Predittori di resilienza negli infermieri di sala operatoria


RIASSUNTO
Introduzione La sala operatoria (SO) risente in misura elevata del turnover del personale infermieristico; esso determina la perdita di produttività, l’instabilità della forza lavoro, la necessità d’investimenti per orientare e addestrare i nuovi assunti, l’esigenza di attuare modifiche organizzative, l’aumento della richiesta di lavoro straordinario e il rischio di erogare assistenza non ottimale. Da ciò nasce la necessità d’indagare quali caratteristiche individuali favoriscono lo sviluppo di resilienza, ossia la capacità d’adattarsi al contesto senza esserne sopraffatti.
L’obiettivo di questo studio è descrivere la relazione presente negli infermieri di sala operatoria tra la resilienza e la competenza percepita, la collaborazione, la capacità di controllo, la self-efficacy, la speranza e il coping.
Materiali e metodi I dati sono stati raccolti tramite un questionario anonimo che è stato compilato da 62 infermieri che lavorano nella sala operatoria dell’Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova (ASMN) di Reggio Emilia. Per la raccolta dei dati è stato utilizzato il questionario The Predictors of Resilience in Operating Room Nurses, tratto dalla tesi di dottorato di ricerca della dottoressa Brigid Mary Gillespie.
Risultati
Tutti i questionari sono stati restituiti compilati. I risultati dello studio suggeriscono che la speranza, la competenza, la self-efficacy e il coping sono correlati significativamente alla resilienza.
Conclusioni
Gli infermieri con conoscenze e abilità specifiche per il ruolo ricoperto hanno maggiore resilienza e, dunque, maggiore capacità di fare fronte agli eventi stressanti derivanti dall’ambiente.
Parole chiave: sala operatoria, retention infermieristica, resilienza, cultura organizzativa
 


Predictors of resilience in the operating room nurses

ABSTRACT
Introduction The Operating room is highly affected by the turnover of nurse personnel. The turnover brings about loss of productivity, instability of the work force, investments to orient and train new employees, the need for organisational changes, the increase in the request for overtime work, with the risk, however, of supplying unsafe assistance. Thus, there is the need to investigate which individual characteristics favour the development of resilience, that is the ability to adapt to the context without being overwhelmed by it, increasing retention. The aim of the article is to describe the relationship between perceived competence, collaboration, self-control, self-efficacy, hope and coping.
Methods The data were gathered through anonymous self-administered questionnaires, filled in by all nurses (n=62) working at the Santa Maria Nuova Hospital in Reggio Emilia, Italy. The instrument used to collect data was The Predictors of Resilience in Operating Room Nurses; it is a set of questions taken from the PhD Thesis of Brigid Mary Gillespie.
Results All the questionnaires given out to the nurses were filled in and given back to the researchers.
The results of the study suggest that the motivational dimension of hope, the competence, the self-efficacy and the coping are correlated to resilience.
Conclusions The operating room nurses who have knowledge and capabilities specific to their roles have greater resilience and are more capable of facing stressful events derived from their work environment.
Key words:
operating theatre, retention, resilience, organizational culture


 

