Le lesioni dell’anello pelvico
Le  lesioni dell’anello pelvico non sono frequenti: rappresentano solo  il  5-8% dei traumi maggiori, ma sono presenti nel 20% dei pazienti  politraumatizzati. Essendo generalmente conseguenti a traumi ad alta  energia cinetica, sono gravate da un’alta morbilità e mortalità. Le  cause principali sono: incidenti automobilistici/motociclistici  (70-80%), caduta dall’alto (10-30%), traumi da schiacciamento (5-10%)  (Scaglione et al., 2012, Walker 2011, Zinghi et., al 2004). Ne consegue che  le fratture pelviche rappresentano una difficile sfida non solo per  l’ortopedico ma per tutta l’equipe infermieristica assistenziale:  spesso il paziente con frattura di bacino è un paziente  politraumatizzato ad alta complessità assistenziale (Walker, 2011).
Le  lesioni dell’anello pelvico sono importanti soprattutto per quanto  riguarda la fase acuta post-traumatica (Scaglione et al., 2012;  Hauschchild et al., 2008), dove la mortalità per emorragia pelvica è del  5-30% ed è la prima causa di morte. L’alta energia richiesta per  provocare il trauma fa sì che la frattura si presenti con un’importante  scomposizione dei frammenti ossei. In una seconda fase, ridurre  correttamente la frattura è il passo fondamentale per limitare gli  esiti, sia quelli riguardanti l’apparato muscoloscheletrico che quelli  correlati alla funzionalità urologica e sessuale. Per questo motivo le  fratture dell’anello pelvico presentano un out–come non  sempre favorevole che può compromettere in modo significativo la vita  quotidiana del paziente (spesso giovane), ragione per cui le società  internazionali di ortopedia suggeriscono che questo tipo di patologie  vengano trattate presso centri specializzati (Scalglione et al., 2012).
La  S.C.D.U Ortopedia e Traumatologia dell’A.O.U San Luigi Gonzaga di  Orbassano è centro di riferimento per la patologia traumatica dell’anca e  per le fratture dell’anello pelvico. Vengono eseguiti in media 70  interventi l’anno ed è nostra esperienza che un’accurata gestione del  paziente in un’equipe multidisciplinare (ortopedico, infermiere,  fisioterapista) è determinante per la riuscita.
Il  trattamento della fase acuta post traumatica avviene generalmente in  Pronto soccorso e prevede il mantenimento della stabilità di tutte le  funzioni vitali che possono essere alterate in seguito a traumi ad  elevata energia cinetica. Il morsetto pelvico d’emergenza o il semplice  fissatore esterno permettono un efficace stabilizzazione già 10-15  minuti dopo il ricovero in sala d’emergenza. Non è nostro intento  trattare la fase acuta post traumatica, ma bensì soffermarci sugli  interventi infermieristici atti a ridurre le complicazioni legate alla  fase di recupero.
Classificazione e trattamento delle fratture
La  valutazione clinica e radiografica del bacino, basata  sull’identificazione del grado di stabilità o di instabilità, è la  piattaforma di partenza per tutte le decisioni successive.
Gli  schemi di classificazione delle fratture sono fondamentali. non solo  per identificare e descrivere la lesione, ma soprattutto pianificarne il  trattamento e predirne l’esito.
I due schemi più  popolari attualmente in uso sono il sistema di Tile e il sistema di  Young-Burgess (Adams et al., 2007; Burgess et al., 1990; Tile et al.,  1995;). Entrambi sono stati incorporati nel sistema utilizzato dell’Ortophaedics Trauma Association. (Figura 1)
Figura 1 – Classificazione Tile
 
Il  trattamento definitivo prevede la stabilizzazione delle fratture e/o  delle lussazioni che compongono la lesione dell’anello pelvico: fratture  del sacro, lussazioni sacroiliache, fratture-lussazioni della  sacroiliaca (crescent fractures), fratture delle branche  ileopubica e ischiopubica o aperture della sinfisi pubica. La  stabilizzazione avviene entro le 24/72h, solitamente mediante viti e/o  placche e/o fissatore esterno (Castelli et al., 2009).
