DESCRIZIONE DEL FENOMENO
Alla luce delle sollecitazioni dell’emergenza pandemica, risulta necessario creare un sistema di servizi diversificato, che risponda ai bisogni complessi della comunità. Il tessuto sociale ed economico in profonda trasformazione porta ad esigere lo sviluppo di metodi e dinamiche innovative e integrative alla programmazione ed erogazione dei servizi.
Negli ultimi 50 anni l’invecchiamento della popolazione italiana è stato uno dei più rapidi tra i Paesi maggiormente sviluppati e si stima che nel 2050 la quota di ultra 65enni ammonterà al 35,9% della popolazione totale, con un’attesa di vita media pari a 82,5 anni (79,5 per gli uomini e 85,6 per le donne)(1).
L’Italia detiene il primato europeo sia per aspettativa di vita che per numero di anziani e le previsioni attestano che nei prossimi decenni assisteremo a quello che viene spesso denominato “inverno demografico”.
REVISIONE DELLA LETTERATURA MIRATA SUL FENOMENO ANALIZZATO
Le recenti rilevazioni statistiche disponibili su 55 comuni del territorio bolognese confermano queste previsioni. Gli anziani rappresentano infatti il 24,4% (247.900) della popolazione complessiva (1.019.539 abitanti), percentuale che aumenterà di circa il 20% in più entro il 2033, a fronte di tassi di natalità statistici (Figura 1) (2).
Figura 1 – Struttura della popolazione del comune di Bologna al 30 dicembre 2021 (Fonte: Servizio studi e statistica Città Metropolitana di Bologna).
I residenti in Italia che al 1° gennaio 2019 hanno compiuto i 75 anni di età sono oltre 7 milioni (7.058.755), l’11,7% del totale della popolazione, donne nel 60% dei casi. Sono oltre 4 milioni e 300 mila (4.330.074) ad aver raggiunto e superato gli 80 anni, oltre i 700 mila (774.528) ad aver compiuto 90 anni: l’incidenza della popolazione femminile, notoriamente più longeva degli uomini, aumenta di 10 punti percentuali tra gli ottantenni e i novantenni, passando rispettivamente dal 63% al 73% (Fonte: Istat, Popolazione residente per sesso, anno di nascita e stato civile).
Nel 2019, prima della crisi pandemica, gli indicatori di salute degli over 75 si confermano in miglioramento. Ad eccezione delle malattie croniche gravi, più diffuse tra gli uomini (46,0% contro 41,1% delle donne), le donne hanno condizioni peggiori per tutti gli altri indicatori di salute. Forti le differenze territoriali a svantaggio del Sud e delle Isole e le disuguaglianze sociali nella salute. Circa un terzo degli over 75 presenta una grave limitazione dell’autonomia e per un anziano su 10 questa incide sia sulle le attività quotidiane di cura personale che su quelle della vita domestica (Fonte: Report Istat 14 luglio 2021), (Tabella 1).
Tabella 1 – L’autonomia delle persone anziane (Fonte: Report Istat 14 luglio 2021).
Nel Patto della Salute siglato a dicembre 2019 dal Ministro della Salute con le Regioni era previsto “un potenziamento dell’assistenza domiciliare, semiresidenziale e residenziale, per prevenire l’aggravamento delle patologie legate ai processi di invecchiamento della popolazione”. In questo riordino prendeva forma anche una nuova figura, l’infermiere di famiglia, il quale avrebbe avuto il compito fondamentale di assistere le persone sul territorio, alleggerendo il carico degli ospedali dove possibile (L. 17 luglio 2020, n.77).
L’emergenza sanitaria ha arrestato i tavoli di lavoro, ripartiti in qualche modo dallo stesso punto in cui si erano fermati. La pandemia ha riportato alla luce l’urgenza dell’assistenza territoriale in tutta la sua complessità.
RACCOMANDAZIONI EMERSE DALL’APPROFONDIMENTO
Come possiamo rispondere alla richiesta del sistema sanitario pubblico e migliorare la comunicazione, sempre più complessa, tra il sistema ospedaliero e quello territoriale?
Dal quarto Rapporto Osservatorio Long Term Care Cergas Bocconi Febbraio 2022 – Essity emerge che nelle RSA italiane mancano all’appello il 26% degli infermieri, il 18% dei medici e il 13% degli Oss a causa di una carenza strutturale di figure professionali e tecniche e della sempre più crescente competizione tra settore sanitario e settore sociosanitario nel cercare nuovi professionisti. Lo studio dell’Osservatorio del Cergas ha coinvolto 598 persone con età media di 37 anni, e 24 Rsa su tutto il territorio nazionale. I gestori delle RSA intervistati dai ricercatori riportano una situazione critica nella gestione del personale impiegato, i problemi riguardano: il carico di lavoro, la demotivazione del dipendente, i casi di burn out.
