Gestione del rischio suicidario nel Servizio sanitario nazionale: dai limiti clinico-organizzativi alle prospettive di eHealth


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INTRODUZIONE
Il termine suicidio descrive una morte causata da un comportamento lesivo autodiretto con l’intenzione di morire. Un tentativo di suicidio comprende un comportamento autodiretto e potenzialmente dannoso anche se non conduce a morte diretta. L’ideazione suicidaria, invece, è definita come il pensare o prendere in considerazione e pianificare un tentativo di suicidio (Hechinger et al., 2021).
Il suicidio è un grave problema di salute pubblica in tutto il mondo, con circa 800.000 decessi all’anno (Hofstra et al., 2020); nonostante ciò, l’ideazione e il comportamento suicidario sono ancora più comuni. Si stima che nella popolazione mondiale vi sia un’incidenza nel corso della vita, tra il 3% ed il 9% rispettivamente nei tentativi e nelle ideazioni suicidarie (Vandewalle et al., 2020).
Questi dati riflettono oneri elevati e duraturi per assistiti e persone coinvolte, tra cui familiari, amici e operatori sanitari. Nell’assistenza sanitaria contemporanea, sia la comunità che i servizi ospedalieri di salute mentale rappresentano vie di cura essenziali per le persone con ideazione e comportamento suicidario (Vandewalle et al., 2020). Considerando circa 16 milioni di tentati suicidi all’anno nel mondo, tale condizione rimane una delle principali cause di decesso prevenibile sia nei paesi in via di sviluppo sia in quelli sviluppati. Il 60% degli individui con pregressa ideazione suicidaria tenta il suicidio entro un anno dall’esordio dell’ideazione; un dato allarmante in termini di prevenzione, considerando che almeno il 50% dei decessi si verifica al primo tentativo (Martinengo et al., 2019). Il rischio di suicidio aumenta con maggior disponibilità ai mezzi autolesivi, con familiarità per disturbi di salute mentale e precedenti tentativi di suicidio.
Oltre il 90% delle persone decedute per suicidio è affetta da sindrome depressiva e/o sono consumatori di sostanze alcoliche (Martinengo et al., 2019). I programmi diffusi di prevenzione del suicidio basati su uno o più di questi fattori riducono con successo il numero di suicidi. L’identificazione tempestiva delle persone a rischio di suicidio è fondamentale per garantire valutazioni appropriate. In letteratura emerge che il 90% delle persone decedute per suicidio ha chiesto numerose volte aiuto e supporto sanitario nell’anno o nei mesi precedenti il decesso (Martinengo et al., 2019). Tuttavia, l’impegno degli operatori sanitari per identificare i pazienti a rischio deve affrontare ostacoli significativi, in particolare la riluttanza delle persone a comunicare l’ideazione, temendo la perdita di autonomia, la reazione eccessiva e lo stigma sociale.
Nella maggior parte dei paesi, quasi un terzo dei suicidi include i giovani ed è annoverato come seconda causa di morte nella fascia di età 15-29 anni (Clua-García R et al., 2021). Tra i metodi più comunemente usati vi sono: l’avvelenamento da pesticidi, l’impiccagione e l’utilizzo di armi da fuoco, salto nel vuoto ed overdose di sostanze psicotrope. Tuttavia, ci sono notevoli differenze tra paesi e genere.

Una limitata aderenza alla Raccomandazione Ministeriale: il contesto sanitario locale italiano
Nel 2008 la raccomandazione ministeriale italiana sulla prevenzione del suicidio in ospedale definisce aree chiave per la sua identificazione (Ministero della Salute, 2008). Gli ospedali italiani sono tenuti a recepire la raccomandazione ministeriale, declinandola attraverso propria documentazione interna (linee guida, raccomandazioni, protocolli, regolamenti) formulati sulla base delle esigenze locali.
