione quali blog e programmi televisivi), le evidenze a favore delle casacche appaiono ancora limitate. Inoltre, proprio per la loro potenziale valenza culturale, anche alla luce della lezione appresa da altri Paesi, prima della loro introduzione è necessario effettuare un’attenta validazione consultando pazienti e infermieri al fine di sviluppare una profonda comprensione delle cause che determinano le interruzioni e disegnare interventi appropriati. Le interruzioni dovrebbero essere ridotte con approcci combinati che includono modificazioni organizzative e comportamentali individuali e del gruppo multiprofessionale: non è quindi sufficiente una sola strategia per evitarle, come per esempio l’uso delle casacche. Inoltre, proporre le casacche senza valutarne preliminarmente l’impatto potrebbe esitare in reazioni inaspettate e controproducenti per pazienti e infermieri, rendendo l’intervento nullo o peggiorativo delle già difficili condizioni di lavoro nei reparti ospedalieri.
 

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