Nella Tabella 1 abbiamo riportato le tre categorie principali di frattura e il relativo trattamento.
Anche  gli esiti negativi a lungo termine delle lesioni dell’anello pelvico  trovano, in alcuni casi, indicazioni a trattamenti chirurgici utili a  migliorare la sintomatologia dolorosa o la deambulazione del paziente.
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 Tabella 1 – Tipologia frattura e trattamento  | 
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 TIPO DI FRATTURA  | 
 TRATTAMENTO  | 
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 Fratture stabili (gruppo A). Sono fratture stabili, in quanto o non interrompono l’anello pelvico, oppure lo interrompono nel solo versante anteriore, ma sono composte.  | 
 Normalmente non è necessaria la stabilizzazione chirurgica, il trattamento funzionale non provocherà ulteriori spostamenti. Il trattamento consiste in alcuni giorni di riposo a letto, terapia farmacologica (analgesici ed eparinici) e successiva deambulazione.  | 
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 Fratture instabili in senso rotatorio (Gruppo B). Sono fratture in cui l’ALP è almeno parzialmente integro, per cui sono stabili in senso verticale e instabili sul piano orizzontale. Nella lesione B1 (open book, cioè a libro aperto), una compressione sagittale interrompe l’arco anteriore e provoca l’apertura anteriore dell’articolazione sacro-iliaca. Nella lesione B2 (closed book, cioè a libro chiuso), una compressione laterale interrompe l’arco anteriore e sollecita in chiusura anteriore l’articolazione sacro-iliaca. Nella lesione B3 un trauma ad alta energia agisce con controspinta dal lato opposto, provocando un’interruzione dell’arco anteriore e una lesione posteriore bilaterale. Se il trauma è sagittale, allora si avrà un open book bilaterale con diastasi grave della sinfisi pubica; se invece il trauma è laterale allora si ha un closed book dal lato del trauma e un open book dal lato opposto.  | 
 La stabilizzazione del cingolo pelvico anteriore di solito è sufficiente per la deambulazione precoce con carico parziale. La differenziazione tra lesioni di tipo B e lesioni di tipo C può essere poco chiara durante la prima valutazione, specialmente nelle fratture da compressione laterale con minima scomposizione, perciò è necessario effettuare controlli radiologici seriati dopo l’inizio della deambulazione, per verificare che non ci sia stato alcun spostamento posteriore.  | 
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 Lesioni ad instabilità totale (Gruppo C). Nelle lesioni di tipo C si ha una lesione completa dell’ALP, da cui ne deriva un’instabilità non solo rotatoria ma anche verticale. Il meccanismo lesionale è di taglio verticale (vertical shear), per cui si ha la risalita dell’emipelvi con frequenti lesioni associate del plesso lombosacrale e conseguenti danni neurologici. Per questi motivi le lesioni di tipo C sono le più gravi.  | 
 Il cingolo pelvico richiede la stabilizzazione sia posteriore che anteriore, per il ripristino dei rapporti anatomici, la deambulazione precoce e per evitare complicazioni. Qualsiasi parte del cingolo pelvico in cui sia diagnosticabile una reale instabilità dovrebbe essere sottoposta a stabilizzazione chirurgica, per fornire sia la stabilità, sia una sicurezza sufficiente per permettere la deambulazione.  | 
Management infermieristico delle potenziali complicazioni
Le  fratture scomposte del bacino, se non trattate adeguatamente, possono  portare a dolore cronico e invalidante, compromissione della  deambulazione, disfunzione urinaria e sessuale.
