Modelli Innovativi nell’organizzazione assistenziale: dai Care Delivery Models ai Professional Practice Models

ISSN: ISSN 2038-0712 – L’Infermiere 2024, 61:3, e66 – e82

Documenti


INTRODUZIONE
La mission dell’’organizzazione nel contesto clinico può essere definita come un impegno a garantire l’analisi e la soddisfazione dei bisogni assistenziali attraverso l’integrazione multiprofessionale, la presa in carico e la continuità assistenziale a favore dell’assistito. L’organizzazione infermieristica implica programmazione, pianificazione, gestione e valutazione dell’assistenza basata su criteri di efficacia, efficienza, appropriatezza e pertinenza (Vainieri et al., 2020). Assicura inoltre l’operatività dei professionisti coinvolti mediante un’appropriata condivisione delle conoscenze a favore di un processo di crescita continua, ricercando la migliore qualità per assistiti, famiglie e comunità (Vainieri et al., 2020). Il modello organizzativo è la modalità attraverso la quale l’assistenza può essere erogata ed organizzata (Mariner-Tomey, 1995). Fondamentalmente, i modelli differiscono tra loro in base ad elementi di autonomia decisionale, tipologia della prestazione e gestione della struttura presa in esame. In base alla prevalenza di alcune caratteristiche organizzative, rispetto ad altre, in letteratura si possono declinare due principali filoni di modellizzazione organizzativa infermieristica: i modelli di erogazione dell’assistenza centrati sull’assistito, o Care delivery Models, e quelli centrati sul professionista, o Professional Practice Models. Attualmente, in particolar modo in Italia, vi è un utilizzo esteso di Care Delivery Models, tra i quali figurano modelli per compiti o in alternativa primary, team e modular nursing. Nella maggioranza delle realtà organizzative italiane, permane un forte ancoraggio al modello funzionale o per compiti, originariamente pensato e sviluppato per le esigenze cliniche ed assistenziali degli anni ‘30 del secolo scorso. Il modello prevede una suddivisione di compiti, ciascuno dei quali è assegnato ad un infermiere di riferimento, in base alle capacità possedute; la presa in carico avviene da parte del medico che organizza la pianificazione delle cure e delle prestazioni da erogare. Il responsabile infermieristico ha il ruolo di verificare che vengano portati a termine gli interventi assistenziali. La frammentazione degli interventi assistenziali riduce i costi sanitari del personale ma ne aumenta quelli di gestione degli esiti negativi. Infatti, la qualità di cura e la soddisfazione professionale si riducono drasticamente, generando un aumento delle cure mancate, una deumanizzazione verso il paziente e una “de-responsabilizzazione” infermieristica (Tiedeman et al., 2004). Nel modello di team nursing è prevista la presa in carico da parte di un gruppo di infermieri di un determinato numero di assistiti (Fernandez et al.,2012). I membri del team condividono la responsabilità della progettazione del piano di cura del paziente e insieme pianificano l’assistenza infermieristica per il turno, sotto la guida dell’infermiere referente. Tuttavia, i limiti sono riconducibili ad una possibile riproposizione facsimile del modello funzionale, laddove non si adotti un’adeguata pianificazione assistenziale condivisa; aggravata da possibili discontinuità comunicativa e di cura, cambiamenti di staff e costi materiali moltiplicati per ogni equipe (Vainieri et al., 2020). Diversamente, il più recente Primary Nursing (PN) trova origini statunitensi nel 1968 presso la University of Minnesota e prevede l’assegnazione di uno o più pazienti ad un infermiere di riferimento, il quale sarà responsabile unico dell’assistenza infermieristica degli assistiti, dall’accettazione alla dimissione. L’assegnazione dell’assistenza da parte del coordinatore infermieristico avviene secondo il metodo dei casi, in cui l’infermiere referente diventa punto di riferimento per assistiti e colleghi associati, quale garante del percorso di cura (Magon e Suardi, 2013). Il modello, tuttavia, presenta una limitata sostenibilità nel tempo, derivante da importanti oneri economici e da un’elevata specificità verso le lungodegenze (Calamandrei, 2015). Successivamente, negli anni ‘90, dalla fusione dei modelli Team Nursing e Primary Nursing nasce il Modular Nursing, il quale prevede che ogni infermiere, affiancato da personale di supporto, fornisca assistenza ad un gruppo di degenti (Vainieri et al., 2020). I pazienti sono suddivisi in moduli o cellule, sulla base del loro bisogno assistenziale e secondo caratteristiche cliniche o strutturali, quali, ad esempio, durata della degenza o percorso di cura (PDTA); indipendentemente dalla tipologia di trattamento clinico-chirurgico (Calamandrei, 2015). Con questo modello si riduce il numero di infermieri che ruotano attorno ad uno stesso assistito e la conseguente frammentazione informativa e di cura. In particolare, si riscontrano maggiore autonomia infermieristica ed integrazione interprofessionale, con un alto grado di efficienza (Vainieri et al., 2020). Tuttavia, i limiti sono riconducibili alla necessità di un possibile cambiamento strutturale degli ospedali, delle consuetudini lavorative e di un aumento significativo delle competenze tra gli operatori coinvolti (Calamandrei, 2015). In letteratura emergono innovativi modelli assistenziali adottati da ospedali magnete o da realtà organizzative certificate nell’eccellenza del governo clinico. La ricerca e l’adozione di modelli organizzativi adeguati ai cambiamenti strutturali, sociali ed epidemiologici in epoca di transizione digitale, non può prescindere dall’utilizzo delle migliori evidenze scientifiche, valorizzando autonomia e competenze avanzate degli infermieri.

ADVANCE PRACTICE NURSING
Il termine Infermieristica “avanzata” descrive un livello avanzato di assistenza sanitaria che sfrutta le competenze e la preparazione accademica dell’infermiere con l’obiettivo di riuscire a soddisfare i bisogni di salute del singolo cittadino, ma anche delle famiglie e della comunità (Pulcini et al, 2010). Il ruolo dell’Advance Practice Nurse (APN) è stato preso in considerazione per offrire un’assistenza di qualità, sicura e sostenibile. Guidelines on advances Practice Nursing, nel 2020, definisce l’APN come “un infermiere generalista o specializzato che ha acquisito attraverso formazione universitaria avanzata, una base di conoscenze ad un livello esperto, con capacità di prendere decisioni complesse e competenze cliniche per esercitare una pratica avanzata” (Schober et al, 2020). Naturalmente le caratteristiche di questa figura dipendono dal contesto sociosanitario di ogni paese in cui esso esercita la professione. Per ottemperare a tali esigenze assistenziali all’infermiere specialist (APN) è richiesta una formazione supplementare. In Italia, tale formazione è insita nei curricola dalla Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche e dei master specialistici di I e II livello. Gli APN rappresentano elementi vitali dei sistemi sanitari poiché preparati per valutare, diagnosticare e gestire problematiche di salute in molteplici contesti assistenziali, tra i quali:

  • Terapia intensiva.
  • Infermieristica di Famiglia e comunità.
  • Salute mentale.
  • Geriatria.
  • Pediatria.

Boehning e Punsalan, nella loro pubblicazione “Advanced Practice Registered Nurse Roles” (2023), individuano ulteriori specializzazioni dell’APN:

  • Infermiere professionista certificato (CNP o Nurse Practioner).

È il professionista dotato di grandi capacità decisionali responsabile della promozione della salute, della prevenzione e dell’educazione sanitaria, nonché della consulenza nella gestione delle malattie croniche. Svolge un ruolo cruciale nell’ambito dell’assistenza preventiva (Primary Healtcare – PHC) (Schober et al., 2020).

  • Infermiere Specialistico Clinico (CNS).

Rappresenta il professionista del “continuum” di cura che è responsabile dei trattamenti e della gestione di tutte le fasi della malattia successive alla diagnosi, nei vari ambiti di applicazione, con maggiore applicazione nel settore comunitario.

  • Infermiere Anestesista Certificato (CRNA).

È il professionista che fornisce cure avanzate nell’ambito anestesiologico o ad esso correlato. In queste specifiche condizioni assistenziali lo stato di salute degli assistiti varia repentinamente per via dell’immediatezza e prontezza operativa a cui l’utente è sottoposto. L’ambito di applicazione principale sono dunque le camere operatorie ospedaliere.

  • Infermiere – Ostetrico certificato (CNM).

È il professionista sanitario che fornisce un ampio spettro di attività assistenziali, soprattutto a scopo preventivo, alle donne in tutte le fasi della vita, incluse le cure ginecologiche (assistenza pre-concezionale, assistenza prenatale e post-partum, parto e assistenza al neonato sia a livello domiciliare che ospedaliero (degenze ostetrico-ginecologiche), consultoriale e delle strutture private e/o convenzionate. Si occupa inoltre dell’assistenza e dell’educazione della coppia per quanto concerne le malattie sessualmente trasmissibili.

