L’utilizzo della contenzione fisica negli ospedali e nelle Residenze Sanitarie Assistenziali: indagine multicentrica di prevalenza


RIASSUNTO
Introduzione Nel loro Codice deontologico (Federazione Nazionale Collegi IPASVI, 2009) gli infermieri italiani si impegnano “affinché il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali”. Sulla scorta di questa premessa i Collegi IPASVI di Aosta, Brescia e Milano-Lodi-Monza e Brianza hanno promosso una ricerca multicentrica con l’obiettivo di valutare la prevalenza della contenzione fisica negli ospedali e nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) per anziani.
Materiali e metodi Il disegno applicato è di tipo osservazionale cross-sectional. All’indagine, condotta nel mese di giugno 2010, ha partecipato un campione di convenienza costituito da 39 presidi ospedalieri (per un totale di 2.808 pazienti ricoverati in unità di chirurgia, geriatria, medicina, ortopedia e terapia intensiva) e 70 RSA (6.690 ospiti in nuclei ordinari e Alzheimer).
Risultati Nel periodo di rilevazione risultavano sottoposti a contenzione fisica il 15,8% dei degenti nelle diverse unità operative ospedaliere e il 68,7% dei residenti nelle RSA. La prevenzione delle cadute, da sola o associata ad altre motivazioni, era indicata come causa della contenzione nel 70% dei casi in ospedale e nel 74,8% dei casi nelle RSA. Le spondine al letto erano il presidio più utilizzato (rispettivamente il 75,2% e il 60% dei mezzi di contenzione usati in ospedali e RSA). 
Conclusioni I risultati ottenuti documentano le dimensioni del fenomeno della contenzione fisica negli ospedali e nelle RSA che hanno partecipato all’indagine. La numerosità del campione e la concordanza con altri studi analoghi fanno presupporre che si tratti di una fotografia realistica: un quadro da cui partire per introdurre percorsi di miglioramento mirati a ridurre la frequenza e la durata dell’uso dei mezzi di contenzione, attraverso l’implementazione di interventi alternativi di efficacia provata per raggiungere gli obiettivi – come la prevenzione delle cadute e la gestione dell’agitazione psicomotoria – per i quali, seppure con molte incertezze, ancora oggi si ricorre alla contenzione. 
Parole chiave: contenzione fisica, prevalenza, ospedale, RSA, assistenza infermieristica


Physical restraint use in hospitals and nursing homes: a multicenter prevalence survey

ABSTRACT
Introduction In their Deontological Code (Federazione Nazionale Collegi IPASVI, 2009), Italian nurses agree that “the use of physical restraints should be an extraordinary event, supported by medical prescription or documented evaluations”. On the basis of this premise, the IPASVI Colleges of Aosta, Brescia and Milano-Lodi-Monza and Brianza promoted a multicenter research to assess the prevalence of restraints in hospitals and in nursing homes for the elderly.
Materials and methods The study used an observational cross-sectional design. The survey was conducted in June 2010 on a convenience sample consisting of 39 hospitals (with a total of 2808 patients in surgical, geriatric, medical, orthopedic and intensive care units) and 70 nursing homes (6690 residents in ordinary and Alzheimer nuclei).
Results During the survey period, 15.8% of hospital patients and 68.7% of nursing home residents were restrained. The prevention of falls, alone or in combination with other reasons, was given as a reason for restraint in 70% of hospital patients and in 74.8% of nursing home residents. Side rails were the most used means of restraint (75.2% of restraints in hospitals and 60% in nursing homes).
Conclusions The results document the extent of the problem of physical restraint in hospitals and nursing homes. Given the size of the sample and the correlation with other similar studies, these data presumably provide a realistic picture: a starting point for interventions aimed at reducing the frequency and duration of restraint use by implementing evidence-based alternatives to achieve the objectives – as prevention of falls or management of agitated behaviors – for which, even if with many uncertainties, restraint is still used.
Key words: physical restraint, prevalence, hospital, nursing home, nursing

