L’esperienza del focus group per un confronto tra infermieri sui fattori che influiscono la qualità delle cure palliative erogate in reparti di base


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INTRODUZIONE
Nel 2010, con la legge n° 38 vengono definite le Cure Palliative come “l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali rivolti, sia alla persona malata, sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti, la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”. La Società Italiana delle Cure Palliative (SICP) ha inoltre stilato il core competence italiano dell’infermiere di Cure Palliative, in cui vengono descritte tutte le abilità e le competenze che l’infermiere palliativista deve possedere su tre livelli di specificità a seconda del proprio ambito di cura (2018). In questo documento viene sottolineato come, tra i luoghi più comuni in cui la persona può trovarsi a trascorrere l’ultima fase della sua vita ci sia l’ospedale, luogo in cui la cultura palliativista non si è ancora sviluppata e dove, molto spesso, gli interventi vengono definiti come “inappropriati”. Nonostante oggi siano stati definiti dei setting specifici per l’erogazione delle Cure Palliative, la maggior parte dei malati si trova ad affrontare questo momento in contesti di cura non specialistici. Il Ministero della Salute nel 2017 ha redatto un documento sullo stato di attuazione della Legge n° 38 del 2010, dal quale si evince che ancora la maggior parte delle persone ammalate affetta da patologie terminali muore in ospedale, di cui tra il 52% e il 54% nei reparti di Medicina Generale.
Gli ospedali per acuti non vengono definiti “ottimali” per l’erogazione di cure di fine vita in quanto il ritmo dell’ambiente è troppo frenetico, i medici sono proiettati verso la cura attiva delle patologie ed inoltre esiste una riluttanza culturale a discutere di questioni relative alla morte (Gagnon, Duggleby, 2013).
Una fra le difficoltà maggiormente riscontrate dagli infermieri è il doversi prendere cura contemporaneamente di pazienti che necessitano di cure attive e di pazienti che necessitano di cure palliative (Limbu e Taylor, 2021; McCourt et al., 2013; Johansson e Lindahl, 2012; Alshammari et al., 2022). Gli operatori sanitari sono consapevoli della necessità di stabilire relazioni significative con le persone morenti, ma sentono di dover dare la priorità alla soddisfazione dei bisogni fisici dei pazienti acuti, a discapito dei bisogni psicologici e spirituali che diventano prioritari nella terminalità (Gagnon e Duggleby, 2013).
Altri limiti che influenzano l’assistenza sono: la mancanza di tempo da dedicare al fine vita e la mancanza di ambienti strutturalmente adeguati (Gagnon e Duggleby, 2013; Limbu e Taylor, 2021; McCourt et al., 2013; Johansson e Lindahl, 2012; Alshammari et al., 2022).
Gli infermieri che lavorano in reparti chirurgici hanno dichiarato che i bisogni acuti e la dipendenza dei pazienti operati in via di guarigione sono in competizione con i bisogni psicologici ed emotivi dei pazienti morenti e delle loro famiglie (Limbu e Taylor, 2021). Inoltre, la mancanza di stanze dedicate e l’arredamento asettico hanno un impatto negativo sull’assistenza (McCourt et al., 2013). Nello studio condotto da Johansson e Lindahl (2012) sono state create delle stanze arredate appositamente per l’accompagnamento nel fine vita in reparti generali; tale iniziativa ha fatto emergere quanto l’ambiente influisca sul miglioramento degli outcome assistenziali e della qualità delle cure.
Gli infermieri inoltre provano disagio nel parlare della morte con i pazienti e le loro famiglie, sia per le informazioni contradditorie e a volte poco realistiche che vengono date da diversi membri dell’équipe (Gagnon e Duggleby, 2013; Reyniers et al., 2014), sia perché non possiedono abilità specifiche per poter sostenere discussioni in merito al fine vita (Alshammari et al., 2022).
Anche l’esperienza di vita maturata individualmente influisce molto sulla pratica professionale, una maggior accettazione personale della morte è associata ad atteggiamenti più positivi verso i pazienti in fine vita (Alshammari et al., 2022).
Quando gli infermieri hanno a disposizione un tempo adeguato da spendere con i familiari e le famiglie, riuscendo a stabilire un rapporto di fiducia con il paziente e partecipando attivamente al suo piano di cura, gli assistiti e i caregiver sperimentano cure migliori (Lasarter et al., 2019).
Gli atteggiamenti nei confronti della morte e dei pazienti morenti sono inoltre associati alle caratteristiche e agli ideali personali e professionali degli infermieri (Alshammari et al., 2022).
Gli infermieri che non riescono a garantire una “buona morte”, a causa della mancata erogazione di cure appropriate, sperimentano sentimenti di angoscia (Gagnon e Duggleby, 2013), questo li porta a sviluppare problematiche personali come: senso di inadeguatezza nel fornitura di cure inefficaci e non di qualità, stress e fatica derivanti dal trattare in modo intensivo i pazienti morenti, sensazione di solitudine per la mancanza di sostegno, tensione che sorge dalle aspettative delle cure da attuate e quelle realmente erogate (McCourt et al., 2013). A tutto questo si associa una scarsa collaborazione e una comunicazione inefficace all’interno del team multidisciplinare ( McCourt et al., 2013; Reyniers et al., 2014;).
Un terzo degli infermieri intervistati, nello studio di Lasarter et al. (2019). ha riferito di essere spesso in disaccordo con i medici sulle decisioni relative all’assistenza di fine vita, poiché le decisioni non vengono prese all’interno dell’equipe assistenziale con conseguente perdita della dignità del morire.
Ogni infermiere, anche se non specializzato in Cure Palliative, dovrebbe avere le conoscenze adatte per saper affrontare, insieme alla persona malata e alla sua famiglia, un momento così delicato; come si evince nell’articolo 24 del Codice Deontologico “l’infermiere presta assistenza infermieristica fino al termine della vita della persona assistita. Riconosce l’importanza del gesto assistenziale, della pianificazione condivisa delle cure, della palliazione, del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale e spirituale” (FNOPI, 2019).
L’infermiere deve quindi farsi garante della dignità, della qualità di vita e della gestione dei sintomi della persona che sta attraversando le ultime fasi della vita, attuando delle strategie per fare in modo che venga assicurato conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale e spirituale (Simonazzi et al., 2017). Per far sì che questo avvenga è necessaria una pianificazione anticipata del caring, in modo da riuscire a prevenire gran parte delle situazioni e dimostrare una presenza attenta e proattiva (Prandi, 2015).