Negli ultimi decenni, sono emerse numerose ricerche che dimostrano come l’assistenza fornita da infermieri di pratica avanzata è associata a migliori esiti di salute per i pazienti (Newhouse et al., 2011; Swan et al., 2015; Aiken et al., 2021). Ad esempio, In Inghilterra, Paese con una consolidata tradizione di pratica infermieristica avanzata, è stato condotto uno studio retrospettivo di coorte su 108.115 pazienti affetti da cancro al polmone (Stewart et al., 2021), il quale evidenzia come le valutazioni specialistiche, effettuate da infermieri con competenze avanzate, siano associate a riduzione di mortalità e ricoveri non programmati, rispettivamente del 17% e 5% (Stewart et al., 2021). Il modello dell’APN è stato descritto come un livello di cura, piuttosto che un’espressione di abilità tecnica, e più recentemente ha incorporato il concetto dei “quattro pilastri” della pratica avanzata: leadership, ricerca, pratica clinica e formazione.  Il governo del Regno Unito ha raccomandato la regolamentazione della pratica avanzata fornendo indicazioni al Nursing and Midwifery Council (NMC) nel formalizzare i ruoli APNs.  Il concetto di APN sta emergendo in tutta l’Asia: Giappone, Hong Kong, Corea del Sud, Repubblica Cinese, Taiwan e Singapore. Gli APN per la salute mentale e la terapia intensiva hanno aperto la strada nelle prime fasi di sviluppo della pratica infermieristica avanzata. Il Giappone, ad esempio, ha sviluppato la figura dell’infermiere specialista clinico, applicandola già dal 2008 alle cure gerontologiche (Schober, 2016). In Cina, la necessità di sviluppare l’assistenza infermieristica specialistica è stata menzionata per la prima volta nel Piano di sviluppo della carriera infermieristica (2005–2010) pubblicato dal Ministero della Salute della Repubblica popolare cinese il 20 luglio 2005 (Wong, 2018). Come riportato nello stesso documento, è stato declinato il contributo degli APNs in tre domini: gli aspetti relativi al paziente, al servizio e alla professione (Wong, 2018). Dal punto di vista del paziente, gli APNs sono leader clinici in grado di gestire casi complessi e contribuire a migliorare i risultati relativi alla gestione dei sintomi, alla prevenzione delle complicanze e al miglioramento della salute. A livello di servizio, gli APNs possono favorire l’accesso alle cure, ridurre i tempi di attesa e fornire pratiche assistenziali basate sull’evidenza per migliorare lo stato di salute e le fasi di recupero dei pazienti. All’interno della professione, gli APNs fungono da mentori creando gruppi di professionisti specializzati capaci di fornire servizi migliori ai pazienti, attraverso conoscenze specialistiche che sono all’avanguardia. Per tale ragione, il Ministero della Salute Cinese ha pubblicato un progetto di formazione costituito da master clinici con indirizzi assistenziali specializzati in: terapia intensiva, sala operatoria, area dell’emergenza, infermieristica nei trapianti di organo e assistenza infermieristica oncologica, i cui obiettivi formativi sono focalizzati principalmente sulla capacità di acquisire padronanza, conoscenze e competenze tecniche e interpersonali nel settore di riferimento (Wong et al, 2017). Le organizzazioni internazionali sostengono da tempo i vantaggi dell’APN, come si evince dai rapporti dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e dell’ICN (International Council of Nurses). Per i membri della Federazione Europea delle Associazioni Infermieristiche (EFN), il progresso della pratica infermieristica per il miglioramento della prestazione sanitaria, inteso sia in termini di formazione infermieristica che di ambito della pratica, è stata una priorità costante, culminata nella pubblicazione dell’EFN (De Raeve et al, 2023). Da questa indagine, condotta in 35 paesi europei, è emersa un’ampia variabilità sia nella definizione che nel livello formativo richiesto per l’esercizio come APN (De Raeve et al, 2023). Nel contesto italiano vengono riconosciute le competenze avanzate con l’approvazione del CCNL 2016-2018 relativo alla sanità pubblica, che introduce i ruoli di professionista “esperto” e “specialista”; con queste figure vengono ampliate le conoscenze di base con percorsi formativi di alta specializzazione e/o master universitari che promuovono una carriera orizzontale affiancata a quella verticale, propria della Laurea Magistrale disciplinare. Tuttavia, il modello APN risulta ancora lontano da una sistematica ed uniforme applicazione (Tabella 1). Nella tabella sono riportati i Paesi in cui la figura del professionista APN non è ancora formalmente integrata nei rispettivi sistemi sanitari nazionali.

Tabella 1 – Applicazione del modello APN nei Paesi europei.

Applicazione dell’APN nei Paesi Europei
Applicazione del modello APN Nessuna esperienza del modello APN
Albania, Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Macedonia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Svizzera e Regno Unito Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Montenegro, Portogallo, Romania, Serbia e Spagna

 

TRANSITIONAL CARE MODEL
L’assistenza di transizione o Transitional Care (TC), rappresenta un modello che identifica un’ampia gamma di servizi assistenziali a tempo limitato, progettati per garantire la continuità dell’assistenza sanitaria. Lo scopo di tale approccio è quello di evitare esiti negativi prevenibili e promuovere il trasferimento sicuro della persona tra i servizi sanitari o verso il domicilio (Vainieri et al., 2020). Si possono declinare diversi fattori che impattano negativamente sulla continuità del percorso di cura: comunicazione e collaborazione inadeguata tra i membri dell’équipe clinica, follow-up e monitoraggio limitati e gravi lacune nei servizi sanitari, quando gli assistiti passano da un ambiente di cura all’altro con supporti clinici ed assistenziali differenti (Hirschman et al., 2015). In tale momento del processo di cura il paziente spesso sperimenta duplicazione o inappropriatezza di esami, interventi e terapie (Vainieri et al., 2020). Queste carenze cliniche ed organizzative sono suffragate da valutazioni negative nell’esperienza di cura sperimentata dagli assistiti, associata ad un declino dello stato di salute, in particolare laddove non è stata garantita continuità, in sicurezza, dei servizi sanitari (Hirschman et al., 2015). Recentemente, in ambito internazionale, tramite il progetto ACHIEVE (N:8080) è stata condotta un’indagine prospettica per valutare la percezione dell’assistito nella transizione di cura (Li et al., 2021); sono stati esplorati il coinvolgimento del paziente in strategie TC, gli esiti di salute e l’assistenza ricevuta in ospedale o a domicilio, comprensiva del carico assistenziale attribuito ai caregiver. Da questo studio emerge inadeguatezza clinico-organizzativa per la maggioranza dei pazienti/caregiver, nei seguenti item esplorati (Li et al., 2021):

  • Contatti telefonici post-dimissione a scopo informativo/formativo, in particolar modo per il riconoscimento di segni e sintomi nella gestione della malattia o delle complicanze.
  • Valutazione delle esigenze del caregiver.
  • Opportunità per pazienti e caregiver di apprendere nuove informazioni o abilità necessarie per la cura di sé a casa, con utilizzo formale del metodo di apprendimento Teach-back.
  • Aiuto tempestivo nel gestire eventuali complicanze impreviste.
  • Costruzione di un rapporto di fiducia.

A suffragio di tali risultati vi è ampia letteratura sugli effetti dell’adozione del modello TC rispetto ad una transizione fatta di “cure mancate”. Già dagli anni ‘90, Naylor et al. (1999), studiano le ricadute cliniche ed organizzative degli interventi TC. È emerso che entro 6 mesi dalla dimissione ospedaliera i pazienti con interventi TC avevano minori probabilità di re-ricovero (37,1% vs 20,3%; P <0,001), re-ricoveri multipli (6,2% vs 14,5%; P = 0,01) con aumento significativo del tempo intercorso tra un ricovero e quello successivo (fino a 20 giorni in più alla re-ospedalizzazione, P<.001); evidenze suffragate anche da una netta riduzione della degenza media ospedaliera per assistito (1,53 vs 4,09 giorni; P <0,001). In sintesi, TC ha impattato positivamente riducendo le re-ospedalizzazioni, allungato il tempo per il primo re-ricovero e diminuito il costo complessivo delle cure, con un risparmio medio per paziente di circa $ 3000 (Naylor et al., 1999). Nel dettaglio in termini di sostenibilità si evince una riduzione dei costi totali tra visite mediche specialistiche, accessi in pronto soccorso e re-ricoveri di circa il 38 % fino a 12 mesi dalla prima dimissione (Naylor et al., 2004). Inoltre, sono stati dimostrati miglioramenti nella qualità di vita e soddisfazione del paziente, rispettivamente fino a 6 e 12 settimane dalla dimissione (Naylor et al., 2004). Secondo recenti metanalisi i tassi di re-ricovero possono essere ulteriormente limitati, aumentando durata, frequenza ed intensità degli interventi TC nei pazienti con insufficienza cardiaca e anziani con polipatologie ad alto rischio di complicanze (Lin et al., 2022; Fønss Rasmussen et al., 2021). Infine, da un’ulteriore metanalisi emergono evidenze attribuibili a TC sul miglioramento di prestazioni motorie, andatura e velocità di camminata nei pazienti con esiti di ictus, impattanti positivamente nelle attività di vita quotidiane post-ictali (Saragih et al. 2024).
L’American Geriatrics Society (Coleman e Boult, 2003), tramite un Position Paper, ha evidenziato le condizioni ideali per l’implementazione ed il costante miglioramento del modello TC:

  • Adeguato supporto informativo da parte dei professionisti sanitari responsabili dell’applicazione del modello. Essi devono informare assistiti e caregiver sul processo di transizione, in modo che siano pronti e consapevoli nel prendere decisioni anche in caso di condizioni di salute impreviste.
  • Bidirezionalità nello scambio di informazioni tra professionisti del luogo di cura inviate e quelli del luogo accogliente l’assistito, considerando una pianificazione comune che contempli il processo di assistenza con anamnesi clinica ed assistenziale, ricognizione e riconciliazione farmacologica, possibilmente attraverso sistemi informativi integrati.
  • Condivisione e supporto da parte dalla politica e delle organizzazioni sanitarie, considerando la esperibilità progettuale e sostenibilità economica del modello stesso in molteplici setting di cura.
  • Formazione specifica per i professionisti coinvolti, con particolare rilevanza per il ruolo chiave che ricopre l’infermiere specialista (Advanced Practice Nurse, APN) all’interno del modello.
  • Ricerca scientifica sul modello per l’identificazione dei mezzi maggiormente efficaci nel processo di empowerment dell’assistito.

