Un giorno di ordinaria burocrazia


La burocrazia, nella sua accezione negativa, è pervasiva anche nei luoghi di cura. I percorsi delle persone che hanno bisogno di trovare risposta a un problema di salute sono sempre più spesso appesantiti e rallentati dalla burocrazia diventata ormai tossica. Un altro dolore, quello burocratico, che si aggiunge alle “difficoltà” proprie di un percorso di diagnosi e cura in alcune situazioni in particolare.
Pazienti, caregiver nessuno sfugge alle maglie di una burocrazia oramai impietosa e implacabile.
Di questo abbiamo parlato con Erika Borellini caregiver in Emilia Romagna, una tra le regioni “virtuose”. Le abbiamo chiesto di raccontarci un “giorno con la burocrazia”.
Ecco il suo racconto ricco di parole “pesate e profonde” che incollano il lettore alle righe e che muovono riflessioni e non solo, a tutto tondo.

Ci proverò, ma non sarà semplice così come non è semplice capire e imparare a gestire tutto il contorno burocratico che un caregiver deve imparare a conoscere ed affrontare dal momento in cui si scopre che il proprio caro ha una malattia o diventa disabile a causa di un evento improvviso non prevedibile.

Un giorno di ordinaria burocrazia inizia nel momento in cui l’evento che ti sconvolgerà la vita ti si presenta davanti con tutta la sua maestosità ed arroganza. Tu impietrito, sconvolto, cosciente che d’ora in poi dovrai prendere tu le decisioni per un’altra persona perché al momento (e si scoprirà anche poi) non può né parlare né muoversi… ma non cosciente di tutto quello che comporterà in termini di impegno fisico, mentale e materiale.
Parte la prima scelta da fare mentre il famigliare è ancora in vita e si sta attendendo di capire quali saranno gli esiti dell’evento che l’ha colpito “Vuol donare gli organi di sua madre?”. Lo so, è ordinaria amministrazione, ma non è la prima cosa su cui ragiona un famigliare a neanche 24 ore dall’evento, per cui dici “Sì, va bene”, ma in cuor tuo speri che non ce ne sia bisogno.
Arriva subito il secondo step: chi prenderà legalmente le decisioni per la persona che chiaramente è stata colpita da un’emorragia cerebrale con esiti di tetraplegia, disfagia ed afasia e pertanto non può auto-tutelarsi?
Le strade sono due: si sceglie l’amministrazione di sostegno che prevede che l’amministratore (famigliare o avvocato) prenda le decisioni dopo aver consultato il volere dell’assistito oppure si intraprende la strada del tutore, laddove si considera il paziente non in grado di prendere decisioni in modo autonomo.
All’epoca scegliemmo di essere io e mio padre gli amministratori di sostegno per mia madre, dal momento che comunicava attraverso il battito di ciglia e il suo volere per noi veniva prima di tutto. Il suo era un volere consapevole.
Iniziano gli accordi con gli ospedali e il tribunale, il paziente viene “sedato” per poter sopportare il viaggio fino al tribunale in modo tale che il giudice possa vedere lo stato della persona e qui la prima domanda sorge spontanea per un famigliare: E’ davvero necessario trasportare pazienti fragili a pochi mesi dall’evento, con catetere, tracheotomizzati, portatori di sondini e flebo in ambulanza presso il tribunale di riferimento per constatare una situazione già chiara dalla cartella clinica e non fare uscire dai tribunali una figura preposta?
Questo però non basta, inizia in tribunale la discussione tra il giudice e tutti i parenti fino a un certo grado per capire cosa fare di questa persona, un po’ come se fosse un pacco. C’è chi ha inviato una lettera firmata dicendo che lasciava la decisione al giudice e c’è chi si contrappone e preferirebbe un avvocato esterno che gestisca la vita del parente (altra burocrazia e spese). In quel momento sta al giudice capire chi è veramente adatto a ricoprire questo ruolo per salvaguardare la salute fisica e mentale della persona più fragile, anche attraverso relazioni inviate dall’ospedale durante il periodo di ricovero/lungo degenza.
Nel nostro caso dobbiamo aver fatto bella impressione visto che ci hanno dato l’incarico.
Ora sei legalmente responsabile in tutto e per tutto, arriva quasi il momento delle dimissioni protette, l’ospedale ti indirizza su come fare per ottenere l’accompagnamento e si iniziano tutti i giri per i vari sindacati per capire come ottenerlo. Fortunatamente abbiamo sempre trovato persone gentili e comprensive che ci hanno accompagnato ad ottenere l’accompagnamento indicandoci i canali e i mezzi.
Parallelamente a questo capitolo si apre l’enorme questione della “Invalidità permanente”. E cosa ci vuole direte voi ad ottenerla, quando gli esiti sono chiari e irreversibili?
Me lo chiedo anche io tutt’ora.