Dal monitoraggio degli eventi sentinella nel territorio italiano (Cardone et al. 2009) emerge che il suicidio rappresenta l’evento sentinella più comune. Analizzando le cause e i fattori contribuenti il suicido, Cardone et al (2009) hanno notato una sostanziale mancanza di procedure appropriate per la gestione del rischio suicidario nel 34% dei casi, proponendo lo sviluppo di nuove raccomandazioni come possibile soluzione. Dall’attuazione da parte del Ministero della Salute italiano di un sistema di monitoraggio per la segnalazione degli eventi sentinella (Sistema Informativo per il Monitoraggio degli Errori sanitari – SIMES), il suicidio rappresenta, in termini assoluti, il secondo evento avverso segnalato negli ospedali. Esso è maggiormente diffuso nei pazienti ricoverati per malattie respiratorie, malattie cardiovascolari, endocrine, ematologiche e renali rispetto a quei pazienti ricoverati per un disturbo mentale (Matandela, 2017).
Ben il 40% dei casi di suicidio in ospedale si verifica in un’unità medica, mentre solo il 5% in un’unità psichiatrica (Cardone et al. 2009). In Italia la maggior parte dei casi di suicidio in ospedale prevede l’apertura di un procedimento penale a carico del personale sanitario. La necessità di documenti ufficiali adattati alla pratica clinica è diventata ancora più stringente dopo che il governo italiano ha emesso la Legge n. 24 dell’8/3/17, conosciuta come Legge Gelli-Bianco. Tra le novità introdotte, la Legge 24/2017 ha stabilito difensori civici regionali, in qualità di garanti per la tutela del diritto alla sicurezza delle cure. La Legge 24/2017 ha inoltre istituito in ogni Regione un centro per la gestione del rischio sanitario e della sicurezza del paziente, un ufficio responsabile della raccolta di dati su rischi, eventi avversi e controversie legali. I dati raccolti dai centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente vengono trasmessi elettronicamente su base annuale all’Osservatorio Nazionale delle Buone Pratiche sulla Sicurezza Sanitaria.
L’Osservatorio Nazionale delle Buone Pratiche su Salute Sicurezza sviluppa linee guida e adotta misure adeguate per la prevenzione dei rischi per la salute, monitora le buone pratiche per la sicurezza e aggiorna periodicamente i dati raccolti (Cardone et al. 2009). La legge “Gelli-Bianco”, in termini di responsabilità professionale, stabilisce che gli operatori sanitari devono svolgere il proprio mandato professionale uniformandosi alle raccomandazioni elaborate dalle società scientifiche incluse nell’elenco Ministeriale o in assenza, alle Buone Pratiche clinico-assistenziali.
La legge prevede che non vi sia alcuna responsabilità penale per il professionista se l’evento si è verificato a causa della sua inesperienza, purché siano state adottate le linee guida. Le disposizioni di legge per l’istituzione delle linee guida possono essere percepite come eccessivamente centralizzatrici, in particolare in un paese come l’Italia, dove le differenze regionali sono significative (Cardone et al. 2009). Tuttavia, le linee guida sono diventate metro di valutazione professionale. In tal senso, lo studio di Ferracuti et al (2020), si è posto l’obiettivo di verificare il libero accesso ai documenti ospedalieri sulla prevenzione del suicidio in Italia e la loro osservanza alle raccomandazioni ministeriali, prodotti dal 2008 al 2019.
La raccomandazione ministeriale esorta ad adeguato accertamento anamnestico indirizzato a precedenti tentativi di suicidio, consumo di sostanze stupefacenti, condizioni sociali e lavorative, perdita di fiducia e recenti eventi stressanti nella vita dell’assistito. Dovrebbe essere posta particolare attenzione alle persone che hanno un evidente disturbo psichiatrico, compreso il delirio e altri disturbi con impatto cognitivo o mentale; analogamente a coloro che presentano ideazione suicidaria o hanno compiuto un recente tentativo di suicidio o subito un lutto recente. La cura include il sostegno psicologico, il coinvolgimento dei familiari, amici e volontari, un’adeguata comunicazione tra i membri dello staff ed un approccio farmacologico. Quei pazienti che sono a rischio non dovrebbero essere lasciati soli. L’ambiente dovrebbe essere dotato di adeguate misure di prevenzione. La formazione continua del personale è considerata fondamentale, parimenti a procedure per comunicare il decesso del paziente ai familiari.