INTRODUZIONE
La pratica clinica e numerose ricerche sull’argomento indicano che in generale la contenzione fisica non è efficace rispetto alle principali motivazioni per le quali è applicata (Capezuti et al., 1996, 1998, 2002; Evans et al., 2002). Le possibili conseguenze del suo utilizzo sono ampiamente descritte in letteratura: la loro gravità e le ripercussioni sulla qualità della vita sono tali da scoraggiarne l’uso (Dube, Mitchell, 1986; Evans et al., 2002; JCAHO, 1998; Karger et al., 2008; Langslow, 1999; McLardy-Smith et al., 1986; Miles, Irvine, 1992; Parker, Miles, 1997; Scott, Gross, 1989). Secondo gli articoli 13 e 32 della Costituzione della Repubblica Italiana (1947), un trattamento sanitario deve essere sempre incentrato sul rispetto della dignità e della libertà della persona: la contenzione fisica si configura quale intervento in antitesi a questi principi. Gli infermieri italiani, nel loro Codice deontologico di recente revisione (Federazione Nazionale Collegi IPASVI, 2009), si impegnano “affinché il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali” (articolo 30).
I dati riportati da studi condotti in altri paesi mostrano che per i pazienti ricoverati in ospedale l’utilizzo della contenzione risulta compreso tra il 4% e il 22% (de Vries et al., 2004; Irving, 2004; Minnick et al., 1998), ma aumenta fino al 68% quando si considerano anche le spondine per il letto (Gallinagh et al., 2002a; Irving, 2004) (vedi Box 1) e fino al 100% nei reparti di terapia intensiva (Benbenbishty et al., 2010).

Per le nursing homes (corrispondenti alle nostre Residenze Sanitarie Assistenziali, RSA) la letteratura evidenzia un intervallo molto ampio, che oscilla fra il 3% e l’83% (de Vries et al., 2004; Feng et al., 2009; Karlsson et al., 2001; Ljung-gren et al., 1997) e arriva fino al 98% includendo le spondine, il mezzo di contenzione più frequentemente utilizzato sia nelle nursing homes sia negli ospedali (Hamers et al., 2004; Hantikainen, 1998; Meyer et al., 2009).
In Italia il ricorso ai mezzi di contenzione nelle RSA varia dal 41,7% dell’Emilia-Romagna al 17,5% dell’Abruzzo al 25% del Veneto (Costantini, 1996). In uno studio condotto nel 1999 in 68 RSA del Comune di Milano, risultava contenuto (spondine escluse) il 21% degli ospiti (Sirchia et al., 2001). Più recentemente, in ospedale si è rilevata una prevalenza di contenzione pari al 15,8% (Degan et al., 2004).
Le ragioni che inducono ad applicare un mezzo di contenzione sono principalmente la prevenzione delle cadute e, nelle nursing homes, la gestione e il controllo dell’agitazione (de Vries et al., 2004; Hamers et al., 2004; Hantikainen, 1998; Karlsson et al., 2001), mentre negli ospedali i motivi più spesso indicati includono la protezione dei presidi medicali, al fine di prevenire la loro rimozione e l’interruzione di terapie, e il controllo della confusione e dell’agitazione (de Vries et al., 2004; Irving, 2004).
L’età avanzata, la compromissione della mobilità, la dipendenza dovuta all’inabilità a eseguire autonomamente le attività di vita quotidiana, la presenza di deficit cognitivi e il rischio di cadute sono alcuni tra i fattori che predicono un maggior ricorso alla contenzione (Feng et al., 2009; Gallinagh et al., 2002b; Karlsson et al., 2001; Hamers et al., 2004; Irving, 2004; Ljunggren et al., 1997; Meyer et al., 2009).
Nelle case di riposo un elevato carico di lavoro, per la presenza e la gravità della disabilità fisica e cognitiva dei residenti, è associato a un ricorso frequente alla contenzione (Gallinagh et al., 2002a; Karlsson et al., 2001). Studi condotti in ospedali non hanno riscontrato una correlazione significativa tra lo standard di personale e l’utilizzo della contenzione, anche se è dimostrata un’associazione laddove i pazienti contenuti abbiano un’età molto avanzata (Irving, 2004) e in alcune fasce orarie (pomeriggio e notte) in cui notoriamente il personale di turno è ridotto (Gallinagh et al., 2002b).
L’influenza delle caratteristiche organizzative, come per esempio il numero di posti letto nelle unità operative ospedaliere o il numero di residenti nelle nursing homes, è controversa e differisce tra i vari paesi. Feng e collaboratori (2009) hanno riscontrato un minor utilizzo della contenzione fisica nelle nursing homes di grandi dimensioni in Canada e in Finlandia, ma non negli altri paesi coinvolti nell’indagine. Hantikainen (1998) invece ha osservato che il personale che lavorava in nuclei con più di 25 ospiti (26-30 residenti) riportava un più frequente ricorso a mezzi di contenzione rispetto al personale di nuclei più piccoli (dai 10 ai 25 residenti). Risulta inoltre associata a un minor utilizzo della contenzione fisica la presenza di norme specifiche atte a regolamentarne l’impiego (de Vries et al., 2004; Feng et al., 2009; Ljunggren et al., 1997).
Con questa indagine ci siamo proposti come obiettivo generale di stimare la prevalenza della contenzione fisica in un campione di ospedali (limitatamente ai reparti di chirurgia, geriatria, medicina, ortopedia e terapia intensiva) e RSA di 2 regioni italiane. Lo studio è stato realizzato sulla base dell’ipotesi che l’applicazione della contenzione fosse sovrapponibile a quella riportata dalla letteratura per i paesi in cui non esiste una normativa specifica sul suo utilizzo.

