L’infermiere nelle organizzazioni umanitarie: la mia prima missione umanitaria


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STORIA DELL’INFERMIERE VOLONTARIO
La figura dell’Infermiere volontario nasce grazie a due personaggi cardine: Florence Nightingale ed Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa.
Nel 1854 Nightingale, venuta a conoscenza dai giornali delle terribili condizioni in cui versavano i feriti della guerra di Crimea, partì con un team di 38 infermiere volontarie, alla volta di Scuturi, per curare i soldati britannici, con l’incarico di Sovrintendente del Corpo infermiere degli ospedali inglesi in Turchia. Era la prima volta che delle donne venivano “ufficialmente” proposte per l’assistenza in ospedali militari. Il team coordinato dalla Nightingale riuscì nell’intento di trasformare un lazzaretto malsano e caotico, da cui ben pochi soldati uscivano vivi, in un ospedale da campo pulito ed efficiente, all’insegna dell’ordine e dell’igiene, che restituiva ai soldati dignità fisica e morale riuscendo anche ad abbattere enormemente il tasso di mortalità.
Nel 1859, durante la II guerra d’indipendenza mirata a cacciare l’Austria dalla Lombardia, Henry Dunant, imprenditore, si trovò a passare a Solferino per ragioni di lavoro e si prodigò egli stesso nel soccorso. Le condizioni disumane di tanti feriti, la mancanza e l’inefficienza delle cure scuoterono la sua coscienza e tre anni dopo pubblicò un libro focalizzandosi sul concetto che la maggior parte dei morti sui campi di battaglia si aveva unicamente per mancanza di strutture sanitarie valide e capaci di fornire cure immediate ai combattenti feriti.
Egli capì che in quei luoghi si aveva un soccorso occasionale e improvvisato da persone compassionevoli, quando invece era necessaria l’opera di personale esperto e capace, organizzato in anticipo e in numero sufficiente per agire tempestivamente e con ordine. Dunant manifestò l’idea di creare, già in tempo di pace, un organismo internazionale di assistenza, composto da volontari, che potesse intervenire durante le guerre e subito dopo, in aiuto dei colpiti, senza distinzione alcuna di nazionalità o di schieramento.
Nel 1863 a Ginevra lui fondò il “Comitato ginevrino di soccorso dei militari feriti”.
Il Comitato portò avanti le idee proposte da Dunant ed il 26 ottobre 1863 venne organizzata a Ginevra una Conferenza Internazionale alla quale parteciparono i rappresentanti di 14 Paesi che, il 29 ottobre, firmarono la “prima carta fondamentale”, che definì le funzioni ed i mezzi dei Comitati e delle future società di soccorso, tra cui la creazione di un corpo di infermieri volontari.
Questo è l’atto di nascita della Croce Rossa Internazionale.

AIUTI UMANITARI
Gli aiuti umanitari hanno lo scopo di salvare vite umane, alleviare situazioni di sofferenza, mantenere la dignità umana e consistono in assistenza e sanitaria, fornitura di prodotti alimentari di prima necessità, organizzazione di campi profughi, ricostruzione di edifici ed infrastrutture.
Spesso gli aiuti umanitari sono organizzati a livello internazionale, coinvolgono volontari, associazioni umanitari ed organizzazioni non governative e sono resi possibili da grandi campagne di raccolta fondi portate avanti con il supporto di mass media.
Le Nazioni unite coordinano gli aiuti umanitari tramite l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), mentre la commissione europea agisce tramite la direzione generale per la protezione civile e le operazioni di aiuto umanitario europeo (DG ECHO).
Da qui, l’organizzazione non governativa (ONG) che è un’organizzazione senza fini di lucro, indipendente dagli stati e dalle organizzazioni governative internazionali. Sono finanziate da donazioni o da elargizioni di filantropi e quelle più grandi sono sostenute anche da denaro pubblico. Queste organizzazioni hanno l’obbiettivo di contribuire allo sviluppo globale nei paesi socialmente ed economicamente più arretrati.
A livello locale le organizzazioni collaborano con quelle umanitarie forestiere effettuano formazione agli infermieri sulle abitudini e sulle culture locali per favorire un’assistenza alla persona, rispettosa delle tradizioni etniche e religiose.
Tra le organizzazioni umanitarie più famose vi sono:
– La Croce Rossa italiana (CRI).
– Medici senza frontiere nata ufficialmente nel 1971, i cui principi cardine sono indipendenza, neutralità e imparzialità.
– Emergency, un’associazione italiana nata nel 1994.
– Save the Children, fondata nel 1919 per prestare assistenza ai minori in Europa dopo la prima guerra mondiale.
Vi sono organizzazioni umanitarie che stipulano con l’Infermiere volontario un contratto di collaborazione retribuito e altre che stringono un rapporto di lavoro gratuito.

