Metodiche operative per la valutazione e la salvaguardia della dignità del paziente: analisi della letteratura


Con il termine dignità (dal latino dignus, meritevole) è uso1 riferirsi al sentimento che proviene dalla considerazione del proprio valore e dalla stima di sé. Definizioni più recenti2 descrivono la dignità come una “condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che deve a sé stesso”.
Il senso di dignità è invece un concetto complesso che trae origine dalla capacità di autodeterminazione3-4-5. Gli stati di vulnerabilità e dipendenza imposti dalla malattia possono pregiudicare il senso di dignità individuale6.La perdita del significato del proprio esistere, la disintegrazione dell’immagine di sé e l’annullamento della personalità possono determinare nel paziente uno stato di disperazione totalizzante7-8 che espone i pazienti al rischio di mettere in forse le ragioni del continuare a vivere9-10-11.
Obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare la letteratura esistente sul concetto di dignità e di senso di dignità percepito in relazione all’assistenza ospedaliera e in altre istituzioni sanitarie. La finalità ultima, oltre all’individuazione di relazioni tra dignità percepita e assistenza, è quella di reperire indicazioni operative per la valutazione clinica del costrutto e per la conduzione di pratiche assistenziali atte a preservare il senso di dignità percepito. A tale scopo è stata condotta, nel dicembre 2012, una ricerca bibliografica sui più comuni database biomedici e sui motori di ricerca generalisti. Le parole chiave utilizzate sono state dignity, patients, hospital, nursing care e assessment in varie combinazioni, con i limiti (sui database biomedici) riguardanti le persone adulte e gli ultimi 10 anni. Sono stati reperiti oltre 60 articoli sull’argomento e ne sono stati selezionati 31 inerenti gli obiettivi del lavoro.

L’assistenza e la dignità della persona malata
Tadd12 ha osservato che il termine dignità sta divenendo di uso comune: basti pensare alle espressioni “trattamento dignitoso”, “morte con dignità” oppure “diritto alla dignità”. Esse sono ormai ricorrenti nelle definizioni delle cure della persona giunta al termine della vita. Definizioni che possono essere considerate semplici “slogan” per Mackin13 e che vanno ricondotte ai concetti di rispetto, consenso informato e riservatezza.
Nordenfelt14 associa il concetto a quattro principi che possono racchiuderne il vero significato: la menschenwurde, che è la dignità che tutti gli esseri umani posseggono in ugual misura; il merit, ossia la posizione e il ruolo che riveste un individuo nella società; la moral stature e la dignity of identity, ossia l’integrità del corpo e della mente. Nordenfelt mette in evidenza che la dignity of identity ha un ruolo chiave: in un contesto di perdita dell’autonomia il personale sanitario dovrebbe trattare tutti gli assistiti nel medesimo modo, senza distinzione di razza o di ruolo ricoperto nella società. Mentre la menschenwurde, a suo parere, rimane costante in un contesto di malattia, gli altri aspetti della dignità possono variare in relazione al comportamento e alla relazione che si viene a instaurare tra sanitari e paziente.
Jacobson15 sintetizza i principi di Nordenfelt nel concetto di human dignity, a sua parere correlato a quello di social dignity, vissuta nell’interazione dell’individuo con il contesto situazionale con cui viene a contatto. Alla social dignity si collegano la dignity of self (che include la fiducia in se stessi) e la dignity in relation (che include i valori e gli scambi di messaggi verbali e non verbali che si vengono a creare durante una relazione). Occorre perciò tener presente che la dignità umana è strettamente correlata al vissuto sociale. Parrebbe già possibile affermare che, benché la letteratura sul tema della dignità sia relativamente scarsa, tendenzialmente focalizzata su pazienti in fase terminale, essa documenta chiaramente che “il modo in cui i pazienti percepiscono l’essere visti” è un potente veicolo della loro dignità16-17.
Il concetto di dignità è poi in stretta relazione con la sensazione di “sentirsi un peso per gli altri” da una parte e con quella di “essere trattati con rispetto” dall’altra18. Ne consegue che quanto più il personale di assistenza è capace di affermare il valore del paziente, tanto più è probabile che il senso di dignità sia sostenuto e conservato19. La relazione tra il riconoscimento da parte di chi fornisce le cure e la percezione di sé del paziente è messa fortemente in evidenza negli studi sulle cure che preservano la dignità20, chiarendo come non essere trattati con dignità e rispetto può distruggere il senso del sé e del valore della vita10-21.
In altri termini il senso di dignità, già compromesso dalla malattia, viene ulteriormente minacciato dalla mancanza di privacy e dal comportamento del personale sanitario. Alla luce di questi suggerimenti Il rispetto della dignità individuale diviene parte integrante delle cure infermieristiche.
Baillie22 va oltre, sostenendo che la funzione cardine dell’infermiere dovrebbe essere proprio la “promozione della dignità” proponendo un’assistenza centrata sul rispetto della dignità umana. In ambito ospedaliero sono stati condotti alcuni studi di tipo fenomenologico che hanno analizzato come il comportamento del personale sanitario può influenzare la dignità del paziente. Uno tra i lavori più completi è quello di Matiti, citato da Baillie22, che esplora la percezione della dignità tramite interviste semi-strutturate in una degenza per acuti. I risultati del lavoro propongono dieci categorie concettuali che descrivono la natura del costrutto, ossia: il rispetto della privacy, il bisogno di informazione, la possibilità di compiere scelte, la riservatezza, il coinvolgimento nelle cura e nell’assistenza, l’indipendenza, la decenza, il controllo sulla propria vita, il rispetto e la comunicazione infermiere-paziente. Dalle suddette categorie tenta di declinare i ruoli e i comportamenti idonei da attuare nelle singole attività di cura.
Molti lavori23 si sono concentrati su pazienti terminali e sulla dignità della persona giunta al termine della vita; appare però difficile trasferire i risultati su altre tipologie di pazienti, data la particolarità della popolazione allo studio e la difficoltà di esaminare i singoli soggetti nella breve durata della degenza degli stessi. In ogni caso, in sintesi, pare assodata dalla letteratura l’associazione tra assistenza ricevuta e senso di dignità percepito.

