Stare bene per fare bene: gestire lo stress


Stress, un termine breve ma pieno di significato e di molti effetti su chi lo vive, magari non lo riconosce o quand’anche questo succede non lo sa gestire.
Le conseguenze sono spesso “pesanti” sia in termini fisici che psicologici con riflessi sulla vita sociale e professionali di ciascuno. I professionisti della salute sono più esposti di altri allo stress e non sempre ne riconoscono il livello e/o hanno strumenti adeguati a prevenirlo e a gestirlo.
Ma per fare bene bisogna stare bene, e per stare bene bisogna saper gestire lo stress: facile dirlo, non sempre altrettanto facile farlo. Ne abbiamo parlato con Silvia Oggioni infermiera, counselor, formatore, presidente American Holistic Nurses Association (AHNA) Italia.

Il termine stress è un contenitore in cui ci si mette di tutto, ma proviamo a definirlo…
Dal punto di vista fisiologico il termine stress indica la risposta funzionale con la quale il nostro organismo reagisce ad uno stimolo più o meno violento (stressor) di qualsiasi natura (microbica, tossica, traumatica, termica, emozionale, ecc.). Se guardiamo quindi al funzionamento del nostro sistema, lo stress è uno stato di attivazione necessario per rispondere ad un impulso esterno, o interno, con il quale ci troviamo ad interagire.
La reazione di stress coinvolge molti sistemi (nervoso, endocrino, immunitario, metabolico, circolatorio) per permettere all’organismo di affrontare al meglio la situazione.
Dai nuclei paraventricolari ipotalamici viene originato un segnale chimico che determina il rilascio dell’ACTH (ormone adrenocorticotropo) da parte dell’ipofisi, stimolando la corteccia della ghiandola surrenale a produrre cortisolo. Al tempo stesso si attiva un segnale nervoso che, determina la liberazione di adrenalina, noradrenalina e dopamina da parte della midollare del surrene. Tali sostanze escrete nella circolazione sanguigna agiscono su diversi apparti, determinando in particolare l’aumento della frequenza cardiaca e della gittata, vasocostrizione periferica, vasodilatazione a livello dei muscoli, calo delle difese immunitarie, e iperglicemia.
Come conseguenza dell’aumento degli ormoni dello stress e di altri collegati, il cervello è più attivo e attento, i muscoli sono maggiormente irrorati, il sangue più ricco di sostanze utili a contrastare il dolore e a riparare eventuali ferite. Lo stress è dunque una risposta utile.
Il problema insorge quando lo stimolo esterno viene reiterato nel tempo, oppure quando è talmente forte da stravolgere la nostra vita e diventa fonte stessa di preoccupazione. Durante i primi mesi dell’epidemia Covid, quanto ha agito direttamente sul nostro equilibrio psicofisico il virus Covid19, e quanto invece la paura da esso causata? Quanto la mancanza di informazioni chiare sulla gestione dei pazienti/DPI ci ha reso ansiosi, prima ancora di affrontare la realtà dei reparti Covid?

Quanto oggettivo e quanto soggettivo è lo stress?
Possiamo distinguere tra cause esogene ed endogene. Nel primo caso troviamo eventi avversi di tipo fisico, mentale, emotivo o spirituale, come per esempio il lavoro ad alta intensività, rumoroso o addirittura le forme di prevaricazione (mobbing) che possiamo subire durante la nostra attività professionale. Tra le cause endogene invece, possiamo elencare diverse situazioni vissute a livello fisico, mentale, emotivo o spirituale. Quello che è importante sottolineare dal punto di vista olistico però, è che, come ormai ampiamente dimostrato, noi funzioniamo in modo interconnesso a livello di corpo, mente e spirito. Dunque, ogni fattore che interviene in uno di questi campi si ripercuote su tutti gli altri. Ad esempio, a parità di fenomeno stressante esterno, i condizionamenti mentali a cui tutti siamo sottoposti potrebbero farci vivere in modo differente la situazione e la conseguente risposta sarà soggettivamente diversa. La nostra mente, infatti si “pre-occupa” di molti aspetti, fantasticando e creando delle vere e proprie illusioni, che ulteriormente alimentano l’ansia che lo stress ci provoca, oppure no. Se pensiamo a quanto accaduto negli scorsi mesi di pandemia, durante la prima ondata abbiamo visto operatori scegliere di esporsi al rischio in prima linea, e altri che si sono ritirati. Togliendo il giudizio dalle altrui scelte e limitandoci ad osservare il fenomeno, ci rendiamo conto che a parità di stimolo, la diversa programmazione fisica, emotiva, e mentale di ognuno, ha portato le persone ad agire in modo anche diametralmente opposto.

