Il valore del servizio di follow-up dopo la degenza in terapia intensiva


Negli ultimi anni le possibilità di sopravvivere alle malattie critiche sono notevolmente aumentate grazie ai rapidi progressi e all’evoluzione che ha interessato le cure intensive (Uti). Si calcola che il 75% circa delle persone sopravviva al ricovero in Uti. È noto, però, come vi siano delle sequele che accompagnano il paziente dal momento della dimissione dal reparto e si protraggano anche a distanza di mesi e anni. Ne deriva che tra gli esiti auspicabili da una degenza in Terapia intensiva (Uti) si deve includere non solo la sopravvivenza del paziente e la prevenzione delle varie sequele patologiche, ma anche la qualità della vita successiva, secondo un modello bio-psicosociale.
Nel 2002, a Bruxelles, si è tenuto l’incontro “Sopravvivere alla Terapia intensiva”, nel quale un gruppo di esperti si è confrontato sul possibile significato attribuito da pazienti e familiari riguardo la sopravvivenza post-Uti. Volgendo l’attenzione agli esiti a medio/lungo termine di tali pazienti, alcuni autori hanno indagato se effettivamente i risultati sono i migliori ottenibili dalle cure fornite e se il modo di assistere cambierebbe se si avessero maggiori informazioni circa gli esiti successivi alla dimissione dall’Uti (Angus, Carlet, 2003). Le risposte a questi quesiti sono state in gran parte fornite dai servizi di follow-up, in particolare da quelli di tipo ambulatoriale, promossi prevalentemente dai servizi sanitari dei Paesi del Nord Europa.
Considerando dunque la crescente attenzione per la qualità di vita delle persone dopo la malattia critica e la degenza in Uti è stato interessante e utile esaminare, attraverso l’analisi della letteratura, quanto finora raggiunto grazie ai servizi di follow-up nei Paesi in cui sono stati attivati. Lo scopo è stato di valutare i benefici e l’impatto di tali servizi sugli esiti, sul benessere e sulla qualità della vita delle persone che vi hanno avuto accesso.

Dalla letteratura emerge che il servizio di follow-up è raccomandato come mezzo di valutazione della qualità dell’assistenza di Terapia intensiva erogata (Department of health – London, 2000). È inoltre sottolineato come senza di esso il personale abbia solo “la morte” o “la dimissione del paziente vivo dalla Terapia intensiva” come risultati da cui partire per valutare l’attività di cura e assistenza, mentre è necessario arricchire costantemente le conoscenze, perché è proprio su queste che si basano le decisioni per migliorare la pratica clinica (Strahan et al., 2003).
Vi sono molti studi e opinioni di esperti, inoltre, che ritengono che le sequele della malattia critica possano essere meglio affrontate grazie ai servizi di follow-up, i quali offrono la possibilità ai professionisti della Terapia intensiva di discutere con i pazienti e i familiari delle esperienze, dei problemi e di fornire loro consigli e aiuti.
In particolare, si evince come i follow-up ambulatoriali, che permettono l’incontro faccia a faccia tra i protagonisti, siano più utili rispetto a dei più semplici follow-up telefonici o basati sull’adozione di strumenti di screening. Questi ultimi, infatti, non consentono una visita diretta e un esame obiettivo della persona, che è sicuramente più appropriato per rilevare eventuali problemi e rispondere con opportune misure. In sintesi, un servizio di follow-up ambulatoriale:

  • favorisce la chiarificazione dell’evento/malattia critico e del trattamento effettuato in Terapia intensiva;
  • offre un’opportunità per domande e discussione;
  • permette l’identificazione di morbilità specifica della Terapia intensiva;
  • consente la sorveglianza e il trattamento della morbilità fisica e psicologica;
  • è un’opportunità per audit, ricerca e miglioramento dei servizi;
  • favorisce un meccanismo di feedback sull’attività dello staff della Terapia intensiva.