MATERIALI E METODI
Per realizzare la presente indagine è stato individuato un campione di convenienza: ospedali e RSA con almeno 2 unità operative/nuclei per struttura hanno aderito volontariamente su invito. Dato l’obiettivo di stima della prevalenza della contenzione fisica, il disegno applicato è di tipo osservazionale cross-sectional. L’indagine è stata condotta in tutti gli ospedali e RSA partecipanti in una giornata compresa fra l’8 e l’11 giugno 2010.
La raccolta dei dati è stata effettuata attraverso una scheda strutturata, differenziata per ospedali e RSA. Si è pensato di scegliere come rilevatori gli infermieri, coordinati da un infermiere referente per ciascuna struttura: tali figure hanno partecipato a un corso della durata di 4 ore, svolto in più edizioni presso la sede di ciascun collegio promotore dello studio, durante il quale si è illustrato il progetto di ricerca inerente l’indagine e sono state date indicazioni per la rilevazione. Per i rilevatori erano disponibili una guida appositamente redatta e un numero telefonico attivo per tutta la durata dell’indagine, a cui rispondevano per risolvere eventuali dubbi i componenti del comitato scientifico e un gruppo di collaboratori volontari.
Hanno partecipato all’indagine 39 ospedali (aziende e/o presidi aziendali) – di cui 21 della Provincia di Milano, 3 della Provincia di Lodi, 4 della Provincia di Monza, 9 della Provincia di Brescia e 2 della Provincia di Aosta – e 70 RSA – di cui 28 della Provincia di Milano, 7 della Provincia di Lodi, 2 della Provincia di Monza, 18 della Provincia di Brescia e 15 della Provincia di Aosta. Per quanto riguarda gli ospedali si tratta complessivamente di 127 unità operative: 31 di chirurgia, 4 di geriatria, 39 di medicina generale, 27 di ortopedia e 26 di terapia intensiva; per le RSA, di 289 nuclei ordinari e 23 nuclei Alzheimer.
Le stime della prevalenza sono state ottenute come rapporti percentuali tra numero di soggetti contenuti e numero totale di soggetti presenti al momento della rilevazione. Sono state eseguite analisi descrittive della prevalenza, separatamente per ospedali e RSA, in relazione a provincia di appartenenza (Milano, Lodi, Monza, Brescia, Aosta) e tipologia di unità/nucleo (unità di chirurgia, geriatria, medicina, ortopedia o terapia intensiva per gli ospedali, nuclei ordinari o Alzheimer per le RSA). Un’analisi più complessa, volta a esaminare più approfonditamente la relazione tra la prevalenza e le variabili provincia e tipo di unità/nucleo, è stata eseguita utilizzando modelli logistici multivariati di tipo misto.
Sono state inoltre indagate altre 2 variabili di interesse: la percentuale di ore aggiuntive prestate dal personale rispetto allo standard e un “indicatore di qualità” delle procedure per l’applicazione della contenzione, basato sulle informazioni relative alla presenza di un protocollo, di una valutazione infermieristica o di una prescrizione scritta. Per calcolare la percentuale di ore aggiuntive è stato determinato l’ammontare delle ore effettive prestate nel periodo di riferimento dal personale all’interno di un’unità (infermieri, coordinatori infermieristici, operatori sociosanitari, ausiliari sociosanitari/operatori tecnici addetti all’assistenza); quindi è stata calcolata la percentuale rispetto al numero di ore previsto dalla normativa della regione di afferenza dell’unità, troncando a 100% qualora la percentuale ottenuta superasse questo valore. L’indicatore di qualità è stato costruito come variabile categorica a 3 livelli: 0/1 fattore presente, 2 fattori presenti, tutti e 3 i fattori presenti. La variabile dipendente dei modelli è stata costruita come rapporto tra numero di soggetti contenuti entro unità e numero totale di soggetti presenti; il modello permette di tener conto della correlazione entro unità. La percentuale di ore aggiuntive è stata analizzata come variabile continua utilizzando una trasformazione spline cubica ristretta con 3 nodi (Durrleman, Simon, 1989), mentre le altre variabili sono state analizzate come categoriche. Il likelihood ratio test è stato utilizzato per saggiare la significatività dell’associazione tra prevalenza e le variabili di cui sopra.
Ulteriori analisi, riguardanti per esempio numero e tipologia dei mezzi di contenzione, motivi addotti per giustificarne l’uso, periodicità della contenzione o altre informazioni relative alle procedure di contenzione (come figure partecipanti al processo decisionale, presenza di prescrizione, valutazione infermieristica), sono di tipo descrittivo.

