Negli ultimi mesi i colleghi inglesi hanno condotto una campagna accanita per la difesa dei propri organici negli ospedali. Com’è noto, in Gran Bretagna esiste da molti anni un sistema sanitario completamente pubblico (National health service – Nhs), che garantisce gli stessi servizi a tutti i cittadini inglesi. Negli anni Settanta del secolo scorso la sua architettura fu presa a modello dai nostri legislatori per la realizzazione nel nostro Paese di un Servizio sanitario nazionale (guarda caso, con la stessa denominazione), istituito nel 1978 ed ancora in vigore.
Purtroppo, anche in Inghilterra la crisi economica mondiale ha eroso le casse statali ed è in corso da tempo una drastica riduzione del finanziamento del Nhs, forse di entità ancora maggiore rispetto all’Italia, per esempio con pressioni sugli ospedali per la riduzione degli organici, perduranti ormai da anni. Gli infermieri che tentano di levare la voce contro questo stato di cose sono stati intimiditi dalle direzioni ospedaliere, come riporta un sondaggio svolto dal Royal college of nursing (Rcn)[1], i cui esiti sono stati riportati persino dalla Bbc (notizia del 23/4/2013). Dal sondaggio si evince che il 24% degli intervistati (1.266 persone su 5.277) ha ammesso di aver ricevuto pressioni dai propri coordinatori e dirigenti per non segnalare diminuzioni o criticità nelle dotazioni organiche.
Purtroppo per i pazienti e per gli operatori, com’è del tutto prevedibile, i tagli ai finanziamenti erogati per le cure sanitarie provocano inevitabilmente degli effetti negativi sulla qualità del servizio offerto. L’esempio più eclatante di ciò si è verificato in Inghilterra nel 2007: in quell’anno è emerso lo scandalo dell’ospedale di Stafford, una cittadina di circa 70.000 abitanti. Dalle analisi periodiche compiute dagli organismi di vigilanza si notò che in quell’ospedale c’era un elevato e abnorme tasso di mortalità fra i pazienti degenti in regime di urgenza. La notizia si diffuse rapidamente e fece molto scalpore, com’è facile intuire. A partire dall’anno seguente fu istituita una Commissione d’inchiesta, che ha concluso i suoi lavori solo nel 2013. Dai dati pubblicati sono emerse situazioni molto gravi, che hanno destato molta emozione nell’opinione pubblica inglese, quali, oltre all’elevato tasso di mortalità, casi di pazienti lasciati nelle loro deiezioni per molte ore o talmente assetati da essere costretti a bere l’acqua dei vasi di fiori (http://en.wikipedia.org/wiki/Stafford_Hospital_scandal).
Il rapporto finale della commissione – Rapporto Francis – è stato pubblicato nel febbraio di quest’anno ed è consultabile al sito: (http://www.midstaffspublicinquiry.com/sites/default/files/report/Executive%20summary.pdf). Il rapporto ha messo in evidenza le principali carenze che si sono verificate in quell’ospedale, che qui di seguito elenchiamo in sintesi:
- una direzione preoccupata più per i risultati economici che per quelli clinici, incurante delle numerose segnalazioni di scadimento della qualità dei servizi offerti dall’ospedale, incentrata più sulla promozione dell’immagine dei propri componenti che della sicurezza e dell’efficacia delle cure offerte ai propri pazienti;
- una costante indifferenza alle lamentele dei pazienti;
- una diminuzione costante del personale infermieristico esperto, che non è stata presa in considerazione;
- un’inadeguatezza dell’organico infermieristico per numero e per formazione, con un livello insufficiente di leadership infermieristica e con modalità di reclutamento e di formazione degli infermieri anch’esse inadeguate;
- una sottostima della qualità e della sicurezza dei servizi offerti rispetto alla sicurezza finanziaria dell’ospedale, che è stata ritenuta più importante. Il paziente non è stato messo al centro degli obiettivi dell’ospedale. I dirigenti hanno operato senza alcuna pressione o controllo da parte dei loro collaboratori;
- una scarsa collaborazione con le autorità locali e con le organizzazioni di cittadini;
- una carenza di segnalazioni da parte dei medici di Medicina generale, che hanno fatto sentire le proprie lamentele solo dopo che è stato annunciato l’avvio di un’indagine pubblica e solo dopo che sono stati coinvolti direttamente;
- una scarsa capacità di raccogliere segnali provenienti dai cittadini e dagli operatori sanitari sia da parte dell’Ordine dei medici (General medical council) che dell’Ordine degli infermieri e delle ostetriche (Nursing and midwifery council). Nell’Ospedale di Stafford non vi era alcun collegamento diretto con i due Ordini;
- un’incapacità di mantenere sotto controllo gli standard di organico da parte del Rcn, che si è dimostrato non in grado di raccogliere le lamentele e le preoccupazioni degli infermieri. All’interno dell’Ospedale non era presente alcun eletto nel Rcn. Gli organismi provinciali e nazionali non hanno avuto alcun ruolo nella vicenda;
- un’inadeguatezza nel monitorare gli organismi della formazione dei medici e degli infermieri rispetto all’andamento degli stage degli studenti, nonché nel tenere in considerazione gli episodi di bullismo che si sono verificati nei confronti degli studenti. Non è stato preso in considerazione lo scadimento degli standard di sicurezza e di qualità delle cure.
