Quando l’organizzazione non cura


La pervasività e la rigidità della burocrazia nei luoghi di cura può anche determinare l’interruzione di un servizio. È ciò che è successo ad Angela Di Giaimo, figlia, caregiver di sua madre, cittadina e infermiera che si è vista interrompere il servizio di cure palliative. L’abbiamo incontrata per farci raccontare la sua esperienza.
Il suo racconto e le sue profonde riflessioni partono da uno stralcio della lettera che dopo quanto accaduto a Rachele, sua madre, ha inviato a Regione Lombardia, ASST, ATS, Direzioni Generali, Giornali, TV, Società Scientifiche, Dirigenti del settore in questione.

La lettera…
Cure palliative domicialiari: un diritto negato
Rachele è sempre stata una donna intraprendente, decisa e positiva. È felicemente sposata da 62 anni con Vincenzo che ama come il primo giorno, ha quattro figli.
E’ mia madre.
Una raucedine, un abbassamento di voce, un’ecografia al collo, una visita specialistica e, nel giro di pochi giorni, la diagnosi. Un tumore altamente invasivo che ha infiltrato tutte le strutture del collo, trachea compresa: nessuna cura è possibile se non un intervento, palliativo e non risolutivo, di tracheotomia. Rachele, mia mamma, con lucidità e coraggio, rifiuta la tracheotomia e decide di stare con la sua famiglia, vivendo i suoi ultimi giorni fra le mura domestiche in quella routine che rassicura e che è divenuta ormai sempre più preziosa.
L’unica cosa che chiede, con serenità e determinazione, è quella di essere accompagnata nel suo ultimo tratto di vita e, sapendo di rischiare di morire soffocata, chiede di avere una sedazione palliativa quando si renderà necessaria.
Tutta la mia famiglia condivide con lei le sue scelte e, con il nostro medico di medicina generale, inoltriamo la richiesta per ottenere le Cure Palliative Domiciliari.
L’infermiere che accoglie la richiesta, una collega con la quale ho lavorato diversi anni sul territorio di Orzinuovi, con la voce incrinata dall’emozione e dall’imbarazzo, ci dice che il servizio è sospeso per la mancanza di medici palliatori. Purtroppo anche i servizi privati accreditati, per diversi motivi, non possono rispondere alla nostra richiesta. Incredula chiamo i referenti delle cooperative e studi accreditati UOCPDOM (Unità Operativa di Cure Palliative Domiciliari) che mi confermano l’indisponibilità. Per una volta, vorrei fare la figlia e non l’infermiera: con mia mamma è un’altra cosa!

Sento l’hospice: i posti letto sono stati ridotti per carenza di personale ed è necessario inoltrare la richiesta per mettersi in lista d’attesa. Lista d’attesa? Come è possibile mettersi in lista d’attesa quando il futuro non esiste?
Rabbia, senso di abbandono, senso di tradimento, solitudine…. Emozioni forti che condividiamo in famiglia soprattutto quando la notte si avvicina e il timore della nostra impotenza di fronte alle sofferenze della mamma, si fa più intensa.

Che fare? Ci rimbocchiamo le maniche, ci facciamo aiutare dal nostro medico e proviamo ad andare avanti nella speranza di non tradire la promessa fatta alla mamma, ovvero quella di non farla soffrire troppo.
Il 10 novembre, a causa di una grave crisi respiratoria, la mamma muore.
Solo per un caso fortuito siamo riusciti a mantenere la promessa fattale, ovvero quella di accompagnare la mamma con una sedazione: infatti, al momento della violenta crisi respiratoria era presente la dottoressa dell’hospice, da noi richiesta per la valutazione di un possibile ricovero.

Dobbiamo ringraziare il destino e la “fortuna” oltre che la dottoressa stessa che, intervenuta con professionalità e competenza, ha messo a disposizione i farmaci che noi non avremmo avuto la possibilità di avere e utilizzare in modo appropriato.
La mamma muore nel suo letto il giorno prima della giornata in cui si ricorda San Martino, il Patrono delle Cure Palliative, colui che 1.700 anni fa, incontrando un mendicante sofferente per strada, decise di tagliare a metà il suo mantello (pallium, appunto) per offrirglielo come ristoro e protezione.

