La salute degli homeless ai tempi del Covid-19


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INTRODUZIONE
Al 2015 i senzatetto in Italia risultano essere 50.724, come pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2015). Per lo più si tratta di uomini (85,7%), in due casi su cinque di nazionalità italiana; il 40% vive in strada da più di 4 anni. L’età media di questa popolazione è di 44 anni e risiede prevalentemente nel Nord Italia (56%) (MLPS et al., 2015). Quasi 2 individui su 3 hanno un reddito proveniente da attività lavorativa, per lo più irregolare e saltuaria, che conduce ad un introito medio mensile di 100-500 euro; il 30 % vive di espedienti e collette, mentre il restante non dispone di alcuna fonte di reddito (MLPS et al., 2015). Milano è la città italiana con più persone senza dimora: si tratta di oltre 12.000 individui (MLPS et al., 2015). I senzatetto in genere versano in cattive condizioni di salute (Hwang et al., 2009), frutto di una concomitanza di fattori: la vulnerabilità a livello nutrizionale (Frankish et al., 2009; Leung et al., 2008) e infettivo (Plumb, 1997); 2); l’età avanzata (Fazel et al. 2014; Hahn et al., 2006; US DHUD, 2017); la presenza di comorbidità fisiche e/o mentali, di precoce insorgenza (Brown et al., 2017) e scarsamente controllate (Aldrige et al., 2018; Baggett et al., 2015; Baggett et al., 2018; Hammig et al., 2014; Hwang, 2001; Jones et al., 2009; Lewer et al., 2019; Peak, 2019; Schinka et al., 2018; Tsai et al., 2019); la dipendenza da sostanze d’abuso (fumo, alcol, droghe) (Aldrige et al., 2018; Baggett et al., 2018; Levorato et al., 2017; Maremmani et al., 2017; Peak, 2019); le condizioni igieniche scadenti, l’estrema povertà e l’assenza di un riparo sicuro (Leung et al., 2008). Gli homeless trascorrono parte del loro tempo all’addiaccio o in ambienti comuni, sia formali (es. rifugi, case di accoglienza) che informali (es. accampamenti, edifici abbandonati), che si caratterizzano per essere per lo più sovraffollati, insalubri, poco sicuri e con condivisione, quando presenti, delle strutture igieniche di base (Leung et al., 2008). Incontrano difficoltà ad accedere ai servizi sanitari per curarsi e vi ricorrono solo se del tutto impossibilitati a provvedere alla propria sussistenza o quando accompagnati da terzi (Frankish et al., 2009; Hwang et al., 2010; Leung et al., 2008). Tutto ciò conduce a due effetti, rispetto alla popolazione generale: un invecchiamento precoce(Brown et al., 2017) e tassi di mortalità superiori (Plumb, 1997): per esempio, rispetto ai pari età tra gli homeless con oltre 65 anni si registra un tasso di mortalità 5-10 volte superiore (Baggett et al., 2013)). Nel corso di una pandemia, i fattori elencati e le condizioni di vita pongono le persone senza dimora ad elevato rischio di contrarre la COVID-19 (Juster et al., 2010). Gli organi di stampa e di informazione non hanno ancora reso noto se e quali iniziative siano state intraprese per tutelare a livello globale il diritto alla salute di questa popolazione.
Scopo dello studio è quindi quello di discutere degli effetti della COVID-19 sui senzatetto; in particolare, le domande a cui si desidera dare risposta sono le seguenti: quali sono le sfide che devono affrontare quotidianamente? Quali sono le conseguenze che subiscono a seguito delle restrizioni imposte per il contenimento dei contagi? Quali sono a livello globale e in Italia le strategie attivate in loro favore per mitigare la diffusione e ridurre l’impatto della malattia?

