“Accogliere” le fragilità


“Senza le persone fragili, la superficie del mondo sarebbe molto più dura”. (Fabrizio Caramagna)

A.I.N.S., Associazione Italiana Nursing Sociale, una realtà che opera dal 2000. Ha iniziato la sua attività in Guatemala ma è attiva anche a Pavia, città di origine dei fondatori.
In 22 anni di attività, molti i progetti realizzati: le parole chiave nursing e sociale, lo sguardo sulle persone fragili.
Abbiamo incontrato il Presidente di A.I.N.S. Ruggero Rizzini per entrare un po’ più nel merito.

Ruggero, perché nursing e sociale?
AINS ODV nasce dopo una serie di esperienze di cooperazione socio sanitaria in Guatemala, un piccolo paese tra i più poveri del Centro America. Il primo viaggio lo facemmo nel 1998, due anni dopo la firma degli accordi di pace che ponevano fine a 36 anni di guerra civile. Decidemmo di partire dopo aver conosciuto un prete di Brescia, Don Renato Piccini, presente in Guatemala con azioni di solidarietà da prima della nostra partenza. Fu lui che ci convinse a partire e prima di farlo ci disse che ne valeva assolutamente la pena ma dovevamo farlo con un’attenzione particolare all’ascolto, all’incontro e a tutto quello che vedevamo girando per il Paese.
Inoltre, ci disse: “se volete veramente conoscere il paese dovete stare con la gente e, visto che siete infermieri, essere umili e non pensare di andare in Guatemala per insegnare ma soprattutto per imparare”.
L’idea di Andrea Bellingeri, ai tempi Presidente AISLeC di creare l’associazione e mettere la parola sociale nell’acronimo AINS nasce soprattutto dall’esperienza in Guatemala che ci ha fatto capire che il bisogno sanitario non è solo un problema di salute ma ha origini lontane e se si vuole soddisfare un bisogno occorre tenere conto di tanti altri bisogni. Il Guatemala, ma anche le persone fragili che abbiamo conosciuto a Pavia, oltre al problema di salute hanno il problema di non mangiare adeguatamente, di vivere in case che non possono essere chiamate così, di non avere un lavoro, di non avere vestiti puliti, non lavarsi e tanto altro compresa la socialità.
E poi l’uomo è un animale sociale e l’infermieristica, rivolgendosi all’uomo, è sociale. Dopo di che, per quanto mi riguarda, già ai tempi della scuola per infermieri che ho frequentato negli anni novanta c’era da parte mia un interesse a quel mondo di disperati e disagiati che vedevo a Pavia per cui appena diplomato, dopo una breve esperienza in onco-ematologia pediatrica, ho chiesto di andare a lavorare in malattie infettive dove stavano arrivando, nel 1994 i primi malati di HIV e da li tutto è partito e si è collegato.

Quale fragilità intercettate per i vostri progetti a Pavia?
Principalmente persone come i senza fissa dimora e gli anziani collaborando con altre associazioni di volontariato in microprogetti educativi, sanitari, sociali. Prima del Covid abbiamo realizzato un progetto di educazione e prevenzione in collaborazione con un gruppo di educatori all’interno di uno SFA (Servizio di Formazione all’Autonomia) un servizio socio-assistenziale rivolto a persone disabili che hanno e avevano bisogno di sviluppare consapevolezza, autodeterminazione, autostima e maggiori autonomie spendibili per il proprio futuro nei contesti familiare, sociale e professionale.
Qui siamo andati a spiegare l’importanza dell’igiene personale e ambientale come ci era stato chiesto dagli educatori. Fu un’esperienza breve ma importante che facemmo insieme a Cesare Alitta, un OSS che lavorava ai tempi in malattie infettive. Perché coinvolgerlo? Perché spesso i ragazzi disabili, ci dicevano gli educatori si rapportano con loro quando li incontrano a domicilio. Una cosa divertente che ci raccontarono sempre gli educatori è che quando i familiari hanno bisogno di un consiglio, ancora prima di andare a chiederlo a professionisti sanitari (medico, infermiere, farmacista), lo chiedono alla parrucchiera che in un contesto di paese o di quartiere è una persona da interpellare. E poi noi come infermieri di AINS ODV crediamo molto nella collaborazione per cui collaboriamo con altre associazioni che non si occupano necessariamente di salute e con altre figure professionali come gli OSS, gli educatori, le assistenti sociali, gli psicologi e chi si occupa di clowneria. Insomma, con chi ha idee e esperienze da condividere che possano diventare progetti.