Nell’ultimo trentennio, attraverso il continuo apporto della comunità scientifica, si è giunti ad una condivisione degli elementi costituenti il Transitional Care Model (Hirschman et al., 2015; Naylor et al. 2013), di seguito descritti:

Screening
La prima componente essenziale del TCM è rappresentata dall’individuazione della specifica popolazione a rischio di complicanze o eventi avversi nella transizione di cura, tra i quali:

  • Età > 80 anni.
  • Basso livello di alfabetizzazione sanitaria.
  • Barriere linguistiche.
  • Inadeguato supporto familiare/caregiver.
  • Cinque o più patologie croniche attive.
  • Caduta recente.
  • Deficit nelle attività di vita quotidiana.
  • Diagnosi di demenza o deterioramento cognitivo accertato tramite strumenti di screening (ad esempio, <4 sul Six Item Screener).
  • Storia di problemi di salute mentale ed emotiva quali depressione o ansia.
  • Ricovero ospedaliero negli ultimi 30 giorni o almeno due ricoveri negli ultimi sei mesi.

Staffing
Il TCM viene implementato utilizzando Infermieri specialisti, ovvero Advanced Practice Nurse (APN) che hanno, pertanto, conseguito un percorso accademico specifico e sono in grado di prendersi la responsabilità primaria nel governo dell’assistenza, sia durante i ricoveri per acuzie degli assistiti che nella transizione di cura. Gli Infermieri specialisti garantiscono un’assistenza olistica, completa e centrata sul paziente, culturalmente sensibile alle esigenze individuali di questi ultimi e dei loro familiari. Sono preparati ad utilizzare il modello con un approccio multimodale. In primo luogo, ogni Infermiere completa una serie di webinar sul modello TCM della durata di quattro settimane, comprensivi dello studio dei casi clinici a rischio e loro presentazione/discussione nell’equipe di cura (ad esempio, insufficienza cardiaca, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva, cure palliative e terapia del dolore, assistenza domiciliare, assistenza comunitaria). La formazione comprende anche l’utilizzo e la somministrazione di strumenti di screening, unitamente alla conduzione di interviste motivazionali e strategie di coinvolgimento di pazienti e familiari/caregiver.

Rapporto di fiducia
L’infermiere APN è presente dall’accoglienza fino alla transizione di cura 7 giorni su 7, ed accompagna ogni assistito e i suoi familiari alla prima visita di follow-up dopo la dimissione dall’ospedale, costruendo un rapporto di fiducia, che permette di stabilire rapporti di collaborazione con i clinici della comunità e promuove l’empowerment del paziente con lo scopo di acquisire tutte le competenze del paziente tramite visite specialistiche di follow-up. Un rapporto di fiducia, inoltre, promuove advocacy per soddisfare le esigenze di cura attuali e future. Questo approccio multidisciplinare riconosce tutti i membri dell’équipe come partner in un processo di cura incentrato sui bisogni unici dei pazienti e dei loro familiari.

Coinvolgimento pazienti e caregiver/ familiari
Gli APN lavorano a stretto contatto con i pazienti e i caregiver familiari per progettare piani di cura allineati con le preferenze, i valori e gli obiettivi, nonché per facilitare l’implementazione di terapie e strategie per raggiungere gli obiettivi di questi ultimi. Ciò richiede continue interazioni tra gli APN, i pazienti e i caregiver familiari utilizzando strumenti che consentano agli assistiti di autovalutare le proprie conoscenze, abilità e fiducia nella gestione della propria salute, in modo tale da poter stimare, aggiornare e documentare l’impegno del paziente ed il coinvolgimento del team di cura. Scale validate come la Patient Activation Measure (PAM) o la Goal Attainment Scaling (GAS) possono essere utili strumenti per coinvolgere pazienti e caregiver. Gli APN rispettano l’autonomia del paziente ed allo stesso tempo incoraggiano cambiamenti comportamentali, promuovendo modelli di prevenzione e promozione della salute.

Valutazione e gestione dei rischi e dei sintomi
Durante gli incontri iniziali con i pazienti, gli APN conducono accertamenti completi su segni e sintomi sperimentati dai pazienti (es: dolore, mancanza di respiro, affaticamento) e dei fattori di rischio per esiti negativi (es: barriere linguistiche). I domini comuni inclusi nell’accertamento, comprendono:

  • Stato funzionale generale.
  • Livello cognitivo.
  • Salute mentale.
  • Qualità di vita.
  • Esigenze dei caregiver.
  • Polifarmacoterapia.
  • Rischio di caduta.
  • Livello di continenza
  • Alimentazione.
  • Dolore.
  • Integrità cutanea.
  • Abuso di sostanze.

Educazione alla salute ed empowerment
Gli APN supportano pazienti e caregiver nel monitoraggio e riconoscimento precoce di segni e sintomi a rischio, e chiedono loro di identificare i fattori che contribuiscono all’esacerbazione delle condizioni croniche. Essi utilizzano molteplici strategie e strumenti di insegnamento, tra cui il coaching e l’uso del teach-back. I progetti di apprendimento per pazienti e caregiver sono sviluppati in collaborazione con l’intera équipe, integrati nell’intero piano di cura ed implementati e rivalutati nel corso di più incontri. A caregiver e famigliari viene fornito un piano scritto per la gestione delle principali complicanze, che include le informazioni di contatto con i professionisti appropriati per l’esigenza. La promozione della salute può includere strategie per aumentare l’esercizio fisico, fare scelte alimentari appropriate e beneficiare di cure preventive, come ad esempio le vaccinazioni. L’APN effettua inoltre, ricognizione e riconciliazione farmacologica insieme a pazienti e familiari e collabora con l’intera équipe per identificare e rafforzare le fonti di sostegno emotivo, comprese le organizzazioni comunitarie, gruppi di pari, associazioni di volontariato, includendo familiari e amici.

Collaborazione
L’uso di tecnologie digitali per la salute (e-Health), tra cui le cartelle cliniche elettroniche integrate, possono facilitare notevolmente la collaborazione tra equipe di cura. Sebbene richieda un notevole investimento, questo approccio multidisciplinare semplifica ed integra i piani di cura contribuendo a migliorare gli esiti di salute.

Promozione della continuità
Il TCM è progettato per prevenire interruzioni dell’assistenza in numerosi contesti clinici, in cui ogni APN inizia a lavorare con il paziente, i caregiver ed il team di assistenza nel momento del ricovero in ospedale. Gli APN, pertanto, visitano i loro pazienti entro 24 ore dal ricovero, quotidianamente durante il ricovero, entro 24 ore dalla dimissione dall’ospedale al domicilio del paziente e almeno settimanalmente durante il primo mese post-dimissione, successivamente almeno due volte alla settimana. Tra le visite di persona, gli APN contattano ciclicamente e sono disponibili telefonicamente sette giorni su sette. Tipicamente, questa fase iniziale di intervento avviene nell’arco di 2-3 mesi.

Promozione del coordinamento
Gli APN identificano i servizi formali e informali ricevuti prima del ricovero e determinano la necessità di continuazione dei servizi dopo le dimissioni del paziente. Gli APN sono responsabili del trasferimento a nuovi servizi sanitari e/o comunitari, nonché garanti nella scelta del miglior servizio, appropriato alle esigenze degli assistiti e caregiver.

I fondamentali del modello sopra descritto sono il prodotto di sforzi rigorosi e multidisciplinari per tradurre la ricerca nella pratica clinica. Le componenti core definenti il Transitional Care Model possono essere sintetizzabili come in Tabella 2. Migliaia di pazienti e i loro caregiver hanno contribuito congiuntamente al perfezionamento di tutti gli elementi di questo modello assistenziale innovativo, nonché alle misure utilizzate per valutare l’impatto della transizione di cura. Misurare i cambiamenti nel tempo in outcomes di salute come segni e sintomi del paziente, lo stato funzionale (es: cognitivo, fisico, emotivo), la qualità della vita ed il carico assistenziale per i caregiver, permettono di valutare efficacemente la transizione di cura e migliorare il livello assistenziale associato. Inoltre, esplorare le prospettive del paziente, del caregiver/familiare e dell’equipe riguardo al modello, fornisce ulteriori importanti dimensioni del valore percepito. Infine, il tempo necessario alla prima re-ospedalizzazione, il numero totale di re-ricoveri per tutte le cause e la degenza media, sono indicatori di performance fondamentali per promuovere l’implementazione del modello a livello politico e strategico. Con riguardo alla sostenibilità non possono che essere valorizzati i costi evitati tra accessi in pronto soccorso, re-ricoveri e prestazioni sociosanitarie prevenute; al netto dei costi di attivazione, ovvero le sole risorse APN per implementare i servizi TC.
Questi elementi di governo clinico e di performance organizzativa rappresentano dati preziosi per dimostrare gli effetti del TCM per gli assistiti, le famiglie e la comunità intera.