METODI
Per rispondere agli obiettivi è stata implementata una revisione della letteratura condotta secondo le sei fasi della Scale for the Assessment of Narrative Review Articles (SANRA) (Baethge et al., 2019). La ricerca bibliografica è stata realizzata il 16 dicembre 2020; gli autori, in modo indipendente e previa scelta condivisa delle parole chiave, hanno interrogato le banche dati MEDLINE (via PubMed), Cumulative Index to Nursing and Allied Health Literature (CINAHL), Excerpta Medica dataBASE (EMBASE), PsycINFO, Scopus e il motore di ricerca Web of Science. La strategia di ricerca è illustrata in Tabella 1. Sono stati inclusi gli studi pubblicati nel 2020 disponibili in full text, sia primari che secondari, a prescindere dal disegno di studio e dalla lingua di pubblicazione. Al termine del processo di interrogazione gli autori in modo indipendente hanno operato la selezione dei record per titolo e abstract; qualunque dubbio è stato risolto dopo confronto e accordo. Con l’utilizzo di un foglio elettronico sono state inserite, analizzate e ordinate le informazioni e i dati relativi agli studi inclusi. Al termine del processo i risultati sono stati proposti in modalità narrativa secondo le seguenti macroaree condivise tra tutti gli autori: sfide; conseguenze; strategie.

Fonte Strategia di ricerca
PubMed #1

“Coronavirus Infection”[ti] OR “Coronavirus Infections”[ti] OR Covid[ti]

#2

“Homeless Person”[ti] OR “Homeless Persons”[ti] OR “Homeless People”[ti] OR Homelessness[ti] OR “Street People”[ti] OR Homeless[ti]

#3

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CINAHL #1

TI (“Coronavirus Infection” OR “Coronavirus Infections” OR Covid)

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TI (“Homeless Person” OR “Homeless Persons” OR “Homeless People” OR Homelessness OR “Street People” OR Homeless)

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EMBASE #1

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PsycINFO #1

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#2

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Web of Science #1

TITLE:

(“Coronavirus Infection” OR “Coronavirus Infections” OR Covid)

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TITLE:

(“Homeless Person” OR “Homeless Persons” OR “Homeless People” OR Homelessness OR “Street People”)

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Scopus #1

TITLE  (“Coronavirus Infection” OR “Coronavirus Infections” OR covid)

#2

TITLE (“Homeless Person” OR Homeless Persons” OR “Homeless People”  OR  homelessness  OR  “Street People”)

#3

#1 AND #2

Tabella 1. – Strategia di ricerca.