INTRODUZIONE
La sala operatoria, per via delle sue specifiche caratteristiche, risente in misura più elevata del turnover del personale infermieristico (Parisi, 2008), di un’elevatarichiesta di competenza tecnica immediatamente spendibile, dovuta al costante avanzamento tecnologico nel trattamento chirurgico delle patologie, di brevi momenti di relazione con il paziente, di pochi ambiti di autonomia professionale, di discrezionalità e di una forte necessità di sviluppare capacità di lavoro in équipe. Quest'ultima, tuttavia, si associa a disomogeneità nei comportamenti tra i vari professionisti coinvolti nel processo intra-operatorio e a una non adeguata strutturazione del tempo e delle modalità per accogliere e accompagnare i nuovi assunti nel rispetto dei tempi e delle modalità di apprendimento individuali.
In letteratura esistono pochi studi che esaminano il turnover del personale infermieristico della sala operatoria nonostante questo comporti una serie di potenziali conseguenze economiche per l’azienda e impatti sulla qualità dell’assistenza (Parisi, 2008). Infatti, il turnover determina: una perdita di produttività e un’instabilità della forza lavoro, una perdita finanziaria quando vengono assunti infermieri per brevi periodi, la necessità di investimenti per orientare e addestrare i nuovi assunti, l’esigenza di effettuare modifiche organizzative o l’aumento della richiesta di lavoro straordinario e l’erogazione di un’assistenza non ottimale (Arndt, 1998; AHWAC, 2002).
Sebbene il turnover infermieristico negli ospedali dei paesi anglosassoni sia andato complessivamente diminuendo nel corso degli anni, rimane comunque doppio rispetto a quello di altre professioni (Girotto et al., 2006). Anche in Europa si registrano tassi di turnover elevati associati alla disponibilità di personale infermieristico non adeguatamente pronto ad affrontare situazioni lavorative impegnative e altamente specialistiche (Arndt, 1998; ACORN, 2003; Buerhaus et al., 2000; RCNA, 2004).
I dati relativi alle sale operatorie dell’Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia evidenziano un elevato turnover del personale infermieristico. Infatti, sul totale di infermieri assegnati alle sale operatorie nell’anno 2007, il turnover è stato pari al 39,5% mentre l’anno successivo è stato del 22,4%. Tale percentuale è in linea con i valori europei. Di contro, pochi infermieri neo-assunti hanno espresso il desiderio di essere assegnati alla sala operatoria. Ciò determina la necessità di dare agli infermieri di sala operatoria la possibilità di sviluppare caratteristiche che consentano loro di adattarsi al contesto lavorativo senza esserne sopraffatti (Tusaie et al., 2004), aumentando in tale modo la resilienza e riducendone conseguentemente il turnover.
La resilienza può aiutare l’infermiere a superare e affrontare i cambiamenti senza che lo stress, derivato dalle richieste di adattamento tipiche della realtà della sala operatoria, influenzi negativamente la soddisfazione per il lavoro e la retention (Arndt, 1998; Tusaie et al., 2004).
In Figura 1 è rappresentato il modello teorico di resilienza, proposto da Gillespie et al. nel 2007, al quale lo studio fa riferimento.

Figura 1. Modello teorico di resilienza (Gillespie et al., 2007)

I concetti costitutivi di tale modello teorico sono:

  • la resilienza: è un processo dinamico che si traduce nell’adattamento a un contesto complesso per la numerosità e l’imprevedibilità delle variabili (Tusaie et al., 2004). In ambito lavorativo è la capacità di attenuare gli effetti dello stress attraverso la messa in atto di comportamenti che facilitano l’adattamento e permettono di agire con efficacia ed efficienza nonostante le sollecitazioni stressanti (Tusaie et al., 2004; Mallack, 1998).
    La misurazione della resilienza è problematica per via dell’influenza di diversi orientamenti disciplinari (per esempio infermieristico, psicologico e psichiatrico), la molteplicità dei contesti e le fasce d’età, l’uso predominante di metodi qualitativi e la conseguente limitata gamma di misurazioni quantitative del concetto.
    Studi di resilienza applicati al contesto infermieristico sono ancora in stato embrionale e, attualmente, nessuno studio ha identificato le variabili esplicative della resilienza in un contesto di lavoro nel quale sia richiesta la capacità di gestione dei fattori di stress (Gillespie et al., 2007);
  • la cultura organizzativa: è intesa come la capacità dell’infermiere di utilizzare le conoscenze teoriche e cliniche per dare risposta a problemi assistenziali specifici (Girot, 1993; Paliadelis et al., 2003; Tzeng, 2004). Essa è associata alla capacità di agire in un’équipe multidisciplinare nel rispetto dei ruoli e a partire da obiettivi condivisi (DiPalma, 2004; Lingard et al., 2004; Wicke et al., 2004) ed è intesa anche come la capacità di mantenere il controllo, minimizzando gli effetti dello stress che derivano dal dovere fare fronte a situazioni che mettono in pericolo l’incolumità del paziente;
  • la speranza: è definita come l’orientamento a obiettivi futuri nella convinzione che questi possano essere raggiunti e che possa essere individuato il percorso da seguire (Snyder, 2000).La letteratura suggerisce che la speranza non è solo associata a strategie adattive per prevenire e fare fronte allo stress ma anche a un senso di controllo sui propri obiettivi personali (Werner, 1993; Snyder et al., 2000);
  • la self-efficacy: rappresenta la fiducia nella proprie capacità di fare fronte a situazioni particolari (Bandura, 1977, 1989; Reivich et al., 2002). Essa aumenta lo sviluppo della resilienza attraverso i successi che gli individui sperimentano mentre svolgono le mansioni, le funzioni e le responsabilità legate al proprio ruolo (Bandura, 1989);
  • il coping: è definito come l’insieme di comportamenti e di strategie cognitive adottato dagli individui in situazioni stressanti allo scopo di gestire gli stimoli interni ed esterni percepiti come eccessivi (Lazarus et al., 1984).