RISULTATI
Prevalenza della contenzione fisica
Negli ospedali che hanno partecipato all’indagine, alla data della rilevazione i pazienti sottoposti a contenzione fisica erano complessivamente 445 (il 15,8% del totale dei pazienti ricoverati, vedi Tabella 1), con un’età mediana di 82 anni (Range Interquartile, RI: 75-87 anni).

L’età mediana dei degenti contenuti era elevata in tutti i tipi di unità operativa – 85 anni in chirurgia (RI 76-89 anni), 85 anni in geriatria (RI 82-90 anni), 82 anni in medicina (RI 77-87 anni) e 83 anni in ortopedia (RI 77-88 anni) – con l’eccezione delle unità di terapia intensiva, in cui era pari a 62 anni (RI 46-75 anni). In generale la prevalenza di contenzione più alta si è riscontrata nelle unità di geriatria (31,8%), seguite da quelle di terapia intensiva (27,9%), medicina (20,5%) e ortopedia (15,5%); nei reparti di chirurgia era contenuto il 6,2% dei ricoverati. Nella Provincia di Aosta, dove nessuno dei 41 degenti in unità di geriatria era sottoposto a contenzione, la prevalenza totale dei pazienti contenuti era pari al 2,1%, mentre la prevalenza maggiore si è rilevata nella Provincia di Lodi (35,7%).
Nel modello logistico multivariato si conferma il trend evidenziato dalle analisi descrittive mostrate nella Tabella 1; la prevalenza di contenzione varia significativamente in funzione della provincia (p=0,0002) e della tipologia di unità (p<0,0001). In particolare, prendendo come riferimento la Provincia di Aosta, in cui la prevalenza risulta minore, nella Provincia di Monza si osservano prevalenze non significativamente diverse, mentre in quelle di Milano e Brescia si hanno prevalenze simili tra loro e significativamente maggiori rispetto ad Aosta. La Provincia di Lodi è quella con prevalenza significativamente più alta.
Nelle RSA gli ospiti contenuti alla data di rilevazione erano 4.599, pari al 68,7% del totale, con un’età mediana di 86 anni (RI 81-90 anni). L’età mediana dei residenti contenuti era più elevata nei nuclei ordinari: 86 anni (RI 81-91 anni) vs 84 anni (RI 78-88 anni) nei nuclei Alzheimer. La Provincia di Aosta si conferma la realtà con la prevalenza di contenzione più bassa (58,6%) anche per gli ospiti delle RSA; in questo caso la prevalenza più alta si è riscontrata nella Provincia di Monza (82,4%). Se si considerano le 2 tipologie di nucleo si osserva una minore prevalenza di residenti contenuti nei nuclei Alzheimer, anche se la differenza non è significativa: 63,3% vs 69,2% nei nuclei ordinari (Tabella 2).