RISULTATI

Sfide
I metodi per controllare la diffusione dell’infezione da COVID-19 (es. dispositivi di protezione individuale, igiene personale e lavaggio regolare delle mani, test di screening, tracciabilità dei contatti, distanziamento fisico, limitazione dei movimenti, isolamento) sono difficili da implementare nelle persone senza dimora, tradizionalmente di natura nomade, con identità per lo più ignota e difficilmente rintracciabile, specie se non alloggiano nei rifugi ma dormono nelle stazioni dei treni o sugli autobus, in metropolitana o nelle sale d’attesa dei pronto soccorso degli ospedali (Canady, 2020; Gray et al., 2020; Kar et al., 2020; Lima et al., 2020; Perry et al., 2020; Tobolowsky et al., 2020; Tsai e Wilson, 2020; Wood et al., 2020). Qualora vivano in ambienti comuni, sia formali (es. rifugi o case di accoglienza) che informali (es. accampamenti o edifici abbandonati), tali contesti si caratterizzano per essere sovraffollati, insalubri, poco sicuri e con condivisione, quando esistenti, delle strutture igieniche di base (Barbieri, 2020; Culhane et al., 2020; Duber et al., 2020; Kirby, 2020; Leung et al., 2008; Okonkwo et al., 2020), tutti elementi che aumentano il potenziale di trasmissione delle infezioni.
La quotidiana difficoltà di recuperare il cibo e in genere adempiere ai propri bisogni di base (Albon et al., 2020) fa sì che i senzatetto siano coinvolti nel lavoro sessuale (Tsai e Wilson, 2020) o in attività di economia informale (Maxmen, 2020; Tan e Chua, 2020), da cui un elevato rischio di esporsi al contagio e/o diffondere l’infezione.
In caso di homeless con disturbi psichiatrici e/o dipendenza da sostanze d’abuso, vi sono problemi specifici per garantire il rispetto delle strategie di contenimento dell’infezione da COVID-19, perché avendo una bassa consapevolezza di malattia non ricercano aiuto né informazioni a tutela della propria salute (Kar et al., 2020; Kirby, 2020; Lima et al., 2020; Pradeep et al., 2018; Ralli et al., 2020; Tsai e Wilson, 2020).
Alcuni senzatetto, nel timore di essere contagiati, potrebbero decidere di lasciare il rifugio in cerca di riparo in strada, nelle stazioni ferroviarie o nei vagoni della metropolitana, col rischio di esporre o esporsi al contagio dei lavoratori essenziali (Okonkwo et al., 2020).
È improbabile che si presentino di propria volontà presso i servizi sanitari, sia che siano asintomatici che alla comparsa dei primi segni e sintomi di infezione (Conway et al., 2020; Imbert et al., 2020), anche in relazione a difficoltà ben documentate nell’instaurare un rapporto di fiducia con operatori e fornitori dei servizi sociali e sanitari (Duber et al., 2020; Perri et al., 2020; Tsai e Wilson, 2020); è verosimile che cerchino aiuto in uno stadio ormai avanzato della malattia, rendendo gli sforzi di contenimento e trattamento più difficili (Canady, 2020; Conway et al., 2020; Kar et al., 2020), anche se al peggiorare delle condizioni potrebbero addirittura opporsi al trasferimento in ospedale (Perri et al., 2020).

Conseguenze
Le restrizioni intraprese per il contenimento dei contagi da COVID-19 hanno un forte impatto sulle persone senza dimora in termini di drastica riduzione delle consuete fonti di approvvigionamento di cibo (es. donazioni, banchi alimentari, mense per i poveri) con conseguente esacerbazione del cronico stato di insicurezza alimentare (Aragona et al., 2020; Cumming et al., 2020; Nichols e Mays, 2021; Okonkwo et al., 2020; Miller et al., 2020; Peate, 2020; Schiff et al., 2020; Tucker et al., 2020), aumento delle difficoltà nel soddisfacimento del bisogno di igiene personale, di vestiti puliti, di un riparo sicuro (Aragona et al., 2020; Conway et al., 2020; Cumming et al., 2020; Peate, 2020; Tucker et al., 2020) e completa abolizione di qualsiasi fonte di reddito come lavori occasionali, elemosina o lavoro sessuale (Albon et al., 2020; Aragona et al., 2020; Perri et al., 2020).
La brusca chiusura dei centri di accoglienza e sociali, con conseguente interruzione di qualunque forma di relazione e supporto, la diminuzione delle attività nei servizi di cura ambulatoriali e la difficoltà di rifornimento dei farmaci necessari può portare a un peggioramento dei problemi di salute, fisica e mentale (Aragona et al., 2020; Kirby, 2020; Perri et al., 2020; Tucker et al., 2020). La condizione è ulteriormente aggravata dal surplus di stress imposto dall’esperienza di allontanamento fisico e dalla chiusura di questi servizi, aspetti che possono favorire l’aumento del consumo di sostanze d’abuso con relativo rischio di overdose (Kirby, 2020; Perri et al., 2020). L’invisibilità sociale, di cui sono storicamente vittime i senzatetto, sta esacerbandosi con la pandemia da COVID-19 (Paula et al., 2020); tra costoro, i migranti privi di documenti sono paradossalmente soggetti ad una maggiore visibilità fisica nei confronti della forza pubblica che presidia le strade deserte, quindi a maggior rischio di essere espulsi (Aragona et al., 2020).

