Un problema emergente: le aggressioni nei servizi sanitari


Infermieri e comportamenti aggressivi
La violenza sul posto di lavoro è un problema che investe i paesi di tutto il mondo. La reale dimensione del problema non è nota, ma si crede che i dati raccolti siano soltanto la punta di un iceberg.
Il rischio di subire aggressioni per infermieri e operatori sanitari è più elevato rispetto ad altri lavoratori che operano in contatto diretto con l’utenza. Il tipo di violenza che colpisce maggiormente gli operatori sanitari è quella proveniente dai pazienti e dai loro caregiver, attraverso aggressioni fisiche, verbali o di atteggiamento; gli effetti sull’operatore si possono verificare sia personalmente che professionalmente, oltre ad effetti negativi in termini economici, sociali e di qualità delle cure prestate.
L’approfondimento sul fenomeno delle aggressioni sul posto di lavoro nella realtà italiana è relativamente recente, pertanto si è deciso di esplorare la situazione locale in un ospedale della provincia bolognese. L’ipotesi formulata, sulla base della letteratura internazionale esaminata, è che esista un costante pericolo di aggressioni a carico degli operatori sanitari e che in alcuni settori come servizi di emergenza-urgenza, servizi psichiatrici, lungodegenze tale rischio sia maggiore.
Scopo dell’indagine è descrivere il fenomeno attraverso il percepito degli infermieri e nello specifico: sapere cosa pensano dell’aggressività; se è accettata oppure subita; quali comportamenti aggressivi si verificano; come reagiscono gli operatori colpiti; se sentono il bisogno di strumenti efficaci per prevenire le aggressioni fisiche o verbali da parte delle persone che prendono in cura.

Cosa ne pensano gli infermieri?
Per rispondere al quesito, sono stati effettuati due focus group: uno con operatori del pronto soccorso e uno con operatori del servizio di psichiatria, mentre l’esperienza geriatrica è stata raccolta tramite un’intervista al coordinatore del servizio. Per la partecipazione è stato posto un unico limite: un’esperienza lavorativa di almeno un anno nel servizio stesso.
Completata l’indagine, si è proceduto a compararne i risultati con i dati offerti dalla letteratura e si è evidenziato che:

  • è confermato che in ambiente sanitario le aggressioni esistono e che quelle non fisiche si verificano con maggior frequenza rispetto a quelle fisiche;
  • le motivazioni che gli infermieri attribuiscono all’aggressività sono simili a quelle identificate in letteratura e differiscono dal tipo di utenza che viene presa in cura. Ad esempio, in pronto soccorso viene riferito che i pazienti diventano violenti prevalentemente per le lunghe attese e in psichiatria la causa dell’aggressività è nella patologia stessa, così come per i pazienti dementi ricoverati in geriatria. È stato confermato ciò che viene riportato in letteratura in merito alla tolleranza degli operatori nei confronti dei comportamenti aggressivi: questa è maggiore se è conseguenza della patologia, ma diminuisce qualora la capacità di intendere e volere dell’utente è volontariamente compromessa dall’assunzione di sostanze stupefacenti o alcol;
  • gli infermieri che hanno partecipato allo studio, in linea con le ricerche esaminate, difficilmente denunciano le aggressioni subite e quando lo fanno è per gravi aggressioni fisiche;
  • le motivazioni sottese alla mancata denuncia sono sovrapponibili a quelle degli altri paesi: si giustifica il paziente per la situazione di sofferenza o per la patologia degenerativa e ci si assume il rischio del comportamento aggressivo come implicito alla professione. Vi è anche la convinzione che denunciare la violenza subita non serva a risolvere il problema e si lamenta l’assenza di tempo per relazionare l’accaduto;
  • gli infermieri del servizio di psichiatria sostengono che una maggiore aggressività richiede una maggiore attenzione e tempo di cura. Gli infermieri del Ps narrano che a volte le persone violente sono visitate per prime, ricevendo un vantaggio che va a discapito degli altri assistiti. D’altro canto, il coinvolgimento emotivo degli operatori a un episodio di aggressività può influenzare la loro capacità di problem solving e aumentare il rischio di errore. Secondo la letteratura internazionale, gli atteggiamenti aggressivi avrebbero un effetto indiretto sulla qualità delle cure prestate, in quanto gli operatori tendono a dedicare meno tempo ai pazienti aggressivi o lo fanno meno volentieri;
  • tutti gli operatori attribuiscono all’aggressività/violenza subita effetti di tipo psicologico ed emotivo, possibili causa di stress lavoro correlato, confermando così la letteratura al riguardo;
  • quando un episodio di violenza si verifica, la possibilità di creare un gruppo per discutere l’evento, per condividere le percezioni, i comportamenti e i vissuti, è considerato dagli infermieri un valido strumento d’aiuto.

Riflessioni sulla nostra esperienza
La scelta di effettuare questa indagine su piccoli gruppi di operatori e soltanto in alcune unità assistenziali è stata determinata soprattutto dai costi.
Gli operatori di supporto (Oss) che assistono i pazienti anziani sono considerati, da alcuni ricercatori, come gli operatori maggiormente esposti alla violenza, poiché svolgono attività di aiuto che possono scatenare aggressività. Non ci è stato possibile verificare ciò, in quanto, pur avendo esteso l’invito a tutti gli operatori sanitari, hanno partecipato solo infermieri.
Certamente conoscere il paziente durante il ricovero, i suoi bisogni, il suo carattere, sapere quali patologie lo affliggono aiuterebbe gli infermieri a prevenire l’aggressività. Altresì queste informazioni mancano agli infermieri del pronto soccorso, che devono prestare cure ad un’utenza di passaggio, multiculturale, potenzialmente affetta da qualsiasi patologia, che spesso manifesta il proprio disagio aggredendo gli operatori perché parte di un sistema che non li soddisfa.
L’elevato turn over di personale infermieristico e Oss nel reparto di geriatria determina un costante bisogno formativo a garanzia di un comportamento condiviso degli operatori nel relazionarsi con il paziente e loro familiari.

Conclusioni
Molti sforzi si sono fatti in tutto il mondo per descrivere e spiegare il problema delle aggressioni al personale sanitario, con un proliferare di letteratura, ma vi è ancora molto da ricercare sia sui segni predittori di comportamenti violenti, che sulla scelta degli interventi più efficaci di tipo organizzativo, ambientale e individuale.
Per ridurre le aggressioni, sarebbe opportuno un programma di prevenzione valutando i rischi nei luoghi di lavoro, formando il personale con particolare attenzione alle competenze comunicative e informando l’utenza dell’esistenza di una politica aziendale di tolleranza zero alle aggressioni.
Si ha la consapevolezza che questi presentati sono relativi soltanto a un gruppo ristretto e pertanto non generalizzabili a tutta la popolazione sanitaria di riferimento, ma potrebbero offrire un punto di partenza per una futura ricerca di tipo quantitativo, per esplorare in modo approfondito e su una popolazione più ampia il problema delle aggressioni e della violenza nei luoghi di lavoro subita dagli operatori sanitari.
 

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Bibliografia

 – Cerri R, Caserta M, Grosso M (2010). Le aggressioni subite dagli operatori sanitari: indagine in un ospedale italiano. Assistenza infermieristica e ricerca; 29 (1):5-10.
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