Tabella 2 – Principali elementi del Transitional Care Model (Hirschman et al., 2015).

Transitional Care Model (TCM)
Componenti Applicazione
Screening Identificazione dei pazienti che vengono trasferiti tra servizi o tra ospedale e casa e sono ad alto rischio di esiti di salute negativi.
Staffing Assunzione di responsabilità primaria nella gestione dell’assistenza da parte degli APN.
Rapporto di fiducia Costruzione e mantenimento di un rapporto di fiducia con il paziente e i familiari caregiver da parte dell’APN e del team di cura.
Coinvolgimento pazienti e caregiver/ familiari Coinvolgimento dei pazienti nella progettazione e attuazione del piano di assistenza in linea con le loro preferenze, valori e obiettivi.
Valutazione dei segni/sintomi e gestione dei rischi Accertamento su segni e sintomi sperimentati dai pazienti e dei fattori di rischio per condizione di salute
Educazione alla salute ed empowerment Supportare pazienti e caregiver/familiari a identificare e rispondere rapidamente al peggioramento di segni e sintomi.
Collaborazione Promuovere il consenso sul piano di assistenza tra i pazienti, i familiari caregiver e i membri del team di cura.
Promozione della continuità Prevenire le interruzioni dell’assistenza ospedale-domicilio attraverso contatti ed interventi dell’APN
Promozione del coordinamento Promuove la comunicazione e le connessioni tra operatori sanitari e professionisti della comunità

 

CASE MANAGEMENT

Il Case Management (tradotto letteralmente “gestione del caso”) rappresenta un sistema di erogazione dell’assistenza infermieristica efficace, orientata ai risultati, che ha innovato l’assistenza sanitaria ospedaliera e comunitaria a partire dagli anni ’40. Originariamente fu pensato come strumento di salute pubblica per gestire le epidemie in varie popolazioni.  Nel corso dei decenni il suo uso si è spostato dall’ambiente comunitario verso l’ospedale e viceversa. I primi Case Manager (CM) hanno fatto la loro comparsa nel contesto ospedaliero verso il 1985 (Cesta, 1999). L’American Case Management Association (ACMA) descrive il Case Management come “un processo dinamico che valuta, pianifica, implementa, coordina, monitora e valuta per migliorare i risultati e le esperienze” (ACMA, 2023). Può anche essere definito come un modello di pratica infermieristica avanzata (García-Fernández et al, 2014) olistico, centrato sul paziente (nel proprio ambiente di vita), in grado di promuovere l’autonomia personale, la partecipazione sociale, facilitando l’accesso alle risorse sociosanitarie.  Il Case Management si sviluppa in svariati contesti di cura. Nel perseguimento dell’equità sanitaria, le priorità includono: l’identificazione dei bisogni, la garanzia di un accesso adeguato alle risorse/ai servizi, la lotta ai determinanti di disuguaglianza nella salute e la promozione di transizioni di cura sicure (ACMA, 2023). I case manager orientano in sistemi complessi per raggiungere obiettivi comuni, difendono la dignità personale, l’autonomia e il diritto all’autodeterminazione degli assistiti” (ACMA, 2023). La gestione dei casi è il processo collaborativo mediante il quale le opzioni e i servizi necessari per soddisfare le esigenze di salute di un individuo vengono valutati, pianificati, implementati, coordinati, monitorati e valutati, articolando la comunicazione e le risorse disponibili per promuovere risultati di qualità e costo-efficaci (Gómez Sánchez, 2011).  L’ACMA ha pubblicato nel 2023 “Standards of practice & Scope of Services”, che hanno lo scopo di descrivere le componenti professionali in base alle quali i case manager forniscono assistenza e si comportano all’interno delle loro organizzazioni. Vengono individuati sette “Standard di pratica” (ACMA, 2023):

  1. Responsabilità.
  2. Professionalità.
  3. Collaborazione.
  4. Adovacy.
  5. Gestione delle risorse.
  6. Tecnologia.
  7. Certificazione.

Il ruolo del CM, grazie alle sue competenze, diventa una figura chiave per garantire la qualità, intesa come insieme di efficienza, efficacia, sicurezza, appropriatezza, engagement ed equità.

Tra le funzioni principali del CM (Fabbri et al, 2017), vi sono:

  • Identificare i bisogni di cura del paziente.
  • Supportare lo sviluppo, l’implementazione, il monitoraggio del Piano Assistenziale Individualizzato (PAI), attraverso la collaborazione interdisciplinare con l’équipe e il paziente.
  • Pianificare l’assistenza per minimizzare o eliminare gli errori di trattamento.
  • Prestare attenzione alle esigenze del paziente favorendo l’erogazione di un’assistenza individuale, efficace ed efficiente.
  • Analizzare e sintetizzare i dati per definire la diagnosi infermieristica o problemi interdisciplinari.
  • Indirizzare il paziente verso le risorse e i servizi più appropriati.
  • Facilitare l’accesso alle strutture.
  • Facilitare la comunicazione con i pazienti e le famiglie promuovendo l’educazione.
  • Monitorare i progressi del paziente.
  • Verifica il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Diversi programmi di Case Management hanno definito questo processo considerando le variabili di contesto, come i luoghi di cura, la struttura organizzativa e i sistemi di finanziamento, l’ambito sociale ed economico, il percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA- ove previsto) e la tipologia di paziente preso in carico. Possono essere indentificati tre aspetti ricorrenti del ruolo di CM: finanziario, gestionale e clinico (Bruno, 2009):

  • Sostenibilità economica: risulta prioritario eliminare le cure inappropriate e ricorrere al trattamento più adeguato. Essere CM significa educare sia l’équipe sanitaria che il paziente e la sua famiglia, guidando colleghi e assistiti verso scelte consapevoli e corrette nell’uso delle risorse (Gandini, 2011).
  • Gestionalità: il CM facilita e coordina il processo di presa in carico. Insieme all’équipe interdisciplinare, determina gli obiettivi e la durata della degenza ospedaliera, gestisce e guida l’assistenza pianificando il trattamento per soddisfare le esigenze dei pazienti e delle loro famiglie. Valuta, inoltre, la qualità dell’assistenza per garantire il raggiungimento degli obiettivi con un uso appropriato delle risorse, individuando eventuali opportunità di miglioramento della qualità (Fabbri et al, 2017).
  • Clinica: rappresenta l’applicazione del processo infermieristico, quindi la valutazione dei pazienti per individuarne i loro bisogni reali e potenziali, cercando di adattare il piano di assistenza al percorso che il CM ha precedentemente sviluppato con un’équipe multidisciplinare.

Le fasi della gestione del caso posso riassumersi nella valutazione iniziale, pianificazione, monitoraggio e valutazione dell’esito (Fabbri et al, 2017):

  • Valutazione iniziale: deve riguardare tutti gli aspetti della persona coinvolta nel processo diagnostico; deve raccogliere informazioni oggettive basate sull’osservazione e sulla capacità di utilizzare strumenti appropriati per una valutazione multidimensionale.
  • Pianificazione degli interventi: il core della funzione del case manager; Il professionista, infatti, deve ricercare la sincronizzazione delle azioni, disponendole in sequenza secondo criteri di idoneità, e naturalmente collaborare per evitare sprechi.
  • Monitoraggio continuo: è la funzione che permette l’adattamento della valutazione iniziale, attraverso la scoperta di diverse informazioni.
  • Valutazione dell’esito: si valuta la corrispondenza tra gli obiettivi attesi e i risultati raggiunti. Nel caso di problematiche irrisolte si procede ricominciando il processo di gestione del caso.

È stata recentemente effettuata una revisione sistematica (Doménech-Briz et al., 2020) per descrivere come le attività svolte dal CM possano influenzare l’assistenza nel contesto delle Cure Primarie. Emergono una riduzione della deframmentazione dei servizi sanitari, un’assistenza coordinata e continua, con alti tassi di soddisfazione per quei pazienti che hanno beneficiato del CM (Davisson et al, 2018). È stato inoltre osservato come i CM migliorino alcuni esiti di salute, quali: riduzione dell’emoglobina glicata, dell’ipertensione arteriosa e del consumo di sostanze psicotrope (Castanho et al, 2015). La revisione evidenzia l’empowerment raggiunto sia dai pazienti stessi che dai loro caregiver, grazie alla formazione offerta dalla CM, migliorando la gestione delle malattie mentali e croniche come ipertensione, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva (Joo et al, 2015; Sánchez-Gómez et al, 2019). I pazienti hanno inoltre apprezzato l’accessibilità, la continuità dell’assistenza e il rapporto interpersonale instauratosi tra infermiere e paziente, oltre alla percezione di un maggiore supporto da parte degli operatori sanitari (Doménech-Briz et al, 2020). Diversi autori (Joo et al 2015; Davisson et al, 2018) affermano che il CMI è in grado di promuovere maggiore consapevolezza sulla condizione clinica, aumentando i livelli di alfabetizzazione sanitaria e guidando all’utilizzo appropriato dei servizi sanitari. Infine, si può affermare che gli interventi effettuati dal CM forniscono un’assistenza personalizzata, coordinata e continuativa. Le attività svolte dal CM migliorano la salute delle persone con malattie croniche e comorbidità, consentendo di ottenere migliori risultati sugli esiti di salute. Il case management, presenta inoltre potenzialità nel ridurre i costi sanitari, migliorando la qualità dell’assistenza diretta alla persona (Doménech-Briz et al, 2020).

