Intelligenza emotiva per il benessere organizzativo: studio osservazionale con una équipe multidisciplinare


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INTRODUZIONE
Un’emozione è un sistema organizzato di sentimenti, risposte fisiologiche, espressioni corporee e tendenze all’azione che scaturiscono da una valutazione quasi istantanea della rilevanza per l’individuo della situazione corrente (Scherer, 2005).
Le emozioni positive segnalano che le cose stanno andando bene e di conseguenza manifestano minore tendenza all’azione specifica o urgente, ma contribuiscono allo scopo; le emozioni negative tendono ad essere più durature e si ricordano più a lungo, perché sia le situazioni che le determinano che esse stesse sono meno attese e richiedono una specifica risposta (Thomas & Diener, 1990).
Il costrutto dell’intelligenza emotiva è maturato conseguentemente al superamento della concezione bipartita dell’intelligenza, verbale e operativa, universalmente misurata con il QI – Quoziente Intellettivo.
Howard Gardner, nel 1983, definisce, infatti, otto tipi di intelligenza: linguistica, logico-matematica, corporeo-cinestetica, naturalistica, interpersonale, intrapersonale, musicale e spaziale; tra queste, l’intelligenza inter-personale permette di comprendere le intenzioni e le emozioni altrui, l’intelligenza intra-personale permette di comprendere le proprie emozioni e motivazioni.
La prima definizione dell’intelligenza emotiva è stata proposta dagli psicologi statunitensi Peter Salovey e John D. Mayer (1990) come capacità di percepire, integrare e regolare le emozioni per facilitare il pensiero e promuovere la crescita personale.
Ma, la dizione sì è introdotta e diffusa, in campo scientifico, dopo la pubblicazione, nel 1995, del libro dello psicologo, scrittore e giornalista, Daniel Goleman “Intelligenza Emotiva: Che cos’è e perché può renderci felici”.
L’intelligenza emotiva non è un’abilità “fissata alla nascita”, quanto piuttosto una competenza che si acquisisce e che migliora man mano con l’esperienza in campo sociale.
Essa comprende cinque abilità fondamentali (Goleman, 1998):
– Consapevolezza di sé – capacità di riconoscere le proprie emozioni, per guidare i propri processi decisionali;
– Dominio di sé – capacità di utilizzare le proprie emozioni, per facilitare un compito e per raggiungere un fine;
– Motivazione – capacità di scoprire il vero e profondo motivo, che spinge all’azione, anche gestendo gli insuccessi;
– Empatia – capacità di sentire gli altri e di adottare la loro prospettiva;
– Abilità sociale – capacità di comprendere i differenti scenari e le differenti situazioni, di interagire in modo costruttivo con il team verso obiettivi comuni.
Così per il QI, anche per misurare il livello del QE – Quoziente Emotivo sono disponibili vari strumenti psicometrici: il test di intelligenza emotiva Mayer-Salovey-Caruso – MSCEIT (1997), l’Emotional Competency Inventory (ECI) di Goleman, Boyatzis e Rhee (1999) e l’Emotional and Social Competency Inventory (ESCI) di Boyatzis et al. (2007).
Mayer, Salovey e Caruso (2008) avvertono che l’intelligenza emotiva non è sinonimo di felicità, ottimismo, calma e autocontrollo, che possono appartenere o meno alla personalità dell’individuo, ma è una specifica abilità.
Riferita alle organizzazioni, l’intelligenza emotiva è stata ridefinita come la capacità di “percepire, comprendere, integrare e gestire i sentimenti e le emozioni proprie e altrui e agire di conseguenza in modo riflessivo e razionale” (Chartered Management Institute, 2004).
Zeidner et al. (2004) asseriscono che il livello di intelligenza emotiva esprime quanto un individuo sia sensibile all’ambiente o ai suoi dintorni e quanto riflessivamente ne confronti le situazioni e i problemi.
Essa rappresenta un modello, con il quale si compone anche la fisionomia della leadership.
Goleman, Boyatzis e McKee (2002), a seconda delle competenze possedute e delle capacità attuate, descrivono sei stili di leader:
– Visionario, che usa esperienza, motivazione ed entusiasmo per ispirare i suoi collaboratori;
– Allenatore, che si prende cura di ogni individuo singolarmente, contribuendo alla sua crescita all’interno dell’organizzazione;
– Affiliativo, che è sensibile ai problemi altrui e predilige le persone più che gli obiettivi, per creare un ambiente armonioso ed equilibrato;
– Democratico, che mantiene flessibilità e parità nella squadra, soddisfa i bisogni di tutti e fa uso di incentivi;
– Controllore, che cerca di raggiungere obiettivi a breve termine, supervisiona ogni compito, aspettandosi che gli altri lo seguano;