Nel modello logistico multivariato, la prevalenza di contenzione varia significativamente in funzione della provincia (p=0,0002) ma non del tipo di nucleo (p=0,146).
La principale motivazione addotta per giustificare il ricorso alla contenzione fisica era la prevenzione delle cadute, indicata da sola o associata ad altre ragioni rispettivamente per il 70% e per il 74,8% dei degenti contenuti in ospedali e RSA. Oltre che allo scopo di ridurre il rischio di cadute, negli ospedali si conteneva per controllare agitazione e aggressività, per evitare autolesionismo e allontanamento volontario, per proteggere i presidi medicali (Figura 1); nelle RSA le motivazioni più frequenti includevano la prevenzione dello scivolamento, il controllo posturale e la gestione dell’agitazione (Figura 2).

Il mezzo di contenzione più utilizzato, prevalentemente per evitare le cadute (nel 96% dei casi in ospedale e nel 95,1% dei casi in RSA), erano le spondine al letto, che rappresentavano il 75,2% dei mezzi di contenzione applicati negli ospedali e il 60% nelle RSA. In 30 unità operative (pari al 23,6% del campione, di cui 12 di medicina, 9 di ortopedia, 8 di chirurgia e 1 di geriatria) e in 13 nuclei (12 nuclei ordinari e 1 nucleo Alzheimer) le spondine erano l’unico dispositivo impiegato per la contenzione. Negli ospedali le polsiere, usate nel 72,2% dei casi per proteggere i devices, corrispondevano al 13,7% dei mezzi di contenzione utilizzati, mentre nelle RSA si faceva ricorso a cinture pelviche o addominali e a tavolini per carrozzina rispettivamente nel 12,2%, 9,7% e 7,9% delle situazioni.
Per l’84% dei pazienti ricoverati in ospedale e il 50,7% degli ospiti di RSA veniva applicato un solo mezzo di contenzione, nella maggior parte dei casi spondine bilaterali. Due dispositivi erano utilizzati per il 15,7% dei degenti in ospedale (spondine bilaterali e polsiere nel 41,4% dei casi, spondine bilaterali e cintura addominale nel 20%) e per il 38,2% dei residenti in RSA (spondine più altro mezzo). Per un solo paziente ospedaliero si è riscontrato l’uso di 3 mezzi di contenzione, mentre nelle RSA 3 o 4 mezzi di contenzione erano applicati rispettivamente nel 9,9% e nell’1,2% dei casi.
La contenzione era permanente, ossia applicata ogni giorno, per il 79,3% e il 98,1% dei degenti contenuti in ospedali e RSA. Negli ospedali la contenzione era occasionale nell’11,8% dei casi, limitata a situazioni di emergenza nel 6,2% dei casi; circa la metà dei mezzi di contenzione (48,9%) risultava applicata per 18-24 ore al giorno. Nelle RSA i mezzi di contenzione erano utilizzati nel 64,1% dei casi per 6-12 ore al giorno e nel 22,1% per 12-18 ore. Per 250 ospiti (5,4%) lo stesso mezzo di contenzione era applicato per 18-24 ore al giorno. Non si è rilevata una relazione tra i motivi della contenzione e la sua periodicità.

Standard assistenziali
È opinione comune che il ricorso alla contenzione fisica sia determinato da un insufficiente numero di infermieri e operatori. Si è quindi provveduto a valutare la relazione tra le ore aggiuntive prestate rispetto allo standard e la prevalenza della contenzione. I reparti ospedalieri e i nuclei delle RSA sono stati classificati in base alla percentuale di ore aggiuntive prestate dal personale, calcolata come descritto nella sezione Materiali e metodi; per esempio, 10% vuol dire che le ore prestate erano il 10% in più rispetto a quelle previste come standard dalla normativa di riferimento delle 2 regioni in cui è stata condotta la 
ricerca.
Per gli ospedali, nel modello logistico multivariato la percentuale di ore aggiuntive ha ottenuto un valore di p ben al di sopra del livello di significatività del 5% (p=0,244). Tuttavia, come mostra la Figura 3, si è osservato che al crescere della percentuale la prevalenza di contenzione decresce, per poi assestarsi dal 60% circa.