I servizi di follow-up
I servizi di follow-up rivolti ai pazienti dimessi dall’Uti sono stati attivati in diversi Paesi con organizzazioni e modalità di sostegno diversi. Le prime forme di follow-up post-intensivi risalgono al 1990, periodo in cui in Norvegia e Svezia gli infermieri cominciarono ad adottare di loro iniziativa un Diario di terapia intensiva come strumento per aiutare i pazienti a dare un significato alla loro esperienza di malattia e seguirli nel loro percorso di recupero.
In Danimarca, invece, il servizio di follow-up è stato inserito come parte integrante del programma di recupero dalla Terapia intensiva nei primi anni del 2000: attualmente, il 17% delle Unità di terapia intensiva offre un follow-up, circa il 42% di questi servizi utilizza il diario. In Norvegia il 44% delle Unità di terapia intensiva utilizza come strumento il diario e il 26% delle Uo offre un servizio di follow-up ben definito, il quale viene anche svolto telefonicamente nel caso in cui vi fossero limitazioni a impedire gli incontri di persona. In Svezia il 76% delle Uti utilizza i diari, mentre il 30-40% offre un servizio di follow-up ben strutturato, altri, solo occasionale per la consegna del diario (Egerod et al., 2013).
Nel 2006, nel Regno Unito, è stato condotto un sondaggio per ottenere una stima del numero di servizi di follow-up ambulatoriali attivati. Il 30% esegue follow-up ambulatoriali, il 55% dei quali è gestito da infermieri, mentre il 70% non esegue follow-up, principalmente per limitazioni finanziarie.
I follow-up sono rivolti ai pazienti che sono stati ricoverati in Uti per tre o più giorni e i primi, sono fatti a distanza di 8-12 settimane dalla dimissione.
I servizi di follow-up attivati sono eterogenei: non esiste un modello particolare di follow-up e gli strumenti adottati sono vari, in percentuale maggiore quelli di derivazione locale, ma anche lo Short form heath survey (Sf-36), l’Hospital anxiety and depression scale-anxiety (Hads), l’EuroQoL-5D (Eq-5D) e uno strumento di screening per il Disturbo post traumatico da stress (Griffith set al., 2006).
In Italia (Bambi et al., 2013) solo il 7% delle UTI offre un servizio di follow-up , il quale risulta essere prevalentemente medico e solo in una realtà è completamente gestito da infermieri, mentre il 93% non prevede alcun tipo di follow-up. Gli utenti sono generalmente tutti quelli che sono stati ammessi all’Uti senza una particolare selezione, ad esclusione del caso in cui il servizio è rivolto ai Chronically critically ill patients, ossia a quei soggetti scompensati che dipendono da trattamenti tecnologicamente avanzati e che nel 50% dei casi muoiono entro l’anno dalla dimissione.
I follow-up sono effettuati a 3 e 6 mesi di distanza dal ricovero. Gli strumenti di valutazione adottati sono diversi, tra questi il più utilizzato è quello per la valutazione della qualità della vita (EQ-5D).
Anche i criteri per valutare il recupero fisico, psicologico e sociale sono numerosi e vari. Da ciò risulta impossibile avviare un confronto tra le diverse realtà sui dati ottenuti e rafforzare una rete di collaborazione tra i professionisti impegnati in questo servizio, al fine di ottenere miglioramenti e renderlo il più possibile efficace. La principale ragione dell’esiguità delle realtà che offrono tale servizio è riconducibile alla ridotta disponibilità di finanziamenti, di risorse umane e non per la loro attivazione, ma anche una scarsa consapevolezza generale dell’utilità di tale servizio (Bambi et al., 2013).
La presenza di studi di follow-up australiani e americani testimonia che tali servizi sono effettuati anche a livello extraeuropeo, anche se non sono stati rintracciate pubblicazioni che descrivano nel dettaglio come sono organizzati e gestiti. 

Le tipologie di follow-up, le strategie individuate e gli strumenti più utilizzati
I servizi di follow-up sono promossi prevalentemente dai Servizi sanitari nazionali dei Paesi dell’Europa settentrionale. Tuttavia non esistono programmi di follow-up standard, condivisi da tutte le realtà e un modello ideale non è ancora stato individuato (Williams et al., 2011).