SHARED GOVERNANCE

La Gestione condivisa o “Shared governance” (SG) è un modello organizzativo multidimensionale in cui i professionisti sanitari gestiscono, controllano e regolano le proprie attività, orientandole verso obiettivi assistenziali e alla mission/vision aziendale. Il principio cardine è il processo decisionale condiviso tra gli infermieri e i leader infermieristici nelle aree di pratica comune: progetti di ricerca infermieristica, pratiche basate sull’evidenza, acquisizione di nuove tecnologie e risorse umane (McKnight et al., 2022). Il modello si fonda su: partnership, equità, responsabilità e senso di appartenenza. Esso è un sistema di governance condiviso, progettato per promuovere il controllo delle pratiche clinico-assistenziali e dell’ambiente in cui vengono eseguite (Anthony, 2004). La SG può assumere diverse forme (Tabella 3), a seconda del quadro strutturale di riferimento in cui è inserito il processo di decision-making (O’May, 1999).

Tabella 3 – Principali applicazioni di Shared Governance (O’May, 1999) .

Struttura di applicazione Shared Governance Descrizione 
Modello applicato alla singola unità operativa (U.O.) Gli infermieri clinici e il responsabile dell’U.O. collaborano e condividono le scelte per prendere decisioni cliniche/aziendali per l’erogazione di cure assistenziali all’interno della propria unità
Modello del Consiglio di gestione assistenziale (più utilizzato) Confronto tra i “Consigli” di alcune unità operative per innovare la pratica assistenziale. I leader supportano e facilitano il confronto, mentre gli infermieri guidano e gestiscono l’assistenza al letto del paziente, secondo EBN e confronto nel Consiglio.
Modello amministrativo Livello di coordinamento esecutivo (Forum) che supervisiona le attività dei Consigli di U.O.
Modello Congressuale Collaborazione centrale di tutti i membri in unico Consiglio dell’organizzazione.

 

Tutti i modelli di SG comprendono un “consiglio” di professionisti per condividere processi e innovazioni, al fine di migliorare l’assistenza erogata. È un’organizzazione che si fonda sulla comunicazione aperta, condivisa e collaborativa tra gli infermieri e i manager infermieristici; si passa da una metodologia di tipo botton-up ad una incentrata sulla collaborazione (McKnight et al, 2022). Questo consente agli infermieri di riorientare la propria pratica professionale e gestire al meglio il “decision making” (Al-Ruzzieh et al., 2022). Inoltre, in un recente studio multicentrico (Olender et al., 2020), è emersa una correlazione significativa tra qualità clinico-assistenziale ed impegno nell’ambiente lavorativo, soprattutto, in fase di avvio e partecipazione in sede di Consiglio. Questi aspetti confermano quanto già dimostrato in altri studi sull’impatto positivo di un ambiente di lavoro performante sulla riduzione dei fenomeni di intention-to-leave e di turnover infermieristico (Sasso et al., 2019).
I principali benefici organizzativi e professionali che ritroviamo nell’applicazione del modello sono declinabili come di seguito (O’May, 1999):

Organizzazione

  • Migliora l’ambiente di lavoro.
  • Incrementa la soddisfazione per l’ambiente di lavoro.
  • Migliora l’efficienza dell’erogazione dell’assistenza.
  • Migliora la comunicazione tra manager e infermieri.
  • Promuove la leadership infermieristica.

Staff

  • Maggior soddisfazione lavorativa per la partecipazione nel processo decisionale.
  • Incrementa la consapevolezza dell’autonomia, dell’autorità e della responsabilità professionale.
  • Riduce l’assenteismo.
  • Induce a maggiori assunzioni e tassi di fidelizzazione.

Sostenibilità

  • Migliora la produttività calcolate in ore/die.
  • Non aumenta i costi di gestione del paziente.

Paziente

  • Migliora la qualità delle cure.
  • Migliora la qualità dell’assistenza erogata.
  • Pone al centro dell’assistenza il paziente.

Per poter implementare nell’organizzazione un modello basato sulla condivisione è necessario che vengano condotti alcuni step propedeutici:

  1. Istituire un comitato direttivo.
  2. Eleggere il presidente del comitato.
  3. Definire ruoli, skills e competenze necessarie per facilitare il processo (es. Impostare un’agenda, gestione delle riunioni, gestione dei conflitti).
  4. Determinare un cronoprogramma di implementazione, di mantenimento e di raggiungimento degli obiettivi: stabilire scadenze ragionevoli che consentano una pianificazione e un’attuazione adeguate.
  5. Stabilire dei criteri per arruolare i membri volontari del consiglio.
  6. Istituire il Consiglio e determinare il modello (unità, amministrativo, congressuale, gestione assistenziale).
  7. Definire un documento di “mission” e “statuto”.
  8. Determinare un mezzo di comunicazione, unico o multimodale, per dare feedback degli incontri, comunicare i processi decisionali e i risultati (es. comunicazione tramite mail, condivisione di cartelle elettroniche condivise).
  9. Educare tutti i componenti al nuovo modello organizzativo.
  10. Determinare le modalità di presentazione di eventuali considerazioni/proposte per modificare i percorsi e l’assistenza (es. Linee guida che definiscano le modalità di presentazione di una proposta e le tempistiche di risposta).

Per le sue capacità nell’ incrementare la soddisfazione professionale e il riconoscimento del ruolo infermieristico, l’adozione del modello è comune negli Ospedali Magnete. L’organizzazione e i leader infermieristici devono effettuare un importante azione informativa, formativa e di disseminazione per garantire una sua corretta implementazione (Olender et al., 2020), evitando che vi sia una percezione distorta tra gli infermieri coinvolti o meno nel Consiglio (Al-Ruzzieh et al., 2020). Il concetto di shared governance in nursing ha avuto un percorso di ammodernamento che ha portato alla definizione di un nuovo quadro di riferimento ben specifico per la professione: professional governance in nursing (PG). Una recente revisione della letteratura (Slatyer et al, 2016), ha declinato un nuovo Framework PG per promuovere la pratica infermieristica, la responsabilità dei risultati e una visione condivisa nella partnership con i leader o le altre figure professionali. La PG descrive i valori infermieristici e definisce le strutture e i processi che supportano gli infermieri nel governare la loro assistenza e il setting di cura.

Gli elementi core sono (Slatyer et al, 2016):

  • Leadership.
  • Usare la competenza e le capacità di comunicazione per agire come un modello di riferimento, motivando gli altri a fornire assistenza di qualità.
  • L’indipendenza degli infermieri nell’assistenza collaborativa.
  • Sostenere l’autonomia e la responsabilità dei singoli professionisti coinvolti nel decision-making.
  • Promozione dell’ambiente di cura.
  • Contribuire alla qualità dei rapporti infermiere/paziente e all’erogazione dell’assistenza.
  • Sviluppo e riconoscimento.
  • Applicare il pensiero critico e le competenze tecniche per sensibilizzare l’indipendenza e la collaborazione interprofessionale.
  • Ricerca e innovazione.
  • Utilizzare attribuzioni e conoscenze per la miglior implementazione dell’evidence-based pratice.
  • Outcome del paziente.
  • Integrare processi e strutture che consentano agli infermieri di erogare cure di qualità.

Una più recente review (Kanninen et al., 2021) ha descritto due categorie di interventi core nel modello PG, suddividendoli, al fine di migliorare l’empowerment strutturale e di rafforzare la leadership e il lavoro di squadra. Dalla revisione è emerso come l’esistenza di una struttura decisionale decentrata non garantisce, da sola, l’autonomia del personale infermieristico e un maggior senso di responsabilità tra i membri del team. I fattori per il successo di un decision-making distributivo sono la presenza di un clima organizzativo positivo e di una leadership trasformazionale, i quali possono concorrere al miglioramento della professionalità infermieristica, dello standard di assistenza e, contestualmente, alla riduzione dei conflitti interni.