Strategie
Insediamenti formali
Tra gli individui senza dimora si prevede un’incidenza di forme gravi di infezione e un tasso di mortalità da COVID-19 compreso tra lo 0,3% e l’1,9% (Culhane et al., 2020) molto superiori alla media della popolazione (Mosites et al., 2020). I rifugi e le strutture di accoglienza ad alto tasso di transitorietà di residenti e/o che operano a piena capienza sono ad elevato rischio di diventare cluster di soggetti affetti da COVID-19 (Karb et al., 2020; Kimball et al., 2020). A conferma di ciò, sulla base di dati raccolti presso alcuni rifugi per senzatetto negli USA, è emerso come dal 36% al 63% degli ospiti e dal 17% al 30% del personale fossero positivi per COVID-19 (Culhane et al., 2020; Imbert et al., 2020). In sé i rifugi non possono ridurre il tasso di transitorietà degli homeless né possiedono risorse sufficienti per attuare pratiche preventive, come garantire un appropriato distanziamento fisico; quindi, se un residente risulta infetto da COVID-19, c’è un’alta probabilità che l’infezione si estenda a tutti gli ospiti e agli operatori della struttura (Albon et al., 2020; Karb et al., 2020).
L’implementazione di pratiche di sorveglianza sanitaria passiva, come lo screening dei sintomi prima dell’ingresso nel rifugio condotto più volte al giorno (Kelly et al., 2020), non è sufficiente ad identificare tutti i casi di COVID-19 (Karb et al., 2020; Maxmen, 2020), dato che la maggior parte di quelli registrati erano asintomatici (Baggett et al., 2020; Kimball et al., 2020; Imbert et al., 2020).
Piuttosto, sono fortemente consigliate iniziative di sorveglianza attiva (Perri et al., 2020) da porre in essere attraverso:
 Test di screening a tutti i residenti ed operatori da considerare potenzialmente infetti indipendentemente dalla comparsa di sintomi (Canady, 2020; Karb et al., 2020; Mosites et al., 2020; Perri et al., 2020; Ralli et al., 2020; Rogers et al., 2020; Tobolowsky et al., 2020; Tsai e Wilson, 2020).
 Tracciamento dei contatti in caso di esito positivo (Baggett et al., 2020).
 Limitazioni nell’afflusso di nuovi ospiti ed erogazione di risorse (materiali, economiche, umane) per garantire l’applicazione delle precauzioni necessarie per la prevenzione e il controllo delle infezioni da COVID-19 (Farha et al., 2020; Karb et al., 2020; Nichols e Mays, 2021; Perri et al., 2020; Ralli et al., 2020; Tan e Chua, 2020; Tobolowsky et al., 2020).
 Istruzione ad ospiti e volontari sulle raccomandazioni di base per prevenire il contagio (Canady, 2020; Ralli et al., 2020; Tobolowsky et al., 2020; Tsai e Wilson, 2020).
 Formazione continua del personale anche attraverso webinar settimanali (Nichols e Mays, 2021).
 Trasporto immediato e isolamento dei residenti sintomatici o con infezione confermata in strutture predisposte per la quarantena e il recupero dalla malattia (Baggett et al., 2020; Mosites et al., 2020; Perri et al., 2020; Tobolowsky et al., 2020).
 Accesso facilitato alle cure mediche secondo le specifiche necessità (Ralli et al., 2020). La pratica di limitare l’afflusso di nuovi residenti nei rifugi potrebbe condurre ad un elevato rischio di sviluppare cluster di COVID-19 difficili da contenere e rintracciare, per la natura intrinsecamente nomade delle persone senza dimora (Karb et al., 2020; Tan e Chua, 2020); è quindi promossa l’istituzione di nuove strutture di accoglienza di emergenza sfruttando gli spazi pubblici disponibili (Duber et al., 2020; Perri et al., 2020).
Per fare ciò è però necessario il pieno e attivo coinvolgimento sia degli homeless che della comunità, il che richiede relazioni bidirezionali e interazioni basate sul rispetto, l’umiltà culturale e il vantaggio reciproco (Alberti et al., 2020; Conway et al., 2020; Wilkins e Alberti, 2019). Le istituzioni governative, sanitarie e sociali dovrebbero sviluppare programmi e politiche di promozione della salute e mitigazione della diffusione del contagio, in stretta e costante collaborazione con le organizzazioni non governative e gli enti di beneficenza già presenti sul campo, secondo un approccio coordinato, per garantire che gli specifici bisogni siano soddisfatti e che la stigmatizzazione non sia aggravata dalla pandemia, rimuovendo così il muro di sfiducia reciproca tra istituzioni ed emarginazione (Barbieri, 2020; Perri et al., 2020; Ralli et al., 2020).