Uno dei vostri progetti “l’armadio dei pigiami”
Ancora prima della pandemia da Covid ci siamo accorti che la popolazione che chiedeva aiuto era cambiata. Erano ancora i “classici” fragili (senza fissa dimora, tossicodipendenti, malati di HIV) ma c’erano tanti anziani, grandi vecchi, che ricoverati non avevano un cambio di biancheria, un paio di mutande. Mi ha sempre colpito e mi colpisce ancora adesso vederli arrivare in reparto accompagnati in barella dai portantini insieme al loro sacco nero con dentro, di solito, i vestiti che indossavano quando sono stati portati in Pronto Soccorso.
E poi c’è un altro aspetto che mi colpisce molto: ci sono molti anziani che non hanno figli, vivono con la moglie o il marito anch’essì anziani oppure, se hanno figli, non ci sono, raramente li vengono a trovare in ospedale. E’ chiaro che in questa situazione le difficoltà aumentano, come anche la solitudine, per cui abbiamo deciso di “copiare” un progetto di un’associazione di volontariato piemontese e dopo aver chiesto il permesso abbiamo adattato al nostro contesto il loro kit che contiene ciò che potrebbe servire quando si viene ricoverati: maglietta di ricambio, mutande, spazzolino, saponetta, ecc.
E’ un piccolo aiuto che continua anche se in maniera minore rispetto a quando siamo partiti e la cosa interessante è che atttraverso questo progetto abbiamo potuto parlare di solitudine e fragilità a tante persone, anche attraverso la stampa locale, che ci donavano materiale. E poi questo piccolo progetto ci ha dato la possibilità di metterci in contatto con le assistenti sociali dell’ospedale che ci chiamano per chiederci di portare vestiti in questo o quel reparto. Manca ancora la consapevolezza degli infermieri ma poco a poco arriverà anche da loro. Che poi noi non ci siamo inventati nulla: già nel 1990 quando ho iniziato a studiare infermieristica mi ricordo che nei reparti c’erano le scorte di pigiami per chi non ce li aveva. Ora questo non succede più o è raro che succeda preferendo vestire i ricoverati che non hanno nulla con quei camici verdi da sala operatoria. Ma non è la stessa cosa.

Poi c’è stato anche l’infermiere di quartiere…
Si, è nato in un quartiere di Pavia più di sei anni fa. E’ stata una collaborazione tra la nostra associazione e un’APS, un’Associazione di Promozione Sociale che gestiva le attività all’interno di un comitato di quartiere frequentato da anziani che tre-quattro volte alla settimana si trovano per stare insieme, giocare a carte, socializzare, chiacchierare, mangiare e ballare.
Tutto è partito da un bando del Comune di Pavia con un progetto di mappatura dei bisogni delle persone che frequentavano il comitato di quartiere e poi, con i numeri in mano, siamo partiti mettendo all’interno della struttura un’infermiera due ore alla settimana il mercoledì. Non essendoci un ambulatorio l’infermiera non poteva fare prestazioni ma solo azioni di educazione e prevenzione. La presenza dell’infermiera veniva garantita da una cooperativa, il suo compenso era a carico della nostra associazione A.I.N.S. ODV. E’ stato un progetto che è durato tre anni, nato da un piccolo bando per poi continuare con i finanziamenti di un altro bando molto più grande che abbiamo vinto. L’infermiere di quartiere è stato un progetto di prossimità che ci ha dato l’opportunità di conoscere il mondo degli anziani e che ci ha aperto la strada per poi lavorare per due anni ad un altro progetto insieme a 25-30 senza fissa dimora e persone fragili con doppia diagnosi ospiti di un centro diurno. Da un’opportunità ne nascono, certe volte, altre molto interessanti se si ha voglia di leggere la realtà che ci circonda.