La carenza di infermieri nelle RSA e nelle case di riposo sta mettendo a serio rischio, i tanti anziani che necessitano di assistenza. Intorno alla presa in carico della persona si rende necessaria la capacità di garantire adeguati livelli di assistenza e cura a tutela degli anziani, anche perché in tempi “pandemici” fra i fattori cruciali che agiscono nel contrasto alla diffusione del contagio si annovera la possibilità di disporre di personale adeguatamente formato. Già durante la prima ondata, la carenza di personale aveva costituito un forte limite nella capacità delle residenze di fronteggiare la pandemia. Con la seconda ondata, la carenza di personale si è ulteriormente aggravata dai piani straordinari di assunzione di personale messi in atto dalla sanità ospedaliera. I segnali di allarme sono stati più volte lanciati dalle associazioni di rappresentanza dei gestori di strutture residenziali, che hanno denunciato il progressivo trasferimento di infermieri e operatori sociosanitari dalle strutture verso gli ospedali e le crescenti difficoltà nel garantire, per questo motivo, adeguati livelli di assistenza. Per meglio comprendere la situazione, occorre focalizzarsi sull’inquadramento contrattuale e i livelli salariali del personale all’interno delle strutture.
La carenza di infermieri nelle case di riposo e nelle RSA è legata alla parte economica, oltre al fatto che chi lavora negli ospedali pubblici ha certamente maggiore sicurezza. I protocolli severi creano una eccessiva rigidità che non lascia spazio a soluzioni più aperte a moduli residenziali diversi. Emerge come lavorare nelle strutture sia penalizzante per i lavoratori, sia sotto il profilo contrattuale che salariale. Inoltre, vi è una norma che obbliga gli infermieri pubblici dipendenti al vincolo di esclusività che li lega all’azienda di appartenenza ed impedisce di effettuare alcuni turni fuori servizio presso le case di riposo. Questo vincolo di esclusività viene annullato per gli infermieri che aderiscono all’attività di somministrazione dei vaccini contro il SARS-COV-2 al di fuori dell’orario di servizio (Decreto Sostegni, approvato il 19 marzo 2021).
La Missione 6 del PNRR prevede un forte investimento rivolto a rafforzare le prestazioni erogate sul territorio nazionale, rese possibili dal potenziamento e dalla creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità, gli Ospedalidi Comunità, le Centrali Operative Territoriali), dal rafforzamento dell’assistenza domiciliare, dallo sviluppo della telemedicina e da una più efficace integrazione con tutti i servizi sociosanitari. È previsto inoltre il rinnovamento delle strutture tecnologiche e digitali esistenti e il completamento della diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico, garantendo una migliore capacità di erogazione e monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza, attraverso i più efficaci sistemi informativi, anche mediante il potenziamento della formazione del personale. In particolare, viene attribuito un ruolo di primo piano all’infermiere di famiglia e comunità, sia negli ambiti delle Case della Comunità sia nello sviluppo del sistema dell’assistenza domiciliare.
Il PNRR prevede due miliardi nelle Case di comunità, in cui dovrebbero lavorare in gruppo medici di medicina generale, infermieri, pediatri, fisioterapisti e altri specialisti per ogni mille abitanti. L’assistenza primaria si occupa della salute della persona secondo il modello olistico, tenendo conto della storia personale e psicologica. Gli anziani hanno bisogno di trovare in prossimità o con prestazioni a domicilio, i servizi delle Case di comunità.
Le opportunità previste dal PNRR sono fondamentali per il sistema integrato dei servizi alle persone, anche quelle che vivono in famiglia, in piccole strutture di condominio solidale o in RSA, nei casi più difficili da gestire in autonomia. Sarebbe un vero cambiamento, con la necessaria figura dell’infermiere di famiglia e di comunità in una medicina di prossimità.
Un primo ordine di cambiamenti fa riferimento all’equiparazione dei contratti per gli infermieri delle RSA e quelli della sanità ospedaliera, al fine di frenare la fuga di personale sanitario dalle strutture residenziali. Dal punto di vista pratico, è necessario un contratto collettivo nazionale unico per le professioni sanitarie cui tutti facciano riferimento. In tal modo queste strutture potrebbero essere competitive e assicurarsi il personale necessario per affrontare future emergenze.