Lei ha curato la versione italiana del Manuale sulla gestione olistica dello stress dell’AHNA. In cosa si differenzia da altri manuali sullo stress?
La differenza fondamentale è data dal fatto che questo manuale è scritto da infermieri – specializzati in cure complementari – per infermieri e operatori sanitari. I redattori del manuale conoscono bene lo stress a cui i colleghi sono sottoposti perché loro stessi lo hanno sperimentato. Le tecniche in esso contenute sono state collaudate e sono stati eseguiti numerosi studi proprio in ambito sanitario per verificarne l’efficacia, sul personale impegnato nei turni in clinica, nei reparti di emergenza e terapia intensiva. Negli Stati Uniti, AHNA sta producendo evidenze scientifiche sulle cure complementari dal 1980 – anno della sua fondazione – attraverso pubblicazioni (AHNA è l’editore della testata scientifica Journal of Holistic Nursing), ricerche e collaborazioni a livello universitario. Questo manuale volutamente semplificato è uno dei tanti frutti di questi studi. AHNA International (www.ahna.org) è nata infatti per rispondere alle esigenze di professionisti sanitari che stavano vivendo in quegli anni negli USA, gravi ripercussioni psicofisiche legate al loro lavoro, oltre ad essere poco riconosciuti a livello sociale ed economico. Erano appunto gli anni Ottanta dello scorso secolo e un gruppo di infermieri decise di iniziare a riscattare la propria condizione partendo dal lavoro su di sé, attraverso percorsi di consapevolezza e di auto-riflessione, volti a riscoprire il vero significato del proprio valore personale e professionale. Perché, e questo vale in ogni cosa, se vogliamo essere riconosciuti e rispettati come sentiamo di meritare, i primi a crederci dobbiamo essere noi.
Paradossalmente, siamo proprio noi, inconsapevolmente, a mettere sovente in atto meccanismi di auto-boicottaggio e fintanto che non riusciamo a disinnescarli attraverso la consapevolezza di noi, le cose non potranno funzionare nella direzione della crescita e del miglioramento, sia esso personale che professionale.

Verso la fine della sua prefazione lei dice che per curare gli altri dobbiamo prima prenderci cura di noi stessi. Il punto di partenza è, dunque, stare bene per fare bene. Come?
Innanzitutto, dobbiamo imparare ad ascoltarci.
Per noi infermieri questo è davvero il punto principale, perché da sempre ci siamo dedicati con generosità alle altre persone, mettendoci in ultima fila. Se la nostra propensione naturale all’altro ci ha indirizzati verso questa importante professione incentrata sulla relazione d’aiuto, dall’altra ci ha fatto allontanare da noi stessi. Anche la nostra formazione, fondata sul riconoscimento dei bisogni dell’altro, ci ha a maggior ragione spostati dal nostro centro, facendoci mettere “il paziente al centro”. Questo è giusto dal punto di vista del funzionamento del sistema sanitario e dei servizi che devono essere resi alle persone, ma deve avvenire a livello apicale la presa di consapevolezza che questa strategia può funzionare solo se il professionista diventa parte integrante di questa centralità. Al centro deve dunque trovarsi, non tanto l’operatore o il paziente, ma la relazione terapeutica, perché è da essa scaturisce la guarigione, l’accettazione delle cure, o della diagnosi, la trasformazione del lutto e la ricerca di un significato che può diventare, attraverso la malattia, anche trascendente.
E attraverso una rinnovata relazione terapeutica, il nutrimento a livello emotivo, spirituale, umano non sarà più a solo beneficio di uno degli attori. Non esisterà più un dare e un avere a senso unico, ma una crescita comune, nella quale ci si incontra e si condivide e ci si nutre a vicenda. E così, il risultato non sarà più burnout, ma amore.
Sapete bene cosa sperimentiamo a livello fisico quando aiutiamo qualcuno, con il nostro corpo sbilanciato in avanti, proteso verso di lui, e al contrario se utilizziamo una presa che coinvolge entrambi in un nuovo equilibrio. Provate, e capirete immediatamente quello che sto cercando di esprimere.
Attraverso il comitato scientifico AHNA ITALIA abbiamo promosso un questionario per chiedere agli infermieri il perché della mancata partecipazione alle numerose iniziative per fronteggiare lo stress messe a punto durante la prima ondata pandemica, in quei giorni di panico totale. Da una prima analisi dei dati raccolti emerge come in realtà gli operatori non abbiano partecipato alle iniziative di supporto perché non erano consapevoli del loro bisogno, del proprio stato di salute. Erano concentrati sui malati, e non avevano tempo per sé stessi. Alla partenza di un viaggio in aereo, la hostess ci dice che, se abbiamo un bambino seduto accanto, in caso di emergenza dobbiamo prima mettere la maschera con l’ossigeno a noi stessi, perché sennò non saremmo utili a noi e nemmeno a lui. Ad oggi, questo noi infermieri non lo sappiamo fare. Ma diventare consci di un problema, muove automaticamente la nostra mente alla ricerca di soluzioni.
E le soluzioni ci sono. Alcune di esse sono contenute nel manuale che ho tradotto: tecniche semplici, da sperimentare anche in autonomia, per iniziare intanto a verificarne l’efficacia su noi stessi. O magari chiedendo aiuto a qualche collega esperto, e non sono pochi quelli di noi che hanno una formazione eccellente nel campo di cure complementari, anche se questa purtroppo, molto spesso non è riconosciuta.
Le tecniche proposte si basano su aspetti cosiddetti “sottili”, che la nostra mente scettica, educata alla concretezza delle terapie derivanti dalla medicina e farmacologia occidentali, ci tende a far bollare come inefficaci. Ma molte di esse sono ispirate al contatto con la natura, ad una alimentazione sana ed equilibrata, a volerci più bene, e non comportano effetti collaterali. Quindi possiamo almeno metterci nell’ottica di provare!