Rachele, mia mamma, nell’anno 2021 purtroppo, non ha potuto avere la sua parte di mantello, non ha avuto né la pace, né il ristoro di cui aveva bisogno poiché le è stato negato il diritto di avere una presa in carico da parte di un’equipe specializzata in Cure Palliative.
La mia non vuole essere una lamentela, tantomeno una polemica ma ritengo doveroso, denunciare un diritto alle cure negato.
Negato a persone semplici, oneste che hanno sempre avuto fiducia e rispetto nei confronti delle istituzioni e che, da queste ultime, si sono sentite drammaticamente tradite proprio nel momento del maggior bisogno.

Coloro che hanno fino ad oggi operato nelle equipe territoriali, hanno messo a disposizione dei cittadini tutto il possibile a loro disposizione e, a volte, hanno tentato anche l’impossibile. Essi, hanno spesso colmato quei vuoti istituzionali ormai cronici che oggi si sono fatti ancora più profondi e diffusi.
Che cosa mi aspetto?
Io, la mia famiglia e anche Rachele, ci saremmo aspettati una lungimiranza delle Istituzioni, un’alleanza fra Università, Ordini Professionali, Associazioni, Sindaci e tutti coloro che devono prendersi a cuore i fragili. Ci saremmo aspettati un rinforzo, una promozione dei servizi territoriali soprattutto quelli rivolti al sostegno delle famiglie, agli anziani, ai malati terminali.
Ci saremmo aspettati un maggior coinvolgimento di coloro che con competenza e professionalità, proprio perché quotidianamente a contatto con i bisogni delle persone, da tempo, invocano una presa di posizione chiedendo almeno di essere ascoltati. Gli operatori “al fronte” non hanno più strumenti e risorse: le famiglie piangono in solitudine i loro cari e le istituzioni, talvolta con presunzione e arroganza, continuano su una linea politica sorda alle istanze e attenta ai voti.
Mi aspetto che almeno i Sindaci, siano in grado di riappropriarsi di un doveroso ruolo politico anche in tema di servizi socio sanitari e di territorio. Il raccordo fra la comunità e le istituzioni regionali manca e questo vuoto deve necessariamente essere colmato con il contributo di chi conosce e presidia i propri ambiti comunali e conosce i bisogni dei cittadini residenti.
I referenti delle ASST della Provincia di Brescia, riuniti in un Dipartimento sovra-zonale, sono certa, hanno già proposte e progetti per poter affrontare la carenza del servizio di Cure Palliative Domiciliari: hanno solo bisogno di qualcuno che li ascolti e che superi le rigidità burocratiche che talvolta ingabbiano proposte intelligenti, pratiche e soprattutto immediate.
Nel mio piccolo, vorrei credere ancora nei principi di universalità, globalità, decentramento ed equità delle cure, voglio credere ancora nei principi della legge 38 del 2010 sulle cure palliative e sulla gestione del dolore.
Vorrei credere ancora nell’esistenza di istituzioni al servizio del cittadino, in grado di progettare e pianificare i servizi in una logica di presa in carico globale.
Voglio credere ancora nel rispetto della Dignità delle Persone, anche quando percorrono il loro ultimo tratto di vita.
Aiutatemi a crederci ancora.
Grazie