Le  fratture acetabolari determinano spesso coxartrosi post traumatica a  medio – lungo termine. Lesioni neurologiche e/o vascolari sono frequenti  in entrambi i casi. (Capella et al., 2014; Coppola, 2000; Walker,  2011). Circa un terzo delle lesioni instabili dell’anello pelvico sono complicate da lesioni che interessano il tratto ureto-genitale (Aihara  et al., 2002; Taffett, 1997), in modo particolare per le fratture della  sinfisi pubica. Circa il 6% delle donne e l’11% degli uomini riportano  danni al sistema genito urinario, incontinenza urinaria, impotenza  (40%). E’ fondamentale un’individuazione precoce del danno.
Il  recupero dopo fratture dell’anello pelvico è un processo lento, che può  portare a delle complicazioni a lungo termine, principalmente legate  all’allettamento forzato in posizione supina o all’impossibilità di  flettere il busto oltre i 40° (Walker, 2011; Frakes et al., 2004).  Stabilizzata la frattura, le prospettive del paziente migliorano per la  possibilità di assumere la stazione eretta.
La  nostra equipe assistenziale si è posta come obiettivo la riduzione delle  complicazioni quali indicatori di interventi infermieristici efficaci.  Pertanto sono stati individuati i seguenti nurse sensitive outcomes su  cui agire:
1. Assenza di lesioni da pressione
L’allettamento  prolungato pone ad alto rischio di lesioni da pressione. All’ingresso  nel servizio il paziente con frattura di bacino viene posto su M.A.D ad  aria. La valutazione attraverso scala di Braden a cui viene sottoposto  all’ingresso non sempre indica la necessità di tale materasso, ma la  totale impossibilità alla mobilizzazione è prerogativa assoluta all’uso.  L’impossibilità al decubito laterale rende particolarmente difficile  l’ispezione della cute che viene eseguita per quanto possibile  giornalmente. Particolare attenzione viene posta ai talloni ed alla  nuca.
Un’adeguata nutrizione, correlata  all’utilizzo degli ausili prima citati, permette una buona gestione  delle lesioni da pressione (Walker 2011; Frakes 2004).
2. Prevenzione dei danni da ileo paralitico
In  assenza di lesioni addominali concomitanti, nei primi giorni dopo il  trauma la dieta del paziente sarà leggera fino alla completa  ricanalizzazione; in seguito potrà assumere una dieta libera. La  nutrizione svolge un ruolo essenziale per potenziare la ripresa a  seguito del trauma.
La nutrizione enterale è da preferire a quella  parenterale per il minor rischio di complicazioni infettive; è comunque  da integrare se il paziente non introduce almeno il 50% dell’apporto  calorico giornaliero previsto (Jacobs, 2003).
La  defecazione è vissuta come un momento particolarmente disagevole e  doloroso. Soventemente il dolore nella mobilizzazione rende impossibile  l’uso della padella, creando imbarazzo e malessere al paziente che vive  il momento con estremo disagio. Garantire la privacy ed un ambiente  tranquillo, assicurando un buon controllo del dolore, è indispensabile.  Importante è garantire che l’eliminazione avvenga in modo regolare;  spesso la prima volta il paziente va aiutato con l’esecuzione di un  clistere evacuativo, successivamente si provvederà a stimolare la  regolarizzazione dell’alvo con diete ricche di fibre, adeguato apporto  idrico e eventuale supporto farmacologico (lassativi per via orale).
3. Riduzione del rischio TVP
Il  rischio di TVP è una complicazione nota e frequente in pazienti con  frattura dell’anello pelvico (Kelsey et al., 2000; Buerger et al., 1993;  Rogers et al., 2001). E’ legata soprattutto all’immobilizzazione e alla  conseguente stasi venosa, danno epiteliale e danno diretto ai vasi. La  prevenzione messa in atto dal nostro centro prevede terapia con EBPM,  associata alla compressione plantare intermittente (foot pump),  che viene iniziata all’ingresso nel servizio e mantenuta per tutta la  degenza. Si è riscontrato che la compliance all’uso delle foot pump in  modo continuo non è ottimale, pertanto il paziente deve essere  incoraggiato e stimolato ad indossarle il più possibile.
