INTRODUZIONE
Per violenze sul luogo di lavoro si intendono gli eventi in cui i lavoratori sono minacciati, aggrediti o abusati in situazioni correlate al lavoro e che comportano un rischio per la loro sicurezza, benessere o salute; nei setting sanitari, la violenza verso operatori è compiuta prevalentemente da pazienti o loro familiari (violenza di tipo II) (CDC, 2006).
L’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie e Socio-sanitarie rileva un notevole e preoccupante incremento del fenomeno delle aggressioni al personale sanitario a livello globale, testimoniato anche da un numero crescente di studi presenti in letteratura, che riguarda in particolar modo la professione dell’infermiere, considerata la categoria più vulnerabile per la tipologia di lavoro svolto, sempre a stretto contatto con i pazienti e in situazioni non ordinarie che possono generare facilmente tensione (ONSEPS, 2022). Gli ospedali rappresentano infatti uno dei luoghi in cui si riscontrano con maggior diffusione casi di violenza sul lavoro (Hegney et al., 2010) e alcuni studi hanno dimostrato che i professionisti sanitari, in particolare gli infermieri, hanno fino a 16 volte più probabilità di essere oggetto di violenza rispetto ad altri lavoratori (Converso et al., 2021).
Gli episodi di aggressioni a professionisti sanitari e sociosanitari, infatti, sono un fenomeno in crescita, soprattutto nei dipartimenti di emergenza-urgenza. Nel triennio 2019-2021 sono stati più di 4.800 i casi codificati dall’Inail come violenze, aggressioni, minacce e similari nei confronti del personale sanitario e socio-sanitario, con una media di circa 1.600 l’anno, ma è verosimile ritenere che il numero sia ampiamente superiore, dal momento che a volte gli episodi non vengono denunciati (Ministero della Salute, 2023): il livello di tale sottonotifica viene stimata fino al 70% (Philips JP, 2016).
Le indagini presenti in letteratura e relative al fenomeno, si basano spesso su survey rivolte a medici, infermieri ed operatori, in cui gli intervistati riferiscono la frequenza e la tipologia di violenze subite in un periodo, di durata variabile, precedente l’intervista. Tuttavia, tali rilevazioni non consentono una stima del burden of disease associato agli eventi.
La preoccupazione di fronte a tali episodi ha portato le diverse istituzioni operanti nel sistema a realizzare nel tempo, specifici monitoraggi, documenti, raccomandazioni con finalità diverse, e proprio con l’obiettivo di assicurare un lavoro sinergico da parte delle istituzioni, il legislatore ha ritenuto necessario individuare un apposito organismo che coinvolgesse tutti gli stakeholder di riferimento. (Ministero della Salute, 2022)
Di rilevante importanza è il fatto che, tra i fattori di rischio del fenomeno – oltre a variabili organizzative ed alla tipologia di paziente – l’esperienza e la capacità comunicativa dell’operatore può giocare un ruolo determinante (U.S. Department of Labor, 2016).
TECNICHE COMUNICATIVE PER LA GESTIONE DELL’AGGRESSIVITÀ
Negli ultimi anni i metodi tradizionali di gestione dell’aggressività, tra cui la contenzione e la somministrazione di farmaci, sono diminuiti in favore di un approccio meno coercitivo e più empatico.
I pazienti sottoposti a questi metodi, dopo aver sperimentato la coercizione e la contenzione fisica durante le loro visite, esprimono un forte desiderio di compassione e impegno terapeutico (Wong et al., 2020).
Il progetto BETA (Best Practices in the Evaluation and Treatment of Agitation) è una raccolta delle migliori evidenze e raccomandazioni di consenso sviluppate da esperti di medicina d’urgenza e psichiatria nelle emergenze comportamentali per migliorare il nostro approccio al paziente agitato. Queste raccomandazioni si concentrano sulla de‐escalation verbale come trattamento di prima linea per l’agitazione. (Roppolo et al., 2020)
La comunicazione verbale e non verbale, l’atteggiamento empatico e l’utilizzo dell’ascolto attivo rappresentano la chiave per coinvolgere ed aiutare il paziente agitato a ridurre l’aggressività. Sono stati identificati 10 domini di de-escalation che possono rappresentare per il personale sanitario strumenti efficaci nella gestione del paziente agitato (Richmond et al., 2011):
– Rispettare lo spazio personale;
– Non essere provocatorio;
– Stabilire un contatto verbale;
– Essere chiari e concisi;
– Identificare i sentimenti e i desideri della persona agitata;
– Ascoltare attentamente il paziente e ciò che sta dicendo;
– Stabilire leggi e chiarire limiti;
– Offrire delle scelte;
– Debriefing con il paziente e il personale.