REQUISITI ED INCARICHI DELL’INFERMIERE VOLONTARIO
Le infermiere volontarie di Croce Rossa, quelle che un tempo erano chiamate “Crocerossine”, devono essere di sesso femminile e di maggiore età.
Non posseggono la Laurea in Infermieristica e non possono operare in contesti diversi da quello della Croce Rossa.
Le associazioni Medici Senza Frontiere ed Emergency, invece, cercano infermieri che, tra gli altri requisiti, siano in possesso del titolo di studio abilitante alla professione.
In particolare Medici senza frontiere pone come requisiti fondamentali per un’eventuale candidatura, oltre alla Laurea in Infermieristica o il diploma equipollente, anche due anni di esperienza lavorativa professionale e altri corsi specifici, come quello di medicina tropicale.
I requisiti per affrontare un’emergenza umanitaria sono:
– La capacità di lavorare in un’equipe multinazionale e multietnica.
– Capacità di coping, che permette di lavorare in situazioni altamente stressanti.
Dote di diplomazia, tolleranza ed apertura mentale alla collaborazione con diverse culture.
Interesse e predisposizione all’insegnamento ed elargizione delle proprie attitudini professionali;.
– Conoscenza di almeno una lingua straniera.
Gli Infermieri che effettuano missioni umanitarie sono inviati in paesi colpiti da emergenze o crisi conseguenti a disastri naturali e guerre, in campi profughi dove le persone vivono in condizioni di povertà e malattia.
In questa situazione è richiesta all’infermiere una completa ed autonoma gestione dell’assistenza alla persona, spesso in condizioni critiche.
L’infermiere in missione lavora in ambiente dove il rischio per la propria vita è costante e dove ha a disposizione tecnologie e device rudimentali, poco affidabili e sottoposti ad inadeguata manutenzione.
In missione non si ha un turno di lavoro definito con un numero preciso di ore, non si timbra il cartellino e non si rivendicano pagamenti per le ore lavorate in straordinario.
Durante la missione l’infermiere si troverà a svolgere diversi tipi di ruoli, tra cui:
– Il ruolo formativo e di supervisione, istruendo il personale locale in modo che, una volta finita l’emergenza, sia in grado di fornire la stessa qualità di assistenza sanitaria
– Il ruolo diplomatico in quanto per la realizzazione del progetto sanitario che l’organizzazione si è prefissata, è necessario relazionarsi con la popolazione locale ed i capi politici per giungere ad accordi e convincere della necessità di alcuni interventi sanitari e per farsi accettare dalla popolazione.
L’infermiere può prendere parte alle missioni come cooperante professionista, non ha nessun rapporto lavorativo con il SSN italiano e decide di operare unicamente in progetti sanitari esteri, oppure può collaborare a progetti sanitari in paesi in via di sviluppo, senza abbandonare il proprio rapporto lavorativo in Italia, grazie alla Legge 49/87 (che prevede la concessione ai dipendenti pubblici di periodo di aspettativa non retribuita per progetti di cooperazione finanziati dal Ministero degli Affari Esteri o dell’Unione Europea, con la conservazione del posto di lavoro).
Ciò che spinge un infermiere a scegliere di lavorare nella realtà delle emergenze umanitarie sono i valori etici e deontologici, il desiderio di poter essere utile a chi è meno fortunato e mettere la propria professionalità e competenza a servizio del beneficio della salute di quei popoli più svantaggiati, che infatti non dispongono della migliore assistenza sanitaria possibile.
Inoltre vi sono giovani infermieri che non trovando la possibilità di lavorare all’interno del Servizio Sanitario Nazionale sperimentano esperienze da inserire nel proprio curriculum formativo.
L’infermiere in missione può assistere a situazioni gravissime come azioni belliche, sequestri, evacuazioni improvvise, povertà estrema e ciò può essere traumatico e può richiedere la sorveglianza della sfera psicologica da parte di psicoterapeuti.
Anche il momento del rientro in patria del professionista che è stato in missione per lungo tempo potrebbe necessitare di riabilitazione psicologica e di un reintegro nella società occidentale.
Soprattutto per le missioni che portano gli infermieri ad assentarsi per lungo tempo dalla propria casa, dai propri cari e dalle proprie abitudini, sarebbe costruttivo elaborare una sorta di “periodo cuscinetto” per non farli sentire alieni nel proprio mondo e poter condividere il carico emotivo accumulato attraverso la compartecipazione ed il confronto.