La prima parte del manuale descrive cause e effetti dello stress e della gestione olistica dello stress basata sulla cura di sé e sull’autoriflessione. Che cosa è e come si fa l’autoriflessione?

“L’auto-riflessione è insieme una strategia di self-care e una pratica professionale, che integra il pensiero critico della mente con la compassione del cuore” (Levin & Rich, 2013).
L’auto-riflessione (self-inquiry) è una tecnica che ci aiuta ad osservare, da uno spazio di neutralità testimoniante, senza giudizio, dove siamo e cosa accade per noi in un dato momento presente. Questo ci aiuta a essere neutrali nell’assistere l’altro, da uno spazio di vera presenza consapevole. Per poterla praticare, è necessario partire da quelle che sono le tecniche di base della mindfulness, o meditazione di consapevolezza. L’autoriflessione è considerata negli “Scope and Standards of Holistic Nursing” edito da AHNA ed ANA nella sua rinnovata terza edizione del 2019, il Quinto Principio (insieme con il Self-care) dell’assistenza infermieristica olistica.
Si cerca una posizione comoda, meglio seduti con la schiena diritta, si chiudono gli occhi e si incomincia a portare la nostra attenzione alle sensazioni del corpo. Il corpo è la nostra “ancora” al tempo presente ed è sempre il punto di partenza e di arrivo. Posso aiutarmi ascoltando il mio respiro che si espande nel petto, oppure il battito del cuore, o ancora la sensazione del peso del corpo nei punti di contatto tra esso e la superficie di appoggio. Dall’osservazione di ciò che accade dentro di me, potrò notare che vi sono delle emozioni, che posso percepire come perturbazioni e turbolenze dello spazio interiore, che si ricollegano a ricordi, e posso anche sentire il vociare dei pensieri, che non smettono mai. In quello spazio posso scegliere: farmi trascinare via da ciò che provo, oppure osservare tutto quel traffico come se fossi seduto sulla sedia di un cinema, e godermi lo spettacolo. A prescindere dalla scelta che posso – o che riesco – a fare (non sempre è facile sganciarsi dall’identificazione con la nostra personalità), l’importante è che io mi ricordi di portare amorevolmente consapevolezza a quanto accade dentro di me, e che, invece di reprimere alcune tematiche emergenti, io provi, senza giudicarmi, ad averci a che fare. Ripetendo l’esercizio con regolarità, diventerò sempre più consapevole dei miei bisogni e potrò così dirigermi in modo sempre più efficace verso i miei veri obiettivi. Sia personali che professionali.