Uno studio di comparazione dei servizi di follow-up danesi, svedesi e norvegesi (Egerod et al., 2013) ha individuato quattro modelli di follow-up gestiti interamente da infermieri o con il supporto di un team multidisciplinare, definiti da tempi precisi d’intervento, attività e strumenti specifici. Il primo modello, gestito solo da infermieri e caratterizzato dall’utilizzo del diario, è utilizzato nei paesi nordici. Il secondo modello, presente solo in Danimarca, è un follow-up sempre condotto dagli infermieri, che ha le stesse caratteristiche del primo, ma non prevede l’utilizzo dei diari. Il terzo modello, della Svezia, è multidisciplinare e prevede il diario per ogni paziente; gli incontri avvengono sia già durante la degenza che nei mesi successivi alla dimissione. Il quarto modello, infine, è presente solo in Danimarca e differisce dal terzo solo per il non utilizzo del diario come strumento del programma.
In sintesi, considerando tutti gli studi reperiti in letteratura, un programma di cure post intensive può essere distinto in tre fasi principali:

  • la prima si svolge mentre il paziente è ancora degente in Terapia intensiva e prevede l’eventuale stesura del “Diario del paziente” (per quanto riguarda i paesi scandinavi che li adottano) e realizzazione degli interventi di riabilitazione precoce;
  • la seconda si attua durante la degenza del paziente nell’unità operativa successiva al trasferimento dalla Terapia intensiva e prevede la possibile consegna di un opuscolo con informazioni importanti riguardanti il recupero, nonché colloqui con il paziente;
  • la terza avviene dopo la dimissione dall’ospedale e prevede la valutazione del paziente mediante esame obiettivo diretto e attraverso l’uso di strumenti validati di screening, discussione del diario, se presente, e raccolta d’informazioni da parte del personale riguardo la soddisfazione dell’utente.

Egerod ha riconosciuto poi tre strategie emerse dai diversi programmi di follow-up consistenti nella focalizzazione del lavoro nel passato del paziente, nel presente o un maggiore sguardo verso il suo futuro. Un programma di follow-up può includerle tutte o concentrarsi di più su una delle tre, in base agli obiettivi che si vogliono perseguire.
La prima strategia si concentra sull’esperienza di malattia vissuta dal paziente e prevede il colloquio diretto con il paziente, l’utilizzo di un diario e la possibilità di rivisitare la stanza in cui il paziente ha trascorso i suoi giorni in Terapia intensiva. Il diario da solo, infatti, non è in grado di trasmettere percezioni visive, uditive, olfattive, sensazioni che possono riaffiorare, invece, tornando direttamente nel luogo di permanenza (Storli, Lind, 2009). Lo scopo è di favorire il recupero del paziente dal punto di vista psicologico attraverso l’elaborazione dell’esperienza vissuta, la ricostruzione di una parte della sua vita, il riempimento del vuoto che per molti pazienti rappresenta il periodo di degenza in Uti, poiché molto spesso i ricordi dei fatti avvenuti possono essere pochi e distorti. La seconda strategia si concentra sull’analizzare il paziente nel presente, così come si presenta al momento dell’incontro: la valutazione prevede l’utilizzo di strumenti validati come l’Icu- memory tool, Hads, Pts-14, Sf-36. La terza strategia è volta, invece, al recupero fisico del paziente attraverso un programma definito di riabilitazione. Un buon programma di follow-up per essere completo e considerare l’individuo in modo olistico dovrebbe comprendere tutte e tre le strategie.
Dall’analisi della letteratura considerata emerge come i programmi di follow-up inglesi siano particolarmente attenti anche all’aspetto riabilitativo fisico del paziente, mentre quelli scandinavi si concentrano più sul dialogo e, dunque, sul supporto psicologico. Un trial clinico randomizzato (Rct) effettuato in tre ospedali del Regno Unito ha mostrato, ad esempio, l’efficacia di uno specifico programma di riabilitazione guidata, in aggiunta ai comuni incontri di follow-up per favorire il recupero fisico e ridurre la depressione (Jones et al., 2003).
Gli strumenti prevalentemente utilizzati nei servizi di follow-up sono i seguenti:

  • Short form health survey ( Sf-36);
  • EuroQol-5D (Eq-5D);
  • Hospital anxiety and depression scale-anxiety (Hads);
  • Davidson trauma scale (Dts);
  • Impact event scale (Ies);
  • Icu – memory tool;
  • Intensive care experience questionnaire (Iceq);
  • Diario di terapia intensiva del paziente.