L’assessment del senso di dignità percepito
In qualsiasi istituzione sanitaria un approccio clinico basato solo sulla valutazione degli effetti e dei correlati della malattia è inadeguato per qualsiasi tipologia di paziente, ancora di più negli anziani24-25, la fascia di popolazione più ampia, quasi sempre con polipatologie associate a perdita dell’autosufficienza e a problemi di ordine cognitivo, emozionale e sociale. In tal senso la valutazione di un costrutto complesso come quello di dignità percepita richiede strumenti e approcci valutativi adatti. Come precedentemente accennato, per la crescente attenzione rivolta alle aspettative e alle preferenze dei pazienti, il termine dignità è divenuto molto popolare; tuttavia, per la sua complessa natura, viene spesso usato in senso vago, senza una precisa definizione, fatto questo che impedisce l’individuazione dei soggetti maggiormente a rischio di perdita del senso di dignità13.
Secondo Peate26 la valutazione del senso di dignità percepito richiede la valutazione delle condizioni cliniche, dello stato funzionale, delle capacità cognitive, delle componenti psico-affettive, delle condizioni sociali, economiche e ambientali. A suo parere, oltre all’utilizzo di scale di misurazione, risulta fondamentale la prima fase del colloquio, la fase di approccio informale, durante la quale dovrebbe essere possibile ottenere informazioni relative al profilo psicologico, alla situazione familiare ed alle aspettative del paziente e della famiglia. Dette indicazioni, benché teoricamente ineccepibili, sembrano però inadeguate all’utilizzo pratico per l’eccessivo uso di strumenti di misurazione e per l’eccessivo rilievo dato alle capacità soggettive del valutatore.
Molto più pragmatico pare l’approccio di Chochinov27, che pone indicazioni per l’utilizzo di tre scale di misurazione: function assessment of chronic illness therapy spiritual Well-Being scale, patient dignity inventory, hospital anxiety and depression scale. Il loro contemporaneo utilizzo ha permesso l’individuazione dei livelli di senso di dignità percepito e la costruzione di un nuovo approccio psicoterapeutico personalizzato che, rispetto allo standard delle cure palliative e delle cure centrate sul paziente, ha portato un beneficio in termini di miglioramento della qualità della vita, del senso di dignità e del rapporto con i familiari.
Nel contesto nazionale italiano uno28 dei due lavori reperiti analizza il senso di perdita di dignità percepito in una popolazione anziana istituzionalizzata tramite il Sense of dignity score di Chochinov29-30, individuando importanti fattori di rischio nell’età non elevata, negli alti livelli di dipendenza nelle attività di vita quotidiana, nell’assenza di sostegno familiare e, soprattutto, nelle condizioni strutturali, organizzative e assistenziali degli istituti di ricovero. Il Sense of dignity score potrebbe, forse da solo, individuare i soggetti a rischio di perdita di dignità percepita. Non esistono purtroppo riscontri attinenti alla ricaduta di eventuali benefici sui pazienti in relazione alla rilevazione effettuata. Unico strumento validato in italiano è il Patient dignity inventory di Chochinov31, ad opera di Ripamonti et al.32, studiato su una coorte di pazienti terminali. In ogni caso, per quello che riguarda l’assessment del senso di dignità percepito, pare anche troppo facile porre indicazioni sul bisogno di studi di ambito nazionale, volti a individuare, o validare, agili strumenti adatti alla misurazione del costrutto.