Le raccomandazioni includono cinque aree cardine che dovrebbero essere integrate dalle Istituzioni Sanitarie Locali:
1. Accertamento mirato: storia familiare, suicidio precedente e/o tentativi, ideazione al suicidio, adozione di una guida per il colloquio con il paziente, malattie concomitanti, aspetti socio-culturali, abuso di sostanze psicotrope letali.
2. Percorsi di cura: utilizzo della consulenza psicologica e psichiatrica, coinvolgimento di specialisti, famiglie e volontari. Promozione di terapie personalizzate, dimissioni protette e collegamenti con servizi territoriali.
3. Processi organizzativi: procedure specifiche basate su linee guida e supervisione dell’assistito.
4. Caratteristiche strutturali: dispositivi di sicurezza che non consentano un uso improprio delle misure volte a limitare l’accesso a mezzi o ambienti potenzialmente letali.
5. Formazione: formazione specifica del personale sia per la gestione dei pazienti che per le misure di sicurezza (formazione permanente e continua).
Ogni documento incluso nello studio di Ferracuti et al (2020) è stato valutato per ogni dominio sopra descritto, considerando una loro attuazione in conformità o meno alle raccomandazioni. Sono state recuperate trentatré procedure per la prevenzione del suicidio dai siti Web istituzionali delle Aziende Sanitarie Locali delle Regioni: Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto. Dallo studio emerge come ben undici documenti procedurali presentino una conformità solo parziale.
I metodi di raccolta dei dati dell’assistito attraverso un’anamnesi completa, sono stati descritti in circa due terzi delle procedure. La necessità di attuare la formazione del personale con una sua effettiva implementazione è emersa in meno della metà dei documenti. La stratificazione del rischio con uno strumento di valutazione è stata riscontrata in soli cinque casi. Tra questi, sono stati identificati ventuno strumenti diversi, senza considerare specifiche sulla loro validità prima dell’implementazione. La necessità di supervisione/osservazione quotidiana di un paziente è stata descritta in circa la metà dei documenti. La bibliografia di riferimento era solitamente la stessa riportata nella raccomandazione ministeriale. Nella quasi totalità dei documenti non vi sono indicazioni su come gestire i media in caso di suicidio del paziente.
Dallo studio emerge inoltre come la mancanza di una specifica formazione degli operatori sanitari rappresenti una grave carenza, in quanto ne prevista, né focalizzata su come dovrebbe essere implementata. Una possibile criticità risiede nel fatto che la raccomandazione ministeriale non fornisce specifiche indicazioni sulla sua declinazione a livello locale. Inoltre, solo un terzo delle procedure analizzate prevede l’utilizzo di strumenti standardizzati per la valutazione del rischio di suicidio. La maggioranza presuppone solo il colloquio anamnestico allegato alla raccomandazione ministeriale; un metodo viziato da limiti intrinseci nella valutazione del rischio suicidario. Un’ulteriore evidenza clinicamente controversa è la mancanza di stratificazione del rischio (Roaten et al. 2016; Stanley et al. 2019), che è previsto solo in un terzo dei documenti selezionati. Inoltre, su dieci documenti che hanno declinato una stratificazione di rischio, solo sette hanno identificato un percorso clinico-assistenziale in base alla gravità del rischio.
Quando gli operatori sanitari entrano in contatto con un potenziale rischio di suicidio, vi è la necessità di stabilizzare la clinica del paziente al fine di definire un miglioramento efficace ed una prognosi. In questo contesto, la rivalutazione quotidiana è certamente un importante aspetto clinico e organizzativo. Tuttavia, meno della metà dei documenti esaminati hanno indicato la necessità di una rivalutazione clinica quotidiana dei pazienti. Tutti i documenti esaminati prevedono un supporto aspecifico al paziente. Non vengono mai declinate quali competenze specifiche devono essere garantite nella supervisione clinica. L’assenza di documenti sull’identificazione e il monitoraggio dei precedenti tentativi di suicidio, rappresenta un altro dominio deficitario. Non vengono inoltre fornite indicazioni su come valutare il livello di sostegno ambientale, il grado di consapevolezza della malattia e la valutazione della capacità dei pazienti di fornire il consenso informato al trattamento (Mandarelli et al. 2014). Dal punto di vista organizzativo, nessun documento fa riferimento ad una valutazione rapida del rischio suicidario con attribuzione di uno specifico codice di emergenza nella procedura di triage. In ultimo, non vengono segnalati strumenti al supporto educativo per il paziente e la sua famiglia.