SCOPO DELL’INDAGINE
Confrontarsi sui principali fattori che ostacolano l’erogazione delle Cure Palliative, ai pazienti in fase terminale di malattia ricoverati in reparti di medicina e chirurgia generale, dell’azienda sanitaria di riferimento, per trovare insieme delle strategie di miglioramento.

METODO
Dopo una prima analisi della letteratura nella quale si è cercato di comprendere quali siano le difficoltà maggiormente riscontrate dagli infermieri durante l’erogazione di Cure Palliative nei reparti non specialistici, è stata condotta un’indagine, utilizzando come strumento il focus group. Tale strumento permette di studiare in profondità un fenomeno (Corrao, 2000), al fine di capire quali sono i fattori, che secondo gli infermieri che lavorano in reparti non specialistici all’interno dell’azienda ospedaliera convenzionata con l’Università degli Studi dell’Insubria (ASST- Sette Laghi), influiscono sulla qualità dell’assistenza ai pazienti terminali.
La scelta dei componenti del focus group è stata non probabilistica “a scelta ragionata”, in quanto gli individui selezionati possedevano caratteristiche utili per la ricerca o perché si presuppone abbiano idee che potrebbero contribuire a svilupparla (Pastori, 2017). I partecipanti sono stati scelti in quanto infermieri non specializzati in Cure Palliative e che non lavorano in reparti in cui vengono erogate Cure Palliative specialistiche. Il gruppo si presentava disomogeneo per anni di esperienza e caratteristiche personali.
Il numero dei partecipanti individuati è stato di sette persone essendo consigliabile un gruppo che varia da sei a dodici membri (Pastori, 2017), il gruppo risultato essere adeguato.
Nella tabella 1 vengono riportate le caratteristiche dei partecipanti con i rispettivi anni di esperienza professionale e l’Unità Operativa presso la quale prestano servizio.