Gli studi analizzati sono prevalentemente di tipo qualitativo, ossia ci offrono il giudizio degli utenti e, in alcuni casi, dei loro familiari riguardo ai servizi di follow-up. Tra questi, quello di Cutler et al. (2003) descrive un programma costituito da una prima visita, effettuata nella unità ove il paziente è stato trasferito dopo la degenza in Uti, e da altri due incontri a tre e sei mesi di distanza dalla dimissione. Dopo un anno, 1/3 dei pazienti in un’intervista telefonica semi-strutturata ha sottolineato l’importanza del servizio di follow-up per una migliore comprensione dell’evento critico (Engstrom et al., 2010, Prinjha, 2009). Anche nel più recente studio di Petersson et al. (2011) viene riportato come nel complesso il servizio sia stato considerato positivamente. È emerso, poi, come il primo contatto tra il paziente e l’infermiere si sia rivelato essenziale per molti pazienti. Molti hanno riferito, infatti, che il periodo immediatamente successivo alla dimissione è stato il più duro e quello in cui necessitavano maggiormente di sostegno e rassicurazioni. Per i pazienti per i quali non era possibile eseguire un colloquio di persona, sono stati garantiti dei contatti telefonici. Prinjha et al. (2009) hanno riscontrato come molti pazienti abbiano ritenuto il follow-up (previsto a tre e sei mesi di distanza dalla degenza) troppo lontano dalla dimissione, mentre avrebbero preferito essere contattati anche solo telefonicamente prima.
Nel 2012, grazie al supporto di due siti web appartenenti a due grandi gruppi di sostegno rivolti ai pazienti che hanno vissuto un’esperienza in Uti, “Icu steps”e “Ards foundation”, è stato condotto uno studio per esplorare il punto di vista di ex pazienti in merito al programma di assistenza post-intensiva. I trentacinque partecipanti, provenienti da Stati Uniti, Canada, Regno Unito hanno risposto ad alcune domande aperte che invitavano ad indicare quali erano per loro le componenti essenziali di un buon programma di recupero e a commentare gli aspetti dell’assistenza post-intensiva ricevuti o meno. Molti di essi hanno affermato che una volta lasciato l’ospedale hanno sentito il bisogno di ricevere più informazioni riguardo l’evento critico superato e rispetto a cosa aspettarsi nel futuro, nonché la necessità di essere rassicurati su ciò che stavano vivendo. I partecipanti hanno inoltre riconosciuto l’importanza di essere ascoltati e di avere contatti diretti con un infermiere di Terapia intensiva che potesse seguirli ed essere un punto di riferimento per loro, sottolineando così il valore di un adeguato supporto personale e della disponibilità di un professionista. Sebbene si tratti di una piccola indagine, dato il campione ristretto di persone che vi hanno preso parte, ma allo stesso tempo estesa, perché è riuscita a coinvolgere persone provenienti da realtà e paesi diversi, questo studio conferma che il servizio di follow-up può essere una valida soluzione, utile a rispondere al bisogno di raccontarsi e al bisogno di sapere dei pazienti.
Uno degli aspetti chiave di un buon programma di recupero è dunque l’informazione e l’educazione, in quanto le conoscenze limitano l’ansia e lo stress e aiutano a colmare il potenziale vuoto dettato dalla scarsa e distorta memoria dei fatti avvenuti (Deacon, 2012).
Lo studio effettuato da Samuel e Corrigan (2009) in Svezia offre un esempio concreto di un programma post-cure intensive che rientra nel terzo modello di follow-up individuato da Egerod et al. Il programma, basato su un approccio multidisciplinare, con il coinvolgimento di medici e psicologi, oltre alla figura principale dell’infermiere di Terapia intensiva, si è rivelato realizzabile e ha ottenuto un elevato livello di soddisfazione da parte dei pazienti e dei loro familiari. Esso però non ha riportato i risultati concreti raggiunti in termini di miglioramento della salute e benessere. Dallo studio emerge che un programma come questo è ben gestibile da un infermiere esperto e ben qualificato di Terapia intensiva, assistito da un team multidisciplinare in caso di necessità, anche disponendo di risorse relativamente modeste. Il servizio è rivolto a tutti gli utenti che hanno trascorso almeno 48 ore in Uti. Lo studio sottolinea la necessità di dedicare almeno 90 minuti al colloquio per permettere l’instaurarsi di un clima disteso appropriato, in modo da favorire il paziente ad aprirsi e a raccontarsi, tenendo conto della sua vulnerabilità e della delicatezza degli argomenti trattati. Il colloquio, condotto con una particolare sensibilità, premura e rispetto da parte del personale infermieristico, è considerato anche un’occasione per permettere la trasmissione d’informazioni, l’individuazione di altre esigenze essenziali per il paziente, oltre che essere un servizio volto al supporto psicologico. Gli incontri hanno inoltre permesso all’intera equipe dell’Uti di ricevere preziosi feedback: dai racconti dei pazienti, infatti, sono emersi gli aspetti ritenuti più stressanti durante la degenza, che hanno permesso di individuare alcune delle aree sulle quali agire al fine di un miglioramento successivo.
