Se il destino è contro di te, peggio per lui


Il 25 giugno 2003 il giorno del nostro matrimonio, la nostra gioia non era piena, avevamo un’ombra di malinconia data da una notizia ricevuta qualche giorno prima: il risultato del tritest dava una probabilità molto più elevata rispetto all’età materna che il nascituro avesse una malattia cromosomica.
Non abbiamo fatto l’amniocentesi perché determinati in ogni caso a non interrompere la gravidanza. Il piccolo è nato prima, a 33 settimane per una gestosi, un parto cesareo. Io attendevo un esito legato al suo aspetto, non fu così: il bambino non aveva quel problema di salute ma un’altro, di cui non ne avevamo mai sentito parlare.
Il bambino aveva una malformazione anorettale (MAR).
Ricordo di essermi sentita sollevata, qualsiasi cosa sarebbe stata meno impegnativa per una giovane madre. Ebbi modo di ricredermi e di capire che non ci sono condanne, ci sono diverse vite, quel che cambia è il coraggio che ci si mette per viverle.

Il bambino viene trasportato al Giovanni XXIII di Bari, non lo vedo più, nessun saluto, sarà mio marito a spiegarmi l’accaduto. Al piccolo mancava l’ano, dovevano effettuare un intervento per canalizzare l’intestino. Rimango sola in camera senza bambino.
Il giorno dopo è in programma l’intervento: è un intervento salva vita. Mio marito cerca di informarsi presso il primario di chirurgia pediatrica e gli viene palesata una situazione in cui quell’intervento era quasi routine a Bari, in quegli anni non era così.
Trattasi di una malformazione rara tra l’altro. Il bambino viene operato e trasportato al di Venere, non c’era terapia intensiva per la chirurgia neonatale al pediatrico. Io firmo le dimissioni in anticipo e corro da lui: mi permettono di soggiornare in una stanza per nutrici e vado dal piccolo.
Comincia un tira e molla, il bambino non necessita di assistenza respiratorio e i medici del reparto devono attendere informazioni e comunicazioni dal Giovanni XXIII per il decorso ospedaliero, si prospetta un trasferimento al Giovanni XXIII.
Nel mentre il piccolo esce dall’incubatrice va in una stanza sub-intensiva dove posso provare a nutrirlo e a cambiarlo. In un cambio di pannolino ci accorgiamo di una fistola nello scroto da cui fuoriuscivano feci. Anche in questo caso, con una pacca sulla spalla veniamo congedati, trasferiti e tranquillizzati: ci sarebbe stato un secondo intervento a bambino cresciuto.

Il trasferimento avviene nel reparto di chirurgia pediatrica, un comune reparto di bambini di diverse età, in stanza con altre persone e i loro numerosi familiari.
No, non ho un ricordo sereno di quel posto, in tutta la nostra storia penso sia stato il momento più triste e doloroso.
Al bambino con la ferita non ancora rimarginata vengono effettuate delle calibrazioni per evitare che l’ano ricostruito si richiuda, mio marito quasi sviene. Chiedono anche a noi di effettuarla. Le prime settimane sono state dolorosissime per il bambino che continuerò a chiamare Gio, questo è il suo nome.

Cominciano ad assalirci dubbi e paure sulla sua salute, comincio a insistere con mio marito per avere delle consultazioni diverse: non volevamo diventare dei pendolari per la salute ma la situazione non ci piaceva. Prendiamo contatti con il Prof. Bagolan del Bambino Gesù. Visitando il bambino si accorge che l’ano non è stato canalizzato nel giusto posto e che la fistola è una manifestazione comune alla MAR che va tolta per evitare situazioni gravemente infettive.

Gio subirà altri tre interventi e una stomia che permetterà alla zona anale di rimarginarsi e a lui di crescere robusto e forte. Da allora è stato seguito dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma.
Crescendo notiamo in lui un ritardo psicomotorio, lo assistiamo con tutte le terapie: logopedia, psicomotricità. È un bel bambino, chiacchierone, socievole, amorevole con tutti.