Obiettivo
L’obiettivo della presente ricerca è lo studio della relazione esistente tra la resilienza e la competenza percepita, la collaborazione, la capacità di controllo, la self-efficacy, la speranza e il coping negli infermieri delle sale operatorie dell’Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia.

MATERIALI E METODI
Campione
Lo studio è stato condotto presso le sale operatorie dell’Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, nel periodo tra febbraio e marzo 2009, e sono stati reclutati un totale di 62 infermieri.
I dati sono stati raccolti tramite un questionario anonimo fatto pervenire in busta chiusa a ciascun infermiere. La busta conteneva anche una lettera di presentazione che illustrava le finalità dello studio, il questionario e le modalità di compilazione e di restituzione dello stesso.
L’autorizzazione alla somministrazione dei questionari è stata chiesta alla Direzione aziendale.

Strumenti
Il questionario utilizzato per la raccolta dei dati è costituito da un insieme di nove scale ed è tratto dalla tesi di dottorato della dottoressa Brigid Mary Gillespie dal titolo “The predictors of resilience in operating room nurses” (Gillespie et al., 2007).
Il questionario è stato tradotto in italiano secondo il metodo back translation (Guillemin et al., 1993): la versione originale è stata tradotta in italiano separatamente da due persone competenti nelle tematiche da indagare. Le due versioni stilate sono state quindi discusse con un esperto psicologo che ha poi dato il consenso a una prima versione italiana “riconciliata”. Quest’ultima è stata tradotta nuovamente in lingua inglese da un madrelingua. La versione originale e quella ottenuta dal madrelingua sono state infine confrontate e riesaminate in modo da ottenere un’unica versione. Al questionario è stata aggiunta una sezione addizionale per la raccolta dei dati demografici del campione.
Le scale che compongono il questionario indagano ciascuna i concetti oggetto dello studio: cultura organizzativa, resilienza, self-efficacy, speranza e coping. I concetti vanno intesi come i “mattoni” della teoria (Figura 1). Essi possono avere due definizioni: una teorica e una operativa.
La definizione teorica mette il concetto in relazione ad altri dando origine alla teoria. La definizione operativa identifica indicatori empirici di un concetto che ne permettono l’osservazione e la misurazione (Fain, 2004).
La Tabella 1 rappresenta concetti, indicatori empirici e relative scale.

Tabella 1. Definizione teorica dei concetti oggetto dello studio

Le scale utilizzate per indagare la cultura organizzativa sono state:

  • Perceived Competence Scale (PCS) (Gillespie et al., 2007):questa scala misura la competenza e si compone di 12 affermazioni. Quattro di queste affermazioni sono state adattate dalla Performance Proficiency and Language Scale (Chao et al., 1994); una è stata tratta dalla Language Scale di Chao et al. (1994); le altre sette affermazioni sono state tratte dalla letteratura e dai risultati di uno studio qualitativo preliminare. E’ stato chiesto di rispondere a ogni affermazione esprimendo il grado d’accordo su una scala Likert a 5 punti; più alto è il punteggio, migliore è il livello di competenza percepita;
  • Collaboration with Medical Staff (CMSS), Cohesion Among Nurses Scales (CANS) (Adams et al., 1995) e Peer Support Scale (PSS) (Gillespie et al., 2007): queste scale misurano rispettivamente la collaborazione fra medici e infermieri, il grado di coesione fra gli infermieri e il supporto dell’équipe. Le prime due scale (CMSS e CANS) sono rispettivamente composte da 9 e 10 affermazioni e richiedono di esprimere il grado di accordo su una scala Likert a 4 punti; più basso è il punteggio finale, maggiore è il livello di collaborazione (Adams et al., 1995). La terza scala (PSS) è composta da 5 affermazioni delle quali si può valutare la veridicità grazie a una scala Likert a 5 punti; maggiore è il punteggio complessivo finale, maggiore è il livello di sostegno tra pari;
  • Managing Stressful Situations Scale (MSS) (Gillespie et al., 2007):la scala misura la gestione dello stress. Per ciascuna delle sette affermazioni della MSS è richiesta una valutazione della veridicità grazie a una scala Likert a 5 punti; maggiore è il punteggio finale, maggiore è la percezione di controllo in situazioni di stress;
  • Connor-Davidson Resilience Scale (CD-RISC) (Connors et al., 2003): la scala misura e indaga le caratteristiche della resilienza chiedendo ai soggetti d’individuare le loro strategie adattative per fare fronte a situazioni di stress. La CD-RISC comprende 25 affermazioni la cui veridicità viene valutata grazie a una scala Likert a 5 punti; più alti sono i punteggi, maggiore è la resilienza;
  • General Self-Efficacy Scale (GSE) (Schwarzer et al., 1995): questa scala è utilizzata per indagare la self-efficacy. Essa è composta da 9 affermazioni la cui veridicità viene valutata grazie a una scala Likert a 4 punti; più sono alti i punteggi, maggiore è la self-efficacy;
  • Trait Hope Scale (THS) (Snyder, 2000): questa scala è utilizzata per indagare la speranza. Essa è composta da 12 affermazioni la cui veridicità viene valutata grazie a una scala Likert a 8 punti; più sono alti i punteggi, maggiore è la speranza. Le 12 affermazioni sono suddivise in due sottoscale: “agency” che fa riferimento all’orientamento a obiettivi futuri e al credere che questi possano essere raggiunti e “pathway” legata alla modalità con la quale gli obiettivi vengono perseguiti;
  • Planful Problem-Solving Scale (Lazarus et al., 1984): questa scala è utilizzata per indagare il coping. Essaè composta da 11 affermazioni che permettono di esprimere, su una scala Likert a 4 punti, quanto spesso si ritiene di mettere in atto le azioni proposte o di avere pensieri come quelli suggeriti: più sono alti i punteggi, maggiore è la capacità di coping.

Il questionario comprende un’ultima sezione contenente domande finalizzate alla raccolta di dati socio-demografici della popolazione oggetto dello studio e di ulteriori informazioni relative ad aspetti specifici del ruolo professionale, cioè le variabili individuali che influenzano i comportamenti adattivi nei contesti organizzativi infermieristici (Moore et al., 1996; Shields et al., 2001).

Tabella 2. Dati socio-demografici e quadro professionale del campione analizzato, composto da 62 infermieri

Analisi statistiche
Per le analisi è stato utilizzato il software Statistical Package for the Social Sciences (SPSS), versione 17. Per l’analisi delle variabili demografiche e delle relative differenze nei punteggi tra questionari è stato utilizzato il test t di Student per campioni indipendenti e il test del χ2 di Pearson. Per lo studio delle correlazioni tra le variabili oggetto di studio è stato utilizzato il coefficiente di correlazione r di Pearson mentre per identificare le variabili predittive della resilienza è stata utilizzata la regressione lineare multipla. Per la verifica della regressione è stato utilizzato il test F di Fisher-Snedecor. Sono state considerate significative le differenze con un valore di p<0,05.