L’Infermiere come figura centrale nella gestione del rischio suicidario
Nell’assistenza sanitaria contemporanea, sia comunitaria che ospedaliera i servizi di salute mentale e di emergenza rappresentano importanti mezzi di aiuto per le persone con ideazione e condotta suicidaria. Le Linee guida sovente non considerano l’interazione assistito-sanitario nella prevenzione suicidaria. Nei contesti clinici, le prospettive delle persone con ideazione e comportamento suicidario sono spesso trascurate.
Spesso vengono forniti agli infermieri pochi contenuti di analisi critica su come interagire con l’assistito, come introdurre un primo contatto, come relazionarsi attraverso una comunicazione efficacie e come predisporre gli interventi di prevenzione suicidaria (Bernert et al., 2014). Inoltre, le linee guida per la prevenzione del suicidio spesso si concentrano sugli esiti clinici attesi dagli infermieri, piuttosto che riflettere sull’interazione con gli assistiti.
Gli infermieri riconoscono una serie di problematiche nella gestione del suicidio, legate a carichi di lavoro elevati, mancanza di tempo ed insicurezze che ostacolano la relazione con i pazienti. Tuttavia, il più grande limite alla gestione del suicidio sembra essere la mancanza di una formazione specifica, in particolare per gli infermieri che operano negli ospedali di medicina generale. Gli stessi infermieri, specialmente i meno esperti, richiedono una maggiore formazione in materia di salute mentale, in considerazione dei numerosi domini della gestione suicidaria (Clua-García R et al., 2021).
A livello strategico ed organizzativo, emerge come le aziende sanitarie non colmino ad ora, ampi margini di rischio per gli utenti e, di conseguenza, anche per l’équipe di cura (Ferracuti et al.,2020). Il rischio suicidario, anche se è sostanzialmente una condizione imprevedibile, può essere gestita in modo razionale e professionale una volta identificati i fattori di rischio. La La Registered Nurses’ Association of Ontario (RNAO), con il finanziamento del Governo statunitense, ha intrapreso un programma pluriennale di sviluppo, diffusione e sostegno all’adozione di Linee Guida per una miglior pratica infermieristica. Nel 2009 ha sviluppato Linee Guida sugli interventi infermieristici legati alla valutazione e gestione del rischio suicidario (Santa Mina et al., 2009). Nel dettaglio, per rispondere ai bisogni dell’assistito a rischio di ideazione o condotta suicidaria, l’infermiere:
– Considera tutte le affermazioni o i comportamenti verbali e non verbali dell’assistito che possano indicare, direttamente o indirettamente, un desiderio o un potenziale rischio di suicidio.
– Si impegna a stabilire una relazione terapeutica con gli utenti a rischio di ideazione e comportamento suicidario. Le qualità della relazione terapeutica sono rappresentate dall’ ascolto attivo, stabilendo fiducia, rispetto, autenticità ed empatia in risposta alle preoccupazioni del paziente.
– Si relaziona con l’assistito per minimizzare i sentimenti di vergogna, colpa e stigma associati alla suicidalità. All’interno della relazione terapeutica devono sussistere rispetto, tolleranza e sostegno all’autostima dell’assistito in modo da minimizzare questi sentimenti.
– Fornisce assistenza attenendosi ai principi di sicurezza e competenza culturale. Deve riconoscere che sia l’assistito (come individuo, famiglia e/o comunità) che l’operatore sanitario, sono “portatori di cultura” in una relazione biculturale. Ciò richiede una valutazione di ogni individuo all’interno dei processi storici, sociali, economici e politici che influenzano l’assistenza sanitaria, la salute e il benessere. Per gli infermieri, in linea con il mandato sociale e comunitario, un obiettivo sfidante è rappresentato dalla riduzione delle disuguaglianze, che impattano sull’accesso alle cure, la salute e la qualità di vita.