REPARTO VIRTUALE
La prima modellizzazione di un “reparto virtuale” è stata condotta nelle cure territoriali del servizio sanitario nazionale inglese (Health Services NHS Trust) di Croydon nel 2006. Il modello pone al centro il paziente cronico con l’obiettivo di ridurre i tassi di ricoveri ospedalieri non pianificati e migliorare la qualità ed efficacia delle cure erogate. Il reparto virtuale viene definito come un’alternativa all’assistenza ospedaliera del paziente, resa possibile con l’impiego della tecnologia, nel quale i professionisti effettuano il monitoraggio dei pazienti, forniscono assistenza ed effettuano trattamenti da remoto. Il reparto virtuale funziona come un reparto ospedaliero, eccetto per il contesto in cui vengono erogate le prestazioni e per la presenza continua dei caregiver (Norman et al., 2023). Per una maggior appropriatezza delle cure è necessario predisporre un modello predittivo per identificare i pazienti a rischio di ricoveri multipli (Lewis et al., 2013). A differenza dell’ospedale a domicilio (“Hospital at Home”) non esiste un’ospedalizzazione del paziente e l’assistenza è erogata completamente da remoto (Shepperd et al., 2016), ed è definita “virtuale” (“virtual care”). Tuttavia, il termine non definisce il modello assistenziale ma ne descrive una caratteristica. È importante sottolineare come l’assistenza al domicilio del paziente può essere erogata secondo diversi modelli assistenziale di cura, nonché ibridi, descritti in tabella 4 (Norman et al., 2023).

Tabella 4 – Adattata da Norman, G et al. (2023).

Modello  Descrizione 
“Ospedale a domicilio” o “ospedale in casa”

 

L’equipe multidisciplinare ospedaliera effettua l’assistenza al paziente presso il suo domicilio.
Modelli assistenziali “Step-up Modelli alternativi per evitare ricoveri ospedalieri. Essi ricomprendono sia il modello di reparto virtuale che “ospedale a domicilio”
Modelli assistenziali “Step-down Modelli alternativi di dimissione precoce per evitare che il paziente possa proseguire la degenza. Ricomprendono il ricovero in reparto virtuale o la presa in carico da parte dell’”ospedale a domicilio”.

 

Il Servizio Sanitario inglese (NHS) ha pubblicato nel 2022 una serie di raccomandazioni di buone pratiche per i modelli virtuali, le quali comprendono:

  • Adeguatezza della Leadership

Il reparto virtuale viene gestito da un professionista responsabile del buon funzionamento del reparto stesso. Il monitoraggio è attivo 24/h e l’assistenza viene erogata da professionisti formati per l’utilizzo di servizi tecnologici e digitali, pertanto, è necessario che i leader predispongano dei piani formativi intensivi per aumentare le capacità e le competenze digitali di detti professionisti.

  • Approccio basato sulle competenze

L’ambiente del reparto virtuale deve essere sicuro per ogni stakeholder coinvolto (professionisti, pazienti, caregiver), mediante l’utilizzo di risorse comuni con il territorio per facilitare la sicurezza dei pazienti stessi e la loro presa in carico.

  • Lavoro integrato nell’assistenza sanitaria e sociale

Il servizio assistenziale viene erogato sul territorio. Pertanto, è necessario attivare una rete sociale e sanitaria di prossimità con il paziente. Il sistema deve supportare la famiglia e i caregiver senza abbandonare né sovraccaricare il sistema e l’equilibrio domestico.

  • Uso appropriato della tecnologia

Risulta fondamentale Integrare al meglio la tecnologia per supportare la produttività del lavoro. La tecnologia deve sostenere e mantenere alto il livello di contatto e supporto al paziente/caregiver.

  • Approccio al miglioramento e alla crescita

È necessario sviluppare modelli che migliorino la qualità delle cure erogate. Attraverso gli strumenti digitali è possibile descrivere e valorizzare la relazione paziente/professionista, monitorando gli esiti di salute sul paziente, conducendo infine un’analisi dettagliata dell’assistenza al fine di riorganizzare le risorse e i processi adottati nei servizi di prossimità.

L’infermiere è la figura centrale del reparto virtuale, raccoglie, monitora e valida tutte le informazioni cliniche e assistenziali attraverso i dispositivi installati al domicilio del paziente, tra cui il sensore per le cadute, strumenti di monitoraggio, spirometria e l’interfaccia di video-consulenza. Lo stesso infermiere può attivare le consulenze mediche in sede domiciliare, in caso di ingravescenza delle condizioni cliniche (van der Lande et al., 2022). Il grande cambiamento organizzativo coinvolge anche lo stile di leadership adottato. Se prima lo stile autocratico era predominante, nell’ospedale virtuale la leadership collettiva è necessaria per distribuire la gestione del paziente tra medico di medicina generale, infermieri e settore sociale (Stockham, 2016). Gli utilizzatori dei reparti virtuali, intesi come tutti gli stakeholder coinvolti (paziente, famiglia, infermieri, medici generali, medici specialistici ecc.) trovano in esso dei notevoli benefici, legati soprattutto alla miglior efficacia ed efficienza dei servizi e delle risorse, nonché alla centralità del paziente e dei suoi bisogni. I limiti sono riconducibili alla distanza fisica dal paziente e nel rischio di errore nell’utilizzo degli strumenti di monitoraggio (van der Lande et al., 2022). Una recente revisione sistematica (Chauhan et al., 2022) ha confrontato gli interventi di transitional care erogati dai reparti virtuali a seguito di dimissione ospedaliera, i cui risultati hanno dimostrato che l’assistenza virtuale riduce significativamente gli accessi al pronto soccorso (RR, 0.83; 95% IC, 0.70-0.98) nonché la durata media della degenza ospedaliera (4 RCTs, -1.94 giorni; 95% IC. -3,28 a – 0.60 giorni; 2 studi p< .001 e 2 studi nessuna significatività). Tuttavia, solo per i pazienti con diagnosi di insufficienza cardiaca vi è stata una riduzione significativa della mortalità a 30 giorni (RR, 0.86; 95% IC, 0.76-0.97) e delle riammissioni ospedaliere (RR, 0.84; 95% IC, 0.74-0.96), mentre per i costi dei servizi sanitari esiste una grande variabilità a seconda del modello assistenziale utilizzato per erogare le cure virtuali. Il reparto virtuale richiede un notevole impiego di risorse. All’interno dei servizi territoriali del NHS, per l’avvio ed il mantenimento di 50 reparti virtuali sono stati stanziati circa 400 milioni di sterline. Tuttavia, in 6 mesi dall’attivazione di un servizio di assistenza virtuale sono state risparmiate circa 500 sterline/ die rispetto ad un ospedale tradizionale (Hakim, 2023). Un ulteriore riscontro economico noto è il fondo di 45 milioni di dollari impiegato per la realizzazione del primo ospedale virtuale, The Mercy Hospital in St Louis (USA), presso il quale lavorano circa 330 professionisti sanitari, che gestiscono da remoto circa 600 mila pazienti in 7 stati americani, attraverso 160 postazioni di telemedicina (Hale et al., 2015). In Italia non esistono esperienze di “ospedali virtuali” o “reparti virtuali”, tuttavia in letteratura vengono descritti contesti in cui sono stati adottati sistemi di monitoraggio ed assistenza a distanza tramite l’impiego della telemedicina. Principalmente sono implementati modelli di assistenza domiciliare a distanza, sulla base dell’“ospedalizzazione a domicilio” (Tibaldi et al., 2013). Recentemente è stata condotta una consensus conference per valutare l’applicabilità dell’ospedale virtuale (Bidoli et al., 2023). Nel dettaglio sono emersi numerosi benefici per il paziente, per i professionisti e per il sistema sanitario stesso (Tabella 5). Tuttavia, sono state individuate le aree di maggiore criticità per l’implementazione del modello in Italia, tra cui una ridotta alfabetizzazione digitale unitamente al raggiungimento della tecnologia in alcune zone geografiche, fino ad una complessità gestionale per la protezione ed il trattamento dei dati.

Tabella 5 – Benefici dell’ospedale virtuale (Adattamento da Bidoli et al., 2023).

Stakeholder  Benefici 
Paziente
  • Monitoraggio continuo della patologia cronica
  • Assistenza multidisciplinare in qualsiasi contesto e con visite specialistiche
  • Risparmio di tempo e costi
  • Aumento della predittività clinica e precoce identificazione della patologia
  • Incremento di fiducia nel servizio e nella relazione operatore-paziente
  • Ridotta possibilità di venire a contatto con patogeni
  • Aumento dell’autonomia e dell’auto-cura
  • Sostanziale incremento degli esiti e della qualità di vita
Operatore e servizi assistenziali
  • Presa in carico di più pazienti contemporaneamente
  • Riduzione delle liste di attesa
  • Minor impiego di risorse a parità di prestazioni
  • Minor accessi al PS e di visite specialistiche
  • Riduzione degli errori
  • Riduzione del burn-out
  • Perfezionamento delle procedure organizzative e di decision-making con conseguente aumento dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi e dell’assistenza
Servizio sanitario
  • Miglior capacità di risposta ai bisogni sanitari e sociali
  • Miglior condivisione dei dati e delle informazioni sanitarie
  • Miglior allocazione delle risorse, anche economiche
  • Incremento della salute della popolazione per la prossimità dell’assistenza

 

