Valutazione della disfagia nell’ictus acuto: analisi del grado di accordo tra infermieri


RIASSUNTO
Introduzione L’ictus causa disfagia in una percentuale variabile tra il 13% (lesione unilaterale) e il 71% (lesioni bilaterali e troncoencefaliche) dei casi. La disfagia influenza negativamente la prognosi del paziente, e una corretta valutazione del disturbo è essenziale per impostare una dieta adeguata e una riabilitazione precoce. Tra gli approcci utilizzati, il test di deglutizione dell’acqua è una metodica semplice, ripetibile e con buona predittività prognostica. Scopo di questo studio è sviluppare una procedura clinica per la valutazione della disfagia e rilevarne la concordanza degli esiti tra gli infermieri di un Centro Ictus.
Materiali e metodi Ogni infermiere ha valutato la presenza/assenza di disfagia e la sua severità; il test veniva ripetuto da un altro infermiere entro 12 ore. L’accordo tra i risultati delle valutazioni effettuate è stato stimato utilizzando l’indice K di Cohen.
Risultati Sono state condotte 67 coppie di valutazioni. Il valore di K è risultato pari a 0,81 (95% IC 0,67-0,95) per la presenza/assenza di disfagia, e a 0,63 (95% CI 0,46-0,80) per la sua gravità. 
Conclusioni La concordanza tra le valutazioni eseguite dagli infermieri è risultata molto buona per la presenza/assenza di disfagia, meno per quanto riguarda la severità del disturbo. Il confronto quotidiano all’interno del gruppo multidisciplinare può ottimizzare la ripetibilità della valutazione attraverso un addestramento basato su criteri metodologici e sull’attenzione agli indici clinici.
Parole chiave: disfagia, ictus, valutazione disfagia.


Assessment of dysphagia in ACUTE stroke: analysis of degree of agreement between nurses

ABSTRACT
Introduction Dysphagia is a common complication of stroke, detected in 13% (unilateral lesion) to 71% (bilateral and brainstem lesions) of cases. Dysphagia adversely affects the outcome of the patient, and a correct assessment of dysphagia is crucial for planning an adequate diet and an early rehabilitation. Among the dysphagia screening methods, the water swallow test is simple, reproducible, and it is a good prognostic predictor. The aim of this study is to develop a clinical tool for the assessment of dysphagia and to evaluate the internurse reliability in a Stroke Unit.
Materials and methods Each nurse evaluated the presence and severity of dysphagia; the test was repeated by another nurse within 12 hours. The agreement among the results of the different assessments was estimated using Cohen’s K. 
Results 67 pairs of assessments were carried out. Cohen’s K value was 0.81 (95% CI 0.67-0.95) for the presence/absence of dysphagia, and 0.63 (95% CI 0.46-0.80) for its severity.
Conclusions The correlation between nurses’ assessments was very good for the presence/absence of dysphagia, less good for its severity. The daily confrontation within the multidisciplinary team can optimize the repeatability of the assessment through training based on methodological criteria and attention to clinical indices.
Key words: dysphagia, dysphagia assessment, stroke.

INTRODUZIONE
La disfagia, intesa come disfunzione di una o più fasi della deglutizione, è una delle possibili conseguenze dell’ictus e ha ripercussioni negative sulla gestione della fase acuta del paziente, sui tempi di degenza e sull’esito delle cure (SPREAD, 2005). Durante i pasti nel paziente disfagico si possono verificare inconvenienti fastidiosi e a volte pericolosi come la fuoriuscita di saliva e cibo dalla bocca, la tosse, il soffocamento; al fine di evitare situazioni imbarazzanti, il paziente può affrettare i pasti o evitarli del tutto. La disfagia è presente nei pazienti con ictus in misura variabile fra il 13% (lesione unilaterale) e il 71% (lesioni bilaterali o del tronco encefalico); oltre il 20% dei casi di infarto lacunare si associa a disfagia. Rispetto alle lesioni emisferiche, in generale l’ictus a carico del tronco encefalico è con maggiore frequenza associato a disfagia più grave (SPREAD, 2005).

La malnutrizione può rappresentare una conseguenza diretta della disfagia e questa situazione clinica è predittiva di prognosi sfavorevole. I dati di uno studio relativamente recente (The FOOD Trial Collaboration, 2005) evidenziano una differenza significativa per la condizione di disabilità grave e/o mortalità a 6 mesi tra coloro che all’ingresso in ospedale sono sovrappeso o malnutriti (17% vs 37%), conclusioni confermate da una revisione sistematica successiva (Milne et al., 2009). Cibi e liquidi possono passare attraverso la faringe in maniera impropria e, penetrando nelle vie aeree, provocare l’aspirazione di materiale estraneo con conseguente broncopneumopatia ab ingestis. L’aspirazione si manifesta attraverso sintomi come tosse, febbre intermittente e sviluppo di polmonite. Il 50% dei pazienti disfagici ha episodi di aspirazione, mentre il 30% sviluppa una polmonite ab ingestis. Le malattie polmonari possono essere associate a perdita di peso, cachessia e disidratazione, diventando così una potenziale causa di morte o di invalidità. La polmonite da aspirazione causa il 20% dei decessi tra i pazienti colpiti da ictus nel primo anno e il 10-15% dei decessi per ogni anno seguente (Perry et al., 2001).