RISULTATI
La Tabella 2 mostra schematicamente le caratteristiche socio-demografiche e il profilo professionale degli infermieri appartenenti al campione di studio considerato.

Dalle analisi statistiche effettuate su questi dati non emergono differenze significative relative all’appartenenza di genere degli infermieri.
La Tabella 3 mostra le medie e le deviazioni standard (DS) dei diversi punteggi ottenuti da uomini e donne in ciascuna delle scale e sottoscale utilizzate per il presente studio.

Tabella 3. Punteggi medi ottenuti per ciascuna scala e sottoscala in relazione al genere

Il test t di Student, eseguito per verificare se tra i due sessi vi fossero differenze nei punteggi, ha mostrato valori significativi (p<0,05) nella PPSS (media±DS: 16,19±7,06; F=20,70±4,12; p=0,026), nella sottoscala “competence” della scala CD-RISC (media±DS: 18,00±6,25; F=21,52±4,16; p=0,014) e nella sottoscala “intuition” della scala CD-RISC (media±DS: 15,06±6,06; F=17,83±3,80; p=0,037). In tutte e tre queste scale, le infermiere di sala operatoria sembrerebbero riportare punteggi maggiori dei loro colleghi maschi. 

Analisi delle correlazioni
In Tabella 4 sono riportati i risultati delle correlazioni trovate tra i punteggi delle sottoscale della Connor Davidson Resilience Scale (CD-RISC) e quelli delle altre scale utilizzate.

Tabella 4. Coefficiente di correlazione r di Pearson tra la scala CD-RISC e le altre scale utilizzate

Tutte le sottoscale della CD-RISC, tranne la “spiritual”, mostrano correlazioni da moderate a buone con gli altri strumenti utilizzati a eccezione delle scale CMSS e PSS.
Tutte le correlazioni identificate sono positive, indicando che a un aumento nei punteggi ottenuti dagli altri strumenti corrisponde un aumento nei punteggi di resilienza.
Le correlazioni emerse tra i punteggi di resilienza e la scala CANS mostrano solo valori negativi, evidenziando come al diminuire dei punteggi di coesione corrisponda l’aumentare dei punteggi di resilienza.
La sottoscala “spiritual” della scala CD-RISC risulta avere una debole correlazione negativa con la scala PSS e una correlazione positiva con la scala MSS. 

Modelli di regressione
La Tabella 5 mostra i risultati delle regressioni multiple effettuate inserendo le singole sottoscale della CD-RISC come variabile dipendente e i punteggi degli altri strumenti come variabili indipendenti.

Tabella 5. Modelli di regressione e variabili predittrici della resilienza

I modelli di regressioni emersi dalle analisi mostrano buone capacità di spiegare la varianza nelle sottoscale della CD-RISC, a eccezione della sottoscala “spiritual”, che mostra il risultato più basso, con un coefficiente di determinazione (R2 corretto) pari a 0,159.
Tutte le scale risultate capaci di predire i punteggi alle varie sottoscale di resilienza mostrano dei valori β (coefficiente di regressione standardizzato) di segno positivo, indicando un aumento nei punteggi di resilienza: questo sembra particolarmente vero per la sottoscala “agency” della scala THS che all’interno dei vari modelli di predizione ha presentato sempre dei valori β più alti, mostrando un aumento particolarmente forte nei punteggi di resilienza.
La sottoscala “agency” della scala THS, oltre a essere il predittore più forte, si dimostra inoltre l’unico a essere comune a tutti i modelli citati: dalle regressioni effettuate risulta infatti che questo fattore, considerato singolarmente, spiega in maniera significativa il 48% della varianza nei punteggi totali della scala CD-RISC, il 49% della varianza nei punteggi nella sottoscala “competence”, il 33% della varianza nei punteggi della sottoscala “intuition”, il 46% della varianza nei punteggi nella sottoscala “change” e il 42% della varianza nei punteggi nella sottoscala “control” (dove si presenta inoltre come unico fattore predittivo).
Unica eccezione è stato il punteggio ottenuto nella sottoscala “spiritual” della scala CD-RISC, che è stato predetto dai punteggi ottenuti nella scala PSS (valore β negativo, quindi una diminuzione nel valore della sottoscala “spiritual” della scala CD-RISC) e dai punteggi ottenuti nella scala MSS (valore β positivo, quindi un aumento della sottoscala “spiritual” della scala CD-RISC), e ha spiegato però soltanto il 16% della varianza ottenuta nei punteggi della sottoscala “spiritual” della scala CD-RISC (R2 corretto=0,159).