– Autoritario, che pretende obbedienza e rispetto della propria autorità, esigendo che tutto ciò che desidera si realizzi e che venga fatto quanto prima.
Il leader efficace inquadra la sua azione, normalmente, in almeno tre dei sei stili: il visionario, il democratico e l’allenatore sono quelli ideali.
Cynthia Fisher (2019) spiega che le emozioni sono pervasive nelle organizzazioni, perché le organizzazioni sono popolate da persone, sono intessute di relazioni tra capi e collaboratori e clienti, respirano un clima affettivo di gruppo; le organizzazioni, perciò, non possono eludere di gestire intenzionalmente la propria cultura emotiva, per massimizzare i risultati desiderabili (cfr. Barsade & O’Neill, 2016). L’autrice avverte che, per quanto sia vera la presunzione che le emozioni positive e negative hanno conseguenze simmetriche, cioè conseguenze positive da emozioni positive e conseguenze negative da emozioni negative, non mancano esempi di effetti asimmetrici (Lindebaum, Jordan, & Morris, 2016; Van Knippenberg & Van Kleef, 2016): di qui l’importanza di una accurata consapevolezza delle emozioni nelle organizzazioni.
Tenney, Poole, & Diener (2016) notano che, sebbene non tutte le emozioni positive producano esiti organizzativi positivi e alcune emozioni negative possano produrre effetti benefici, nel complesso, un aumento dell’esperienza di emozioni positive sul lavoro produce benessere nei dipendenti e probabilmente arrecherà effetti utili anche per le organizzazioni, sia direttamente che tramite il benessere dei dipendenti.
Gli studi, che hanno esaminato il rapporto tra intelligenza emotiva e performance organizzativa, non hanno raggiunto una evidenza definitiva sull’impatto positivo della prima sulla seconda. Palmer e Stough (2001) sostengono che, quando l’intelligenza emotiva viene applicata all’ambiente di lavoro, implica la capacità di operare in modo professionale ed efficace; Chipain (2003) riscontra che il personale di vendita con prestazioni elevate presenta un livello di intelligenza emotiva maggiore rispetto al personale di vendita con prestazioni basse; Semadar, Robinsand e Ferris (2006), in uno studio presso fabbriche automobilistiche, concludono che, sebbene l’intelligenza emotiva avesse una correlazione significativa con le prestazioni lavorative, non è ancora un fattore importante per le prestazioni; Suan, Anantharaman, & Kin (2015) effettuano una analisi di regressione di molteplici variabili sulla performance organizzativa e, pur ammettendo che talune di esse sono fuori dal controllo delle organizzazioni, riconoscono che l’intelligenza emotiva è tra i fattori che aumenta le prestazioni.
Altri studi hanno esaminato la relazione tra l’intelligenza emotiva e il benessere organizzativo, definito come la “capacità di un’organizzazione non solo di essere efficace e produttiva, ma anche di crescere e svilupparsi promuovendo e mantenendo un adeguato grado di benessere fisico e psicologico, alimentando costruttivamente la convivenza sociale di chi lavora” (Avallone e Paplomatas, 2005).
In ambito sanitario, è stato riscontrato che l’intelligenza emotiva dei leader determina, tra gli infermieri, minore stress lavorativo e riduzione di sintomi psicosomatici (Gorgens-Ekermans, Brand, 2012), collaborazione con il personale medico e maggiore soddisfazione nei pazienti assistiti (Akerjordet e Severinsson, 2008).
Una delle prime indagini italiane, volte a evidenziare il contributo dell’intelligenza emotiva al miglioramento del benessere lavorativo, è rappresentata dallo studio, condotto presso il Policlinico Gemelli di Roma, sulla leadership emozionale del management infermieristico, impiegando un questionario proprietario validato, che è stato somministrato a 130 tra dirigenti, coordinatori e infermieri. È emerso grande interesse per l’argomento, poiché il 90% del campione ha evidenziato quanto sia fondamentale essere consapevoli di saper gestire le proprie e altrui emozioni, per generare benessere lavorativo (Spagnuolo et al., 2015).
Dunque, l’intelligenza emotiva è una abilità da maturare in condivisione, tra responsabili e collaboratori, per un clima organizzativo proficuo.
Scopo del presente studio, simile a quello romano testé citato, è di rilevare il livello di intelligenza emotiva posseduto dagli operatori dell’équipe multidisciplinare di un Centro riabilitativo e di cogliere quale importanza essi diano alle dimensioni dell’intelligenza emotiva, in ordine al benessere personale e organizzativo e alla qualità dell’assistenza agli utenti.