Un’altra tecnica comunicativa per approcciarsi al paziente aggressivo è identificata nel metodo END (Empatia, Normalizzazione, Descalation), che si basa su tre tipologie comunicative:
– la comunicazione empatica: riconosce i sentimenti e le sensazioni del paziente e permette di creare una relazione con l’altro;
– La comunicazione normalizzante: riduce la paura, la preoccupazione e le distorsioni che intensificano tali vissuti;
– La descalation: riduce l’aggressività e i vissuti emotivi.
Un ulteriore approccio che si è rivelato efficace, come riportato in una revisione di letteratura (Ramacciati e Ceccagnoli, 2012), è basato sulla “Regola delle 3A” ovvero:
– ATTEND: prestare attenzione, ascoltando attivamente l’interlocutore;
– ASSESS: valutare lo stato emotivo, attraverso l’empatia avanzata;
– ADDRESS: orientare verso una soluzione soddisfacente.
PAROLE… SOLTANTO PAROLE
Vi è ad oggi un crescente consenso sul fatto che l’uso delle parole, come ad esempio le parole relative al dolore fisico, rappresentino molto più di semplici suoni o semplici metafore (Borelli et al., 2018). Molto interesse scientifico è stato posto negli ultimi decenni all’effetto neurofisiologico delle parole: attraverso tecniche di neuroimaging, si è dimostrato con sempre maggiore chiarezza che le interazioni producono nell’altro specifiche reazioni biochimiche, al punto di modulare persino il dolore percepito (Ritter et al., 2019).
Varelmann, dopo aver evidenziato come l’interazione operatore-paziente abbia modificato la percezione del dolore e l’esperienza vissuta, conclude che le parole hanno un’influenza significativa sull’esperienza soggettiva dei pazienti e per questo i professionisti dovrebbero essere consapevoli delle implicazioni delle parole che usano e di altre tattiche di comunicazione che inquadrano la percezione del paziente dell’esperienza reale (Varelmann et al., 2010).
Anche gli studi di Benedetti hanno ampiamente dimostrato come una interazione negativa tra operatori e pazienti generi ansia; ansia che, a sua volta, modula la produzione di colecistochina la quale contribuisce ad una espressione più intensa del dolore ed una peggiore esperienza per il paziente (Benedetti et al., 2007).
L’utilizzo consapevole degli effetti neurolinguistici del linguaggio, anche attraverso tecniche come la comunicazione ipnotica, potrebbe quindi rivelarsi una strategia efficace per la gestione dell’aggressività.
CONCLUSIONI
Una revisione effettuata nel 2012 da Ramacciati e Ceccagnoli, sottolinea l’importanza della solida preparazione nella comunicazione efficace e nel raggiungimento di affinate abilità relazionali, che l’infermiere deve raggiungere per essere definito “Mediatore” in situazione di aggressività. L’infermiere operativo nei contesti emergenza-urgenza vive infatti frequentemente intense esperienze assistenziali ed emotive e, nello stesso tempo, gli viene richiesto di garantire costantemente alti livelli di prestazioni sanitarie in contesti lavorativi in cui le risorse, umane e strumentali, sono spesso limitate.
Strutturare percorsi e progetti formativi, da parte delle organizzazioni sanitarie, mirati ad implementare le competenze comunicative dei professionisti che operano nei contesti di emergenza urgenza, potrebbe rappresentare un importante investimento nella direzione del benessere organizzativo e, al contempo, della soddisfazione degli utenti.
L’infermiere in generale, ed ancor più quello di emergenza, si trova spesso in prima linea nel prendersi cura dell’assistito e qualche volta il senso di impotenza provata nella relazione d’aiuto rischia di sottoporlo ad importanti stress emotivi: lo sviluppo di capacità relazionali strategiche in grado di favorire la de-escalation dell’aggressività, potrebbe rappresentare una risposta importante per prevenire disturbi stress lavoro correlati e ridurre il fenomeno, in continua crescita, dell’intenzione all’abbandono della professione.
Già a partire dalla formazione universitaria, i futuri professionisti dovrebbero essere equipaggiati di strumenti comunicativi realmente efficaci e concretamente spendibili nella pratica assistenziale quotidiana.
Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi. Gli autori hanno condiviso i contenuti dello studio, la stesura dell’articolo e approvano la versione finale dello stesso.
Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.
Ringraziamenti
Si ringrazia l’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Forlì-Cesena per il prezioso supporto fornito.