DISCUSSIONE
I risultati dello studio hanno rivelato che la speranza influisce sulla resilienza degli infermieri di sala operatoria agendo in modo trasversale su competenza, intuizione, cambiamento e controllo, che sono quattro delle cinque componenti costitutive della resilienza. Le analisi mostrano che la componente della speranza che influisce sulla variazione della resilienza è l’orientamento agli obiettivi futuri e al credere che questi possano essere raggiunti (sottoscala “agency” della scala THS) piuttosto che alla modalità con la quale gli obiettivi vengono perseguiti (sottoscala “pathway” della scala THS). La speranza quindi è un aspetto maggiormente legato alla dimensione motivazionale.
Nello specifico, i risultati dello studio dimostrano che:

  • è presente un’associazione moderatamente significativa tra la dimensione motivazionale della speranza e la resilienza del campione analizzato di infermieri di sala operatoria (la speranza ha spiegato il 43% della varianza della resilienza). Tali risultati sono in accordo con la letteratura (Gillespie et al., 2007; Horton et al., 2001). Anche se la speranza è un fattore individuale intrinseco, sembra probabile che essa possa essere rafforzata da un ambiente di lavoro collaborativo (Gillespie et al., 2007).
    Così, se la cultura organizzativa si caratterizza per la coesione fra pari e il sostegno formativo offerto, gli infermieri che lavorano in tale contesto possono presentare livelli più elevati di speranza. Un contesto lavorativo collaborativo potrebbe ridurre gli effetti di potenziali fattori stressogeni e migliorare la speranza, una delle variabili esplicative della resilienza. L’associazione significativa tra speranza e resilienza suggerisce anche che gli infermieri possano perdere la speranza in seguito a ricorrenti esperienze fallimentari nei rapporti professionali e di riconoscimento sociale (Gillespie et al., 2007).
    Simmons et al. (2001) sostengono che gli infermieri che credono nella possibilità di raggiungere gli obiettivi che si sono dati sono capaci a loro volta di infondere tale fiducia anche negli altri membri dell’équipe e che un tale sentimento possa influire positivamente sulla cultura organizzativa. In sala operatoria la speranza è considerata come la capacità di ridefinire gli obiettivi coerentemente a situazioni mutevoli e imprevedibili, ovvero una delle caratteristiche della resilienza.
    Altre ricerche (Lazarus et al., 1984; Snyder et al., 1991; Lazarus, 1993) sostengono che gli individui con maggiore capacità d’adattamento, ossia coloro che sono più capaci di riesaminare e ridefinire i loro obiettivi, sono quelli che meglio sono in grado di far fronte a situazioni altamente richiedenti;
  • è stata trovata un’associazione moderatamente significativa tra la dimensione motivazionale della speranza e la percezione del controllo. Il controllo è uno degli elementi fondanti della resilienza. La dimensione della motivazione personale risulta spiegare il 41,7% della varianza del punteggio relativo al controllo, una delle dimensioni della resilienza. Il controllo è stato identificato come una variabile esplicativa della resilienza negli infermieri di sala operatoria in quanto offre un modo per ridurre al minimo gli effetti stressogeni del contesto. La mancanza di controllo nei professionisti che operano in contesti clinici, infatti, determina elevati livelli di stress e di fatigue e in molti casi aumenta il livello di tensione nelle relazioni tra infermieri (Arndt, 1998; Finger et al., 2002).La capacità di mantenere il controllo e di gestire efficacemente le situazioni stressanti aumenta la resilienza attraverso una migliore capacità di adattamento (Bandura, 1995);