Per le RSA, sebbene il 78% dei nuclei ordinari e l’87% dei nuclei Alzheimer risultassero sovra standard, non si è riscontrata alcuna associazione significativa tra ricorso alla contenzione fisica e percentuale di ore aggiuntive prestate rispetto allo standard (p=0,759).

Procedure in uso
Nella metà delle unità operative ospedaliere e nel 94% dei nuclei di RSA che costituivano il campione era presente un protocollo o una procedura di regolamentazione del ricorso alla contenzione fisica. Nell’87,4% delle unità e nell’83,7% dei nuclei era sempre eseguita una valutazione infermieristica prima di applicare la contenzione fisica, mentre era prassi informare i familiari della necessità di utilizzare mezzi di contenzione nel 67% delle unità e nel 92% dei nuclei. La prescrizione scritta della contenzione era effettuata sempre nel 57,4% delle unità e nel 96,5% dei nuclei, saltuariamente nel 33,9% delle unità e nel 3,5% dei nuclei. A prescrivere la contenzione era quasi sempre il medico: in 91 unità su 116 dove la prescrizione era sistematica o saltuaria e in 296 nuclei su 301 dove la prescrizione era sistematica; in 22 unità (17,3%) e 48 nuclei (15,3%) la prescrizione era una decisione condivisa da medico e infermiere. Nel 58% delle unità e nel 94,2% dei nuclei la prescrizione veniva riportata nei documenti clinici del paziente: in cartella clinica (82% delle unità e 62% dei nuclei), cartella infermieristica (14% e 18%) o in documenti ad hoc (4% e 20%).
Si è ipotizzato che la presenza di protocolli o procedure, della valutazione infermieristica o della prescrizione scritta si potesse associare a una maggiore attenzione al problema della contenzione e a un suo uso più limitato. Utilizzando il modello logistico multivariato, per le unità ospedaliere si è osservato che, pur non ottenendo la significatività statistica per l’indicatore di qualità (p=0,075) in relazione ai 3 fattori che lo definivano (presenza di un protocollo, presenza di una valutazione infermieristica, presenza di una prescrizione scritta della contenzione), l’assenza di tali fattori o la presenza di uno solo di essi era associata a un maggiore ricorso alla contenzione fisica: 26,4% rispetto a 12,2% se presenti 2 fattori e 13,6% se presenti 3 fattori (Figura 4). La stessa associazione non si è osservata per i nuclei delle RSA (p=0,828).