MATERIALI E METODI
L’indagine, di tipo osservazionale trasversale, si è avvalsa della somministrazione di due questionari, consegnati su supporto cartaceo e restituiti redatti, nel periodo dal 20 novembre al 20 dicembre 2021.
La compilazione è avvenuta in forma anonima, includendo la sola indicazione dei dati socio-anagrafici.
Il questionario “L’autoconsapevolezza e benessere” è la versione italiana, composta mediante confronto di due traduzioni, effettuate da una docente italiana di lingua inglese e da una insegnante madrelingua, dell’originale EIQ – Emotional Intelligence Questionnaire, elaborato, nel 2018, come Leader toolkit, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale del Regno Unito.
Per l’attendibilità della versione italiana, sono stati effettuati i due test statistici, l’alpha di Cronbach e il coefficiente di correlazione split-half: entrambi hanno restituito discreta o buona coerenza, con valori tra 0,70 e 0,90.
L’EIQ si compone di 50 affermazioni, 10 per ciascuna delle 5 dimensioni dell’intelligenza emotiva, con risposte su scala Likert da 1 = “non si applica a me” a 5 = “si applica a me in tutti i casi”. Ciascuna dimensione presenta un punteggio dal minimo di 10 al massimo di 50. Il punteggio, individuale e medio di gruppo, si distribuisce in tre fasce: 35 – 50, a indicare che la dimensione è posseduta in modo rilevante (alta); 18 – 34, a indicare che la dimensione merita attenzione quando si attraversa una situazione critica (media); 10 – 17, a indicare che la dimensione necessita di essere potenziata prioritariamente (bassa).
Il questionario IEB – Intelligenza Emotiva e Benessere, in appendice, è auto-composto e contiene 12 affermazioni, con risposte su scala Likert da 1 = “per nulla” a 5 = “ottima”.
Esso è ripartito in 3 sezioni (Allegato 1):
– La prima, contenente 5 affermazioni, rileva quanto gli operatori partecipanti ritengano che i colleghi dimostrino di esprimere le cinque abilità dell’intelligenza emotiva;
– La seconda, contenente 3 affermazioni, rileva in che misura gli operatori ritengano che le competenze dell’intelligenza emotiva possano giovare al benessere personale, organizzativo e dell’utenza;
– La terza, contenente 4 affermazioni, rileva in che misura gli operatori pensino che lo svolgimento periodico (semestrale o annuale) di incontri esperienziali in gruppo sulle suddette competenze possa giovare al benessere personale e organizzativo e alla soddisfazione dell’utenza.
I dati sono stati elaboratori con statistiche di posizione centrale e di dispersione.

RISULTATI
Il personale esaminato è costituito da tutti gli operatori del Centro riabilitativo “La Valle” di Gaeta (LT), accreditato ex art. 26 presso la regione Lazio, indirizzato al trattamento ambulatoriale, domiciliare e semiresidenziale di soggetti affetti da disabilità/disturbi neurodegenerativi di natura motoria e cognitiva.
Il gruppo ha aderito per intero e si compone di 28 soggetti, con profilo di fisioterapisti, logopedisti, neuropsicomotricisti, terapisti occupazionali, medici, infermieri, psicologi, educatore professionale, OSS.
La prevalenza di genere è femminile (68%); l’età media è di 36,6 (d.s. = 9,2), estesa dal minimo di 24 al massimo di 60 anni; il periodo di servizio dimostra una relativa “giovinezza professionale”, poiché il 66% del campione, con media di 8,34 e d.s. di 8,55 si addensa in una fascia al di sotto dei 16 anni.
I valori centrali e di dispersione, riportati dal gruppo sulle cinque dimensioni dell’intelligenza emotiva, sono presentati in Tab. 1.

N = 28 Min Max Media d.s.
Autoconsapevolezza 28 47 39,75 4,46
Gestione emozioni 21 39 30,43 4,07
Motivazione personale 25 43 35,78 4,57
Empatia 29 47 38,07 4,20
Abilità sociale 25 47 36,25 5,61

Tabella 1. – Statistiche delle dimensioni dell’intelligenza emotiva.