Tabella 1 – Caratteristiche dei partecipanti al focus group.

INFERMIERE U.O. IN CUI PRESTA SERVIZIO ANNI DI ESPERIENZA PROFESSIONALE
N.1 Degenza breve 36
N.2 Nefrologia 27
N.3 Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) 12
N.4 Sub-acuti/ Riabilitazione neuromotoria 2
N.5 Malattie infettive 3
N.6 Chirurgia 24
N.7 Medicina 4

Durante il focus group, sono state privilegiate domande ampie per favorire un’esposizione libera ponendo attenzione a utilizzare termini neutri per non influenzare gli intervistati. Le domande sottoposte al gruppo sono state le seguenti:
1. Cosa vuol dire, secondo voi, garantire una buona morte ad un paziente che si trova nella fase terminale della sua vita?
2. Secondo voi, quali sono i fattori che vanno ad influire sull’assistenza al paziente in fine vita nei reparti di base?
3. Sulla base di quello che è emerso fin ora, quali sono le strategie che potrebbero essere attuate per migliorare l’assistenza ai pazienti terminali nei reparti non specialistici?
È stata poi condotta un’analisi tematica dei contenuti in quanto permette di esplorare in modo profondo e dettagliato l’esperienza personale e sociale di coloro che prendono parte alla ricerca (Sironi, 2010).
Per analizzare i dati ottenuti si sono ascoltate le registrazioni più volte e rilette le trascrizioni, andando a sottolineare con colori diversi i temi che si ritenevano essere legati tra loto per affinità di significato all’interno delle varie testimonianze (Pastori, 2017). Il passaggio seguente è stato quello di individuare delle categorie di concetti più generali e inserire le frasi estrapolate dalle trascrizioni all’interno di tabelle Word, sulla base di uniformità di contesto. La creazione di queste categorie ha permesso di formulare un’interpretazione generalizzabile a situazioni e contesti allargati.

RISULTATI
Dopo aver riflettuto su quanto emerso dalla letteratura si è poi proceduto ad esporre i risultati estrapolati dal focus group.
Durante l’incontro è emerso, sin da subito, l’interesse verso un argomento che spesso viene trascurato all’interno delle unità operative; dai racconti degli infermieri è stato possibile capire come la gestione del paziente in fine vita sia una realtà presente quotidianamente all’interno dei diversi reparti. Questo lo si evince dal fatto che molto spesso gli infermieri hanno cercato di spiegare alcuni concetti proprio attraverso l’utilizzo di esempi concreti, riportando situazioni che avevano realmente vissuto.
Rispondendo alla prima domanda, tra le tre pensate per l’incontro, gli infermieri hanno individuato quelli che sono i processi umani maggiormente compromessi nel paziente morente, ossia la sfera fisica con il dolore che sembra essere il sintomo più comune e la sfera sociale e psicologica. Nella tabella 2 vengono riportati i seguenti aspetti così come letteralmente espressi dagli infermieri nel focus group.

Tabella 2 – Cosa vuol dire per gli infermieri garantire una “buona morte”.

Cosa vuol dire “buona morte” per gli infermieri Brani di trascrizione degli interventi dei partecipanti al focus group
Gestire la sintomatologia dolorosa “per me la buona morte è morire senza dolore. (…) purtroppo, da noi la terapia del dolore non è ben gestita.” N.1

“anche io concordo che una buona morte possa essere morire senza dolore (…) il dolore non è un aspetto ben gestibile nei reparti di medicina generale (…)” N.2

“(…) nel mio reparto delle persone che sono arrivate a fine vita dopo un percorso (…) solo due siamo riuscite a gestirle abbastanza bene (…)” N.3

“(…) non gli danno la morfina o per fargli mettere la morfina fissa in terapia sembra che gli venga fatta chissà quale richiesta” N.4

“limitare il più possibile le sofferenze (…) la terapia del dolore è inesistente.” N.5