Tre anni fa l’infermiere scolastico, un progetto entrato tra le buone pratiche premiate da FNOPI nel corso del Congresso di quest’anno “Ovunque per il bene di tutti”. Come continua il suo sviluppo?
Un progetto che ci sta dando tante soddisfazioni e che continua. Questo è il terzo anno che è presente l’infermiera scolastica nell’Istituto comprensivo (elementari e medie) di San Martino Siccomario, una piccola cittadina di circa 6 mila abitanti a pochi chilometri da Pavia.
Tutto nasce da un incontro, era agosto, in paese con il Sindaco che mi dice queste parole che ricordo ancora: “Durante questo periodo di Covid ho capito quanto è importante l’infermiere! Hai un progetto che voglio metterlo all’interno della scuola non solo per affrontare il covid ma soprattutto per i ragazzi se hanno bisogno?”.
Potevamo perdere questa occasione? Tra l’altro avevamo già scritto un progetto di infermieristica scolastica grazie al contributo di Concetta Barbato, nostra socia, infermiera ma soprattutto mamma, che volevamo proporre agli amministratori. Quindi quando il sindaco di San Martino ci fece la proposta non perdemmo tempo, presentammo il progetto, coinvolgemmo Enrica Maiocchi, infermiera e Presidente della Cooperativa Con Voi che ci avrebbe assicurato la presenza delle infermiere e dopo un paio di mesi, dopo varie riunioni e, finalmente l’assenso della dirigente scolastica, partimmo con un gruppo di infermiere che si alternavano a scuola.
I primi due anni, tre ore al giorno dal lunedì al venerdì. Da quest’anno solo due ore sempre dal lunedì al venerdì. E’ un progetto pagato dall’Amministrazione comunale che l’anno corso è stato replicato anche in un paese vicino, Cava Manara, grazie all’Amministrazione comunale che con meno ore ha inserito l’infermiera nella scuola. E’ sicuramente un progetto utile, dovrebbe essere adottato in tutte le scuole ma, anche se non costa, molto i dirigenti e le amministrazioni non investono in educazione, prevenzione e primo intervento (peccato!). Siamo stati contenti quando la FNOPI lo ha premiato insieme all’altro nostro progetto di infermieristica con i senza fissa dimora inserendo le due esperienze nel documentario “Ovunque per il bene di tutti”. L’infermieristica scolastica è utile ai bambini ma non solo: avere un’infermiera a scuola serve agli insegnanti, al personale scolastico e a i genitori.
Attualmente le infermiere entrano nelle classi per fare educazione prevenzione e, da pochi giorni, anche con laboratori sull’igiene, l’importanza del massaggio cardiaco, come usare lo spazzolino da denti e quanto è importante lavarsi i denti ma non solo. Si ragiona insieme a loro sugli stili di vita e l’alimentazione.
E poi, una figura come quella infermieristica in un contesto come quello scolastico che è una piccola comunità dove i bambini passano gran parte del loro tempo, della loro giornata, serve per far uscire problemi, ad esempio, psicologici ma anche di relazione tra di loro e problematiche, a volte, di violenza familiare che difficilmente si evidenziano.
Quanto è importante avere un professionista sanitario come l’infermiere in mezzo e insieme alla cittadinanza? Alle persone?
Questo è quello che facciamo come infermieri e volontari di A.I.N.S. ODV. Attualmente stiamo lavorando ad un progetto importante di salute in Guatemala denominato “Costruire salute con la comunità” finanziato per il secondo anno dall’8×1000 della Chiesa Valdese. Si va avanti e si continua dopo 22 anni! Non c’è altro motivo se non quello di rendersi utili e mettersi a disposizione di chi non ce la fa da solo perché siamo convinti che gli infermieri devono mettersi a disposizione della popolazione e non il contrario. Un’ultima cosa: io sono turnista e tutto quello che facciamo è puro volontariato gratuito. Ci teniamo a dirlo. Come ci teniamo a dire che lavoriamo con progetti dove, se vengono coinvolti infermieri vengono pagati perché il lavoro e l’impegno continuativo sono irrinunciabili e devono essere compensati economicamente.

Marina Vanzetta
2 novembre 2022

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