Insediamenti informali
Lo sgombero forzato o lo smantellamento degli insediamenti informali è sconsigliato, perché ciò può causare la loro dispersione nella comunità e la perdita dei collegamenti con i fornitori di servizi, aumentando il potenziale di diffusione della malattia (Farha, 2020; Nichols e Mays, 2021). Per procedere ad una sorveglianza sul territorio attiva ed efficace è importante, a tutela di chi risiede in accampamenti o baraccopoli e non ha voluto o potuto trovare un alloggio sicuro, favorire l’utilizzo di unità mobili per un supporto sanitario in loco e la consegna “a domicilio” di: servizi essenziali di sussistenza (cibo, vestiario) e protezione dal contagio (dispositivi di protezione individuali, gel disinfettante per le mani, servizi igienici), nonché di materiale informativo sul COVID-19, come volantini educativi scritti in diverse lingue e di facile comprensione (Barbieri, 2020; Farha, 2020; Nichols e Mays, 2021; Ralli et al., 2020). Agli operatori che lavorano in strada dovrebbe essere consentito di effettuare un triage telefonico segnalando le persone bisognose di un rapido trasferimento in apposite strutture a mezzo di un sistema di trasporto sicuro (veicolo attrezzato con personale formato) (Barbieri, 2020; Miller et al., 2020; Wood et al., 2020). Nello specifico è prioritaria la promozione di strutture di isolamento e protezione per homeless asintomatici o negativi per COVID-19 ma altamente vulnerabili, garantendo loro un continuo monitoraggio delle condizioni cliniche per un rapido trasferimento presso strutture di cura in caso di positività e comparsa di sintomi (Barbieri, 2020; Cumming et al., 2020; Kirby, 2020; Miller et al., 2020).