LA MIA ESPERIENZA
Il 15 luglio 2021, una data scolpita nella mia memoria in quanto è il giorno in cui ho intrapreso il lungo viaggio verso Nassiriya in Iraq, per la mia prima missione umanitaria.
Sono un’infermiera di Anestesia presso l’U.O. di Sala Operatoria della Fondazione Toscana Gabriele Monasterio (FTGM) di Massa.
Mi è stato proposto di partecipare alla missione dall’associazione non governativa Emergenza Sorrisi Onlus, attiva in 23 paesi nel mondo e che opera bambini colpiti da gravi malattie al volto, quali labbro leporino, palatoschisi, malformazioni del volto, nonchè esiti di ustioni, traumi di guerra ed altre patologie invalidanti. Si impegna nella salvaguardia dell’ambiente per le generazioni attuali e future e porta avanti un attività di aggiornamento di formazione di medici ed infermieri locali e sostiene progetti di sensibilizzazione e di supporto alle comunità per promuovere la tutela dell’ambiente, l’uso consapevole delle risorse del pianeta e la realizzazione di uno sviluppo sostenibile.
Quando mi è stata proposto questo viaggio ammetto che sono stata pervasa da forti emozioni contrastanti di gioia e perplessità, che si alternavano vorticosamente.
Avevo il forte desiderio di partecipare ad una missione sanitaria e questa poteva essere la grande occasione; sarei dovuta partire insieme a molte persone che non conoscevo e conviverci continuamente 24 ore su 24 per una settimana, in un paese lontano 4000 Km dall’Italia, che era stato teatro di guerre ed attentati, con una tradizione e cultura molto lontana da quella occidentale.
Dopo una rapida valutazione ad ampio spettro decisi di partire, poiché sopra ogni cosa regnava il desiderio di portare le mie competenze ed il mio contributo allo scopo di garantire un futuro di maggior benessere e felicità a quei bambini ed a quelle famiglie meno fortunate per il fatto di essere nate in un paese con un sistema socio-sanitario più arretrato, incapace di rispondere completamente ai bisogni dei cittadini.
Il viaggio di andata e ritorno durò ciascuno due giorni fra treni, pulman, aerei e lunghe attese fra un imbarco e l’altro.
Sento più forte ora la stanchezza a ripensare a quel lungo e caldissimo viaggio, rispetto al momento in cui l’ho vissuta realmente, in quanto è come se il mio livello di coinvolgimento, entusiasmo e concentrazione mi avessero anestetizzato, sedato ogni recettore delle sensazioni stressanti e quindi, la fatica, il caldo e l’incertezza legata agli eventi nuovi non mi toccava.
La nostra equipe era costituita da: due anestesisti, tre infermiere di anestesia-rianimazione, due strumentiste, dal personale italiano e locale facente parte dell’Onlus Emergenza Sorrisi.
Quando siamo arrivati all’aeroporto di Nassiriya siamo stati accolti con un calore ed un affetto unici da tutto il personale locale incaricato ad accompagnarci a quella che sarebbe stata la nostra dimora durante i giorni della missione.
Abbiamo alloggiato in una guest house composta da camere triple, una cucina-sala da pranzo e un grande soggiorno.
Ogni camera aveva un bagno con doccia in cui l’acqua era caldissima e la si poteva trovare in determinate fasce orarie e non contemporaneamente in tutte le camere, perciò ci si organizzava in modo da avere tutti la possibilità di fare la doccia.
La guest house e l’Habboubi Teaching Hospital Nassiriya si trovavano in un piccolo ghetto recintato con il filo spinato e sorvegliato continuamente da personale militare.
Il primo giorno di missione ci siamo recati all’ospedale e abbiamo familiarizzato con gli spazi e gli apparecchi elettromedicali presenti ed organizzato i locali messi a nostra disposizione con i devices ed i farmaci portati dall’Italia.
Vi era una sala operatoria unica in cui si trovavano due postazioni, ciascuna munita di un letto operatorio, un ventilatore ed un sistema di monitoraggio dei parametri vitali.