– Valuta e gestisce i fattori che possano influenzare la sicurezza fisica dell’assistito e del team multidisciplinare. L’infermiere deve porre attenzione al setting di cura e a qualsiasi mezzo autolesivo che possa costituire una minaccia per la sicurezza comune.
– Garantisce la dignità dell’assistito. Le esigenze emotive e psicologiche dovrebbero essere bilanciate con quelle di sicurezza fisica. Per esempio, gli interventi restrittivi, come l’isolamento o la contenzione, possono ostacolare il recupero psico-fisico, alimentando una condizione di scarso controllo psicomotorio.
– Riconosce gli indicatori chiave che pongono un individuo a rischio di comportamento suicidario, anche in assenza di manifesta tendenza suicidaria. Per gli individui che presentano fattori di rischio, l’infermiere effettua e documenta l’accertamento dell’ideazione e pianificazione suicidaria. Una valutazione completa del rischio implica intervistare l’utente, esaminare le sue cartelle cliniche e/o raccogliere informazioni dalla sua famiglia o da altre persone significative. Indicatori chiave del rischio possono essere evidenti nel modo di presentarsi dell’assistito, nella sua storia, nelle sue condizioni sociali e di vita. La presenza di fattori protettivi e di rischio deve essere annotata nella cartella clinica del paziente (Tab. 1). Per condurre un accertamento completo dell’ideazione e del piano suicidario, possono essere utilizzati il colloquio clinico e strumenti di valutazione validi e affidabili per raccogliere informazioni specifiche sulla presenza di fattori protettivi e di rischio clinico o sociale.
– Raccoglie informazioni da tutte le fonti disponibili (famiglia, amici, supporto comunitario, cartelle cliniche e professionisti della salute mentale) attivando risorse appropriate ed identificando i principali soggetti che possono essere disponibili per un supporto. L’infermiere promuove inoltre consapevolezza famigliare sulla gestione del rischio suicidario.
– Garantisce che l’impegno terapeutico rifletta una riduzione del rischio di suicidio nell’assistito. Gli assistiti percepiscono maggiore sicurezza nelle cure e meno frustrazione quando conoscono gli infermieri all’interno di una relazione terapeutica. L’osservazione clinica è un’opportunità per impegnarsi in interazioni terapeutiche con gli assistiti.
– E’ coinvolto con l’assistito nello sviluppo di strategie al fine di soddisfare i bisogni prioritari di salute. Utilizza un approccio problem-solving reciproco per agevolare l’assistito nella comprensione di come siano percepiti i suoi problemi e si generino soluzioni. Tali strategie sono finalizzate a facilitare l’accesso ai servizi socio-sanitari e la partecipazione attiva ad ambienti sociali utili a promuovere nuove motivazioni e benessere della persona assistita.

Tabella 1. – Principali fattori Protettivi e di Rischio Suicidario (Santa Mina et al., 2009).

Prospettive di e-Health e di sicurezza delle cure
Ad oggi, visto il gravoso impatto sociale, economico ed assistenziale degli eventi suicidari, risulta imprescindibile una valutazione olistica che comprenda un ampio ventaglio dei bisogni degli assistiti e le cause dell’ideazione suicidaria per una sua corretta individuazione e gestione clinica. L’infermiere rappresenta una delle figure cardine nel percorso diagnostico e terapeutico della persona con ideazione o condotta suicidaria. È necessario, pertanto, per i decisori politici ed i professionisti, prendano consapevolezza che i protocolli e le procedure sulla prevenzione del suicidio negli ospedali italiani presentano indicazioni ancora troppo generiche, lasciando spazio ad interpretazioni che non consentono uniformità ed appropriatezza clinico-organizzativa sul territorio nazionale. Le procedure Istituzionali di matrice regionale dovrebbero essere redatte e attuate con maggiore aderenza alla raccomandazione ministeriale, considerando i molteplici domini nella valutazione del rischio suicidario (Ferracuti et al., 2020). Il giudizio clinico dovrebbe essere supportato da adeguati strumenti di screening e identificazione del livello di rischio suicidario. Gli strumenti di screening dovrebbero inoltre essere di facile accessibilità e somministrazione, auto esplicativi e senza la necessità di una formazione troppo specifica per una loro interpretazione. Il Nurses’Global Assessment Suicide Risk (NGASR-ita) ad esempio, è uno strumento validato in lingua italiana con significativa sensibilità, specificità e valore predittivo (Ferrara et al., 2019). Lo strumento è stato costruito per determinare un livello di rischio suicidario, ma può anche essere utilizzato come strumento di screening nell’identificazione dei pazienti che necessitano di ulteriori rivalutazioni cliniche. Il suo utilizzo consentirebbe di intraprendere in modo precoce, un percorso per il paziente, attivando, in modo appropriato, risorse multiprofessionali ed interventi multicomponenti in molteplici contesti di cura.