Per anni sono venuti a visitare una persona allettata con metà emisfero cerebrale danneggiato per riconfermare l’invalidità: sapete i miracoli esistono e sono molto frequenti, non si sa mai che capiti proprio a noi. Scrivendo tra l’altro nei documenti “tetraparesi flaccida”, quando è una chiara tetraparesi spastica con forti rigidità. Ogni volta devi essere a casa, ogni volta il paziente deve dimostrare la sua invalidità sottoponendosi ad un esame visivo, ogni volta si presenta un gruppo di esperti pronti a valutare il paziente e a rimandare l’appuntamento a data da definirsi, nell’attesa che il paziente faccia come Lazzaro.
Mettete insieme i documenti per l’invalidità da rifare e l’accompagnamento e otterrete una bomba esplosiva di burocrazia, ci sono persone con chiare malattie irreversibili che devono aspettare anni per vedersi riconosciuto un contributo economico e non stiamo parlando di qualcosa di superfluo ma di un qualcosa che spetta di diritto e che permette spesso a malapena di contribuire alle spese inerenti alla cura o agli ausili di cui necessità.
Sì perché quando esci dagli ospedali ti viene fornito il materiale base, almeno nella mia provincia, di cui:
– un letto a manovella se il paziente non è in grado di usare autonomamente il telecomando e per cui spesso i famigliari si ritrovano a dover pagare di tasca propria un letto elettrico onde evitare danni alla propria schiena o di avere un braccio degno di Hulk;
– una sedia doccia per poter lavare in modo dignitoso l’assistito o semplicemente per andare di corpo;
– un materasso anti-decubito in spugna o quello a bolle d’aria che sono inadatti, se si vogliono evitare piaghe da decubito, per persone che sono per la maggior parte del giorno immobilizzate e in cui anche la fisioterapia risulta difficile. Per cui il famigliare deve comprare un materassino tubolare di tasca propria;
– una carrozzina (quella almeno nella nostra regione viene fornita di alta qualità).
A queste spese si aggiungono poi quelle di dover pagare un’assistente domiciliare che sgravi in parte l’intero carico di lavoro, ma non si tratta solo di soldi… si tratta anche di burocrazia dal momento che ogni assunzione e licenziamento prevede dei documenti, la busta paga deve essere affidata ad un commercialista o, le persone più anziane, si appoggiano ad esempio alla CGIL. E quante assistenti cambiano le famiglie, soprattutto nei casi di demenza o Alzheimer? Tantissime e ogni volta ricomincia da capo la parte di burocrazia così come quella legata alla richiesta di domiciliazione o la richiesta di un medico per la persona che vivrà con noi. Come fa chi non è tecnologicamente avanzato? Come fa la signora Maria di 78 anni con il marito con problemi di salute? Ancora me lo chiedo e non trovo una risposta.
Ma siamo solo all’inizio della parte relativa alla burocrazia perché dal momento che diventi amministratore di sostegno dovrai ogni anno rendicontare (PEC, di persona, raccomandata) ad un giudice quanto fatto per la persona sia dal punto finanziario che medico e non solo, se ti venisse mai la malaugurata idea di volere avere il servizio di home banking per controllare il conto corrente del proprio famigliare… devi chiedere nuovamente permesso al giudice il quale si può prendere anche 6 mesi per rispondere, costringendoti ogni volta ad andare in banca per pagare l’assistente domiciliare o vedere se i soldi relativi a pensione e accompagnamento sono arrivati.
Ora, mettiamo l’ipotesi che la persona sia fortemente disabile ma cosciente e voglia votare, ecco in questo caso dovrete ad ogni elezione andare a far visita al medico legale che rilascerà un certificato che permetterà al famigliare di votare, qualora lo ritenga idoneo. Nel mio caso specifico ci siamo dovuti andare almeno 5 volte prima di ottenere il diritto di voto permanente e tutte le volte era una trasferta di 1 ora, tutto per votare, tutto per sentirsi parte di una comunità e ancora componente che si può considerare vivo. Tutto per la dignità che questo semplice, ma importante gesto, da ad una persona.
Ancora, desideri essere un cittadino comune con la carta di identità elettronica e lo SPID? Altre complessità, non tutti riescono ad ottenere lo SPID e non tutti riescono ad ottenere la carta di identità elettronica a causa di disabilità che colpiscono il volto e che non vengono riconosciute come conformi dal software. Tutto questo comporta giri avanti ed indietro, moduli che si compilano invano e un paziente che viene spostato inutilmente.
Noi dopo tanti anni siamo riusciti almeno in parte ad “abituarci” a queste complessità, a sopportarle, ma chi non ha i mezzi, chi non ha famigliari che possono aiutarlo come fa? Perde dei diritti? E’ forse giusto? Esistono forse cittadini di serie A e cittadini di serie B?
Forse non è la domanda fare durante un’intervista dal momento che la domanda è stata posta a me, ma non posso fare a meno di pensare a chi ha meno mezzi di me per riuscire a capire come andare avanti, facendo tutto correttamente a norma di legge e vedendo rispettati i propri diritti.

Marina Vanzetta
3 ottobre 2022

STAMPA L'ARTICOLO