In una stanza adiacente alla sala operatoria vi era quella che si può definire recovery room, nella quale l’infermiera dedicata monitorava, per tutto il tempo necessario, i pazienti nell’immediato post-operatorio, fase nella quale le complicanze immediate possono prendere facilmente il sopravvento. Vi era infine l’ultimo locale messo a nostra disposizione: la sala d’attesa, in cui i pazienti reclutati, con i loro familiari, attendevano di essere chiamati ed accompagnati all’intervento.
I genitori dei piccoli pazienti ci donavano fra le nostre braccia i loro affetti più amati e preziosi, senza alcuna perplessità e titubanza ma con piena gioia e completa fiducia.
Si percepiva che avevano paura ma questa era sopita dalla felicità che provavano sapendo che stavano sottoponendo i loro figli ad un intervento che gli avrebbe permesso di vivere più a lungo, con un benessere maggiore e sentendosi adeguati e compatibili con la società, che altrimenti li avrebbe discriminati ed isolati.
La giornata tipo iniziava con la ricerca di un bagno in cui era presente l’acqua, rigorosamente calda, in quanto le tubature erano sottoposte ad alte temperature tutto il giorno; la colazione con i prodotti portati dall’Italia e con quelli generosamente offerti dal personale che ci ospitava e proteggeva, (uova, thè al cardamomo, pane iracheno).
Dopo la colazione ci si recava a piedi all’ospedale e mentre noi infermieri ci preparavamo le postazioni da lavoro, i due anestesisti, insieme ai medici colleghi locali ed ai responsabili Onlus della missione si occupavano del reclutamento dei pazienti di lista operatoria.
Il reclutamento veniva fatto in ogni momento disponibile e consisteva in una rapida ma accurata visita anamnestica e raccolta dei parametri vitali.
Era una fase di grande impatto morale in quanto si assisteva a continue ondate di persone che accompagnavano i propri cari al cospetto di quelli che loro ritenevano essere dei salvatori, poiché potevano contribuire a rivoluzionare la vita del loro figlio o parente stretto in termini di salute, accettazione sociale ed incremento dell’aspettativa di vita.
Si operava dalla mattina alla sera permettendoci poche e brevi pause essenziali e alternandoci, in modo da non sospendere mai l’attività operatoria.
Mentre l’equipe operava, tutti i piccoli pazienti ed i loro genitori presenti in sala d’attesa venivano fatti partecipare a giochi animati da musiche, grazie ad un collaboratore di Emergenza Sorrisi che si travestiva da personaggi simpatici ed aveva un grande potere coinvolgente.
Al termine dell’attività chirurgica l’intero team si recava nelle stanze di degenza a fare il giro visite dei pazienti operati, per valutarli clinicamente e per farli sentire accuditi e coccolati.
I pazienti venivano gestiti da noi in ogni fase dell’intervento, dal reclutamento, all’accoglienza, alla fase dell’anestesia, alla fase di risveglio, fino alla degenza post-operatoria, cercando di assicurare un prendersi cura rispettoso delle tradizioni etniche e religiose.
Quando si finiva di lavorare si rientrava al guest house e si cenava tutti insieme con i colleghi iracheni, con i gestori della guest house ed il personale incaricato della nostra sicurezza.
Ogni sera ci veniva offerta una cena a base di specialità della tradizione irachena, in clima di festa ed allegria.
Si passava la serata nel salotto, chiaccherando, scherzando, condividendo aneddoti e tradizioni culturali, analizzando l’andamento della giornata trascorsa e infine ci si coricava per recuperare l’energia per l’indomani.
Abbiamo avuto anche impegni diplomatici e di rappresentanza.
Siamo stati invitati nella dimora del ministro della salute di Nassiriya, il quale ci ha reso il suo benvenuto e ci ha ringraziato caldamente per il nostro operato.
Ci hanno accompagnato a visitare quello che in tempi brevi sarebbe stato il nuovo ospedale di Nassiriya e quindi il nuovo teatro delle future missioni umanitarie.
Infine, nonostante la complessità di richiedere permessi ed organizzare una scorta sicura, ci hanno accompagnato a visitare lo Ziqqurat di Ur, un monumento religioso ricco di spiritualità e solennità.