Le caratteristiche cliniche che indicano la possibile presenza di disturbi della deglutizione sono:

  • gravità dell’ictus (ridotto livello di coscienza, deficit motorio grave, disfasia, neglect ed emianopsia),
  • età avanzata del paziente,
  • stato confusionale,
  • deficit del VII nervo cranico,
  • difficoltà o incapacità di produrre una tosse volontaria, voce umida o gorgogliante dopo la deglutizione,
  • segni di infezione polmonare,
  • ridotta sensibilità faringea,
  • disfonia,
  • disartria,
  • difficoltà a muovere la lingua e a chiudere le labbra.

La combinazione e la gravità dei sintomi che caratterizzano la disfagia richiedono modifiche della gestione infermieristica e della dieta sin dal momento del ricovero.

L’incidenza stimata di disfagia nel tempo varia in base a numerosi fattori, quali la definizione operativa di disfagia e i metodi usati per la sua valutazione. Il test di deglutizione dell’acqua ha esito positivo nel 61% dei casi entro 6 giorni dall’evento e nel 40% dei casi entro 7 giorni; la videofluoroscopia, invece, rileva una frequenza di disfagia del 65% entro 5 giorni e dell’80% entro 7 giorni. Di norma il tempo medio di recupero è una settimana; infatti il 50% dei pazienti presenta una regressione della disfagia dopo 7 giorni, anche se il recupero dipende dalle condizioni generali e dall’età (Perry et al., 2001).

In una revisione sistematica che ha selezionato 26 studi sulla valutazione della disfagia nell’ictus acuto (Perry et al., 2001), la videofluoroscopia è il test definito come gold standard nella valutazione diagnostica di tale disturbo. Nella pratica clinica vengono però utilizzati anche diversi altri approcci. Tra questi il test di Daniels, costituito da una scheda che raccoglie 6 fattori di rischio per la disfagia e che correla una elevata probabilità di disfagia alla presenza di 2 sintomi (Daniels et al., 1998). Altri metodi di valutazione si basano sul test dell’acqua, confrontato con la videofluoroscopia da DePippo e collaboratori (1992). Il test consiste nel tentativo da parte del paziente, seduto con il tronco eretto e il mento proteso in avanti, di deglutire 3 cucchiaini di acqua intervallati da un piccolo lasso di tempo, durante il quale il paziente viene invitato a parlare. In caso di successo, Smithard e collaboratori (1996) concludono la prova con la somministrazione di mezzo bicchiere di acqua (60 ml). Infine, Hinds e collaboratori (1998) aggiungono il rilevamento della storia anamnestica del paziente alla valutazione clinica.

La valutazione della disfagia, in questi termini, assume i caratteri di una pratica infermieristica molto delicata e decisiva al fine di impostare una dieta adeguata, addestrare il paziente e il caregiver sugli accorgimenti posturali da tenere e avviare una precoce riabilitazione. L’esistenza nella pratica clinica di una importante variabilità nella valutazione della disfagia ci ha stimolato a sperimentare una nuova procedura per accertare la presenza e la gravità del disturbo e ad analizzarne la riproducibilità in questo studio, condotto dal personale infermieristico affiancato dagli altri membri del gruppo multidisciplinare. 

MATERIALI E METODI
La variabilità tra gli operatori per quanto riguarda l’esito della valutazione della disfagia è un fattore importante da monitorare, che può essere ridotto mediante l’applicazione di procedure semplici e ripetibili e con un addestramento adeguato. Questo studio è stato realizzato partendo dall’esigenza di rilevare la concordanza nella valutazione della disfagia tra gli infermieri.

Il turno infermieristico del Centro Ictus di Città della Pieve è composto da 6 infermieri che si succedono nelle 24 ore. Ogni infermiere ha eseguito su pazienti consecutivamente ricoverati la valutazione della disfagia in cieco rispetto a un collega del turno successivo, che ripeteva la procedura entro poche ore dalla prima; i risultati delle valutazioni venivano riportati in apposite schede. I pazienti sono stati valutati al momento del ricovero e successivamente ogni qual volta il cambiamento delle condizioni cliniche poteva far sospettare la presenza di disfagia. Sono stati esclusi i pazienti che presentavano un ridotto grado di coscienza.

