Prendersi cura della cronicità


Pensare è facile, agire è difficile, e mettere i propri pensieri in pratica è la cosa più difficile del mondo.”
(Johann Wolfgang Goethe)

L’invecchiamento progressivo della popolazione è un importante obiettivo di sanità pubblica ma, insieme al miglioramento delle condizioni di salute e l’aumento della sopravvivenza, fa diventare le patologie croniche una priorità del sistema sanitario.
La questione, sicuramente non l’unica, è dunque come invecchiare bene con la cronicità. Tanti gli interrogativi intorno a questi termini soprattutto se le riflessioni si concentrano sul significato profondo e concreto del prendersi cura della cronicità per accompagnare un buon invecchiamento.
Per entrare nel merito abbiamo incontrato Dagmar Rinnenburger, medico pneumologo che della cronicità nella sua lunga esperienza clinica si è occupata e che al tema ha dedicato un libro La cronicità. Come prendersene cura, come viverla (Il Pensiero Scientifico Editore, 2019).

Come si coniugano cronicità e salute e ancora, come si raggiunge l’equilibrio nella presa in carico quando già solo pensando ai termini, l’attenzione si focalizza sull’acuto?
È naturale voler risolvere immediatamente una crisi che ci fa precipitare, spesso in modo inaspettato, dallo stato di salute alla condizione di malati. In particolare quando è accompagnata da urgenza o emergenza. Un problema si presenta e si risolve, del tipo: un’appendicite o un trauma. Già è diverso nell’infarto miocardico, che si cura nell’immediato, ma poi nella maggior parte dei casi si deve affrontare il problema cronico, o per meglio dire la condizione cronica che ha portato all’infarto, come il diabete, l’ipertensione, l’iperlipidemia e il fumo. Lo stesso vale per la polmonite in un paziente con la broncopneumopatia cronica ostruttiva: una volta curata l’infezione acuta, va affrontata la situazione cronica di fondo. Si vede che spesso la situazione acuta è solo la punta di un iceberg: sotto ci sta la cronicità. L’equilibrio nella presa in carico ci deve essere, per non dover affrontare di continuo delle piccole emergenze. Nel nostro sistema ospedalocentrico il Pronto Soccorso sembra spesso l’unico indirizzo al quale rivolgersi. Dovrebbe invece essere il punto di riferimento per le grandi emergenze mentre il territorio dovrebbe essere in grado di affrontare piccole emergenze e seguire problemi cronici. Così che l’accesso al Pronto Soccorso potrebbe essere evitato. Anche dal punto di vista organizzativo della sanità, dunque, avremmo tutto l’interesse a riservare la debita attenzione alla cronicità.

In realtà quanto pesa la cronicità sul sistema?
Nel “fact sheet” dell’OMS del 2018 il 71% delle morti nel mondo sono dovute a malattie croniche (non communicable diseases): nel mondo più del doppio dei decessi avviene per una cronicità, non per malattie infettive. Parliamo di 41 milioni persone; di queste 15 milioni hanno un’età tra i 15-69 anni. Vengono considerate tutte morti premature per cronicità. Questo è il peso in numeri, che dovrebbe farci riflettere. Queste morti aumentano ogni anno. In prima linea le malattie cardiovascolari, il cancro e le malattie respiratorie.
La società invecchia, la medicina progredisce e lascia sempre più persone con problemi che non possono essere completamente “guariti”; sembra che il sistema non si renda conto. I letti negli ospedali vengono ridotti per motivi di costo, ma spesso senza rinforzare il territorio, che dovrebbe essere in grado di accogliere la persona uscita dall’ospedale. Si sopravvive di più a malattie una volta fatali e si vive molto più a lungo. La cronicità è il prezzo del trionfo della medicina eroica. Non parliamo solo della cronicità del grande anziano: già in neonatologia assistiamo a una sopravvivenza che per alcuni significa poi anche la convivenza con un problema cronico. Il nostro sistema ancora non ha risposte adeguate. Questo è emerso anche durante la pandemia del Covid 19 tutt’ora in corso. Nelle zone che credevamo più avanzate dal punto di vista medico, il territorio era impreparato e spesso abbandonato.
Nello scenario del nostro sistema sanitario alla cronicità dovrebbe essere riservata un’attenzione privilegiata. Invece il “Piano nazionale cronicità”, con le sue ricadute sulla distribuzione del personale sanitario e sull’organizzazione territoriale dei servizi, continua a latitare. Pensiamo semplicemente al ruolo che spetterebbe all’infermiere nella cure domiciliari per aiutare i malati a convivere con le loro malattie croniche.

Ma perché siamo così affezionati al modello “acuto”?
Per secoli si moriva spesso all’improvviso e anche in giovane età, non di rado di parto e molti neonati nei primissimi anni. Poi è arrivata la medicina eroica. L’anestesia, che ha reso possibili grandi interventi, impensabili prima; si sono scoperti germi come il micobatterio della tubercolosi e sono stati prodotti gli antibiotici. La tubercolosi – per limitarmi al mio campo specialistico, in
quanto pneumologa – che riempiva tanti sanatori nel mondo con malati cronici che andavano verso la fine, è diventata una malattia infettiva, non solo curabile ma guaribile. La storia della medicina è diventata un elenco inarrestabile di successi, con i loro eroi. Ci siamo affezionati a questo modello e siamo sempre in attesa di notizie trionfali. Vorremmo tutti avere problemi acuti, che hanno un inizio e una fine. È il nostro pensiero magico. Nel libro che ho dedicato all’esplorazione della cronicità, nelle sue diverse articolazioni, mi sono ampiamente riferita al nostro immaginario comune, che ha modellato le nostre aspettative. Chi non vorrebbe George Clooney a salvare come pediatra il proprio figlio, dell’ormai storico “ER – medici in prima linea “, o Meredith Grey di “Grey’s Anatomy a tentare un intervento chirurgico che sembra impossibile? Con la medicina eroica sogniamo la “restituito ad integrum”, insomma: tornare come prima. Con la cronicità invece dobbiamo forgiarci in una nuova realtà, affrontare la fragilità e la nostra limitatezza nel tempo, la mortalità.