CONCLUSIONI
Abbiamo effettuato 98 interventi su pazienti pediatrici ed adulti con diagnosi di labiopalatoschisi e anche con diagnosi di esiti cicatriziali secondari a gravi ed estese ustioni.
Vi erano pazienti che venivano operati per la prima volta e pazienti che erano al secondo o terzo intervento palliativo, in attesa di arrivare alla correzione definitiva.
Partecipare a questa missione è stata per me un’esperienza di grande impatto umano e professionale.
La nostra equipe ha lavorato con persone che parlavano una lingua diversa, con una cultura e tradizione diverse e che molto spesso adottavano protocolli operativi differenti e devices medici ed elettromedicali rudimentali. Il carico di lavoro mentale molto elevato, dovuto all’attività in sala operatoria, dove la soglia di attenzione deve essere sempre alta e reattiva ed alla quale si è aggiunta inoltre la tensione di lavorare in un luogo con elevate e particolari criticità e con ritmi operatori continuamente rapidi ed incalzanti.
Tale situazione ha creato un clima di grande condivisione, affetto, simpatia, complicità e solidarietà professionale con i nuovi colleghi, che ha trovato rapidamente un posto nel nostro cuore.
Il popolo iracheno che ho conosciuto è stato accogliente, ospitale, affettuoso, simpatico, ligio al dovere ma anche voglioso e capace di fare festa in allegria e spensieratezza.
Grazie alla loro frequentazione ho acquisito professionalmente un grande bagaglio di conoscenze tecniche e pratiche che mi hanno arricchito e potenziato.
Per lavorare in missione è utile avere un grande spirito di adattamento, un carattere equilibrato, tranquillo, paziente, capace all’ansia e alla paura di prendere il sopravvento, seppur giustificate e razionali. Queste qualità aiutano a fronteggiare situazioni nuove ed impreviste, che in questi contesti sono innumerevoli.
Il rientro a casa mi ha fatto vivere, per un breve periodo, un senso di vuoto, di smarrimento a causa del repentino cambio di stile di vita: da frenetico, adrenalinico, ricco di continue esperienze ed emozioni nuove, al ritorno alle mie abitudini lavorative e familiari.
In questa fase di adattamento mi è stato utile il confronto e la condivisione di emozioni e ricordi con le persone che avevano fatto la mia stessa esperienza.

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

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Bibliografia

– Ceci G. 15 giugno 1864, Nascita del primo Comitato della Croce Rossa in Italia e suo intervento nella 3a Guerra d’Indipendenza. Giornale di Medicina Militare 2011; 161(3): 227-234.
– Dunant, J. H., Un souvenir de Solférino, ed. it. a cura di Cipolla C e Vanni P., Franco Angeli 2009.
– Fee E. & Garofalo M. E. Florence Nightingale and the Crimean War. American Journal of Public Health: September 2010, Vol. 100, N°. 9, p. 1591.
– Marocchi M., La II guerra d’indipendenza nel Risorgimento Italiano (a cura di Cargnoni F.) in Tracce di storia VI, quaderni guidozzolesi, GVM, 2005.
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– Sterpellone L., Camici bianchi in camicia rossa. Medici e medicina del Risorgimento. Redazione, 2011.
– Viteritti R. (2014), Gli angeli senza frontiere. Disponibile all’indirizzo: www.tesionline.it (u.c. 28.07.2017).

Sitografia
– www.emergenzasorrisi.it
– www.nurse24.it
– www.infermiereonline.org
– www.difesa.it