La procedura utilizzata prevedeva:

1. Valutazione dei fattori di rischio secondo la scheda di Daniels (Daniels et al., 1998):

  • disfonia
  • disartria
  • gag reflex anormale
  • incapacità di tossire volontariamente
  • tosse involontaria all’atto della deglutizione
  • cambiamento della voce (umida o gorgogliante).


2.
Somministrazione del test dell’acqua nel modo seguente: con il paziente seduto eretto, si procedeva alla somministrazione per 3 volte consecutive di un cucchiaino di acqua (10 ml); nell’intervallo fra ogni tentativo, si prestava attenzione all’eventuale presenza di sintomi legati alla disfagia e si parlava con il paziente chiedendogli di riferire le sue sensazioni; la prova era sospesa se si manifestava una chiara difficoltà alla deglutizione, mentre in assenza di sintomi la prova veniva conclusa facendo bere al paziente 50 ml di acqua da un bicchiere (DePippo et al., 1992; Smithard et al., 1996).

3. Valutazione dei segni d’allarme sopra elencati, che determinavano la sospensione del test dell’acqua e che, con almeno 2 sintomi presenti, confermavano la diagnosi clinica di disfagia (Daniels et al., 1998).

L’esito di questa procedura fornisce gli elementi clinici necessari per distinguere 4 livelli di gravità della disfagia:

  • assente: corretta deglutizione (implicazioni per la dieta: nessuna)
  • lieve: voce gorgogliante dopo la deglutizione dei liquidi (implicazioni per la dieta: necessità di addensare i liquidi, consistenza succo di frutta)
  • moderata: tosse o sintomi più gravi della voce gorgogliante alla deglutizione dei liquidi e dei solidi (implicazioni per la dieta: necessità di addensare i liquidi, consistenza gel)
  • grave: impossibilità di deglutire liquidi e solidi (implicazioni per la dieta: nutrizione enterale).

Le schede compilate dagli infermieri sono state raccolte e riportate su un foglio di calcolo statistico (SPSS v. 12); i dati sono stati codificati in base alla presenza/assenza di disfagia e in base alla sua severità (assente, lieve, moderata o grave). Si è quindi proceduto alle analisi descrittive e al calcolo dell’indice K di Cohen, escludendo i casi in cui una delle valutazioni non era stata effettuata o l’intervallo di tempo superava le 12 ore. L’indice K è stato calcolato secondo 4 modalità per:

1. Valutare la riproducibilità dell’esito presenza/assenza di disfagia; in questo caso la matrice utilizzata è uguale a 2 x 2.

2. Valutare la riproducibilità dell’esito livello di gravità della disfagia per assente/lieve/media/grave; in questo caso la matrice utilizzata è uguale a 4 x 4 e non sono stati applicati pesi.

3. Valutare la riproducibilità dell’esito livello di gravità della disfagia per assente/lieve/media/grave; in questo caso la matrice utilizzata è uguale a 4 x 4 e sono stati applicati pesi dal programma statistico (peso lineare).

4. Valutare la riproducibilità dell’esito livello di gravità della disfagia per assente/lieve/media/grave; in questo caso la matrice utilizzata è uguale a 4 x 4 e sono stati applicati pesi secondo criteri di ragionamento clinico (Tabella 1).

I risultati sono stati interpretati secondo i cut-off di riferimento per il valore di K (Altman, 1991).

RISULTATI
Sono stati selezionati 50 pazienti, ma i risultati si riferiscono a 67 coppie di valutazioni in quanto in 17 casi è stato necessario ripetere la procedura sullo stesso paziente a causa di cambiamenti nelle condizioni cliniche. L’intervallo medio di tempo tra le valutazioni di ogni singola coppia è di 3 ore e 27 minuti, mentre la mediana è di 3 ore. Le valutazioni hanno dato esito positivo (concordanza dei risultati riportati) nel 44,8% dei casi.

Rispetto alla presenza o assenza di disfagia si è rilevata una discordanza pari a 6/67 pazienti, mentre per il grado di severità attribuito alla disfagia la discordanza era di 11/67 pazienti. L’indice K di Cohen è stato calcolato nelle 4 modalità di valutazione sopra descritte. Per la riproducibilità dell’esito presenza/assenza di disfagia (Tabella 2) si è ottenuto un buon risultato, con un valore di K pari a 0,81 (95% CI 0,67-0,95).