Alloggi temporanei
I centri di protezione e cura (es. hotel non utilizzati, ostelli, ospedali da campo, tendopoli) dovrebbero assicurare il rispetto di tutte le precauzioni utili a contrastare la diffusione del contagio di COVID-19, ivi compresa la disponibilità di stanze singole con bagno personale e la collocazione in luoghi separati del personale sanitario (Barbieri, 2020; Dotson et al., 2020; Farha, 2020; Kirby, 2020). Stante l’alta prevalenza tra i senza dimora di disturbi da dipendenza di sostanze d’abuso e di malattie psichiatriche (Levorato et al., 2020), senza la fornitura urgente di adeguati servizi di supporto medico e psicologico per la prevenzione di sintomi di astinenza e il controllo e la gestione del disagio mentale, molti individui potrebbero decidere di lasciare prematuramente gli alloggi temporanei messi a loro disposizione, mettendo a rischio la salute propria e altrui (Barbieri, 2020; Dotson et al., 2020; Duber et al., 2020; Kelly et al., 2020; Kirby, 2020; Peate, 2020; Tsai e Wilson, 2020; Wood et al., 2020). Anche in presenza di tali servizi, non è detto che la sistemazione sia accettata o adatta a tutti gli homeless: alcuni potrebbero rifiutarsi di essere confinati in un luogo chiuso (Peate, 2020), per altri potrebbe essere più opportuno il reindirizzamento verso contesti assistenziali come ospedali, unità psichiatriche o case di cura (MacKenzie et al., 2020).
Per assicurare il rispetto delle norme di isolamento e quarantena e soddisfare i criteri previsti per una dimissione sicura, è incentivata l’implementazione di programmi di recupero dalle dipendenze anche se, in specifiche circostanze, viene accettata anche una politica di compromesso sulla gestione delle sostanze d’abuso tramite una fornitura controllata e sicura (Aman e Wurth, 2020; Conway et al., 2020; Kar et al., 2020; Lenhard, 2020; MacKenzie et al., 2020; Nichols e Mays, 2021; Perri et al., 2020).
L’associazione tra deprivazione sociale, insicurezza abitativa e rischio infettivo suggerisce che la messa a disposizione di alloggi permanenti è una necessaria soluzione a confronto delle strutture temporanee implementate per le persone senza dimora (Mehta, 2020; Nichols e Mays, 202; Perri et al., 2020); tali alloggi dovrebbero essere sicuri, confortevoli e integrati entro un completo piano di supporto sociosanitario (Conway et al., 2020). Nel rispetto di una tale visione i governi potrebbero ricavare unità abitative dall’acquisto di camere d’albergo o motel o dalla riconversione di caserme o ospedali inutilizzati (Farha, 2020), sul modello di quanto implementato da alcuni anni in Finlandia (Pleace et al., 2015).

La situazione in Italia
In Italia vi è un ritardo nell’implementazione di sistemi di protezione dei senzatetto dagli effetti del COVID-19; il nostro Paese non ha in attuazione una strategia nazionale coordinata a tutela della salute di queste persone, principalmente a causa della decentralizzazione del sistema sanitario nazionale (Barbieri, 2020). Nel dicembre 2020 solo la Regione Piemonte ha pubblicato linee guida ufficiali che indicano le misure da adottare per proteggere i senzatetto durante l’epidemia (Regione Piemonte, 2020). La conseguenza è che le attività di informazione, screening e sorveglianza attiva, essenziali tanto nei grandi centri urbani quanto nei sovraffollati insediamenti informali di migranti e rifugiati dell’Italia meridionale, sono più frutto di iniziativa indipendente da parte del mondo del terzo settore (associazioni di volontariato, cooperative sociali, società di mutuo soccorso, organizzazioni non governative, imprese sociali) piuttosto che di strategie dei sistemi sanitari regionali (Barbieri, 2020). A conferma di ciò, il 20 ottobre 2020 l’Istituto Nazionale per la promozione della Salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà (INMP) ha emanato delle indicazioni operative ad interim per la gestione di strutture con persone ad elevate fragilità e marginalità socio-sanitaria nel quadro dell’epidemia di COVID-19, finalizzate a favorire il già presente rapporto sussidiario tra enti pubblici ed enti privati e del terzo settore in chiave di iniziative di prevenzione (educazione sanitaria di base) e sorveglianza (segnalazione precoce all’autorità sanitaria di possibili casi sospetti), da implementare sia nei contesti di accoglienza organizzata per migranti, persone senza fissa dimora o con fragilità sociale (es. centri di accoglienza straordinaria, sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che nelle soluzioni a organizzazione scarsa o nulla (strada, ripari di fortuna, baraccopoli, campi rom e sinti, edifici abbandonati), caratterizzate dall’informalità e dalla carenza di servizi essenziali (INMP, 2020).