Considerando che il punteggio per singolo item di ciascuna dimensione corrisponde a 1 = “non si applica a me”, 2 = “si applica in pochi casi”, 3 = “si applica nella metà dei casi”, 4 = “si applica in gran parte dei casi”, 5 = “si applica in tutti i casi”, e che il punteggio massimo per ciascuna dimensione è di 50, un punteggio superiore a 30 (cioè punti 3 * 10 item) indica che la caratteristica è posseduta e manifestata dai rispondenti almeno nella metà delle circostanze lavorative.
Il campione esaminato si colloca nella fascia =>35 “alta” e nella fascia 18-34 “media”; spiccano, in particolare, vicine a 40 (“gran parte dei casi”), l’autoconsapevolezza e l’empatia.
Tuttavia, riportata la frequenza assoluta degli operatori, entro le fasce bassa, media e alta delle dimensioni dell’intelligenza (Tab. 2 e Fig. 1), emerge che, per gran parte dei soggetti (n. 24), necessita di essere attenzionata e rinforzata l’area della gestione delle emozioni, e, per un numero minore ma apprezzabile (n. 12), necessitano di essere attenzionate e rinforzate le aree della motivazione e dell’abilità sociale.

Autoconsapevolezza Gestione emozioni Motivazione personale Empatia Abilità sociale
Area di forza 24 4 16 22 16
Area da attenzionare 4 24 12 6 12

Tabella 2. – Distribuzione assoluta dei casi per fasce nelle dimensioni dell’intelligenza emotiva.

L’elaborazione dei dati del questionario “Intelligenza Emotiva e Benessere”, con risposte codificate “per nulla =1; scarsa =2; discreta = 3; buona = 4; ottima = 5”, restituisce valori medi che superano posto il cut off di 3 “discreta”, indicando che gli operatori:
– Dichiarano che i colleghi posseggono le dimensioni dell’intelligenza emotiva in misura che conferma la fascia media già rilevata (Tab. 3a); tuttavia, in parte, sovvertono l’ordine con cui il campione ha auto-dichiarato di possedere il livello delle dimensioni dell’intelligenza emotiva, poiché, nel relativo questionario, era rilevato il seguente ordine: autoconsapevolezza (1° posto vs 2°), empatia (2° posto vs 4°), abilità sociale (3° posto vs 3°), motivazione al lavoro (4° posto vs 1°), gestione delle emozioni (5° posto vs 5°);

N = 28 Media d.s.
Autoconsapevolezza 3,37 ,688
Gestione emozioni 3,25 ,799
Motivazione personale 3,61 ,685
Empatia 3,26 ,859
Abilità sociale 3,36 ,870

Tabella 3a. – Dimensione dell’intelligenza emotiva dei colleghi.

– Ritengono che le dimensioni dell’intelligenza emotiva possano giovare in misura alta al benessere personale e organizzativo (Tab. 3b);

N = 28 Media d.s.
Benessere personale 4,54 ,576
Benessere della struttura 4,54 ,576
Soddisfazione dell’utenza 4,64 ,559

Tabella 3b. – Utilità delle dimensioni dell’intelligenza emotiva per il benessere.

– Ritengono che incontri esperienziali di sviluppo dell’intelligenza emotiva possano giovare in misura alta all’automiglioramento delle abilità emotive, al benessere personale e organizzativo e alla soddisfazione dell’utenza (Tab. 3c).

N = 28 Media d.s.
Automiglioramento IE 4,32 ,670
Benessere personale 4,36 ,731
Benessere della struttura 4,37 ,629
Soddisfazione dell’utenza 4,48 ,700

Tabella 3c. – Utilità della sensibilizzazione alle dimensioni dell’intelligenza emotiva.