“(…) non sanno proprio il dolore cosa sia.” N.6

“il dolore nel nostro reparto (…) viene lasciato in secondo luogo o perlomeno studiato e valutato nella sua componente fisiologica, mentre la sua dimensione psicologica e spirituale viene completamente ignorata. (…) Viene proprio messo in secondo piano e si spera che passi da solo.” N.7

Coinvolgere la persona e la sua famiglia nel percorso di cura “(…) morire anche rispettosamente di quelle che sono le proprie necessità come la presenza dei familiari, fornendo le giuste conoscenze se vengono richieste dal paziente e non in completa solitudine, senza informazioni e senza la presenza di un familiare o delle persone che sentiamo di volere accanto.” N.2

“la buona morte è che la persona muoia senza avere nulla in sospeso con le persone che hanno fatto parte della propria vita (…)” N.3

“secondo me è importante la comunicazione in merito alla prognosi, perché spesso viene detto quando si è soli in camera, senza un paziente di fianco (…)” N.6

Dalla lettura della seguente tabella si evince come, nel definire quello di cui il paziente in fine vita ha bisogno, spesso emerge anche quello che invece non gli viene assicurato. Infatti, gli infermieri nell’esprimere cosa vuol dire per loro garantire una “buona morte” hanno descritto delle situazioni in cui veniva a mancare proprio quello che ritenevano essenziale.
Il tema del dolore era presente in tutte le testimonianze, ciò dimostra come per tutti questo sia un aspetto fondamentale da dover gestire; ognuno di loro ha trattato l’argomento aggiungendo delle sfaccettature differenti, ma tutti concordavano sul fatto che non ci fosse un’adeguata gestione farmacologica del dolore, con una terapia antalgica spesso generalizzata e non adatta alle specificità di ciascun paziente.
Il secondo aspetto maggiormente evidenziato è stato quello relativo della dignità della persona, inteso come rispetto di quelle che sono le sue volontà, sia nel decidere che nell’ essere coinvolta nel suo processo di cura.
Tutti questi aspetti sono riscontrabili con quanto emerso dagli studi citati nell’introduzione.
Nella tabella 3 sono state inserite tutte le affermazioni che si riferiscono ai fattori che secondo gli infermieri vanno ad influire sull’assistenza al paziente in fine vita. Sono stati descritti vincoli di diverso tipo, ma soprattutto organizzativo, riguardanti la struttura delle camere di degenza e la difficoltà nell’assistere contemporaneamente pazienti che necessitano di cure attive e di cure palliative.
Un altro aspetto rivelatosi motivo di disagio per gli infermieri è il rapporto esistente con l’equipe medica, a causa di una scarsa collaborazione all’interno del team multidisciplinare, esito di una comunicazione inefficace. Spesso non si lavora in gruppo e le decisioni vengono prese in autonomia senza alcun confronto. Ancora oggi a volte si riscontra all’interno della classe medica una cultura palliativista poco sviluppata che, secondo gli infermieri, induce alcune volte i medici a portare avanti cure sproporzionate e poco dignitose per il paziente.

Tabella 3 – Fattori che influiscono sull’assistenza dei pazienti in fine vita nei reparti di base.

Fattori che influiscono sull’assistenza dei pazienti in fine vita nei reparti di base Brani di trascrizione degli interventi dei partecipati al focus group
Vincoli organizzativi

(struttura delle camere, presenza di pazienti acuti e terminali)

“Noi abbiamo un reparto molto piccolo, con tutte le camere attorno al ring (…) e lì è tutto amplificato, tutto entra nelle camere. (…) nel momento in cui hai un paziente che sta morendo magari te lo perdi perché ne hai altri tredici che hanno delle problematiche diverse. Spesso muoiono in camere a tre letti” N.1

“Ci sono limiti legati sicuramente alla struttura come le camere non singole, i carichi di lavoro, per cui ci si perde un pochettino nel dover fare mille altre cose (…)” N.2

“(…) l’interferenza di altri degenti che quando hanno visto che noi ci occupavamo non di più ma in maniera più approfondita della persona che ci accorgevamo essere prossima, non capivano ma ci venivano a disturbare, avevano bisogno, intervenivano (…)” N.3