Un altro studio effettuato in Svezia da Schandl et al. ( 2011). ha sottolineato il valore di un servizio di follow-up multidisciplinare (sempre rientrante nella terza categoria di follow-up descritti precedentemente) per individuare problemi fisici e psicologici non altrimenti osservati. Il 65% dei pazienti coinvolti necessitava di un programma di riabilitazione che non era stato avviato, nonostante i problemi fisici presenti; il 56% dei pazienti presentava punteggi superiori alla norma in almeno uno degli strumenti di screening psicologico e per il 35% di questi, dopo una valutazione diretta, è stata suggerita una visita psichiatrica. 61 pazienti, che hanno trascorso almeno quattro giorni in Uti o che sono stati degenti per un tempo inferiore, ma che hanno manifestato episodi di grave confusione o allucinazioni durante la degenza, sono stati invitati a partecipare a tre incontri di follow-up a tre, sei e dodici mesi di distanza dalla permanenza in Uti. Per tutti il primo incontro con un infermiere appartenente all’équipe della Terapia intensiva è avvenuto a distanza di una settimana, nel servizio in cui sono stati trasferiti dopo il ricovero in ITU. In questa occasione l’infermiere ha consegnato loro il diario, ha discusso dei ricordi del paziente e ha dato informazioni, comprese quelle riguardanti il successivo incontro. Sono stati utilizzati come strumenti di screening Ies, Hads, Sf-36 e Icu memory t ool, che i pazienti dovevano portare con sé compilati nei successivi tre incontri. In ogni incontro, 40 minuti erano dedicati alla consultazione con il fisioterapista, 40 minuti con l’infermiere, durante i quali veniva discusso il contenuto del diario e l’infermiere valutava il paziente, gli aspetti riguardanti il suo stato occupazionale, cognitivo e sociale, considerando le risposte date ai questionari. Infine altri 40 minuti erano dedicati al colloquio con il medico.
Nel 2009 è stato poi pubblicato uno studio multicentrico randomizzato e controllato (Cuthbertson), effettuato tra il settembre 2006 e l’ottobre 2007, che coinvolgeva 286 pazienti di tre ospedali del Regno Unito, senza restrizioni nel campione se non per l’età (>18). L’obiettivo è stato quello di testare l’ipotesi dell’efficacia e convenienza dei programmi di follow-up gestiti da infermieri per il miglioramento della qualità della vita dei pazienti ad un anno dalla dimissione dalla Terapia intensiva. I servizi di follow-up sono stati messi a confronto con le cure standard altrimenti fornite ai pazienti, utilizzando come parametri i valori degli esiti ottenuti in termini di qualità di vita correlata alla salute, misurati con l’Sf-36, ed eseguendo un’analisi costo-efficacia. A dodici mesi, non sono stati rilevati dati interessanti che potessero confermare l’efficacia di tali servizi: le differenze infatti tra i due campioni a confronto non sono risultate statisticamente significative. I servizi di follow-up, poi, non si sono nemmeno potuti considerare convenienti, in quanto per il loro costo non hanno ottenuto risultati che potessero giustificarlo. Il programma dei follow-up, che si atteneva ai percorsi Nhs, prevedeva incontri a tre e nove mesi dalla permanenza in Uti, durante i quali avveniva la discussione delle esperienze vissute, la valutazione dei requisiti per richiedere la consulenza di un medico specialista, lo screening per valutare la morbilità psicologica con il punteggio del Davidson trauma score e Hads e, per i pazienti ritenuti a rischio era previsto un controllo da parte di un professionista della salute mentale. Veniva poi rivisto il trattamento farmacologico in corso, data la possibilità di rivisitare il servizio di Terapia intensiva, rivisto il programma di fisioterapia se necessario e consegnata una lettera contenente i progressi evidenziati, qualora ve ne fossero, da consegnare al proprio medico di base. Il campione di comparazione, invece, aveva come riferimento il medico di medicina generale, il quale poteva indirizzare i pazienti a medici specialisti. Le valutazioni prevedevano il Sf-36, il Davidson trauma score e l’Hads a sei e dodici mesi, questionari non somministrati di persona, ma inviati a domicilio. L’analisi del costo-efficacia avveniva a sei mesi, mentre l’analisi della mortalità a dodici mesi. Uno dei motivi che si ipotizza possa aver contribuito a risultati non significativi per quanto riguarda i follow-up è il tempo degli interventi: a parte il programma di riabilitazione fisica stabilito alla dimissione, il primo incontro con i pazienti non è avvenuto prima dei sei mesi.