Le sue riflessioni…
Questa è la lettera che, con disperazione e determinazione ho inviato a varie istituzioni (Regione Lombardia, ASST, ATS, Direzioni Generali, Giornali, TV, Società Scientifiche, Dirigenti del settore in questione, ecc).
Molti non mi ha risposto, qualcuno sì.
Qualcuno, addirittura, si è pure preso la briga di elencarmi ciò che, nel suo “piccolo”, ha fatto per gestire una situazione che si sapeva sarebbe precipitata e che nell’arco di qualche mese avrebbe provocato l’interruzione del Servizio di Cure Palliative Domiciliari. Infatti, la sospensione del servizio era preventivata da tempo per ragioni indubbiamente complesse e oggettive: tuttavia, a fronte di ciò, a vari livelli dell’ organizzazione sanitaria in questione ciascun “attore” aveva ipotizzato e proposto piccole ma efficaci soluzioni. Se non possiamo risolvere tutto il problema, cerchiamo almeno di attutirne almeno le conseguenze con ciò che abbiamo a disposizione. Insomma un piccolo lavoro artigianale fatto da persone esperte che propongono, suggeriscono, anticipano varie, piccole, ma significative soluzioni pur di non interrompere il servizio. Tutto andato nel vuoto.
Ecco che entra in scena LA BUROCRAZIA, insomma quella “bestia” che, in modo invisibile ma devastante, rallenta e inceppa ogni possibile soluzione in nome di qualcosa di teorico.
E’ necessario chiedere il permesso a…
Dobbiamo avere l’autorizzazione per…
Il budget non è sufficiente…
Dobbiamo discuterne a livello di Dipartimento…
L’Università non promuove Corsi di Specializzazione in Cure Palliative…
Non troviamo Consulenti con questa specializzazione…
L’emergenza COVID ha ridotto i posti letto per gli Hospice…
Ecco che il meccanismo delle scatole cinesi, frammenta a tal punto le responsabilità che nessuno dei livelli organizzativi ne risponde, poiché “la colpa” è sicuramente di qualcun altro. Solo a pensarci mi viene un senso di vertigine.
Ecco, L’ORGANIZZAZIONE CHE CURA, è esattamente il contrario.
Prendersi CURA di qualcuno è scoprirsi la goccia che fa traboccare il vaso, è scoperchiare questioni che impediscono la gestione di processi assistenziali o che non consentono la realizzazione di quanto la normativa (e la deontologia) prevede.
Il diritto alla salute e anche il diritto al morire con dignità NON può e NON deve essere sottaciuto e messo a piè di lista perché la macchina burocratica è inceppata in meccanismi “formali” e “istituzionali”.
Chi governa chi? Chi è funzionale a chi? Sono spesso le domande che mi pongo. Quanto queste scelte sono funzionali alla Persona e quanto, invece, è la Persona che deve continuamente adattarsi alle presunte necessità delle organizzazioni sanitarie?
E’ il paradigma che risulta essere errato: se non è più la PERSONA AL CENTRO di tutti i processi produttivi, significa che è necessario un forte ripensamento valoriale dove si dovrebbe togliere la parola PRESTAZIONE per sostituirla con la parola PRESA IN CARICO e dove i livelli di remunerazione (BUDGET) sono sugli ESITI e non solo sugli INTERVENTI; dove la CONTINUITÀ e la PROSSIMITÀ sono una realtà di TUTTI i cittadini e NON solo un privilegio di quei pochi che hanno ancora la FORTUNA di avere a disposizione i servizi pubblici previsti dai LEA!!!
La FORTUNA, come quella che ha consentito a Rachele di essere assistita quando ha avuto la crisi respiratoria fatale solo perché casualmente avevamo a casa la dottoressa dell’HOSPICE che doveva valutarla, NON deve essere il presupposto che ci riconosce un DIRITTO sancito dalla LEGGE!
Mi aspetto un sistema sanitario maturo e che non ruoti solo attorno ai budget e alla gerarchia fatta di nulla se non addirittura di incompetenza.
Auspico dei livelli che mostrino COMPETENZA nella previsione e nella gestione delle criticità, a tutti i livelli, perché sono certa che esistono ancora operatori ESPERTI in grado di fornire soluzioni e contributi importanti: basterebbe ascoltarli un po’ di più.
Se fosse un quadro, immagino la burocrazia come un’opera di M.C. Escher – Relativity (1953) – , dove in un sistema di scale infinito, la gente si muove invano senza mai arrivare a nulla.
Purtroppo non posso scrivere la mia testimonianza solo da figlia/caregiver poiché, essendo infermiera, ho vissuto dall’interno delle organizzazioni sanitarie alcuni fenomeni che, negli anni, sono solo peggiorati e rischiano di portarci verso una deriva schizofrenica e pericolosa.
Tuttavia confido ancora nel CORAGGIO e nella PERSEVERANZA di infermieri ed nelle EQUIPE di CURA che, nonostante tutto, riescono ancora a combattere questo mostro invisibile chiamato BUROCRAZIA.
Si, proprio come SAN GIORGIO e il DRAGO!

Come ci insegna la psicologia sociale, quando configura la “diffusione di responsabilità”, se ognuno è responsabile di qualcosa ma non c’è convergenza intorno a obiettivi e percorsi e manca una visione, di fatto nessuno lo è. (MV)

Marina Vanzetta
7 novembre 2022

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