DISCUSSIONE
I critici hanno obiettato a Goleman che una maggior capacità di riconoscimento e individuazione delle emozioni, proprie e altrui, non sempre porta al successo, ma può mettere in difficoltà il leader che deve prendere decisioni importanti.
Gli studi condotti in merito non smentiscono, ma nemmeno confermano questa critica.
È emerso, infatti, che in alcune situazioni un’alta intelligenza emotiva è d’aiuto nel raggiungimento del successo lavorativo, in altre è neutra e in altre ancora può essere controproducente (Randi, 2019).
Questo non esime dall’impegno di portare un’attenzione crescente allo sviluppo dell’intelligenza emotiva in ambito lavorativo; la Carta di Ottawa dell’OMS del 1986, infatti, auspica la health promotion come processo che consente alle persone di aumentare il controllo e di migliorare la propria salute nei vari workplace setting (Tones & Tilford, 2001), così come in tutti i campi della vita, sì da inverare l’affermazione solenne dell’OMS (1946) sulla salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità”.
L’intelligenza emotiva è ritenuta sempre più rilevante per l’efficacia organizzativa e lo sviluppo dei dipendenti.
Ci si aspetta che il leader moderno coordini e faciliti il lavoro dei suoi subordinati, creando e mantenendo un’atmosfera costruttiva e di supporto.
Patricia Hickey (2019) commenta i suoi 20 anni di ricerca sul miglioramento dell’assistenza in sanità, affermando che l’eccellenza si ottiene quando i sistemi sono progettati per supportare la pratica professionale, i team e gli ambienti clinici e sostenendo che una leadership autentica ascolta e comprende gli attributi dei team empatici e responsabilizzati.
Nonostante che, nelle ricerche, la maggiore consapevolezza delle proprie emozioni sia correlata alla più efficace gestione dell’équipe, non risultano, ancora, dati sufficienti per sostenere questa ipotesi anche in campo sanitario, sia per carenza di programmi di ricerca e di formazione sull’intelligenza emotiva sia per la difficoltà di misurarla in maniera oggettiva.
In questo studio, le cinque abilità dell’intelligenza emotiva sono auto-dichiarate di livello medio-alto dagli operatori dell’équipe multidisciplinare del Centro di riabilitazione, rilevate con l’EIQ.
Le risposte al secondo questionario (IEB), inoltre, confermano, come emerso in letteratura scientifica, che l’intelligenza emotiva è ritenuta importante per l’efficacia organizzativa, lo sviluppo dei dipendenti e la soddisfazione degli utenti. Kaur, Sambasivan e Kumar (2013) dimostrano, infatti, che l’intelligenza emotiva, l’intelligenza spirituale, la padronanza psicologica sono interdipendenti nell’assicurare la salute degli operatori sanitari.
I limiti della presente indagine consistono nel modesto numero di soggetti arruolati e nella loro appartenenza a una sola struttura riabilitativa, nonché al metodo applicato di auto-percezione delle abilità di intelligenza emotiva possedute.
Altro limite da colmare risiede nella necessità di validare compiutamente la versione italiana dell’”Emotional Intelligence Questionnaire”.
Infine, il livello dell’intelligenza emotiva non è qui correlato con l’effettiva misura del benessere organizzativo.
Occorrerà aumentare il campione e diversificare le sedi di indagine, per cogliere, tra il personale sanitario, quanto sia posseduto il livello dell’intelligenza emotiva, quanto sia ritenuto importante ed efficace per le persone e per l’organizzazione.

CONCLUSIONI
Le competenze emozionali sono da considerarsi importanti come quelle teoriche, tecniche e sociali, per promuovere il benessere al lavoro.
Calamandrei e Pennini (2006) suggerivano che inserire o potenziare, nella formazione di base e post base, percorsi idonei per lo sviluppo delle competenze di leadership ed emozionali, inserire la valutazione delle competenze emozionali nella selezione del personale, migliorare la consapevolezza tra i leader formali sull’importanza dell’utilizzo di determinati strumenti (riunioni, coinvolgimento, ascolto, assertività), comporta importanti ricadute sulla qualità del lavoro e dell’assistenza.
Sreelekha e Gokul (2019), con un modello grafico, suggeriscono che, per mantenere la motivazione e promuovere il benessere dei dipendenti, l’intelligenza emotiva debba essere incorporata nella filosofia di gestione personale e organizzativa (Fig. 2).

L’American Society for Training and Development ha pubblicato un volume, che descrive le linee guida per aiutare le persone nelle organizzazioni a coltivare competenze di intelligenza emotiva (Cherniss e Adler, 2000).
A livello individuale Sreelekha e Gokul (2019) consigliano alcune pratiche per migliorare il proprio quoziente emotivo:
– Prendere consapevolezza delle emozioni;
– Fare un esercizio di respirazione profonda;
– Sviluppare un pulsante di “reset emotivo”, avendo una connessione con qualcosa di positivo;
– Essere sensibili alle preoccupazioni dei colleghi non legate al lavoro;
– Concentrarsi su come migliorare una brutta situazione.
A livello collettivo, la suggestione è di organizzare periodicamente, nell’anno, incontri congiunti tra dirigenti, coordinatori e collaboratori, su un programma strutturato di sensibilizzazione base e di addestramento avanzato nelle competenze dell’intelligenza emotiva.

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

Contributi degli autori
Tutti gli autori hanno condiviso i contenuti dello studio, la stesura dell’articolo e approvano la versione finale dello stesso.

Allegato 1

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