E’  evidente come le principali complicazioni sensibili ad interventi  infermieristici siano, sostanzialmente ed intrinsecamente, legate  all’allettamento del paziente.
La mobilizzazione  precoce assume un ruolo cardine per il raggiungimento degli obiettivi  prefissati ed è nostra esperienza che la riabilitazione eseguita in  collaborazione con il fisioterapista permetta di mobilizzare in  sicurezza il paziente stabilizzato già in 2° giornata, qualora sia  concesso un carico parziale. A seconda dell’intervento subito, se al paziente è concesso il carico parziale (su arto non leso) ma non la  flessione del busto, il raggiungimento della stazione eretta avviene  passando direttamente dalla posizione supina a quella eretta senza  passare dalla posizione seduta.
Questo intervento,  se eseguito con pochi semplici accorgimenti, è sicuro sia per il  paziente che per l’operatore. Il passaggio brusco della posizione supina  a quella eretta può dare origine ad ipotensione e/o lipotimia,  soprattutto le prime volte. Questa eventualità deve essere contemplata,  pertanto la manovra non va mai eseguita con un solo operatore, in modo  da poter riportare il paziente nel letto, nel caso, agevolmente.
La procedura
Qualunque  mobilizzazione che coinvolge gli arti inferiori deve essere eseguita in  postura supina. Il lato del letto sul quale si eseguirà il passaggio da  supino a in piedi è quello relativo all’arto inferiore che può  caricare. In questo modo la leva costituita dall'arto in carico è  facilitata, in quanto il piede appoggia meglio al pavimento.
Per facilitare il passaggio da supino a in piedi si vince l’inerzia con l’uso di una traversa che avvolge il cingolo scapolare.
L’arto inferiore senza carico dovrà esser sostenuto per:
- Ridurre il dolore
 - Mantenere in posizione neutra l’anca (posizione zero)
 - Mantenere il corretto allineamento coxo – femorale – tronco
 
Per prepararsi al passaggio in statica eretta, è necessario spostare  il paziente in posizione supina quasi trasversale rispetto al letto,  mantenendo in abduzione l’arto inferiore che può caricare e in adduzione  quello senza carico con l’anca in posizione neutra, fino al  raggiungimento del bordo letto.
Per vincere  l’inerzia è necessario l’appoggio stabile e sicuro del piede che può  caricare e del posizionamento del letto ad un’altezza che favorisca la  propulsione del tronco.
Durante questa fase è importante che la persona che sostiene l’arto senza carico, lo abbassi velocemente verso il pavimento. Il paziente, con la forza dei propri bicipiti brachiali e mantenendo in estensione la colonna vertebrale, si alza velocemente facendo leva con l’arto inferiore in carico.
Raggiunta la statica eretta. Il girello anti-brachiale garantisce la sicurezza.
La  manovra attuata in collaborazione tra infermieri e fisioterapisti  rappresenta un momento importante nel percorso riabilitativo. Nei giorni  che precedono la dimissione si procede ad addestrare un care giver  alla manovra, per la continuità domiciliare della riabilitazione.
il  passaggio da supino a in piedi è facilmente eseguibile a domicilio,  richiedendo soltanto un girello anti brachiale, una scarpa chiusa con  suola di gomma per l’arto sano e un protocollo di esercizi da praticare  in autonomia.
I pazienti che subiscono un trauma  dell’anello pelvico costituiscono una sfida importante sia per l’equipe  medica che infermieristica. La complessità assistenziale richiede  un’attenta valutazione e monitoraggio del paziente, pertanto il ruolo  dell’infermiere all’interno di un equipe multidisciplinare è  fondamentale. L’articolo vuole essere una guida per aiutare a ridurre i  danni conseguenti a questo tipo di frattura che spesso possono essere  invalidanti.
 
			
		