“(…) i parenti possono entrare ad un orario ridotto e molto spesso si sentono quasi in colpa se rimangono più tempo (…) secondo me, è il limite più grande di questo periodo.” N.4

“(…) garantire l’ambiente familiare in malattie infettive, considerando che già tutte le camere sono in isolamento è un grosso problema (..) in più si trova in un ambiente chiuso, con quattro pareti e una porta sigillata e quindi è un ambiente brutto, triste, che mette solitudine.” N.5

“(…) è vero che non ci sono posti letto ma non si può mettere una paziente uscita dalla rianimazione in chirurgia, perché il chirurgo cerca sempre di fare tutto quello che può. (…) ieri la signora è morta, se n’è accorta la vicina di letto che ci ha chiamati (…) non essendoci camere in più, per riuscire a garantire un minimo di privacy alla paziente deceduta l’altra è stata lasciata in una sala visite. Bruttissimo.” N.6

Comunicazione inefficace all’interno del team multidisciplinare “(…) potendo avere un rapporto migliore con i colleghi medici sicuramente da parte nostra ci può essere lo sforzo di sensibilizzare anche loro.” N.2

“(…) la consapevolezza di equipe di cosa sta succedendo non è sempre scontata, un po’ perché non lo si vuole accettare e un po’ perché alcuni professionisti preferiscono accanirsi e tentare di far sopravvivere, costi quel che costi, la persona il più possibile.” N.3

“(…) mi pongo come infermiera giovane con pochissima esperienza e poca capacità di impormi contro un’equipe medica che nonostante le discussioni perenni rimane ferma sul punto che è importante per loro salvaguardarsi dal punto di vista penale (…)” N.5

“(…) gli dicevamo chiamate quelli dell’hospice, ci sta che un chirurgo non sia in grado di impostare una terapia del dolore ma almeno chiama chi di dovere perché comunque una consulenza si può fare (…) ma loro non li chiamano.” N.6

Cultura palliativista poco sviluppata nell’equipe medica “(…) i nostri medici sono molto restii, per cui partono con delle terapie di base e prima di arrivare all’utilizzo degli oppiacei passa davvero molto tempo.” N.1

“(…) nel mio ambito trovo ci sia poca propensione a lasciar andare le persone (…) i dottori fanno fatica a decidere qual è il momento per dire basta, ci fermiamo qui e accompagniamo il paziente in maniera più dignitosa (…)” N.2

“(…) i medici non sono mai d’accordo con noi, il più delle volte non si accorgono neanche che il paziente è in fine vita e se ne rendono conto proprio l’ultimo giorno (…) Non c’è un punto di incontro.” N.5

“(…) ci sono quei medici che hanno la sensibilità e umiltà nel riconoscere che siamo arrivati alla fine e non possiamo più nient’altro. Ne abbiamo un altro, proprio il caso per eccellenza che si batte fino all’ultimo per salvare le vite ai suoi pazienti (…) e questo è veramente triste e motivo di frustrazione per noi infermieri e per i suoi specializzandi. (…) c’è anche un discorso legato all’ignoranza su chi può accedere a questo percorso di cure (…)” N.7

Sensazione di inadeguatezza degli infermieri “(…) perché il rispetto della dignità (…) da noi pur che tu cerchi di fare tutto non esiste. (…) cerchiamo di fare queste cose, ma purtroppo noi siamo messi così e credo che non possiamo fare altro, se non dargli una certa dignità anche se a volte non riusciamo a farlo (…)” N.1

“per me buona morte vuol dire sicuramente non morire in un reparto ordinario, da noi appunto magari non c’è neanche il tempo di medicarli.” N.4

“(…) non si riesce a garantire né un aspetto relazione né un aspetto di privazione della sofferenza (…) ci sto male ma poi accetto la cosa (…). Dal punto di vista infermieristico noto un adattarsi per convivere con il resto dell’equipe” N.5