Altri asset per la gestione del rischio suicidario sono riconducibili alle risorse di eHealth. Internet, negli ultimi anni, soprattutto durante la pandemia da COVID-19, è diventato uno strumento per la gestione del suicidio. Sono state sviluppate numerose applicazioni dotate di diverse strategie. Le esperienze delle persone con ideazione o tentativi suicidari si sono rivelate estremamente utili per progettare prodotti eHealth che possano supportare operatori e pazienti attraverso un’assistenza continua (Martinengo et al., 2019). Il 40% delle persone con atteggiamenti suicidari non cerca o non ha accesso all’assistenza sanitaria, in particolare nei paesi in via di sviluppo (Martinengo et al., 2019). Gli interventi digitali erogati tramite piattaforma online o dispositivi mobili possono aumentare l’accesso finalizzato al sostegno e al percorso di cura. I pazienti, infatti, si sentono più a loro agio nel discutere di salute mentale tramite piattaforme online piuttosto che in un incontro in presenza; questo poiché internet è accessibile, meno invasivo e comodo (Richards JE et al., 2019).
Nell’ultimo decennio, il mercato delle applicazioni per la salute è cresciuto, con accessibilità a più di 10.000 app per la salute mentale. Tuttavia, pochissime applicazioni disponibili negli app store sono state valutate in studi clinici o da organismi di regolamentazione, quali la Food and Drug Administration (FDA). Attraverso una revisione sistematica (Martinengo et al., 2019) è stato valutato il grado di conformità delle applicazioni virtuali alle linee guida per la gestione del rischio suicidario. L’analisi delle applicazioni ha esplorato le strategie di prevenzione suicidaria, la qualità del servizio e l’analisi delle risposte fornite all’utente in chatbot. La maggior parte delle app fornisce strategie attraverso informazioni di contatto in emergenza, accesso diretto a una linea di assistenza in caso di crisi o condotte suicidarie. Nello specifico è stato valutato l’umore, l’ideazione e la condotta suicidaria degli utenti. Nessuna app ha chiesto informazioni su fattori protettivi o di rischio. La strategia di prevenzione includeva informative a scopo educativo, una valutazione dell’umore e della suicidalità e l’accesso al supporto di rete. Inoltre, offrivano attività volte a migliorare il benessere, la consapevolezza, favorendo la meditazione, hobby o attività all’aperto, l’esercizio fisico o consigli per uno stile di vita sano.
La gestione delle persone a rischio di suicidio è complessa e richiede una collaborazione tra la persona interessata, la sua rete di sostegno e un’équipe sanitaria multidisciplinare. Le app mobili potrebbero offrire strumenti per il monitoraggio in tempo reale delle persone a rischio, ed accesso al supporto sanitario ogni qualvolta sia necessario. Tuttavia, le app dovrebbero essere viste in modo complementare ad un rapporto paziente-operatore e mai come un sostitutivo. Dai risultati in letteratura emerge chiaramente la mancanza di autoregolamentazione e autocontrollo del settore (Martinengo et al., 2019). Risulta necessario, inoltre, che le app non contengano scostamenti e siano conformi alle linee guida. Pertanto, è auspicabile che nel futuro vi sia una solida regolamentazione ed autocontrollo nelle applicazioni di eHealth in modo da rilevare eventuali inadeguatezze del sistema e garantire sicurezza dei contenuti per gli assistiti prima di una loro introduzione sul mercato (Martinengo et al., 2019).

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

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Bibliografia

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