Quanto è faticoso prendersi cura della cronicità come operatori sanitari?
Immaginiamo un ambulatorio di diabetologia: entra il diabetico che non riesce ad affrontare la dieta. Oppure in pneumologia: ancora il malato con difficoltà respiratorie, che non ha smesso di fumare. O in reumatologia: sempre lo stesso racconto di dolori. Al primo impatto suona faticoso, noioso e anche inutile. Questa ripetitività pesa sugli operatori tanto quanto sulle persone stesse affette da cronicità. Però ci sono professionisti sanitari che riescono a entrare nella narrazione dei singoli malati: si fanno raccontare le ansie curate con il cibo o le sigarette, cominciano a trovare un aggancio dove iniziare una negoziazione o una cura nuova, magari mai provata nella lotta ai dolori cronici. Mentre nell’acuto è quasi superfluo che il malato parli – si affida al chirurgo nel caso dell’appendicite e attende la risoluzione del problema – nella cronicità il dialogo e la narrazione sono fondamentali per un’aderenza alla terapia. Un rapporto di tipo narrativo è prezioso anche per prevenire una sindrome di burnout nell’operatore. Nelle potenzialità aperte dalla Medicina Narrativa c’è spazio per tutti gli operatori. Più sono vicini al paziente – penso in particolare al ruolo dell’infermiere nel processo di cura – maggiore è l’opportunità di far emergere mediante la narrazione il ruolo che il malato può assumere nella gestione della cronicità.

E ancora, quanto è faticoso viverla?
Nel libro ho tracciato un percorso che si estende dalla descrizione del peso della cronicità per la persona – la fatica enorme di avere come compagne di viaggio nella vita malattie che non guariscono – alla difficoltà sociale di curare persone affette da problemi cronici. In questo scenario risaltano le difficoltà per il malato di aderire alle terapie; ma dobbiamo anche denunciare le risorse inadeguate messe a disposizione da un sistema sanitario che tutt’ora è efficiente nelle acuzie e sembra trascurare chi combatte a casa la battaglia della cronicità.
La salute, perfetta quasi mai, può andare a braccetto con la cronicità. E’ una realtà che prende sempre più spazio nella vita di tutti. Però ci dobbiamo separare dal nostro pensiero magico che ci porta a sognare la salute come stato ideale e disporci ad affrontare le nostre grandi e piccole cronicità e fragilità. Faremo finta di niente finché è possibile. Cercheremo anche strade alternative e cure miracolose. Ma il vero confronto con la cronicità inizia quando alla fine ci arrendiamo e facciamo pace con la nostra patologia, possibilmente con una figura professionale che ci accompagna con comprensione.

Quali sono gli elementi irrinunciabili a un’alleanza vincente tra chi la cronicità la vive e chi la cura?
L’alleanza terapeutica tra l’operatore sanitario – medico, infermiere, fisioterapista… – e la persona affetta da cronicità è la base di un percorso caratterizzato da tempi lunghi ed esiti incerti. Questo rapporto deve essere inserito in un sistema che favorisce la collaborazione e la convivenza. Il libro racconta dei modi di affrontare meglio il problema dal punto di vista medico-sanitario, introducendo modelli alternativi come le cure primarie, la medicina d’iniziativa e la medicina incrementale. Tra le risorse viene evocata la possibilità d’incontro tra persone con lo stesso problema nei tempi di Internet e dei social media. Un’attenzione particolare è riservata alle cure palliative, che non possono essere riservate ai soli malati oncologici, ma riguardano la totalità delle patologie d’organo. Idealmente le cure palliative dovrebbero essere intrinseche nelle cure della cronicità di ogni organo. Guardando al futuro, nuovi orizzonti si aprono con la robotica: i robot potranno essere al nostro fianco per aiutarci a sostenere il peso della cronicità. Provvidenziali non solo per risparmiare la schiena delle infermiere che saranno coadiuvate nel pesante lavoro di cura; anche per gli stessi malati cronici la robotica, e più in generale il mondo delle connessioni informatiche, promette possibilità di monitoraggio e di cura impensabili in passato. Anche a queste possibilità, che fanno sperare un futuro diverso alla cronicità, ho dedicato nel libro un’attenta considerazione.
Infine uno sguardo alla cronicità nel mondo, al di là dei nostri confini nazionali. La situazione è diversa per i paesi che si devono confrontare con la prevalenza di malattie infettive e carenza di sistemi pubblici di tutela della salute rispetto ai paesi dell’area dello sviluppo. Tuttavia la cronicità è trasversale a tutti: a quelli nei quali il numero dei malati cronici prevale già sugli acuti e a quelli che aspirano a entrare in questo scenario. Mi piace vedere un segno dell’interesse di tutti per la cronicità, indipendentemente da come la stanno vivendo in senso epidemiologico, nel fatto che l’editore Springer ha chiesto di tradurre il mio libro in inglese, destinandolo a un mercato internazionale. Davvero la cronicità è il tema più universale nella cura della salute. Può sembrare paradossale, addirittura provocatorio: la cronicità si colloca nel nostro futuro, individuale e come società, sotto forma di speranza.

Marina Vanzetta
11 febbraio 2021

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