“(…) noi segnaliamo, abbiamo quell’empatia nel riconoscere che c’è un momento in cui bisogna dire basta, in cui bisogna continuare ad assistere la persona in un modo diverso, più dignitoso e purtroppo la dignità è qualcosa che manca.” N.7

Tutti questi fattori, oltre ad influenzare la qualità dell’assistenza al paziente terminale vanno ad influire sullo stato d’animo degli infermieri che sono portati a sviluppare problematiche personali come: senso di inadeguatezza nella fornitura di cure inefficaci e non di qualità, stress e fatica derivanti dal trattare in modo intensivo i pazienti morenti, sensazione di solitudine per la mancanza di sostegno (McCourt et al., 2013) che a loro volta pesano sulla qualità dell’assistenza. Per questo motivo si è deciso di inserire nella tabella anche la categoria relativa alle sensazioni di inadeguatezza, provate dagli infermieri, all’interno di quelli che sono i fattori che influiscono sull’assistenza.
Un altro aspetto che è stato percepito durante il focus group è che gli infermieri più giovani spesso sono quelli che dimostrano un coinvolgimento emotivo maggiore, ciò trapelava proprio dal modo in cui, durante il focus group essi raccontavano e si immedesimavano nelle diverse situazioni.
Spesso scindere la persona assistita dal professionista non è semplice, seppur sappiamo perfettamente che le due dimensioni debbano restare separate (Stuart, 2021); tale aspetto inevitabilmente condiziona il nostro atteggiamento in determinate situazioni e quello che siamo condiziona a sua volta quello che facciamo; sicuramente l’esperienza professionale aiuta a far maturare questo processo, motivo per cui è stato notato maggiormente negli infermieri più giovani.
L’eterogeneità dei partecipanti al gruppo è stata un valido aiuto, ascoltare infermieri giovani con poca esperienza lavorativa e infermieri con molta esperienza, ci ha permesso di mettere a confronto anche il ruolo che il vissuto di ciascuno riveste sulla gestione infermieristica al paziente terminale.
Si è notato in alcuni dei partecipanti un senso di rassegnazione che è stato reso esplicito da alcuni infermieri, come il partecipante N.1: “ma torniamo sempre al punto che noi dipendiamo dai medici; loro non ti fanno una giusta terapia con la sedazione, ti dicono che devi andare avanti e tu devi andare avanti” e del partecipante N.5: “dal punto di vista infermieristico noto un adattarsi per convivere con il resto dell’equipe, quindi non possiamo fare molto”, ma nonostante queste parole siano chiare, il modo in cui venivano dette trasmettevano la loro voglia di cambiare le cose e quanto per loro l’argomento trattato fosse importante.
Per questo motivo, l’ultima domanda a cui è stato chiesto di rispondere è stata proprio in merito alle possibili strategie da adottare per migliorare l’erogazione delle cure palliative nei reparti non specialistici; gli spunti che hanno fornito si sono dimostrati davvero interessanti. Nella tabella 4 si possono leggere i dialoghi riportati.

Tabella 4 – Strategie per migliorare l’assistenza al paziente terminale nei reparti di base.

Strategie per migliorare l’assistenza al paziente terminale nei reparti di base Brani di trascrizione degli interventi dei partecipati al focus group
Sensibilizzazione equipe medica “(…) manca la sensibilizzazione, io spero che vengano le nuove generazioni di medici maggiormente sensibilizzate su questo aspetto (…)” N.2

“(…) penserei ad una FAD obbligatoria anche per i medici sull’argomento, perché se ti basi sulla candidatura spontanea ti diranno sempre che sono troppo impegnati.” N.7

Creazione team specializzato “(…) sarebbe bello se ci fossero degli infermieri specializzati in Cure Palliative che vengano a fare delle consulenze dei pazienti in fine vita.” N.4

“anche un team con un medico che può essere un oncologo o un anestesista (…) lo psicologo (…)” N.7