Le pratiche assistenziali basate sulla dignity therapy
La dignity therapy20-33 è stata sviluppata allo scopo di diminuire la sofferenza e influenzare positivamente l’esperienza di fine vita. Al momento risulta essere l’unica proposta di metodica operativa sistematica per la tutela del senso di dignità del paziente. La finalità è quella della promozione del maggior livello di benessere possibile, tramite il supporto all’identità personale corredata di significato e di orizzonti di senso. Il costrutto di cure che preservano la dignità si basa su atteggiamenti e comportamenti che l’operatore sanitario dovrebbe tenere nei confronti del paziente. Gentilezza, rispetto, dialogo e compassione sono valori imprescindibili per ogni operatore delle professioni di aiuto, purtroppo non sempre facilmente praticabili nelle caotiche situazioni cliniche attuali. Come per l’Abcd dell’emergenza (acronimo di Airway, breathing, circulation and defibrillation) la dignity therapy propone quattro punti focali: attitude-atteggiamento, behaviour-comportamento, compassion-empatia, dialogue-dialogo. L’acronimo ha il senso di favorire in tutti gli operatori le pratiche cruciali del prendersi cura degli altri preservandone la dignità33. Esso concilia le esigenze della cura della “persona-corpo”, con quelle delle cure alla persona in toto, racchiudendo i principi di una relazione operatore-paziente rispettosa e collaborativa, fornendo anche indicazioni operative che possono costituire un “gold standard” di comportamento (Schema 1).
Attitude. Gli atteggiamenti degli operatori possono essere percepiti dal paziente come non coerenti con la propria realtà esistenziale. Esaminare i propri atteggiamenti e i propri modelli relazionali è compito profondamente personale, ma il rilievo dato all’attitude informa l’operatore che ciò che egli pensa dei propri pazienti li può colpire in maniera profonda. Persone considerate inutili o di poco valore si convinceranno di esserlo davvero. In altre parole, le persone guardano agli operatori sanitari come a uno specchio, alla ricerca di un’immagine positiva di se stessi e della sensazione di continuare a esistere, influenzando l’ambiente che li circonda.
Behaviour. Una volta che gli operatori sono divenuti consapevoli di giocare un ruolo fondamentale nell’influire sul senso di dignità dei pazienti, ne dovrebbero logicamente tener conto per perseguire adeguati comportamenti improntati alla gentilezza e al rispetto. Piccoli atti di gentilezza possono personalizzare le cure e spesso richiedono poco tempo e poca fatica: procurare al paziente un bicchiere d’acqua, aiutarlo ad infilare le pantofole, porgergli gli occhiali, aggiustargli il cuscino o le lenzuola, apprezzare una fotografia. Questi comportamenti rispettosi inviano un messaggio fondamentale, cioè che la persona è degna di quell’attenzione. Determinati comportamenti comunicativi favoriscono la fiducia e il legame fra paziente e operatore sanitario. Anche alcuni aspetti delle cure che interessano la sfera intima esigono particolare attenzione; chiedere al paziente il permesso di eseguire un esame fisico fa sì che non si senta oggetto di una “perquisizione” ma, dando la possibilità di decidere, confermano il diritto al mantenimento del proprio libero arbitrio.
Compassion. In lingua italiana il termine compassione ha un’accezione che evoca atteggiamenti di pietà, mentre nel Regno Unito compassion ha una connotazione meno religiosa e più operativa, che può essere descritta meglio dal termine “empatia in azione”, intesa come processo psicologico di partecipazione intensa e attiva alla sofferenza di un’altra persona e, nel caso specifico dell’operatore sanitario, la capacità di prendersi cura del paziente avvicinandosi alla sua esperienza di malattia e di sofferenza senza però identificarsi in essa. Per alcuni l’empatia può essere parte di una predisposizione naturale che informa in maniera intuitiva i processi di cura. Per altri, emerge gradualmente durante l’esperienza di vita, la pratica clinica e la presa di coscienza della propria vulnerabilità. Può svilupparsi col tempo e può anche essere coltivata attivamente mediante formazione nell’ambito delle medical humanities. La compassion può essere veicolata da qualsiasi forma di comunicazione, verbale o non verbale, che testimoni riconoscimento delle vicende umane che accompagnano la malattia.
Dialogue. Nella cornice di riferimento delle cure che preservano la dignità si configura come la componente più importante. È un elemento critico fondato sulla presa di coscienza che oltre alla malattia e ai suoi correlati esiste ancora un essere umano. Diversi approcci psicoterapeutici come la terapia della dignità, la terapia incentrata sul significato e la life review o reminiscenza20 coinvolgono i pazienti in un dialogo più estensivo, strutturato con l’intento di rinforzare il senso di significato, gli orizzonti di vita e il senso di dignità percepito. Il dialogo dovrebbe essere usato deliberatamente, come routine per familiarizzare con aspetti della vita del paziente che devono essere necessariamente conosciuti per potergli offrire le migliori cure possibili33.