Conclusioni
L’ottimizzazione del recupero, piuttosto che la mera sopravvivenza, è un obiettivo importante della Terapia Intensiva. Studi osservazionali hanno constatato una diminuzione della qualità della vita e una maggiore necessità di assistenza sanitaria per sopravvissuti alla malattia critica (Williams, 2011). La malattia di un paziente infatti non si esaurisce con la sua dimissione dalla Terapia Intensiva.
Conoscere lo stato di salute dei pazienti che sono stati degenti in Terapia Intensiva è doveroso innanzi tutto nei riguardi dei pazienti stessi, poiché questi molto spesso portano con sé anche a distanza di tempo i segni della malattia. Questi segni sono “l’effetto collaterale” della cura, “il costo” che hanno dovuto sostenere per sopravvivere alla malattia. Ogni gesto di cura, ogni atto sanitario, deve poter essere valutato secondo il semplice e universalmente riconosciuto rapporto costo/beneficio. Il beneficio della degenza in Terapia Intensiva non può essere misurato solo in termini di sopravvivenza: sicuramente questo è uno degli indicatori di successo della cura, ma non è il principale e soprattutto non può continuare a essere l’unico. Incontrare questi pazienti permette di dare valore e significato al “peso” che portano con loro. La presenza degli operatori sanitari nella vita di queste persone è tanto breve quanto dirompente, ma soprattutto può condizionare in maniera indelebile il loro futuro.
Il follow-up post intensivo può essere un valido servizio di sostegno al paziente in questo senso, anche se dalla letteratura disponibile e analizzata si evince come esso sia ancora una novità e/o in fase di sviluppo per molte realtà. La debolezza principale di tale servizio sta nella mancanza di prove concrete a sostegno dei suoi effetti (Egerod et al., 2011): sono quindi necessarie maggiori evidenze affinché possa essere giustificata e promossa la sua istituzione diffusa.
 

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