Dalle strategie proposte dagli infermieri presenti al focus group si evince come alla base di tutto debba esserci il lavoro di squadra.
Il modo migliore per accompagnare i pazienti nella fase terminale della vita è utilizzare al meglio le risorse disponibili pianificando un’assistenza personalizzata, creando piani di assistenza adeguati alle singole esigenze. La presenza di una figura infermieristica specializzata potrebbe aiutare in questo processo favorendo l’erogazione di Cure Palliative all’interno delle varie unità operative.
Un’ infermiera, facendo riferimento alla figura del professionista specializzato in wound care, ha detto: “Mi sono resa conto nel tempo di quanto l’infermiere wound care sia anche apprezzato dal medico e di come vengano seguite le sue consulenze; sarebbe bello se ci fossero degli infermieri esperti in Cure Palliative disponibili a fare delle consulenze dei pazienti in fine vita nei reparti non specialistici. Questa sarebbe una cosa utile anche per noi infermieri”.
Ascoltare quelle che sono le possibili soluzioni di coloro che affrontano quotidianamente problematiche di questo tipo aiuta sicuramente a capire quali sono le priorità per riuscire a far fronte a questo campo. La consapevolezza di andare incontro a un sempre maggiore aumento della domanda di Cure Palliative, a fronte della scarsità delle risorse che le strutture specialistiche come l’Hospice hanno, ci rende ancora di più consci di quanto sia necessario erogare tali cure anche in reparti di base, garantendo sempre la dignità e la qualità del morire.

CONCLUSIONI
Al termine del lavoro svolto è emerso che i dati ottenuti durante il focus group soni sovrapponibili a quanto riportato nella letteratura nazionale e internazionale. Questo dimostra come gli operatori sanitari, che operano in contesti clinici differenti, affrontino ogni giorno problematiche simili e siano concordi su quelli che sono i fattori che vanno ad influire sull’assistenza al paziente terminale in reparti di base.
In un contesto storico in cui il bisogno di Cure Palliative è destinato ad aumentare e dove non sarà possibile soddisfare la richiesta fornendo cure specialistiche, sarebbe utile comprendere, nel proprio ambito lavorativo, quali sono i fattori migliorabili per garantire la qualità delle cure anche in contesti non specialistici (Peruselli et al, 2019).
Le strategie emerse dal focus group sembrano puntare in particolar modo su due temi che risultano preponderanti sugli altri: incrementare la formazione di medici e infermieri sulle Cure Palliative per modificare in senso positivo atteggiamenti e comportamenti di tutti gli operatori sanitari al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti terminali (Simonazzi et al., 2017). Tale obiettivo potrebbe essere raggiunto migliorando il curriculum universitario per riuscire a creare infermieri che siano maggiormente coinvolti nei processi decisionali sull’assistenza nel fine vita (Alshammari et al., 2022; McCourt et al., 2013).
Inoltre, sarebbe necessario migliorare le skills comunicative dei membri dell’equipe per riuscire a garantire qualità delle cure, uniformità del trattamento, sicurezza del malato, miglioramento dei rapporti tra gli operatori e la famiglia e aumento della stima interprofessionale (Simonazzi et al., 2017). L’istituzione di team multidisciplinari specializzati in Cure Palliative che prendano in carico i pazienti in fine vita e aiutino gli infermieri non specializzati all’interno dei reparti di base a pianificare l’assistenza infermieristica, questa soluzione potrebbe essere la chiave per superare molti dei limiti riscontrati (Alshammari et al., 2022).
Gli infermieri si prendono cura della persona garantendo ad essa la dignità e il rispetto della sua volontà, ma quando questo viene a mancare si trovano ad affrontare un senso di frustrazione che potrebbe essere superato attuando alcune di queste strategie.
Dalle parole degli infermieri intervistati nel focus group emergono sentimenti di inadeguatezza e il loro coinvolgimento emotivo viene spesso descritto con frasi che fanno trapelare anche il loro pensiero personale. Pertanto, sarebbe utile estendere il campione per raccogliere ulteriori testimonianze dalle quali estrapolare dati oggettivi utili a redigere delle procedure, così da rendere omogeneo il comportamento dei diversi operatori sanitari rendendo fruibile a tutti quelli che ne necessitano Cure Palliative di qualità.

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi. Gli autori hanno condiviso i contenuti dello studio, la stesura dell’articolo e approvano la versione finale dello stesso.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

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Bibliografia

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