DISCUSSIONE
La prevalenza di contenzione fisica rilevata negli ospedali e nelle RSA che hanno partecipato all’indagine è sovrapponibile a quella riportata negli studi condotti in Italia e in altri paesi (Degan et al., 2004; de Vries et al., 2004; Irving, 2004; Minnick et al., 1998). Similmente ad altri studi, per gli ospedali abbiamo riscontrato un maggiore ricorso alla contenzione fisica nelle unità di geriatria, di terapia intensiva e di medicina rispetto a quelle di ortopedia e chirurgia (Benbenbishty et al., 2010; Degan et al., 2004; Irving, 2004; Minnick et al., 1998).
La differenza significativa tra le province in termini di pazienti e ospiti contenuti, osservata sia in ospedale sia in RSA, può essere solo in parte spiegata considerando più concause: per esempio, l’assenza di contenzione nelle unità di geriatria degli ospedali di Aosta è in parte determinata dal fatto che in tali reparti sono in dotazione spondine che coprono solo tre quarti della lunghezza del letto, spondine che come proposto in letteratura non sono state considerate nel nostro studio mezzi di contenzione (vedi Box 1). In generale è possibile ipotizzare che la differenza riscontrata possa essere dovuta a fattori culturali, alle dimensioni e alla localizzazione delle strutture, come osservato in altri studi (Phillips et al., 2000). Questa ipotesi deve però essere confermata da ulteriori indagini.
Nonostante l’età delle persone contenute fosse elevata, con il presente studio non è possibile affermare che i più anziani sono più a rischio di essere contenuti, non disponendo dell’età degli altri pazienti/ospiti non contenuti.
La motivazione principalmente addotta a giustificazione della contenzione fisica, analogamente a quanto riportato in letteratura (de Vries et al., 2004; Gallinagh et al., 2002b; Hamers et al., 2004; Hantikainen, 1998; Irving, 2004; Karlsson et al., 2001; Minnick et al., 1998), è la prevenzione delle cadute, indicata per il 70% dei pazienti contenuti negli ospedali e per il 74,8% nelle RSA. Tuttavia molti studi hanno dimostrato l’inefficacia della contenzione nel prevenire le cadute (Capezuti et al., 1996, 1998, 2002; Evans et al., 2002) e altri confermano che la contenzione è essa stessa fattore di rischio di cadute traumatiche (Ejaz et al., 1994; Neufeld et al., 1999; Werner et al., 1994).
Nelle RSA non si sono riscontrate differenze significative per le motivazioni addotte in relazione alla tipologia di nucleo, ordinario o Alzheimer: unica eccezione è rappresentata dal fatto che nei nuclei ordinari era maggiore il ricorso alla contenzione per evitare che l’ospite scivolasse dalla sedia o dalla poltrona. Contrariamente a quanto da noi osservato, Luo e collaboratori (2011) riportano che per le persone affette da demenza (inclusa la malattia di Alzheimer) risultavano maggiormente utilizzati mezzi di contenzione per tronco e arti o sedie contenitive (9,99% vs 3,91%, p<0,001) e in misura minore le spondine al letto (35,06% vs 38,43%, p<0,001). In un altro studio non si sono invece rilevate differenze significative nell’uso della contenzione per gli anziani residenti in nuclei Alzheimer (Phillips et al., 2000).
La motivazione “su richiesta del paziente/ospite per maggior sicurezza”, sovente riferita da infermieri e operatori, risulta scarsamente riportata nel nostro studio: solo per 4 pazienti ospedalieri e 36 ospiti di RSA erano state applicate 2 spondine indicando come motivazione principale “su richiesta del paziente/ospite”, e solo per un ospite di una RSA si è segnalato che la richiesta di applicare le spondine al letto era stata espressamente formulata dai familiari. Ciò suggerisce la necessità di considerare con prudenza l’affermazione che la contenzione è una risposta a una precisa richiesta degli utenti.
Le spondine al letto si confermano, anche nel nostro studio, il mezzo di contenzione maggiormente utilizzato: ulteriori studi sono necessari per valutarne l’appropriatezza, soprattutto in relazione alle caratteristiche funzionali e cognitive delle persone sottoposte a contenzione. Per 5 pazienti ricoverati in ospedale insieme alle spondine era impiegato allo scopo di contenere un lenzuolo; anche se si tratta di una prevalenza esigua (1,1%) va evidenziato che l’uso di mezzi impropri per contenere è fortemente sconsigliato e non privo di rischi.
Nel 79,3% dei pazienti contenuti in ospedale e nel 98,1% degli ospiti contenuti in RSA la contenzione era permanente, ovvero era applicata ogni giorno per tutto il periodo di degenza, e non vi era relazione tra il motivo per cui si applicava e il tempo di utilizzo. Ciò fa presupporre che la contenzione sia considerata un intervento ordinario, piuttosto che una misura straordinaria a cui ricorrere in situazioni di urgenza o in stato di necessità. Il dato da noi osservato è riportato anche in letteratura: Irving (2004) ha documentato che in ospedale, laddove si decide di utilizzarla, la contenzione viene normalmente applicata per tutta la durata della degenza.
L’associazione tra standard di personale e contenzione è controversa; alcuni autori hanno riscontrato nelle nursing homes una discreta associazione tra elevati carichi di lavoro, disabilità fisica e cognitiva dei residenti e un maggior ricorso alla contenzione (Gallinagh et al., 2002b; Karlsson et al., 2001). Nel nostro studio, sia in ospedale sia in RSA, sebbene sia stata osservata limitatamente all’ospedale una relazione tra le ore di assistenza e la prevalenza di contenzione, detta relazione non è né significativa né esponenziale.
La presenza di un maggior rapporto infermieri/residenti è associata a una riduzione della contenzione (Gallinagh et al., 2002b): questo aspetto, non indagato nel nostro studio, potrebbe essere oggetto di ulteriori ricerche.
Anche se sono necessarie valutazioni più approfondite, la relazione, debole per gli ospedali e del tutto assente per le RSA, tra la presenza di protocolli, della valutazione infermieristica o della prescrizione scritta e un utilizzo più limitato della contenzione fisica potrebbe essere spiegata con la presenza di una prescrizione normativa per le RSA della Lombardia (DGR 14 dicembre 2001, n. 7435)1 che impone alle strutture di dotarsi di alcuni protocolli/procedure, tra cui anche il protocollo per l’utilizzo dei mezzi di contenzione fisica, quale requisito per l’accreditamento. Pertanto, in alcune situazioni, il protocollo potrebbe essere presente ma non implementato. Questa imposizione non si estende alle strutture ospedaliere, anche se tra gli standard della Joint Commission International (2011)2, scelta dalla Regione Lombardia come sistema di accreditamento per le strutture sanitarie, è prevista la presenza di “politiche e procedure che guidano il ricorso alla contenzione e l’assistenza ai pazienti sottoposti a contenzione”.