Un nuovo capitolo. Gravidanza perfetta, bambino nato a termine, perfettamente conformato ma nei giorni successivi alla nascita comincio a manifestare seri dubbi sulla sua salute: molti hanno frainteso le mie preoccupazioni con una depressione post partum, ma non era così.
Il bambino andava assumendo con il passare dei giorni un colorito itterico, eppur lo stick al piedino aveva dato esito negativo. Certamente, lo scopriremo a due mesi con un prelievo, il suo ittero era derivato dalla bilirubina diretta di cui era pieno, le sue vie biliari erano chiuse.
Due figli, due atresie, una intestinale e una delle vie biliari.
Non ci credeva nessuno, neanche i medici che li hanno in cura.
Si tenta un intervento per aprire le vie, non riesce. Il piccolo Marco entra il 23 settembre 2008 in lista trapianti.

Rimaniamo a Roma, al Bambino Gesù che in quei giorni si arricchisce di un professore luminare della chirurgia epato-biliare, il Prof. De Ville, lunghi mesi di attesa. Il bambino peggiora, si alimenta con un sondino naso-gastrico e poi la nutrizione parenterale e ha un’ascite tremenda. È la mascotte del reparto, bellissimo.
Nella disperazione chiediamo un trapianto da vivente, io sono compatibile, mio marito no. Nessun altro familiare ha tentato di valutare l’eventuale compatibilità. Abbiamo sperimentato la grande fuga delle persone che dovrebbero sostenerti ma questo, ci ha resi più uniti come famiglia e più solidi come genitori.

Abbiamo delle resistenze dalla Commissione etica dell’ospedale: io sono portatrice del Fattore V di Leiden, qualcosa che non ha mai influito sulla mia vita ma non la si voleva mettere a rischio nonostante la volontà univoca di entrambi i genitori.
Cominciamo a prendere contatti con un giudice tutelare e, anche con il Centro nazionale trapianti. Ci propongono un trasferimento presso centri con un più alto numero di interventi ma rifiutiamo: sapevamo di essere in buone mani, ottime.
Arriva il miracolo, a nove mesi esatti, come dopo una nuova gestazione: il trapianto, poi la vita. Marco esplode nella crescita e nella sua bellezza, è splendido. Il decorso del trapianto è positivo ma la storia non è ancora finita.

Io sono un’insegnante, ho ricominciato da subito a lavorare, ma proprio il mio contatto con tanti bambini mi portava a fare confronti con lo sviluppo del mio bambino: tardava a parlare e mi sembrava avesse atteggiamenti stereotipati. Io nel mio cuore avevo già la diagnosi, ma abbiamo atteso quella ufficiale. Marco è autistico ad alto funzionamento, ora parla fin troppo, ha un buon livello cognitivo, anzi ottimo ma rimane una persona non neurotipo, ancora disabilità di quelle che ti portano a combattere battaglie e a ottenere poche conquiste.

Al momento le patologie dei due ragazzi non sono collegabili per la scienza. Gio sappiamo, dopo 19 anni che ha avuto una mutazione genetica di un enzima, ma post concepimento. Questo evento non è in nessun modo collegabile a Marco, anche lui ha fatto l’esame dell’intero esoma, ma niente, nessun risultato.
Penso che prima o poi il collegamento ci sarà. Per ora il collegamento siamo noi nella fatica e anche nel dolore. Non siamo mai disperati ma sereni e innamorati dei ragazzi, li abbiamo cresciuti.

Oggi Gio si è diplomato e frequenta l’Università di Matera nella facoltà di Operatore dei beni culturali, Marco inizierà il secondo anno del Liceo classico. Oggi ci preme la loro salute ma anche la loro vita sociale, di relazione: il grande tabù della nostra società, ma ce la faremo perché siamo intenzionati a non sopravvivere a loro. E come un amico amato ci disse all’inizio della storia: “se il destino è contro di te peggio per lui“.

19 settembre 2023

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