Una strategia risolutiva potrebbe essere quella di un progetto condiviso che integri le cure primarie dell’azienda territoriale con gli specialisti ospedalieri. Potrebbe realizzarsi inizialmente in modo sperimentale con una prospettiva di stabilizzazione a lungo termine. Si tradurrebbe in un sistema di welfare in cui, a spostarsi uno o più volte alla settimana sul territorio in un ambulatorio dedicato, siano i professionisti ospedalieri. In Emilia-Romagna è presente in particolare il modello organizzativo delle Case della Salute. Rispetto al cosiddetto “modello Veneto”, la visione è molto più territoriale, dal momento che le case della salute integrano già in sé sanità, sociale e volontariato. Il risultato sarebbe un sistema che abbraccia complessivamente la necessità della popolazione non solo sul piano della sanità, ma su tutti i bisogni assistenziali primari, espressi e non espressi, della popolazione sanitaria più fragile (3).
Un tema delicato riguarda il numero di ore che attualmente gli operatori dedicano ai pazienti. Gli attuali parametri stabiliti per le RSA sono spesso insufficienti per assicurare le giuste cure, e molto spesso i familiari pagano di tasca propria per fornire assistenza supplementare. In questo quadro si colloca un intervento decisivo, all’inquadramento contrattuale del personale impegnato nella RSA, un contratto unico nazionale permetterebbe alle RSA di essere sullo stesso piano degli altri servizi sanitari, evitando la migrazione dei professionisti verso il setting ospedaliero.
Un ruolo determinante verrebbe giocato dall’Infermiere di Comunità, formato con laurea triennale e magari anche magistrale, operativo su tutto il versante della telemedicina, potrebbe seguire bacini di 3-4 mila persone, evitando loro di spostarsi periodicamente in una struttura sanitaria non prossimale.
Alcuni punti cardine:
– Potenziare il servizio sanitario nazionale, allineando i servizi ai bisogni delle comunità e dei pazienti, anche in considerazione delle criticità emerse durante l’emergenza pandemica;
– Rafforzare le strutture e i servizi sanitari di prossimità e i servizi domiciliari;
– Sviluppare la telemedicina e superare la frammentazione la mancanza di omogeneità dei servizi sanitari offerti sul territorio;
– Sviluppare soluzioni di telemedicina avanzate a sostegno dell’assistenza domiciliare.
Il Distretto Sanitario sarà la leva di questo nuovo sistema, ce ne dovrà essere uno ogni 100.000 abitanti e sarà deputato al “perseguimento dell’integrazione tra le diverse strutture sanitarie, sociosanitarie, nonché dei servizi socioassistenziali in un’ottica di collaborazione con le istituzioni locali presenti sul territorio, in modo da assicurare una risposta coordinata e continua e bisogni della popolazione, nonché di uniformità dei livelli di assistenza e di pluralità dell’offerta”. Il Distretto avrà funzione di committenza (la capacità di programmare i servizi da erogare a seguito della valutazione dei bisogni dell’utenza di riferimento anche in rapporto alle risorse disponibili), funzione di produzione (l’erogazione dei servizi sanitari territoriali, contraddistinta da erogazione in forma diretta o indiretta dei servizi sanitari e sociosanitari territoriali), e funzione di garanzia ( garantendo l’accesso ai servizi, l’equità all’utenza mediante il monitoraggio continuo della qualità dei servizi, La verifica delle criticità emergenti nelle relazioni tra i servizi e tra questi e l’utenza finale).
Gli Standard prevedono:
– 1 Casa della Comunità “hub” Ogni 40.000/50.000 abitanti, Case della Comunità “spoke” e ambulatori di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta considerando le caratteristiche orografiche e demografiche del territorio con l’obiettivo di agevolare la capillarità dei servizi e maggiore equità di accesso, in particolare nelle aree interne e rurali;
1 Infermiere di Famiglia e Comunità ogni 2000/3000 abitanti;
1 ospedale di comunità dotato di 20 posti letto ogni 50.000/100.000 abitanti.
Rete cure Palliative: 1 Servizio ospedaliero di medicina e cure palliative multiprofessionale ogni 600.000 abitanti; 1 Unità di cure palliative domiciliari ogni 100.000 abitanti; 1 Hospice con almeno 10 posti letto ogni 100.000 abitanti.
L’infermiere di comunità interagisce con ciascuna risorsa presente nelle comunità formali e informali. Non è soltanto l’erogatore di cure assistenziali: diviene la figura che garantisce l’assistenza all’insorgenza di nuovi bisogni sanitari e sociosanitarie presenti e potenziali che incalzano in modo latente nella comunità. È un professionista con un forte orientamento alla gestione proattiva della salute, è coinvolto in attività di promozione, prevenzione gestione partecipativa dei processi di salute individuali, familiari e di comunità nel sistema dell’assistenza sanitaria territoriale (4).
La FNOPI stabilisce 5 punti cardine su cui articolare il nuovo modello:
– Rapporto adeguato infermieri-pazienti.
