Covid marzo 2020 – 2021, i racconti curano ancora?


Un anno fa, “Racconti di cura che curano, Antologia sanitaria ai tempi del Coronavirus”.
Un libro che è entrato nelle “case” di molti colleghi e non. Una raccolta di racconti a testimonianza del tempo che è stato, di ciò che è stato fatto da parte degli operatori sanitari tutti: prendersi cura delle persone assistite. Un prendersi cura che è sempre stato tale prima di questo tempo, durante e dopo.
Un lavoro certosino curato da Silvia Fortunato Infermiera del Dipartimento salute mentale AUSL Bologna, Tutor d’aula corsi FAD e staff di progetto. Il ricavato delle vendite di questo lavoro è andato a sostegno del progetto #noicongliinfermieri promosso da FNOPI.
Racconti che come le tessere di un puzzle hanno “disegnato” un Paese, il nostro, fatto di professionisti che con competenza, resilienza, hanno “gettato il cuore oltre la siepe” per esserci sempre accanto a tutti quelli che ne avevano bisogno. Professionisti che non si sono mai piegati alla stanchezza, alle difficoltà, alle perdite. Lo ha saputo evidenziare bene Silvia nella raccolta e nella cura quanto mai attenta delle testimonianze.
A Silvia abbiamo chiesto di “ripercorre a ritroso” questo lavoro per ri-raccontarcelo oggi a distanza di un anno.

Silvia, toccanti e molto significative le parole scelte per nominare i capitoli del libro: le abbiamo associate in modo evocativo rabbia, speranza, solitudine, amore. Perché hai scelto queste parole e non altre?
Da lettrice ho sempre apprezzato quando la verità che viene raccontata la vivo sulla mia pelle tramite le parole che lo scrittore sceglie, cosi con quella stessa identica voglia di non ingannare chi ci avrebbe letto ho scelto le parole che rappresentano gli infermieri.
Rabbia per come stavamo affrontando l’emergenza sanitaria, senza risorse e senza adeguate protezioni, rabbia per come siamo stati trattati e considerati fino ad un attimo prima. Ricordiamo tutti le aggressioni verbali e fisiche nei PS? Oppure alla scarsa considerazione sociale avuta fino a qualche mese prima (Sgarbi Ndr, Annunziata, Di Maio, etc).
Speranza, che si accompagna alla parola cura, che è il nostro core professionale, senza la speranza non ci sarebbe la possibilità di curare, assistere, continuare a vivere. La speranza di trovare la cura, di farcela, di tornare alla vita di sempre, di aiutare a guarire chi si era ammalato. Di non lasciare morire mai più nessuno da solo.
Solitudine, è la parola più sentita e vissuta di questa pandemia. Soli gli ammalati, soli gli operatori, soli gli anziani a casa, tutti in solitudine nel vivere una stagione di vita che mai avremmo pensato di vivere. La solitudine forzata, ha generato tante frustrazioni e tanto dolore, in alcuni ha raschiato la propria anima così a fondo da fare anche gesti estremi che ci hanno paralizzato e preoccupato.
Amore, verso l’umanità, verso la natura e riscoprire anche in situazioni così drammatiche quanto sia bello vivere. I racconti sono così pregnanti di amore verso i nostri pazienti, i nostri cari, tanto che a volte ci siamo dimenticati di noi, come esseri umani. Che siamo fragili anche noi. Se a volte ci hanno chiamati eroi nonostante lo rinnegassimo, io in fondo credo che lo siamo stati, perché la vera eroicità sta nel provare amore ogni giorno anche se tutto intorno muore e tu sei quello che può fare la differenza nel guardare il mondo. E farlo vedere con la tua lente agli altri.

Orgoglio professionale, deontologia, determinazione, riconoscimenti, oggi sceglieresti ancora queste parole?
Più che mai il nostro è stato un percorso emotivo davvero crescente. Più aumentavano i contagi, più si chiedeva uno sforzo immane e più ci sentivamo sottoposti a una pressione non soltanto mediatica ma anche sociale. Ci vedevano come eroi perché in quel momento eravamo visti come coloro che dovevano assolvere al loro ruolo, ovvero salvare vite. Siamo una professione che ha un proprio codice deontologico, affamati da anni senza mai un riconoscimento sociale oltre che economico, determinati nel cercare il nostro posto nel mondo e la Pandemia è stata in un certo modo la spinta che ha fatto leva nelle persone. Finalmente si sono accorti di noi. L’anno 2020 era stato definito dall’OMS come l’anno dell’infermiere e mai come in questo anno la parola INFERMIERE è stata detta, letta, scritta ovunque. Questo ha fatto riaccendere in tanti quell’orgoglio professionale che si era sopito nel corso di una vita professionale spesso vissuta in sordina. Sceglierei ancora queste parole ma le declinerei in modo differente. Il posto al sole non esiste, abbiamo lottato per arrivare a competenze sempre più avanzate e complesse, un percorso di studio che è sempre più specialistico e difficile che non ha niente da invidiare ad altri deve far nascere sempre più quell’orgoglio, quella determinazione che guidata dalla nostra deontologia deve essere riconosciuta a livello sociale, economico e politico.