Come è facile dedurre, il rapporto ha stilato un’analisi impietosa di difetti organizzativi e strutturali. La lettura lascia impietriti. Il Ministero della salute britannico, dopo la pubblicazione del Rapporto Francis, ha commissionato, a sua volta, nel marzo 2013, un lavoro di analisi a un comitato di esperti, presieduto dal professor Don Berwick, un’autorità mondiale in tema di sicurezza dei pazienti, già consulente del Presidente Barack Obama per i problemi sanitari. L’obiettivo assegnato al comitato è stato quello di individuare i possibili interventi correttivi per risolvere la situazione. La relazione finale è stata appena pubblicata ed è consultabile al sito https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/226703/Berwick_Report.pdf.
Anche la lettura del Rapporto Berwick (che ha un titolo significativo: A promise to learn, a commitment to act), è molto interessante. Qui di seguito si presenta una breve sintesi delle raccomandazioni finali:
- il Nhs dovrà continuamente, e per sempre, cercare di ridurre i danni al paziente, abbracciando con tutto il cuore un’etica dell’apprendimento;
- tutti i leader coinvolti nel Nhs – a tutti i livelli: politico, normativo, di governo, esecutivo, clinico e di difesa dei pazienti – devono porre la qualità delle cure in generale, e la sicurezza del paziente in particolare, al vertice delle loro priorità per gli investimenti, la ricerca e lo sviluppo;
- i pazienti e i loro caregiver devono essere presenti, coinvolti e in grado di influenzare tutti i livelli delle organizzazioni sanitarie, dai servizi di degenza ai Consigli di amministrazione;
- il Governo, le Autorità per l’istruzione e il Nhs devono assicurare la presenza di personale sufficiente per soddisfare le esigenze attuali e future del Nhs. Le organizzazioni sanitarie devono garantire che il personale sia presente in numero adeguato per garantire cure sicure in ogni momento e che sia ben supportato da tutta l’organizzazione. I dirigenti e gli amministratori devono assumersi la responsabilità di fare in modo che le aree cliniche abbiano personale adeguato ai diversi livelli di gravità e di dipendenza del paziente, in accordo con le evidenze scientifiche sulle dotazioni sicure di personale;
- le conoscenze (e le abilità connesse al loro utilizzo) inerenti la qualità e la sicurezza del paziente devono far parte della preparazione iniziale e della formazione permanente di tutti gli operatori sanitari, compresi i dirigenti e gli amministratori;
- il Nhs deve diventare un’organizzazione che apprende[2], quindi modificare, a cascata, tutti i livelli del Nhs;
- la trasparenza dev’essere completa, tempestiva ed inequivocabile. Tutti i dati sulla qualità e la sicurezza, raccolti dal governo, dalle organizzazioni o dalle associazioni professionali, devono essere condivisi in modo tempestivo con tutti coloro che ne facciano richiesta, compresa l’utenza, nel modo più accessibile;
- tutte le organizzazioni devono riconoscere nel parere del paziente e del caregiver un bene essenziale nel monitoraggio della sicurezza e della qualità delle cure;
- i sistemi di vigilanza e di regolamentazione devono essere semplici e chiari. Devono evitare che la responsabilità sia diffusa. Devono essere rispettosi della buona volontà e delle intenzioni della stragrande maggioranza del personale. I sistemi di incentivazione devono puntare nella stessa direzione;
- si suggerisce una regolamentazione delle sanzioni, con una gerarchia di risposte. Il ricorso alle sanzioni dovrebbe essere estremamente raro e dovrebbe servire soprattutto come deterrente per i casi di abbandono o maltrattamento intenzionale o colposo.