Di buon livello è anche la concordanza che si è riscontrata rispetto alla gravità della disfagia per le categorie assente/lieve/media/grave (Tabella 3), con K 0,63 (95% CI 0,46-0,80) senza l’applicazione di pesi. Lo stesso valore di K si è rilevato quando la scelta dei pesi è stata affidata a criteri di ragionamento clinico, mentre una maggiore concordanza è emersa applicando l’indice K “pesato”, con K pari a 0,70 (Tabella 4).


DISCUSSIONE
La valutazione della disfagia è decisiva per la gestione dell’ictus in fase acuta, poiché la disfagia può comportare malnutrizione o determinare polmonite ab ingestis, entrambe condizioni che aumentano il rischio di prognosi infausta. E’ utile promuovere un confronto tra i diversi gruppi disciplinari che si occupano di ictus circa la scelta del metodo migliore da utilizzare per diagnosticare la presenza di disfagia, e per individuare il regime alimentare più appropriato in base alla gravità del disturbo. Occorre avere a disposizione un test efficace, semplice, facilmente applicabile, ripetibile e correlabile alla prognosi dei pazienti. È quindi necessario perfezionare procedure da effettuare al letto del malato, che possano essere applicate da qualunque professionista che lavora in questo campo. Tali procedure dovrebbero essere utilizzate precocemente, insieme alla valutazione neurologica iniziale, in modo che possano servire da screening per identificare i pazienti che richiedono un trattamento della disfagia. 

Il metodo descritto in questo studio, che utilizza la scheda con 6 fattori di rischio di Daniels in combinazione con una forma completa di test dell’acqua (Daniels et al., 1998; Smithard et al., 1996), fornisce una valutazione clinica affidabile, veloce e di semplice esecuzione. Fornisce inoltre indicazioni pratiche riguardo alla dieta da somministrare al paziente, in particolare rispetto alla consistenza del cibo, modulabile in funzione di ogni peggioramento o miglioramento clinico.

Con la procedura adottata, nel gruppo di infermieri del Centro Ictus di Città della Pieve si è riscontrato un accordo molto buono per quanto riguarda l’accertamento della presenza o assenza di disfagia. L’accordo tra gli operatori è risultato inferiore rispetto alla valutazione della gravità del disturbo. E’ possibile che ciò sia dipeso dalla diversa esperienza dei singoli infermieri. In tal senso è necessario un confronto all’interno del gruppo multidisciplinare, da cui emergano ulteriori precisazioni teoriche su una definizione operativa e comune del fenomeno della disfagia e dei livelli di gravità con cui si manifesta. 

Si sottolinea infine come l’aggregazione del personale infermieristico attorno a un problema concreto, che riguarda l’assistenza per uno dei principali fabbisogni del paziente, abbia comportato un buon risultato da un lato nell’organizzazione della pratica clinica, dall’altro in termini di aumento della competenza metodologica. 

CONCLUSIONI
Utilizzando una procedura diagnostica che comprende sia la scheda dei fattori di rischio di Daniels sia un test di deglutizione dell’acqua, la valutazione della presenza di disfagia in pazienti con ictus è risultata altamente ripetibile. Deve essere invece ottimizzato l’accordo tra gli infermieri rispetto alla definizione dei livelli di gravità del disturbo, obiettivo che può essere raggiunto attraverso la discussione e il confronto. Il tema della disfagia è indubbiamente rilevante per l’infermieristica: sono necessari ulteriori studi al fine di validare test semplici e affidabili da applicare nella pratica clinica quotidiana.

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Bibliografia

– Altman DG (1991) Practical statistics for medical research. Chapman and Hall, London.
– Daniels SK, Brailey K, Priestly DH et al. (1998) Aspiration in patients with acute stroke. Arch Phys Med Rehabil, 79 (1), 14-9. 
– DePippo KL, Holas MA, Reding MJ (1992) Validation of the 3-oz water swallow test for aspiration following stroke. Arch Neurol, 49 (12), 1259-1261.
– Hinds NP, Wiles CM (1998) Assessment of swallowing and referral to speech and language therapists in acute care. Q J Med, 91 (12), 829-835.
– Milne AC, Potter J, Vivanti A et al. (2009) Protein and energy supplementation in elderly people at risk from malnutrition. Cochrane Database of Systematic Reviews, Issue 2.
– Perry L, Love CP (2001) Screening for dysphagia and aspiration in acute stroke: a systematic review. Dysphagia, 16 (1), 7-18.
– Smithard DG, O’Neill PA, Parks C et al. (1996) Complications and outcome following acute stroke. Does dysphagia matter? Stroke, 27 (7), 1200-1204.
– SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion (2005) Ictus cerebrale, linee guida italiane di prevenzione e trattamento.
– The FOOD Trial Collaboration (2005) Routine oral nutritional supplementation for stroke patients in hospital (FOOD): a multicenter randomised controlled trial. 
– Lancet, 365, 755-763.