CONCLUSIONI
I nostri risultati pongono in luce, pur con le dovute cautele, le dimensioni del fenomeno della contenzione fisica in ospedali e RSA. La numerosità del campione e la concordanza con altri studi analoghi ci fanno presupporre che si tratti di una fotografia realistica e rappresentativa, che mostra un dato di fatto da cui partire per introdurre percorsi di miglioramento volti a ridurre il ricorso ai mezzi di contenzione e/o la durata della loro applicazione, anche attraverso l’adozione di misure alternative di efficacia provata per raggiungere gli obiettivi per i quali, e con molte incertezze, ancora oggi si utilizza la contenzione. La presente indagine, documentando che la prevenzione delle cadute è la principale causa di impiego della contenzione in entrambi i setting, seguita dalla gestione dell’agitazione psicomotoria, indica che la possibile strada da perseguire per limitarne l’uso è l’implementazione di interventi più appropriati per diminuire il rischio di cadute e controllare l’agitazione.
I limiti dello studio sono essenzialmente riconducibili all’adesione volontaria delle strutture e al fatto che la rilevazione è basata su self report piuttosto che sull’osservazione diretta dei ricercatori. I risultati relativi alla prevalenza della contenzione fisica potrebbero essere pertanto sottostimati: non sappiamo se tra le strutture che non hanno potuto o voluto partecipare all’indagine l’utilizzo della contenzione sia sovrapponibile a quello riscontrato. La rilevazione, eseguita da infermieri interni alle strutture, prevedeva l’acquisizione dei dati riferiti a una giornata. Gli infermieri hanno quindi effettuato un’osservazione diretta parziale, generalmente in un arco di 7 o 8 ore, rilevando gli altri dati grazie alle testimonianze o all’aiuto dei colleghi presenti negli altri turni o attraverso la documentazione clinica, con il conseguente rischio dell’incerta attendibilità dei dati. Ciononostante, è possibile affermare che i risultati ottenuti siano abbastanza affidabili e che gli infermieri abbiano rilevato la situazione reale, indicando puntualmente tutte le persone contenute al momento dell’indagine, evidenziando un’ampia adesione al presente progetto. A tale proposito è stata essenziale la fase di preparazione, in particolare la formazione degli infermieri impegnati nella rilevazione e la consulenza dei componenti del comitato scientifico dello studio durante tutto il periodo di indagine.
Il comitato scientifico che ha promosso lo studio si propone di elaborare e diffondere un documento in cui riassumere e illustrare gli interventi che sono stati implementati e descritti in letteratura per ridurre il ricorso alla contenzione fisica che, sebbene ancora molto diffusa, è priva di qualsiasi evidenza di efficacia e non è esente da complicanze.
 

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