CONCLUSIONI
È difficile attivare iniziative per garantire il rispetto delle strategie di contenimento dell’infezione di COVID-19 nelle persone senza dimora, che sono ad elevato rischio di esporsi al contagio e/o diffondere l’infezione perché di natura nomade, spesso con disturbi psichiatrici e/o dipendenza da sostanze d’abuso, impegnati nell’economia informale o nel lavoro sessuale, con difficoltà ad accedere alle strutture di cura e a instaurare un rapporto di fiducia con operatori e fornitori dei servizi sociali e sanitari. Sono inoltre soliti frequentare rifugi o centri di accoglienza che si caratterizzano per essere sovraffollati, insalubri e poco sicuri.
Le restrizioni intraprese dai governi in conseguenza della pandemia hanno un forte impatto su questi individui in termini di esacerbazione di un cronico stato di insicurezza alimentare, aumento delle difficoltà nel soddisfacimento del bisogno di igiene personale e di un riparo sicuro, completa abolizione di qualsiasi fonte di reddito, peggioramento dei problemi di salute fisica e mentale e aumento del consumo di sostanze d’abuso. Per migliorare la sicurezza di rifugi e centri di accoglienza sono stati attivati i seguenti interventi: test di screening a residenti ed operatori; tracciamento dei contatti; afflusso controllato; fornitura di risorse a garanzia del rispetto delle precauzioni anti COVID-19; istruzioni ad ospiti e volontari; formazione continua del personale operante; trasporto dei residenti sintomatici o con infezione confermata in strutture apposite; accesso facilitato alle cure mediche e decompressione delle strutture con creazione di nuovi centri di accoglienza di emergenza.
Le iniziative implementate presso gli insediamenti informali (supporto sanitario, consegna di servizi essenziali di sussistenza, presidi e dispositivi di protezione, materiale informativo) sono state promosse privilegiando l’utilizzo di unità mobili.
Sono state promosse strutture di isolamento e protezione per homeless asintomatici o con fragilità ma negativi per COVID-19 e strutture di cura in caso di positività e comparsa di sintomi, assicurando in ambedue i contesti la fornitura di servizi di supporto medico e psicologico.
In Italia non vi è in attuazione una strategia nazionale coordinata a tutela della salute delle persone senza dimora; le iniziative di informazione, screening e sorveglianza attiva, salvo l’eccezione della regione Piemonte, sono ad oggi appannaggio essenzialmente del mondo del terzo settore.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma che tutti gli esseri umani sono nati liberi e uguali in dignità e diritti (Nazioni Unite, 1948): sono proprio dignità e diritti dei soggetti più vulnerabili che richiedono un’attenzione specifica nella risposta alla pandemia, per evitare di esporli a un rischio maggiore di infezione e garantire loro l’accesso a informazioni, servizi sociali, assistenza sanitaria e inclusione sociale (OHCHR, 2020; WHO, 2020).
Contrariamente al pensiero comune, in tempi di COVID-19 il virus non colpisce tutti allo stesso modo bensì incide di più sulle popolazioni vulnerabili, tra cui gli homeless, per l’attuale articolazione dei sistemi sociali che favorisce ed incrementa la disparità tra costoro e la popolazione generale in termini di esposizione al virus, suscettibilità alla malattia, tempestività di accesso alle strutture sanitarie ed efficacia di trattamento.
Ma la tutela del diritto alla salute, come al cibo e a un alloggio stabile e sicuro, non può mai soggiacere ad uno stato di emergenza. L’assistenza sanitaria erogata sotto la stretta della pandemia di COVID-19 non è sufficiente in sé a compensare le iniquità di una vita, né a smantellare le strutture sociali perpetuanti le disuguaglianze. Per apportare i necessari correttivi e fornire un sostegno adeguato e duraturo alle persone senza dimora occorre promuovere importanti investimenti economici e avere la volontà anche politica di cambiare le cose.
La pandemia sta mettendo in risalto l’importanza di un alloggio stabile e sicuro come determinante sociale di salute; questo aspetto, riferito ai senzatetto, invita a riflettere sulla ineludibile necessità di fornire loro una casa, prima ancora che a tutela della salute propria e altrui, come diritto individuale inalienabile e dovere di una società avanzata.

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

STAMPA L'ARTICOLO

Bibliografia

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