  • la sottoscala della self-efficacy è risultata essere un fattore predittore dei punteggi della sottoscala “competence” della resilienza (CD-RISC), che sembrerebbero quindi legati al credere nella propria auto-efficacia, nella propria capacità di affrontare il cambiamento e nell’essere in grado d’utilizzare abilità di problem-solving (Tusaie et al., 2004).
    Lo sviluppo di self-efficacy, quale tratto di resilienza degli infermieri di sala operatoria, potrebbe essere influenzato dalla cultura organizzativa. Nello specifico, nei contesti di sala operatoria che danno grande importanza allo sviluppo di strategie educative finalizzate all’accrescimento delle abilità cliniche richieste, la self-efficacy potrebbe aiutare gli infermieri a essere meglio preparati ad affrontare le diverse situazioni cliniche che si presentano. Gli infermieri di sala operatoria con conoscenze e abilità specifiche per il ruolo ricoperto sono in una posizione di vantaggio per fare fronte agli eventi stressanti derivanti dell’ambiente, come confermato anche da precedenti ricerche (Donald, 1999). Tuttavia i successi sono conseguiti solo a prezzo di una spesa molto elevata di energie fisiche e mentali, per un tempo prolungato e con risultati incerti. E’ possibile ritenere che la resilienza derivi proprio dalla capacità di sostenere tali elevate richieste fisiche, mentali ed emotive;
  • è stata rilevata un’associazione significativa tra le sottoscale della competenza e della resilienza. La mancanza di conoscenze e di abilità specifiche sembrerebbe rappresentare un fattore che ostacola lo sviluppo di resilienza.
    La competenza potrebbe essere valorizzata come una caratteristica della resilienza degli infermieri in sala operatoria da implementare e sostenere attraverso strategie formative orientate ad accrescere le competenze cliniche e le conoscenze (Strauss, 1997; Finger et al., 2002). Infatti, gli infermieri con conoscenze e abilità specifiche di contesto hanno una maggiore capacità di controllo in situazioni cliniche difficili;
  • è stata rilevata un’associazione significativa tra coping e resilienza. Il coping è stato misurato come il comportamento orientato alla soluzione di problemi. In alternativa gli infermieri di sala operatoria, quando percepiscono che la situazione non è sotto il loro controllo, possono mettere in atto strategie adattive quali: la distanza, la negazione o il tentativo di attenuare lo stress percepito dando all’evento un diverso significato (Lazarus, 1993). Questi comportamenti potrebbero essere interpretati come resistenza al cambiamento; di fatto stanno a indicare un adattamento orientato al controllo delle emozioni provate di fronte a eventi stressanti percepiti al di fuori delle proprie capacità di soluzione dei problemi.
    La necessità di essere in grado di gestire lo stress è però fondamentale (McVickar, 2003) e, data l’importanza che caratteristiche personali e di contesto hanno sulla capacità di far fronte alle situazioni di stress, è realistico pensare che la crescente domanda di supporto organizzativo e di formazione personale alla gestione dello stress derivi dalla necessità degli infermieri di sala operatoria di essere aiutati a sviluppare efficaci strategie di coping che ne favorirebbero la resilienza.