CONCLUSIONI
I modelli organizzativi innovativi supportano gli infermieri ad avere un maggior controllo sul processo decisionale nella pratica clinica. Per la loro implementazione risulta necessaria la presenza di una forte leadership trasformazionale, visionaria, che accompagni e sostenga il cambiamento del ruolo infermieristico nell’applicazione dei nuovi modelli. I modelli innovativi esaminati in questo contributo, come emerso in letteratura, dimostrano un incremento della qualità assistenziale, della soddisfazione lavorativa, dell’autonomia e della responsabilità professionale (Roberts et al., 2023). Tuttavia, sono diverse le modalità con cui si raggiungono tali obiettivi. La Shared Governance sottolinea l’importanza del rapporto fiduciale con i pazienti e promuove la collaborazione multidisciplinare, riconoscendone agli infermieri un ruolo primario (Kanninen et al., 2021). Un buon clima organizzativo e di partnership tra i decisori politici ed istituzionali sono determinanti per l’implementazione di questo modello (Kanninen et al., 2021), in cui gli infermieri, su tali basi, possono agire con maggior consapevolezza e autorevolezza nella pratica clinica (Slayter, 2016). Anche nei modelli dove la figura infermieristica è centrale per lo sviluppo del modello organizzativo, come nel caso del reparto virtuale, la collaborazione e il sostegno dei leader infermieristici rappresentano un fondamento per l’erogazione di un servizio efficace (Stockham, 2016). L’infermiere è formato e responsabilizzato per coordinare le attività assistenziali di cura sul paziente all’interno di una rete multidisciplinare (Van der Lande et al., 2022). Analogamente, considerando la centralità del percorso clinico-assistenziale, il Transitional Care Model, può rappresentare il modello di riferimento per la transizione di cura nelle reti integrate tra ospedale e prossimità del distretto. La promozione di empowerment per la gestione della salute, unitamente al supporto professionale continuativo nell’iter di cura, potrebbero avere importanti esiti positivi sul livello di alfabetizzazione sanitaria e di conseguenza nelle competenze di self-care e di accesso appropriato ai servizi sanitari per il singolo e l’intera comunità. Il modello potrebbe trovare estensione nelle Centrali Operative Territoriali, nelle Unità di Continuità assistenziale e nelle case e negli ospedali di comunità in attuazione del DM. 77/2022 e del PNRR. In letteratura è documentato da oltre mezzo secolo il valore del case management per tutti gli stakeholder del settore sanitario. Questi professionisti sono in grado di valutare e intervenire su molteplici priorità di salute: fisiche, comportamentali e psicosociali. I case manager sono una risorsa ben nota in tutto il continuum assistenziale, tuttavia ancora ampiamente sottoutilizzata (CMSA-CfCM, 2023). La loro “spendibilità” abbraccia tutti i setting assistenziali; dal territorio agli ospedali, dall’urgenza alla cronicità, dalla prevenzione alla riabilitazione. Autentici garanti del prendersi cura al giusto momento, luogo e costo per il cittadino e la collettività. La continua crescita della professione infermieristica trova fulgido esempio nello sviluppo della formazione specialistica, rendendo l’infermiere con competenze avanzate un professionista in grado di rispondere a fabbisogni socio-sanitari complessi ed eterogenei. Questo contributo ha l’ambizione di sensibilizzare il lettore, sia esso decisore politico-istituzionale, cittadino-sanitario o cittadino-destinatario, sulla necessità di valorizzare il professionista per garantire e ricevere cure appropriate e sostenibili. Per fare questo è necessario sviluppare una nuova cultura o “consapevolezza” organizzativa; non possiamo rimanere ancorati ai soli modelli dell’assistenza introdotti più di un secolo fa, né tantomeno rischiare di perdere i nostri professionisti per una mancata valorizzazione delle loro competenze e delle motivazioni che li spingono a migliorarsi giorno dopo giorno nella pratica clinica, nella formazione e nella ricerca. La nostra vision, quindi, è quella di poter orientare i lettori sulla conoscenza delle opportunità organizzative che premino le competenze dei professionisti e gli outcome di salute derivanti. I Professional Practice Models costituiscono una risposta innovativa a breve e lungo termine per integrare i servizi socio-sanitari attraverso le competenze avanzate, la transizione di cura e nelle prospettive di gestione condivisa, reparto virtuale e case management.

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

 

STAMPA L'ARTICOLO

Bibliografia

Acres C.A., Axelson J., Bryan-Couch F., Fisher T.F., Fink-Samnick E., Geld B., Glover M., Higgins T., Kates S.G., Leslie C.P., Morley C., O’Dea-Evans P., Parker-Williams L., Parry K., Ward M. (2023), Communicating Your Value: The Case Manager’s Guide. Case Management Society of America (CMSA) and The Center for Case Management (CfCM) [Internet]. Consultato il 09/06/2024. Disponibile da: www.cfcm.com/wp-content/uploads/2023/10/Communicating_Your_Value_Position_Paper_CMSA_CfCM.pdf.

Aiken L.H., Sloane D.M., Brom H.M., Todd B.A., Barnes H., Cimiotti J.P., Cunningham R.S., McHugh M.D. (2021), Value of Nurse Practitioner Inpatient Hospital Staffing. Med Care. Oct 1;59(10):857-863.

Al-Ruzzieh M.A., Ayaad O., Hess R.G. (2022), The Role of Participation in and Effectiveness of Shared Governance Councils in the Nurses’ Perception of a Professional Practice Work Environment. The Journal of nursing administration; 52(1), 51–56.

American Case Management Association (2023), Case Management: Standard of Practice & Scope of Services [Internet]. Consultato il 03/05/2024. Disponibile da: https://www.acmaweb.org/forms/Standards_of%20Practice_Scope_of%20Services_Brochure.pdf.

Anthony M. K. (2004), Shared governance models: the theory, practice, and evidence. Online journal of issues in nursing; 9(1), 7.

Bidoli C., Pegoraro V., Dal Mas F., Bagnoli C., Bert F., Bonin M., Butturini G., Cobianchi L., Cordiano, C., Minto G., Pilerci C., Stocco P., Zantedeschi M., Campostrini S. (2023), Virtual hospitals: The future of the healthcare system? An expert consensus. Journal of telemedicine and telecare; 1357633X231173006. Advance online publication.

Boehning AP, Punsalan LD (2023), Advanced Practice Registered Nurse Roles. StatPearls [Internet].

Bruno P (2009), Guida pratica alla direzione di struttura complessa in sanità. Gli strumenti del management sanitario come motore per il cambiamento organizzativo. Ed. Il Sole 24 Ore.

Burgel B.J., Devito B., Collins-Bride G., Sullivan B., Retzla A., Hyde S. (2018), Nursing Case Management Strategies for Adults with Serious Mental Illness Seeking Dental Services Issues Ment. Health Nurs, 29(4), 311-319.

Calamandrei C. (a cura di Orlandi C.) (2015), Manuale di management per le professioni sanitarie. Mc Graw Hill Milano.

Castanho R., Mantovani M.D., Soriano J. (2015), Nursing Case Management and Glycemic Control Among Brazilians with Type 2 Diabetes: Pragmatic Clinical Trial. Nurs. Res. 2015, 64, 272–281.

Cesta T.G., Falter E.J. (1999), Case Management: its value for staff nurses. The American journal of nursing, 99(5), 48–51.

Chauhan U., McAlister F.A. (2022), Comparison of Mortality and Hospital Readmissions Among Patients Receiving Virtual Ward Transitional Care vs Usual Postdischarge Care: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA network open; 5(6), e2219113.

Coleman E.A., Boult C. (2003), American Geriatrics Society Health Care Systems Committee. Improving the quality of transitional care for persons with complex care needs. J Am Geriatr Soc; 51(4):556-7.

Davisson E.A., Swanson E.A. (2018), Patient and Nurse Experiences in a Rural Chronic Disease Management Program: A qualitative evaluation. Prof. Case Manag., 23, 10–18.

De Raeve P., Davidson P.M., Bergs J., Patch M., Jack S.M., Castro-Ayala A., Xyrichis A., Preston W. (2024), Advanced practice nursing in Europe-Results from a pan-European survey of 35 countries. J Adv Nurs. Jan;80(1):377-386.

Doménech-Briz V., Gómez Romero R., de Miguel-Montoya I., Juárez-Vela R., Martínez-Riera J.R., Mármol-López M.I., Verdeguer-Gómez M.V., Sánchez-Rodríguez Á., Gea-Caballero V. (2020), Results of Nurse Case Management in Primary Heath Care: Bibliographic Review. International journal of environmental research and public health, 17(24), 9541.

Fabbri E., De Maria M., Bertolaccini L. (2017), Case management: an up-to-date review of literature and a proposal of a county utilization. Ann Transl Med; 5(20):396.

Fernandez R., Johnson M., Tran D., Miranda C. (2012), Model of care in nursing: a systematic review. International Journal of Evidence-Based Healthcare:10(4),324–337.

Fønss Rasmussen L., Grode L.B., Lange J., Barat I., Gregersen M. (2021), Impact of transitional care interventions on hospital readmissions in older medical patients: a systematic review. BMJ Open ;11(1):e040057.

Gandini T. (2011), Le competenze e la valorizzazione del patrimonio umano in sanità. Una proposta metodologica per definire le competenze dell’infermiere con funzioni di coordinamento. Ed. Franco Angeli.

García-Fernández F.P., Arrabal Orpez M.J., Rodríguez Torres M.C., Gila Selas C., Carrascosa García I., Laguna Parras J.M. (2014), Influencia de las enfermeras gestoras de casos en la calidad de vida de las cuidadoras de pacientes pluripatológicos. Gerokomos, 25, 68–71.