Schema 1 – Indicazione per un corretto abcd della dignità

Domande da porsi:

  • come mi sentirei nella situazione di questo paziente?
  • che cosa mi porta a trarre queste conclusioni?
  • ho verificato se i miei assunti su questo paziente sono accurati?
  • sono consapevole dell’influenza sul paziente del mio atteggiamento?
  • è possibile che il mio atteggiamento verso il paziente sia in rapporto alle mie esperienze, ansie o timori?
  • la mia disposizione all’essere operatore sanitario mi mette o non mi mette in condizione di stabilire relazioni professionali aperte ed empatiche con i miei pazienti?

Esame clinico:

  • chiedere sempre al paziente il permesso di effettuare un esame fisico
  • chiedere sempre al paziente il permesso di far presenziare all’esame clinico studenti o tirocinanti
  • benché la visita possa far parte di routine del processo di cura, raramente è di routine per il paziente quindi, per quanto possibile, prendersi il tempo di mettere il paziente a proprio agio e mostrare comprensione per quanto stanno per affrontare (per esempio: “So che potrebbe essere spiacevole”; “Mi dispiace che siamo costretti a farle questo”; “So che è una seccatura”; “Questo dovrebbe farle male solo un momento”; “Mi avverta se per qualsiasi ragione dobbiamo fermarci”; “Questa parte dell’esame è necessaria perché…”)
  • limitare la conversazione con il paziente durante l’esame (a parte fornirgli istruzioni o incoraggiamento) finché non si sarà rivestito o adeguatamente ricoperto

Comunicazione facilitante:

  • agire in un modo da dimostrare al paziente che ha la piena e completa attenzione dell’operatore
  • invitare sempre il paziente ad avere presente qualcuno della sua rete di supporto, specialmente se si programma di affrontare o rivelare informazioni complesse o difficili
  • I temi personali dovrebbero essere sempre affrontati in un setting che tenti di rispettare il bisogno di riservatezza del paziente
  • parlando con il paziente, cercare di stare seduti ad una distanza confortevole per la conversazione, possibilmente a livello degli occhi del paziente
  • posto che la malattia e i cambiamenti nello stato di salute possono avere un impatto devastante, offrire ai pazienti e ai loro familiari spiegazioni ripetute, ove richiesto
  • presentare le informazioni al paziente in un linguaggio che egli possa comprendere; mai parlare della situazione del paziente a portata del suo orecchio in termini che non potrebbe capire
  • chiedere sempre al paziente se ha ulteriori domande e assicurargli che ci sarà l’opportunità di porre altre questioni mano a mano che dovessero sorgere

Modi per dimostrare empatia:

  • un’espressione comprensiva
  • un tocco gentile ad una spalla, un braccio, o una mano
  • una qualche forma di comunicazione, verbale o non verbale, che esprima il riconoscimento della persona oltre la malattia

