Ho disegnato un sorriso sulla mia mascherina


Maria Camera, una collega con competenze specialistiche sia nell’ambito delle cure palliative e oncologico che nei servizi di emergenza-urgenza e terapia intensiva.
Come dice lei nella sua biografia, prevalentemente in prima linea.
Ho disegnato un sorriso sulla mia mascherina è il titolo del suo primo romanzo (NeP Edizioni 2020).
Un romanzo breve che sin dalle prime pagine cattura l’attenzione del lettore: “una parola tira l’altra”.
Il bisogno è di capire cosa succede alla protagonista. La curiosità tiene incollati ai capitoli i cui titoli sono la “chiave” al passo successivo dentro il racconto.
Noi Maria l’abbiamo voluta incontrare per fare una chiacchierata su Amélie la protagonista del romanzo.

Maria, prima di parlare di Amélie una curiosità. L’aver partecipato nel 2019 al progetto di FNOPI “L’arte di curare e raccontare” ha contribuito in qualche modo a far nascere l’idea e la scrittura del romanzo?
Assolutamente sì. L’opportunità che mi è stata data, insieme ad altri colleghi, di poter partecipare, con un mio racconto breve, al Workshop teatrale organizzato da FNOPI “L’arte di curare e raccontare” ha fatto nascere – in me – la necessità di raccontare la storia nella sua interezza, dando voce così a tutti i protagonisti.

La protagonista è Amélie una giovane donna francese che vive a Milano. Sembra essere una donna che “inciampa” nella vita reale, è sbadata, quasi sempre in ritardo, impacciata. Quando scrive però, lei è una scrittrice che si barcamena tra due lavori, sembra ritrovare la sua dimensione, si esprime a tutto tondo senza difficoltà.
È cosi?

Sì, Amélie è una ragazza di trent’anni, come ce ne sono tante, che si destreggia tra precarietà e sogni. Per vivere è costretta a fare due lavori: la traduttrice per un’agenzia di Milano, e la scrittrice di racconti brevi e non. Lei stessa si definisce “una giovane rammendatrice di necessità affettivo-letterarie”. Per lei la scrittura è tutto; in essa profonde tutto il suo vissuto, non certo facile, la sua storia, il suo passato e il suo presente. Scrivere per lei è terapeutico, una sorta di liberazione.

A un certo punto, il giorno del suo onomastico succede qualcosa ad Amélie. Cosa?
E’ il 5 gennaio quando per Amélie la vita cambia. E’ a casa con Oliver – il suo amato meticcio – e si sta asciugando i capelli, quando suonano al citofono. Nel rispondere cade a terra colpita da un’emorragia cerebrale.

Si aprono per Amélie le porte della terapia intensiva…
Viene soccorsa subito e trasportata all’Ospedale Metropolitano Niguarda. Un’emorragia cerebrale, non trattabile chirurgicamente, ne ha determinato la perdita di coscienza e il coma.

E qui entrano in scena gli altri protagonisti del racconto, alcuni suoi cari e gli operatori sanitari. Con quale ruolo?
Intorno, ed accanto, ad Amélie in terapia intensiva si muovono molte persone: infermieri, medici anestesisti e non, personale di supporto. Ciascuno con un proprio ruolo ben preciso, istituzionale, se vogliamo, ma anche con una storia propria. Non solo professionisti, ma essere umani con tutte le loro peculiarità.
Ho cercato di far emergere, nel racconto, proprio questi aspetti spesso sconosciuti. Ogni personaggio ha una sua dimensione professionale e umana che si palesa proprio attraverso i gesti di cura, assistenza e relazione, non solo con Amélie ma con tutti gli altri assistiti.

Amélie non ritorna dal buio in cui è sprofondata, va via. Quale è il messaggio che lascia?
Molti sono i messaggi che si possono cogliere leggendo il libro, e tanti gli argomenti trattati. La speranza e il dono, solo per sceglierne due. Quest’ultimo riguarda la donazione degli organi. Sette persone, oggi, possono vivere grazie agli organi di Amélie.

E chi si è preso cura di lei?
Proprio per le caratteristiche della sua situazione, in terapia intensiva, tutti si prendono cura di Amélie e della sua famiglia, che verrà supportata sino alla decisione finale di dare il consenso all’espianto degli organi. Accanto a lei vi è anche sua nonna Céleste, un altro personaggio molto importante che gioca un ruolo particolare proprio sul finire del romanzo.

Questo romanzo è dedicato ai colleghi che sono morti, non solo in questo periodo di pandemia…
Sì ho voluto dedicare il mio primo romanzo ai miei colleghi tutti, in particolare a coloro che non si sono mai tirati indietro, e sono morti per lo svolgimento della loro professione.

Un’ultima domanda sul titolo del romanzo Maria. Il titolo solitamente è la prima cosa che attira il potenziale lettore. Cosa dovrebbe arrivare dunque a chi prende tra le mani il libro e legge il titolo?
Il titolo, “Ho disegnato un sorriso sulla mia mascherina”, vuol mettere in evidenza come è possibile curare anche porgendo un semplice sorriso e, dovendo necessariamente utilizzare questo dispositivo, non solo adesso per la pandemia, è necessario utilizzare anche la creatività, disegnando su di essa uno smile.
Nella mia lunga carriera, in Pronto soccorso così come in Terapia intensiva, mi è capitato spesso di disegnare sorrisi sui guanti, sui Visor protettivi, nasi rossi per far sorridere i bambini, espressioni buffe per comunicare.

Marina Vanzetta
19 aprile 2021

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