Nella seconda parte si entra nel dettaglio degli strumenti per la gestione dello stress. Vanno bene per tutti? Come si fa a individuare lo strumento giusto?
Il manuale è stato scritto apposta per favorire un “assaggio” delle diverse tecniche. In genere comprendiamo subito quali ci attraggono più di altre ed è bene farci guidare dalla nostra intuizione. Ognuno di noi è diverso, e quindi anche i risultati attesi possono cambiare. Alcune tecniche più potenti, come quelle basate sul respiro diaframmatico, per esempio, vengono sconsigliate nelle persone che soffrono di attacchi di panico, ma comunque gli effetti non sono mai così violenti e repentini da non poter essere interrotti qualora ci si dovesse accorgere di sensazioni sgradevoli, peraltro mai grave.
Vale sempre, e soprattutto qui, il consiglio di ascoltarsi e di fidarsi di quello che il nostro corpo ci rimanda. La nostra mente vorrebbe correre, arrivare per prima, forzare blocchi e situazioni limitanti, mettendoci a volte in pericolo. Il corpo invece ha una sua saggezza, un suo ritmo, e dobbiamo imparare ad accogliere i suoi messaggi. Difficilmente ne verremo ingannati.

Cosa suggerirebbe ai colleghi di fare per capire in tempo il livello di stress e gestirlo in modo efficace prevenendo così il burnout?
Attraverso l’auto-riflessione, che facilita l’auto-consapevolezza, si può notare l’insorgenza di alcune condizioni, come presenza di tensioni e dolori cronici, respiro corto anche a riposo, irregolarità nell’alvo, ipertensione, insorgenza di ansia o depressione, diminuita qualità di vita, difficoltà del sonno, instabilità emotiva, difficoltà della vita sociale e familiare, maggiore ricorso a compensazione con sigarette, alcol e droghe, scarsa propensione nei confronti del lavoro, difficoltà nella comunicazione con i pazienti, difficoltà a mantenere relazioni piacevoli con i colleghi, difficoltà di valutazione nella gravità di una potenziale emergenza.
Per questo vorrei invitare tutti i colleghi a leggere il manuale, e a frequentare le attività che con la nostra Associazione stiamo predisponendo in campo formativo come FAD, per ora, e non solo.
Per compiere i primi passi nel padroneggiare lo stress, soprattutto all’inizio occorre una guida, e all’interno di AHNA esistono molti professionisti che possono offrire un supporto. AHNA Italia è strutturata in una rete di professionisti sanitari esperti e specializzati nelle cure complementari, quindi ognuno può rivolgersi alla rete presente nella propria zona di appartenenza. Inoltre, in tempo di pandemia, i mezzi di comunicazione ONLINE ci hanno permesso di abbattere le barriere territoriali. E così i nostri meeting, pur facendo capo ad una regione specifica referente per l’organizzazione, in realtà sono aperti a chiunque voglia sperimentare un’esperienza con un gruppo di colleghi. Quasi ogni settimana, in qualche parte d’Italia, un gruppo AHNA si riunisce, per scambiarsi esperienze, emozioni, saperi diversi, e per condividere uno spazio di amore e compassione, in cui poterci sentire più uniti. Perché il burnout non deve più essere un’onta da nascondere, ma l’opportunità per farci ripartire con il piede giusto, senza farci dimenticare di noi. E se intorno riusciamo, tutti insieme, a costruire un sistema di supporto efficace, potremo chiedere aiuto, aiutando e facendoci aiutare. Le brutte giornate capitano a tutti, abbiamo anche tanta forza e tante qualità da condividere, con i colleghi in primis. Io credo che se potessimo creare all’interno di ogni area di lavoro un sistema di solidarietà, in cui ognuno possa permettersi di esprimere la propria vulnerabilità, apprendendo strumenti volti alla gestione emotiva, allo scarico della tensione, alla comunicazione efficace ed assertiva, lo stress si ridurrebbe di molto. Abbiamo dimostrato con un Poster scientifico, presentato al Risk Management Forum di Arezzo, che attraverso semplici tecniche di centratura messe in atto durante l’assistenza, gli operatori si sentivano più rilassati, lucidi, aperti, empatici, meno giudicanti.
Questo Poster è stato un importante passo per AHNA ITALIA, e se le aziende e gli ordini professionali si facessero promotori di queste modalità d’intervento, anche attraverso l’aggiornamento professionale obbligatorio, si potrebbero risparmiare molti soldi di gestione imputabili proprio al burnout, e cosa ancora più rilevante, molta sofferenza ai professionisti sanitari, e agli infermieri in particolare.
Negli ospedali USA gli infermieri hanno a disposizione spazi per poter fare meditazione. Qui da noi, cosa stiamo aspettando?

Marina Vanzetta
9 febbraio 2021

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