Aumentano gli anziani, le patologie croniche, i bisogni di cura e di assistenza ma non gli infermieri, perché?


Come è cambiata la popolazione italiana negli ultimi 70 anni? Una piramide demografica che si sta progressivamente “rovesciando”.


Andamento che si conferma in proiezione nel prossimo trentennio.

Un fenomeno che fotografa una struttura della popolazione italiana regressiva con un impatto sempre più rilevante sul sistema sociale: sanitario– focus di questo report – ma anche lavorativo e non solo.
Alcuni indici sono particolarmente utili per comprendere il carico sul sistema sanitario e sociale di questo andamento demografico: tra questi l’indice di vecchiaia e l’indice di dipendenza strutturale.
Il primo, l’indice di vecchiaia, ovvero il rapporto percentuale tra il numero degli ultrassessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni, nel 2020 è di 178,4 anziani ogni 100 giovani, nel 2010 era 144/100 (nel 2002 131,4/100).
Il secondo, l’indice di dipendenza strutturale, ovvero il carico sociale ed economico della popolazione non attiva (0-14 anni e 65 anni ed oltre) su quella attiva (15-64 anni) è di 56,6 individui a carico ogni cento persone che lavorano nel 2020: era 52,2/100 nel 2010 (49,1 nel 2002).

Aumentano anche le patologie croniche…
Se da un lato l’invecchiamento progressivo della popolazione è un importante obiettivo di sanità pubblica dall’altro, insieme al miglioramento delle condizioni di salute e l’aumento della sopravvivenza fa diventare le patologie croniche una priorità del sistema sanitario.
Cardiopatie (Infarto del miocardio, ischemia cardiaca o malattia delle coronarie o altre malattie del cuore), Ictus o ischemia cerebrale, tumori (comprese leucemie e linfomi), malattie respiratorie croniche (bronchite cronica, enfisema, insufficienza respiratoria, asma bronchiale), diabete, malattie croniche del fegato e/o cirrosi, Insufficienza renale sono le patologie croniche che rappresentano le principali cause di morte e di morbilità.
È significativa la percentuale di persone che sono affette da una o più patologie croniche nella fascia di età 65 – 85 e oltre. Secondo i dati dell’ISS – triennio 2016 – 2019 – la policronicità interessa 1 persona ultrassessantacinquenne su 4, registra una frequenza maggiore all’aumentare dell’età (il 19% delle persone 65-74enni ma raddoppia dopo gli 85 anni), fra gli uomini e tra le persone con status socio-economico più svantaggiato per difficoltà economiche o bassa istruzione.
Altrettanto interessante è la variabilità regionale della policronicità.

Se si associano i dati relativi all’indice di vecchiaia, l’indice di dipendenza strutturale con le percentuali delle persone affette da 1 o più patologie nelle regioni del nostro Paese nel 2020 (Tabella 1), risulta immediatamente evidente come di fatto al sistema sanitario è richiesto un profondo cambiamento dei contesti di cura, della presa in carico delle persone.

Tabella 1. – Indice di vecchiaia/indice di dipendenza strutturale/persone affette da 1 o più patologie.

Ma non aumentano gli infermieri…
La capacità di modificare i contesti di cura, la presa in carico, la risposta ai nuovi e sempre più complessi bisogni assistenziali è correlata a differenti fattori strutturali, organizzativi, economici ma anche alle risorse umane presenti nel sistema sanitario: nello specifico alla presenza degli infermieri.
Quelli presenti non sono sufficienti: come sottolinea l’OCSE il numero degli infermieri dovrebbe continuare a crescere negli anni proprio per il progressivo invecchiamento della popolazione.
E in effetti nella maggior parte dei Paesi dell’OCSE sono aumentati: la media è 8,2 infermieri per 1000 abitanti con tutti gli Stati del Nord Europa al di sopra di 10 infermieri ogni 1000 abitanti. Solo in alcuni dell’est europeo (Slovacchia, Cipro, Polonia, Lettonia, Bulgaria, Grecia, Serbia, Montenegro, Macedonia e Turchia), è al di sotto.
E in Italia? Nel nostro Paese gli infermieri continuano a essere 5,7 per 1000 abitanti. Se alla tabella 1 si aggiunge il rapporto infermieri/1000 abitanti nelle singole regioni (Tabella 2) e si raffronta agli altri parametri considerati, ovvero alle caratteristiche della popolazione, la carenza e la conseguente difficoltà di adeguamento dei contesti di cura, della presa in carico e della risposta ai bisogni assistenziali risultano ancor più tangibili.

Tabella 2. – Indice di vecchiaia/indice di dipendenza strutturale/persone affette da 1 o più patologie/rapporto infermieri/1000 abitanti.

Perché?
Senza fondi i buchi di oltre 10 anni di carenze non si possono tappare.
La gestione di una nuova epidemiologia fatta sempre più di anziani, cronici, non autosufficienti e soggetti fragili – i dati riportati si commentano da soli – non può prescindere dalla presenza degli infermieri in numero adeguato.
Da anni la FNOPI da anni dichiara che mancano almeno 53mila infermieri di cui 31mila sul territorio e 22mila negli ospedali.
Ad oggi, nei contesti di cura si contano 11 pazienti per infermiere (media nazionale) con punte fino a 18-19 e nelle situazioni migliori non meno di 8 pazienti per infermiere: i pazienti per infermiere non dovrebbero essere più di 6. È evidente che queste condizioni il rischio per i pazienti in situazioni ordinarie aumenta di oltre il 20 per cento.

E il recovery plan?
Tanto rumore per nulla almeno nella sanità e per la salute pubblica. I nove miliardi che per ora sono riservati al Servizio sanitario nazionale (il 4,6% della disponibilità totale nata soprattutto per esigenze sanitarie) si traducono per ogni anno in un terzo di quanto stanziato in emergenza nel 2020 e un quinto delle previsioni 2021 dalle varie leggi e decreti che si sono succedute nell’ultimo anno. Non un taglio, certo, ma un aumento quasi ordinario rispetto alle precedenti leggi di Bilancio.
La FNOPI punta il dito contro l’ennesimo sottofinanziamento, pur in presenza di nuovi fondi, dell’assistenza sanitaria e lancia l’allarme rispetto a un a nuova, più efficiente e di maggiore qualità organizzazione dei servizi e del personale carta vincente del servizio sanitario.

Professionisti delusi e preoccupati…
È elevato il rischio e lo stress a cui quotidianamente sono sottoposti. Sempre accanto ai pazienti per assisterli e “difenderli” da questa situazione quanto mai insostenibile che aumenta il rischio di un’assistenza a scartamento ridotto e di servizi non all’altezza delle loro esigenze reali di salute”.

Marina Vanzetta
23 dicembre 2020

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Bibliografia

– www.epicentro.iss.it
– www.fnopi.it
– www.populationpyramid.net
– www.salutequita.it
– www.tuttitalia.it