Tempo, realtà, futuro, a distanza di un anno come riempiresti di contenuto questo tempo, questa realtà e soprattutto il futuro?
Il tempo è importante, se si sbaglia il tempo si può cambiare il corso agli eventi; nel nostro percorso di cura il tempo gioca un ruolo fondamentale come riveste di suggestioni il tempo che si impiega per capire quale sarà la manovra di emergenza più efficace. Questo per dire che a volte ne dobbiamo mettere poco e altre volte invece dobbiamo investire sul tempo come percorso di maturazione e crescita personale oltre che professionale.
La realtà di questi ultimi giorni, a distanza di un anno e di nuovo in zona rossa mi hanno fatto perdere un po’ di quel sano ottimismo che a noi infermieri non è mai mancato ma che non può essere ignorato. Cosa è cambiato per noi, per i nostri assistiti? A inizio 2021 ero fiduciosa perché stavano arrivando i vaccini, poi le varianti, le cattive abitudini di alcuni, il sempre insufficiente personale mi (ci) ha fatto ripiombare nelle incertezze e pensare al futuro è sempre più difficile.
Se penso al futuro che vorrei penso che in qualche modo siamo riusciti a vaccinare tutta la popolazione, che le politiche sanitarie visto quello che è successo, non facciano mai più tagli alla sanità come negli ultimi 20/30 anni; che ci siano dirigenti lungimiranti e che lavorino pensando che prima di tutto esiste una base; che i nostri giovani colleghi neo laureati non vadano all’estero a cercare un lavoro meglio retribuito. Penso che l’esperienza di questa emergenza sanitaria riproponga la centralità della sanità tra le priorità dei nostri governanti e che soprattutto la popolazione che ci ha ignorati fino allo scorso anno possa invece capire quale ricchezza rappresentiamo per la cura e l’assistenza.
Immagino un futuro dove gli infermieri possano esercitare con orgoglio la relazione di cura e che il tempo speso con i propri assistiti sia riconosciuto e valorizzato anche all’interno delle organizzazioni di lavoro. Immagino un’autonomia infermieristica più territoriale che congiunga gli ospedali al territorio per garantire alla cittadinanza quei bisogni che non necessitano di ricovero ma che sono sempre più sentiti dalla popolazione che invecchia.
Se proprio posso immaginarlo un futuro lo vorrei vedere così.

La rilettura dopo un anno delle testimonianze che hai raccolto che cosa ti lascia?
Sicuramente colgo gli occhi innocenti e spauriti di chi si stava rimboccando le maniche e come se tutto il peso del mondo fosse sulle sue spalle, rivivo le emozioni che in quei mesi ci hanno colto e stravolto. Molti degli autori dopo i loro scritti si sono ammalati di Covid, altri hanno visto troppi, troppi morti e allora mi chiedo se oggi scriveremmo le stesse cose con quello stesso sguardo innocente e spaurito oppure saremmo più amareggiati e cinici nel descrivere le emozioni che si sono susseguite dopo la pubblicazione. Erano i tempi dell’#andràtuttobene e delle canzoni sui balconi, degli applausi e striscioni fuori dagli ospedali…poi però dopo l’estate siamo stati insultati, tacciati come responsabili, o peggio che in fondo quello era il nostro lavoro.
Detto questo se tornassi indietro rifarei tutto per due semplici motivi. Il primo, gli infermieri hanno bisogno di scrivere se vogliono essere riconosciuti e questo libro per me rappresenta questo. Il secondo, nonostante sia una antologia di autori sparsi su tutto il territorio nazionale abbiamo fatto una grande rete e questo è per me motivo di orgoglio perché abbiamo dimostrato che sappiamo fare squadra sia tra noi ma anche con altri professionisti, infatti tra gli autori ci sono anche dei medici e nelle nostre storie parliamo anche dei tanti professionisti che lavorano con noi in un’ottica di multidisciplinarietà. Abbiamo anche parlato del lavoro immenso del personale delle pulizie che in questa emergenza è stato fondamentale.

Che cosa vorresti dire oggi agli operatori sanitari, ai cittadini e alle istituzioni?
Ai miei colleghi e a tutti gli operatori sanitari vorrei dire che dobbiamo cercare di chiedere aiuto quando non ce la facciamo più. Ho visto molti colleghi saltare riposi, ferie. Dopo un anno abbiamo bisogno di respirare. Che i danni di questa esperienza li vedremo con il tempo, ma altrettanto mi sento di dire, nonostante quello che vediamo tutti i giorni, che dobbiamo essere forti e pensare che il peggio l’abbiamo affrontato e che speriamo di uscirne sani entro la fine dell’anno. Di cercare di continuare a essere una guida per i nostri assistiti e di continuare a fare educazione sanitaria 365 giorni all’anno, di non mollare mai!
Alla popolazione vorrei solo dire che capisco la stanchezza di chi da un anno non si muove, non viaggia, non esce, non fa niente ma lo sforzo che ci è stato chiesto è per un bene superiore, la salute della collettività. Per farlo dobbiamo tornare a essere un po’ più umani e pensare a chi non può essere protetto perché è più fragile. Dobbiamo tornare a praticare la gentilezza che quella non fa mai male, anzi pare assicuri la felicità verso chi la riceve e chi la pratica. Magari perché no, farsi un giro in ospedale per capire chi sta peggio.
Alle istituzioni invece vorrei dire che “se non adesso Quando?”
Ovvero, è questo il tempo per un cambio di vedute, di politiche, di prospettive che vanno necessariamente prese. Un esempio e un suggerimento: Togliete il vincolo di esclusività di rapporto degli infermieri dipendenti nel SSN: è anacronistico, è antidemocratico, è antipolitico. Dateci i vaccini e finiremo la campagna vaccinale entro l’estate.

Marina Vanzetta
19 MARZO 2021

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