Conoscere il paziente:

  • “Che cosa devo sapere sul paziente come persona che possa aiutarmi a prendermi cura di lui in maniera migliore?”
  • “Quali sono in questo momento della vita del paziente le cose che sono importanti per lui o che lo preoccupano di più?”
  • “Chi altro sarà influenzato da ciò che sta accadendo alla salute del paziente?”
  • “Chi dovrebbe essere qui per contribuire a sostenerlo?” (amici, famiglia, rete di sostegno spirituale o religiosa, ecc.)
  • “Chi altri dovremmo coinvolgere per aiutarlo e sostenerlo in questo momento difficile?” (servizi psicosociali, il supporto di gruppo, leader religiosi, specialisti di cure complementari, etc.)

Azioni da intraprendere:

  • fare uno sforzo consapevole affinché queste domande facciano parte integrante della riflessione sulla cura di ogni singolo paziente
  • discutere sistematicamente il tema degli atteggiamenti e degli assunti di medici/infermieri e della loro influenza sul modo di prendersi cura dei pazienti nel corso delle revisioni dei casi clinici e dell’insegnamento clinico
  • prevedere attività di aggiornamento professionale che comportino la messa in discussione di atteggiamenti e assunti in funzione del loro impatto sulla cura dei pazienti
  • creare fra colleghi e nel proprio setting assistenziale una cultura del riconoscimento e della discussione di questi argomenti come componente standard dei processi di cura

Atteggiamenti da tenere:

  • trattare il contatto con il paziente al pari di qualsiasi altro potente mezzo di intervento clinico
  • un comportamento professionale nei confronti del paziente deve sempre includere rispetto e gentilezza
  • la mancanza di opzioni curative non dovrebbe mai essere razionalizzata o giustificare la mancata prosecuzione del contatto con il paziente

Conclusioni
L’analisi della letteratura mostra che la dignità personale e il senso di dignità percepito sono fortemente soggetti a variazioni in rapporto alle relazioni assistenziali instaurate tra paziente e operatori sanitari. Esiste un solo strumento di misura validato sul contesto nazionale atto a valutare dignità e senso di dignità percepiti dall’utenza in fase finale della vita. Non esistono strumenti generici, finalizzati all’uso in contesti operativi comuni. È stata individuata una sola proposta sistematica di metodologia assistenziale che detta indicazioni operative per condurre pratiche assistenziali tese a preservare la dignità del paziente in contesti istituzionali sanitari. La dignity therapy, a parere degli autori, propone modalità e contenuti assistenziali di carattere universale, adatti a qualunque situazione clinica e per qualunque tipologia di paziente, anche quelli non a forte rischio di perdita di senso di dignità percepito. In tal senso pare possibile consigliarne l’adozione a tutte le tipologie di operatori sanitari, in particolare agli infermieri.
Senza dubbio l’infermiere riveste un ruolo centrale nel percorso di tutela della dignità personale. È il professionista che vive più strettamente a contatto con il paziente e la sua famiglia e ricopre, volente o nolente, il ruolo obbligato di collegamento tra le varie figure professionali. L’infermiere, quotidianamente a contatto con condizioni di fragilità e complessità, per applicare integralmente le pratiche della dignity therapy, dovrà dar fondo a tutte le proprie risorse motivazionali e valoriali, con il risultato, ed è questa ancora una convinzione degli autori, di acquisire egli stesso un forte senso di dignità secondo il principio empirico che rispettando gli altri saremo a nostra volta rispettati.
 