Gómez Sánchez M.C. (2011), Intervención de la enfermera gestora de casos durante el ingreso hospitalario de pacientes con infección VIH. Rev. Esp. Salud. Pública, 3, 237–244.

Hakim R. (2023), Realising the potential of virtual wards. NHS Report (Internet). Consultato il 09/03/2024. Disponibile da: https://www.nhsconfed.org/system/files/2023-05/Realising-the-potential-of-virtual-wards.pdf .

Hale T., Moore R. (2015), Mercy Virtual: Connects with a New Model of Care. Health progress (Saint Louis, Mo.); 96(1), 13–17.

Hirschman K.B., Shaid E., McCauley K., Pauly M.V., Naylor M.D. (2015), Continuity of Care: The Transitional Care Model. Online J Issues Nurs; 30;20(3):1.

Joo, J.Y., Huber, D.L. (2015), Community-based case management effectiveness in populations that abuse substances. Int. Nurs. Rev. 2015, 62, 536–545.

Lewis G., Vaithianathan R., Wright L., Brice M.R., Lovell P., Rankin S., & Bardsley M. (2013), Integrating care for high-risk patients in England using the virtual ward model: lessons in the process of care integration from three case sites. International journal of integrated care; 13, e046.

Li J., Du G., Clouser J.M., Stromberg A., Mays G., Sorra J., Brock J., Davis T., Mitchell S., Nguyen H.Q., Williams M.V. (2021), Improving evidence-based grouping of transitional care strategies in hospital implementation using statistical tools and expert review. BMC Health Serv Res; 21(1):35.

Lin X., Ji R., Wang X., Xin R., Chen Q. (2022), A systematic review and meta-analysis of the effect of transitional care interventions on the prognosis of patients with heart failure. J Thorac Dis; 14(4):1164-1171.

Magon G., Suardi T. (2013), Primary Nursing. Conoscere e utilizzare il modello. Ed. Maggioli Editore.

McKnight H., & Moore S.M. (2022), Nursing Shared Governance. In StatPearls. StatPearls Publishing.

National Health Services (NHS) (2022), Supporting Information for Integrated Care System Leads: enablers for success virtual wards including hospital at home. (PAR1382) [Internet]. Consultato il 09/03/2024. Disponibile da: https://www.england.nhs.uk/wp-content/uploads/2022/04/B1382_supporting-information-for-integrated-care-system-leads_enablers-for-success_virtual-wards-including-hos.pdf .

Naylor M.D., Brooten D., Campbell R., Jacobsen B.S., Mezey M.D., Pauly M.V., Schwartz J.S. (1999), Comprehensive discharge planning and home follow-up of hospitalized elders: a randomized clinical trial. JAMA; 281(7):613-20.

Naylor M.D., Brooten D.A., Campbell R.L., Maislin G., McCauley K.M., Schwartz J.S. (2004), Transitional care of older adults hospitalized with heart failure: a randomized controlled trial. J Am Geriatr Soc; 52(5):675-84.

Naylor, M.D., Bowles, K. H., McCauley, K. M., Maccoy, M. C., Maislin, G., Pauly, M. V., & Krakauer, R. (2013), High-value transitional care: Translation of research into practice. Journal of Evaluation in Clinical Practice; 19(5), 727-733.

Newhouse R.P., Stanik-Hutt J., White K.M., Johantgen M., Bass E.B., Zangaro G., Wilson R.F., Fountain L., Steinwachs D.M., Heindel L., Weiner J.P. (2011), Advanced practice nurse outcomes 1990-2008: a systematic review. Nurs Econ. Sep-Oct;29(5):230-50; quiz 251.

Norman G., Bennett P., Vardy E.R.L.C. (2023), Virtual wards: a rapid evidence synthesis and implications for the care of older people. Age and ageing; 52(1), afac319.

O’May F., Buchan J. (1999), Shared governance: a literature review. International journal of nursing studies; 36(4), 281–300.

Olender L., Capitulo K., & Nelson J. (2020), The Impact of Interprofessional Shared Governance and a Caring Professional Practice Model on Staff’s Self-report of Caring, Workplace Engagement, and Workplace Empowerment Over Time. The Journal of nursing administration; 50(1), 52–58.

Ozpancar N., Pakyuz S.C., Topcu, B. (2017), Hypertension management: What is the role of case management?. Rev. Esc. Enferm USP 2017, 51, e03291.

Pulcini J., Jelic M., Gul R., Loke A.Y. (2010), An international survey on advanced practice nursing education, practice, and regulation. J Nurs Scholarsh Mar;42(1):31-9.

Reilly S., Miranda-Castillo C., Malouf R., Hoe J., Toot S., Challis D., Orrell, M. (2015), Case management approaches to home support for people with dementia. Cochrane Database Syst. Rev.

Roberts N., Carrigan A., Clay-Williams R., Hibbert P.D., Mahmoud Z., Pomare C., Fajardo Pulido D., Meulenbroeks I., Knaggs G.T., Austin E. E., Churruca K., Ellis L.A., Long J.C., Hutchinson K., Best S., Nic Giolla Easpaig B., Sarkies M.N., Francis Auton E., Hatem S., Dammery G., … Braithwaite J. (2023), Innovative models of healthcare delivery: an umbrella review of reviews. BMJ open, 13(2), e066270.

Saragih I.D., Everard G., Saragih I.S., Lee B.O. (2024), The beneficial effects of transitional care for patients with stroke: A meta-analysis. J Adv Nurs; 80(2):789-806.

Sasso L., Bagnasco A., Catania G., Zanini M., Aleo G., Watson R., RN4CAST@IT Working Group (2019), Push and pull factors of nurses’ intention to leave. Journal of nursing management; 27(5), 946–954.

Schober M (2016), Introduction to advanced nursing practice: an international focus. Springer International Publishing AG.

Schober M., Lehwaldt D., Rogers M., Steinke M., Turale S., Pulcini J., Roussel J., Stewart D. (2020), Guidelines on advanced practice nursing. International Council of Nurses [Internet]. Consultato 03/05/2024. Disponibile da: https://www.icn.ch/system/files/documents/2020-04/ICN_APN%20Report_EN_WEB.pdf.

Shepperd S., Iliffe S., Doll H.A., Clarke M.J., Kalra L., Wilson A.D., Gonçalves-Bradley D.C. (2016), Admission avoidance hospital at home. The Cochrane database of systematic reviews; 9(9), CD007491.

Slatyer S., Coventry L. L., Twigg D., Davis S. (2016), Professional practice models for nursing: a review of the literature and synthesis of key components. Journal of nursing management; 24(2), 139–150.

Stewart I., Leary A., Khakwani A., Borthwick D., Tod A., Hubbard R., Beckett P., Tata L.J. (2021), Do working practices of cancer nurse specialists improve clinical outcomes? Retrospective cohort analysis from the English National Lung Cancer Audit. Int J Nurs Stud. Jun;118:103718.

Stockham A. (2016), Leadership in practice: an analysis of collaborative leadership in the conception of a virtual ward. Nursing management 23(6), 30–34.

Swan M., Ferguson S., Chang A., Larson E., Smaldone A. (2015), Quality of primary care by advanced practice nurses: a systematic review. Int J Qual Health Care. 2015 Oct;27(5):396-404.

Tibaldi V., Aimonino Ricauda N., Rocco M., Bertone P., Fanton G., Isaia G. (2013), L’innovazione tecnologica e l’ospedalizzazione a domicilio. Recenti progressi in medicina; 104(5), 181–188.

Tiedeman M.E., Lookinland S. (2004), Traditional Models of Care Delivery. JONA: The Journal of Nursing Administration; 34(6), 291–297.

Tortajada S., Giménez-Campos M.S., Villar-López J., Faubel-Cava R., Donat-Castelló L., Valdivieso-Martínez B., Soriano-Melchor E., Bahamontes-Mulió A., García-Gómez J.M. (2017), Case Management for Patients with Complex Multimorbidity: Development and Validation of a Coordinated Intervention Between Primary and Hospital Care. Int. J. Integr. Care, 17, 4.

Vainieri L., Barchielli C., Bellé N. (2023), Modelli organizzativi e performance dell’assistenza infermieristica. Ed. il Mulino.

Valverde Jiménez M.R., López Benavente Y., Hernández Corominas M.A., Gómez Ruiz M., Blázquez Pedrero M., Echevarría Pérez P. (2014), Enfermera Gestora de Casos del Servicio Murciano de Salud: Un año de puesta en marcha del programa. Enferm. Glob. 13, 57–69.

van der Lande A.C.M.H., Treskes R.W., Beeres S.L.M.A., Schalij M.J. (2022), Continuum of Care: Positioning of the Virtual Hospital. Frontiers in cardiovascular medicine, 8, 779075.

Wong F.K.Y. (2018), Development of advanced nursing practice in China: Act local and think global. Int J Nurs Sci. Mar 31;5(2):101-104.

Wong F.K.Y., Lau A.T.Y., Ng R., Wong E.W.Y., Wong S.M., Kan E.C.Y., Liu E., Bryant-Lukosius D. (2017), An Exploratory Study on Exemplary Practice of Nurse Consultants. J Nurs Scholarsh. Sep;49(5):548-556.