– Riconoscimento di una chiara leadership di direzione: coordinamenti infermieristici e dirigenze con competenze sociosanitarie.
– Personale di supporto conformazione adeguata.
– Valorizzazione di formazione competenze (percorsi su cronicità, fragilità, cure palliative).
– I rinnovi contrattuali (il rinnovo del contratto nelle RSA manca da oltre otto anni).
Per la FNOPI la forma contrattuale potrebbe essere anche quella libero professionale o convenzionata, in modo tale da poter anche dividere con il MMG il rischio d’impresa. L’idea potrebbe essere quella del MMG “clinical manager” dei pazienti sul territorio e dell’infermiere “welfare manager”. Dopo la giusta diagnosi e la scelta della migliore terapia il paziente ha assoluta necessità di essere seguito, guidato e aiutato nei suoi bisogni di salute con un approccio proattivo e trasversale, prerogative dell’assistenza infermieristica. La visione è quella di un infermiere che lavora in équipe con il medico, vere e proprie équipe sul territorio che siano davvero a fianco del paziente, che diano a ciascuno il suo ruolo nel rispetto delle singole professionalità.
CONCLUSIONI
Nei prossimi dieci anni 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave. Nel 2030, potrebbero arrivare a quattro milioni e mezzo gli ultrasessantacinquenni che vivranno soli, e di questi, 1,2 milioni avrà più di 85 anni.
L’epidemia del COVID-19 ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica la realtà delle RSA e dell’assistenza territoriale, per la concentrazione di contagi e decessi provocati dal virus, ponendo interrogativi soprattutto su cosa deve essere una RSA. La Commissione Tecnica per la Riforma dell’Assistenza Sanitaria e Sociosanitaria della popolazione anziana, istituita dal Ministero della Salute con apposito decreto dell’8 settembre 2020, nell’ultimo rapporto elaborato, pone l’attenzione sul rendere esigibile il diritto di ogni anziano di invecchiare a casa propria. Occorre superare l’attuale, drastica frattura tra servizi domiciliari e residenziali al fine di offrire alle persone opportunità che possano fondarsi su un continuum di interventi. Il problema degli anziani critici non si risolve realizzando più strutture residenziali e con più posti letto sulla base dell’attuale modello: L’innovazione sarebbe realizzare un graduale processo di riconversione a partire da un diverso paradigma al cui al centro collocare l’anziano fragile che, malgrado le sue limitazioni, va considerato come portatore di un suo progetto di vita. La fragilità dimostrata nel fronteggiare l’epidemia ha fatto maturare l’orientamento a potenziare le RSA nel sistema sanitario e ad innovare il sistema delle cure per la non autosufficienza, progettando in modo organico offerte domiciliari, residenziali e loro interazioni. Potenziare la tutela a domicilio di non autosufficienti può condurre anche ad un risparmio del SSN, garantendo una minore spesa rispetto ai ricoveri in struttura.
L’assistenza territoriale, che presenta ancora forti disomogeneità a livello regionale, non è più procrastinabile, anche in funzione di equilibri sociali destinati a scomparire, con l’aumento di persone anziane all’interno dei nuclei familiari. Se oggi ci sono 35 anziani ogni 100 persone in età lavorativa, nel 2050 secondo i dati ce ne saranno quasi il doppio. Un cittadino su due reputa che il numero di infermieri sia insufficiente per garantire l’assistenza non solo in ospedale ma anche sul territorio, i cittadini chiedono soluzioni che promuovano la figura del professionista nella realtà quotidiana della persona. L’obiettivo è mantenere, e migliorare nel tempo, l’equilibrio e lo stato di salute della famiglia, nella comunità, aiutandola a evitare o gestire le minacce alla salute.
La rete territoriale dovrebbe operare in sinergia con la rete ospedaliera, in modo da creare un sistema unificato che coinvolga la persona in una visione olistica. Il potenziamento della figura infermieristica, che da sempre abbraccia questa visione, può essere lo strumento per raggiungere l’obiettivo finale. La carenza della figura dell’infermiere può essere contrastata con alcune possibili strategie presentate in questo lavoro, che non sono certo esaustive per risolvere il problema, ma possono essere il punto di partenza per raggiungere gli obiettivi prefissati nel PNRR.
Il cittadino deve aver accesso ad una sanità territoriale rinnovata e innovativa, il professionista infermiere, grazie al suo ruolo strategico per la garanzia della salute della comunità, rappresenta il fulcro di questa innovazione. L’infermiere, con le sue competenze in continua evoluzione, rappresenta una professione che cresce, si evolve e si innova, a servizio del cittadino e della comunità.
Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.
Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.