In conclusione, il rapporto Berwick afferma: “il Nhs può diventare il più sicuro sistema di assistenza sanitaria in tutto il mondo. Ciò richiederà volontà unitaria, ottimismo, capacità di investimento e di cambiamento. Ognuno può e deve aiutare. Infine, il cambiamento richiederà una cultura ben radicata nel miglioramento continuo. Regole, norme, standard e loro applicazione hanno un ruolo importante nella ricerca della qualità, ma essi impallidiscono rispetto alla potenza di un apprendimento pervasivo e costante”.
Per ogni punto di quelli sopra citati, il rapporto elenca le attività da compiere per ogni attore (il Nice, il governo, gli organismi professionali), raccomandando al Nice di elaborare nel più breve tempo possibile degli standard di riferimento per i livelli di organico, basati su evidenze scientifiche.
Sul tema degli standard di sicurezza degli organici, Nursing standard (http://rcnpublishing.com/journal/ns), la rivista del Royal college of nursing, sta pubblicando negli ultimi tempi molti materiali e documenti. Nella scorsa primavera ha costituito, coinvolgendo anche le organizzazioni per la difesa dei pazienti e la Florence Nightingale foundation, un comitato di esperti denominato Safe staffing alliance. Nel maggio scorso questo comitato ha prodotto un documento di consenso che elenca in sette punti le caratteristiche di un organico sicuro, che pubblichiamo tradotte qui di seguito:
- le presenze del personale infermieristico devono essere pianificate in ogni servizio in ogni ospedale; devono essere supportate da evidenze scientifiche e metodologiche perché siano messi in atto dei rapporti infermieri/pazienti sicuri;
- il Coordinatore infermieristico (o figura analoga) è abilitato a prendere decisioni quotidiane sugli organici e sulle risorse disponibili con l’autorità di mettere in atto tali decisioni;
- il Coordinatore infermieristico e gli altri infermieri con responsabilità di coordinamento sono supportati dall’infermiere dirigente e dalle altre direzioni. Tutte le direzioni sono responsabili perché i livelli di organico siano mantenuti e adeguati a livelli sicuri e appropriati;
- in nessun caso è sicuro per l’assistenza dei pazienti che necessitano di cure ospedaliere un rapporto superiore a 8 pazienti per 1 infermiere durante il turno mattutino in unità ospedaliere per acuti, compresi quelli specializzati nella cura di persone anziane;
- se il personale infermieristico scende al di sotto del rapporto 1 infermiere per 8 pazienti (coordinatore escluso) l’episodio va segnalato e registrato. Vi è evidenza scientifica che il rischio di nuocere ai pazienti è sostanzialmente aumentato con questi livelli di organico;
- le direzioni sono tenute a segnalare pubblicamente la frequenza di tali episodi e a mettere in atto interventi immediati. In caso di violazioni regolari del rapporto di 1:8, ciò deve essere corretto con i sistemi di gestione delle direzioni;
- gli Infermieri devono essere sempre adeguatamente supportati da personale esperto e da altro personale di minor qualifica assegnato al servizio.
Ci sembra importante segnalare la novità del rapporto 1:8 tra infermieri e pazienti nel turno mattutino delle unità ospedaliere per acuti (coordinatore escluso) e la presenza obbligatoria di personale esperto e di supporto.
Anche nel nostro Paese si riflette da molto tempo sulle dotazioni degli organici infermieristici. Purtroppo non si è ancora arrivati a delle indicazioni precise, valide su tutto il territorio nazionale. Ogni Regione italiana norma a suo modo le dotazioni minime infermieristiche, con numeri, a mio modesto avviso, ancora ben lontani da dotazioni minime sicure. A questo proposito è doveroso citare un importante lavoro di Saiani e collaboratori, che nel 2011 ha pubblicato i risultati di una conferenza di consenso sulle dotazioni infermieristiche sicure. In questo lavoro, al punto 4 delle raccomandazioni per una dotazione assistenziale sicura, si riporta che “200 minuti totali di assistenza per paziente al giorno sia il limite al di sotto del quale l’assistenza non è sicura e potrebbe mettere a rischio il paziente; laddove si mantenga un’assistenza minima di 200 minuti totali, la proporzione di operatori di supporto non deve superare il 30%, garantendo in tal caso 140 minuti di assistenza infermieristica e 60 minuti di assistenza erogata dal personale di supporto. Questo parametro nelle 24 ore determina un rapporto (arrotondato) di 10 pazienti per infermiere e di 24 pazienti per operatore di supporto”.
