Il commiato…


Guardo in continuazione il monitor con i tuoi parametri vitali, ma mi basta osservare il tuo respiro agonico per capire che potrei non avere più molto tempo. Sostituisco velocemente la siringa della Noradrenalina del tuo vicino di letto per evitare che la sua pressione precipiti, afferro il tablet ma un altro allarme mi chiama al letto di un altro paziente da broncoaspirare e continuo a guardarti, so che tua moglie e le tue figlie vogliono vederti e parlarti.
Riesco finalmente a comporre il numero di telefono, tua moglie e le tue figlie appaiono sullo schermo.
Chiedo loro se sono consapevoli del fatto che ti vedranno intubato, incosciente e con presidi invasivi a cui so non essere abituate, mi rispondono affermativamente.
Raggiungo il tuo letto mostrando loro la mia faccia, o meglio i miei occhi, la sola cosa visibile dietro la nostra armatura, non posso rischiare che durante il tragitto compaiano altri pazienti, devo tutelare la loro privacy. Ed eccoci, do un rapido sguardo per accertarmi che tutto sia in ordine, i tuoi cerotti, il lenzuolo, il viso è pulito, giro la videocamera in modo che loro possano vedere te. Io continuo a vedere loro. Credo di aver disteso le braccia completamente, quasi a voler creare quella distanza che fino a prima dell’avvento di questa pandemia si traduceva nel chiudere una porta per lasciare a voi pazienti e alle vostre famiglie quell’intimità necessaria ad un momento tanto drammatico e intimo, il commiato definitivo.
Oggi non posso e assisto in punta dei piedi alle ultime parole che tua moglie e le tue figlie ti vogliono affidare.
Tua figlia, tra le lacrime, ti augura buon compleanno, non mi ero accorta fosse il tuo compleanno oggi, ti dice che ti vuole bene, ti dice “ciao papà”, mi dice che possiamo interrompere la videochiamata e abbasso.

Ti stringo la mano e inizio a combattere con le mie lacrime che pizzicano e che non posso asciugare, i miei guanti sono infetti. Ho visto un angolo della tua casa, quello concesso dall’inquadratura, la mia mente ha creato immagini… ti ho visto rincasare, stanco dal lavoro, posare le chiavi e una busta della spesa, lamentandoti del traffico in strada; mi capita spesso di immaginarvi fuori da questa realtà, non è facile assistere persone che sembrano corpi privi di vita, si mettono in atto strategie inconsce per elaborare in modo sano ciò a cui si assiste.
Io invento le vostre vite e che meraviglia quando mi è concesso di scoprire quanto mi sono avvicinata alla verità, significa che siete tornati.
In tanti anni di servizio in terapia intensiva sono stata testimone di innumerevoli morti, vorrei poter dire a tua moglie e alla tue figlie che nessuno muore solo, questa constatazione ha rincuorato anche me stessa.
Ricordo il suono del telefono rompere il silenzio della notte in quel lontano 30 Dicembre di quasi vent’anni fa, la pena che ho provato nell’apprendere che mio padre era morto solo, in un letto che non era il suo, con il corpo ricoperto di dispositivi, senza le nostre mani a stringere le sue. Assistere alla morte è un’esperienza forte, totalizzante, inevitabilmente proiettante, la morte è un destino che ci accomuna.
E’ un momento solenne, da celebrare, ne sento sempre la responsabilità, aver cura della morte per celebrare la vita. Non ci è dato di decidere la maniera di morire, per alcuni la morte è un evento improvviso, il tempo dei commiati gli è negato, per altri questo tempo si compie, così per le persone che hanno accanto. Si dice che si nasce e si muore soli; ho visto stanze piene di parenti e stanze vuote, la persona che affronta l’esperienza della morte si chiude al mondo, come in un divino raccoglimento, probabilmente quegli occhi chiusi vagano in luoghi consueti e incontrano tutti gli affetti di una vita. No, non muoiono soli.
Così, noi vivi, abbiamo bisogno di non sapervi soli mentre ci lasciate, riempiamo le sedie vuote a Natale di ricordi e profumi e voci per trattenere la vostra e la nostra vita e per arrenderci alla nostra umanità, e così ora ti faro la barba. Sì, hai capito bene, ti toglierò tutti questi tubi, accessi vascolari, sondini, elettrodi, cannule, ti laverò i denti, pulirò il tuo viso, ti raderò come facevi ogni mattina con il profumo del caffè e le voci di tua moglie e delle tue figlie in cucina. Non importa se nessuno potrà vederti, è un rito di dignità, è una forma di rispetto verso la tua vita e verso l’umanità intera. Guardo fuori dalla finestra, c’è un po’ di nebbia, i lampioni accesi, le macchine che corrono avanti e indietro, uno stormo di uccelli in viaggio, qualche passante infreddolito…
Penso che tutto continua nonostante tutto. Vorrei poter aprire la finestra per lasciarti volare via, come facevo da studente in geriatria assistendo alle mie prime morti, ma non si può e sono certa non sia necessario.
Penso che ho voglia di tornare a casa mia, di sentire il profumo del caffè del mattino, di baciare mio marito e di affondare nelle guance dei miei bambini. Ora ti lascio andare, non so nulla di te, ma abbiamo condiviso un momento fondamentale della tua vita. E’ stato un grande onore, un privilegio e ringrazio la vita per questo.

19 MARZO 2021

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