STAMPA L'ARTICOLO

Bibliografia

– Pianigiani O (1990). Vocabolario Etimologico della lingua italiana. Fme, La Spezia.
– Treccani, vocabolario on line in http://www.treccani.it/vocabolario/tag/dignita/ maggio 2013.
– Chochinov H M, Hack T, McClement S, Kristjanson L, Harlos M (2002). Dignity in the terminally ill: a developing empirical model. Soc Sci Med; 54:433–43.
– Thompson G N, Chochinov H M (2008). Dignity-based approaches in the care of terminally ill patients. Curr Opin Support Palliat Care; 2(1):49-53.
– Gruenewald D A, White E J (2006). The illness experience of older adults near the end of life: a systematic review. Anesthesiol Clin; 24(1):163-80, IX.
– Murata H (2003). Spiritual pain and its care in patients with terminal cancer: construction of a conceptual framework by philosophical approach. Palliat Support Care; 1:15-21.
– Burt R (2002). Death is that man taking names: intersections of American medicine, law, and culture. Berkeley: University of California Press. In: Chochinov H M (2007). Dignity and the essence of medicine: the A, B, C, and D of dignity conserving care. BMJ; 335:184-187.
– Cassel E J (1982). The nature of suffering and the goals of medicine. N Engl J Med; 306:639-45.
– Chochinov H M (2007). Burden to others in the terminally ill. J Pain Symptom Manage; 34(5):463-71.
– McPherson C J, Wilson K G, Murray M A (2007). Feeling like a burden: exploring the perspectives of patients at the end of life. Soc Sci Med; 64:417-27.
– Peabody F W (1927). The care of the patient. JAMA; 88:876-82.
– Tadd W (2005). Dignity and older Europeans. Quality in Ageing: Policy, Practice and Research; 6(1):2-5.
– Macklin R (2003). Dignity is a useless concept: it means no more than respect for persons or their autonomy. British Medical Journal, 327 (7429): 1419-1420.
– Nordenfelt L, Edgar A (2005). The four notions of dignity. Quality in Ageing: Policy. Practice and Research; 6(1): 17-21.
– Jacobson N (2007). Dignity and health: a review. Social Science and Medicine, 64 (2): 292-302;
– Chochinov H M, Hack T, Hassard T, Kristjanson L J, McClement S, Harlos M (2002). Dignity in the terminally ill: a cross-sectional, cohort study. Lancet; 360:2026-30.
– Chochinov H M (2004). Dignity and the eye of the beholder. J Clin Oncol; 22:1336-40.
– Chochinov H M, Krisjanson L J, Hack T F, Hassard T, McClement S, Harlos M (2006). Dignity in the terminally ill: revisited. J Palliat Med; 9:666-72.
– Remen R N (2001). The power of words: how the labels we give patients can limit their lives. West J Med; 175:353-4.
– Chochinov H M (2002). Dignity-conserving care-a new model for palliative care: helping the patient feel valued. JAMA; 287:2253-60.
– Wilson K G, Curran D, McPherson C J (2005). A burden to others: a common source of distress for the terminally ill. Cogn Behav Ther; 34:115-23.
– Baillie L (2008). Patient dignity in an acute hospital setting: a case study. International Journal of Nursing Studies; 46: 23-37.
– Östlund U, Brown H, Johnston B (2012). Dignity conserving care at end-of-life: a narrative review. Eur J Oncol Nurs; 16(4):353-67.
– Gueldner S H (2012). Preserving dignity and sense of worth in older adults. J Gerontol Nurs. Jul; 38(7): 55-6.
– Harries M (2012). Dignity. Nurs Older People; 24(3):12.
– Peate I (2012). Dignity and geriatrics. Br J Hosp Med; 73(6):354.
– Chochinov H M, Kristjanson L J, Breitbart W,  McClement S, Hack T F, Hassard T, Harlos M (2011). Effect of dignity therapy on distress and end-of-life experience in terminally ill patients: a randomised controlled trial. Lancet Oncol;12(8):753-62.
– Sammicheli E, Fusi E, Pallassini M (2012). Senso di dignità: Val D’Elsa, studio tra i residenti in struttura. Assistenza anziani; 12:21-24,
– Chochinov H M, Hack T et al. (2002). Dignity in the terminally ill: a cross-sectional, cohort study. Lancet; 360:2026-2030.
– Wilson K G, Scott J F et al. (2000). Attitudes of terminally ill patients towards euthanasia and physician-assisted suicide. Arch Intern Med; 160: 2454-2460.
– Chochinov H M, Hassard T, McClement S, Hack T, CPsych et al. (2008). The Patient dignity inventory: a novel way of measuring dignity-related distress in palliative care. Journal of Pain and Symptom management; 36: 559-571.
– Ripamonti C I, Buonaccorso L, Maruelli A, Bandieri E, Pessi M A, Boldini S, Primi C, Miccinesi G (2012). Patient dignity inventory (Pdi) questionnaire: the validation study in Italian patients with solid and hematological cancers on active oncological treatments. Tumori; 98 (4): 491-500.
– Chochinov H M (2007). Dignity and the essence of medicine: the A,B,C and D of dignity conserving care. BMJ; 335(7612):184-7.