Questo lavoro costituisce sicuramente un passo in avanti verso la determinazione di un numero minimo di presenza giornaliera di infermieri che possa garantire elevati standard di sicurezza e di qualità dell’assistenza per i pazienti e per gli stessi infermieri. Da calcoli approssimativi si può evidenziare che le indicazioni di Saiani e collaboratori si riferiscono a un rapporto infermieri/pazienti di 1:10 costante per tutta la giornata, mentre le indicazioni della Safe staffing alliance riportano un rapporto di 1:8 solo per il turno mattutino. È il caso di continuare a studiare l’articolazione di queste presenze e quali siano, appunto, le dotazioni migliori e più sicure.
Conclusioni
In tutti i Paesi industrializzati il controllo della spesa per la salute dei propri cittadini è uno dei fattori di risposta alla congiuntura economica mondiale. Di conseguenza, anche nel nostro Paese le riduzioni del finanziamento del Servizio sanitario nazionale sono una realtà con la quale fare duramente i conti. È bene però che i decisori sappiano che ridurre gli organici infermieristici porta inevitabilmente ad aumentare il rischio di danni, anche gravi, ai pazienti. Le evidenze scientifiche ormai non si contano più. In bibliografia si indica una selezione dei lavori più significativi al riguardo.
Lo scandalo dell’ospedale di Stafford andrebbe studiato con attenzione; il peso della componente infermieristica non è stato trascurabile; è evidente il fallimento di un intero sistema sanitario (ospedale, territorio, rappresentanze professionali, mondo della formazione) che ha moltissime analogie con il nostro.
Infine, dalle conclusioni stilate dai rapporti prodotti dopo lo scandalo si possono trarre tre insegnamenti:
- è necessario ritarare l’organizzazione dei nostri ospedali. Da aziende attentissime all’equilibrio e alla stabilità economica, si deve progredire verso organizzazioni che abbiano come obiettivo prioritario il soddisfacimento efficace delle domande dei pazienti, ovvero che siano in grado di erogare la miglior risposta possibile in termini clinici ad ogni cittadino che ne abbia bisogno, ma al costo più sostenibile per la collettività. Probabilmente questo obiettivo, che può sembrare utopistico, diventa più percorribile se riusciremo a potenziare tutta la rete dei servizi extraospedalieri (la medicina di base e quella preventiva, gli ambulatori di zona, i consultori) e, soprattutto, a sviluppare molto il ruolo degli infermieri che lavorano sul territorio;
- se non siamo in grado di difendere i nostri interessi professionali e quelli dei pazienti che assistiamo non siamo dei buoni professionisti e, peggio, finiamo per cadere nello stesso calderone dei manager tagliatori di teste e di tutte quelle persone che pensano che “tanto non cambierà mai niente”: in questo modo affondiamo tutti col Titanic! Difendere gli organici significa difendere anche una sanità migliore per i pazienti;
- non è più procrastinabile la definizione, anche nel nostro Paese, di uno standard di presenze minime per turno di infermieri di ogni struttura, sia essa un ospedale per acuti o una lungodegenza. Uno standard che possa rappresentare la sicurezza per i pazienti che si affidano alle nostre cure, sperando sempre di non subire danni peggiori di quelli provocati dalle malattie che li stanno già affliggendo.
[1] Il Royal college of nursing è un organismo inglese di tutela professionale e sindacale.
[2] Learning organization è un termine che si riferisce alla teoria di Peter Senge, scienziato del Mit di Boston, che l’ha sviluppata alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. La learning organization è un’organizzazione che facilita l'apprendimento dei suoi membri e si trasforma continuamente. Le organizzazioni che apprendono continuano a svilupparsi in risposta alle pressioni dell’ambiente e rimangono competitive nel contesto economico (Peter Senge, La quinta disciplina: L'arte e la pratica dell'apprendimento organizzativo. Milano, Sperling & Kupfer, 1992).