Sorprendentemente lo studio non ha trovato una correlazione fra la collaborazione e la resilienza degli infermieri. Tale risultato può trovare giustificazione nella ridotta dimensione del campione considerato ma forse anche nell’assetto fortemente gerarchico caratteristico della sala operatoria. La tipologia di attività riconosce una prevalente collaborazione fra l’anestesista e il chirurgo poiché l’équipe medica ha un ruolo prioritario nella definizione e nell’attuazione del trattamento del paziente. Pertanto, per l’infermiere non vi può essere che un spazio limitato di autonomia nell’ambito dei processi decisionali. Si potrebbe ritenere che la collaborazione tra infermieri e medici sia limitata in sala operatoria e circoscritta a situazioni specifiche definite dal gruppo professionale.
Studi precedenti hanno identificato che un ambiente collaborativo favorisce la realizzazione professionale (Sigurdsson, 2001; Chard, 2000)e migliora le prestazioni (Silen-Lipponem et al., 2004; Reason, 2005).
Sebbene lo studio non evidenzi una correlazione significativa tra la resilienza e la collaborazione, le analisi di regressione evidenziano, seppur debolmente, un potere predittivo dei punteggi della scala PSS rispetto ai punteggi della sottoscala “spiritual” della scala CD-RISC: a un minor punteggio nella prima scala corrispondono punteggi più elevati nella seconda. Ciò sembra indicare che se gli infermieri di sala operatoria non hanno supporto da parte dei pari o di altri membri dell’équipe, esso viene ricercato nella spiritualità, da intendersi non solo come spirito religioso ma più in generale come un percorso di crescita personale alla ricerca di valori interiori che diano senso alla propria esistenza (Missinne, 1990).
L’uso di efficaci strategie di coping in sala operatoria ha come esito l’adattamento che si concretizza in una capacità di gestire gli effetti di un ampliamento del ruolo (Hauxwell, 2002; Timmons et al., 2004),una più rapida curva di apprendimento del neo-inserito (Sigurdsson, 2001) e capacità di ottimizzare l’uso di risorse umane e materiali (Plasters et al., 2003).
Gli esiti della presente ricerca consentono confronti con i risultati presentati nello studio di Gillespie et al. (2007). Il presente studio è uno dei pochi studi italiani sulla resilienza e sull’applicazione di tale costrutto teorico agli infermieri di sala operatoria.
Sono necessarie ulteriori future ricerche per definire meglio la correlazione esistente tra la collaborazione e la resilienza degli infermieri.

Limiti
I limiti del presente studio sono:

  • la dimensione ridotta del campione;
  • il disegno non longitudinale che non consente l’individuazione dei cambiamenti nel tempo circa lo sviluppo della resilienza (Reason, 2005);
  • l’uso di scale non validate in italiano;
  • la non comparabilità dei risultati con quelli riportati nello studio di Calcari et al. (2011).


CONCLUSIONI
La ricerca effettuata ha consentito d’identificare e selezionare, rispetto al contesto di sala operatoria, alcune delle variabili esplicative di resilienza, consentendo d’orientare l’offerta di sostegno ai professionisti infermieri verso i loro bisogni.
In particolare, dalla discussione dei risultati ottenuti emerge che lo sviluppo di self-efficacy, quale tratto di resilienza degli infermieri di sala operatoria, potrebbe essere influenzato dalla cultura organizzativa. Nello specifico, nei contesti di sala operatoria che danno grande importanza allo sviluppo di strategie educative finalizzate all’accrescimento delle abilità cliniche, gli infermieri potrebbero essere meglio preparati ad affrontare le diverse situazioni cliniche che si presentano.
Gli infermieri di sala operatoria con conoscenze e abilità specifiche per il ruolo ricoperto sono in una posizione di vantaggio per far fronte agli eventi stressanti derivanti dall’ambiente, come confermato anche da precedenti ricerche (Donald, 1999).
La competenza, quale caratteristica della resilienza, potrebbe essere implementata e sostenuta attraverso un percorso formativo finalizzato all’acquisizione di conoscenze e abilità specifiche al particolare contesto (Strauss, 1997; Finger et al., 2002).
Da tutto ciò nasce la proposta d’implementazione di una teaching unit presso la sala operatoria di ginecologia e ostetricia dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, proposta che si basa sull’apprendimento dall’esperienza attraverso la presenza di un mentor clinico in grado di favorire la crescita professionale attraverso non solo la trasmissione di una competenza tecnico-gestuale ma anche della cultura di gruppo professionale nel quale il neo-inserito entra a fare parte (McCormack et al., 2006; Mathias, 2007; Wenger, 2006). Il contesto pedagogico costituito dalla comunità di pratica rappresenta un potente valore aggiunto rispetto a un programma formativo basato esclusivamente sulla formazione individuale.

Conflitti di interesse dichiarati: gli autori dichiarano la non sussistenza di eventuali conflitti di interesse.
 

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Bibliografia

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