Covid-19, non solo solitudine anche “sequestro di cure e presa in carico ai pazienti cronici”: il vissuto dei pazienti ematologici


Nel nostro Paese sono 33mila ogni anno le persone alle quali viene fatta una diagnosi di un tumore del sangue. Persone che in questo tempo sono più fragili sia perché devono lottare per vincere la loro malattia sia perché sono più a rischio del resto della popolazione.
Ma c’è un altro rischio, molto alto, quello delle cure mancate o ritardate a causa della pandemia che assorbe e distrae risorse e tempo oltre a quello della paura del contagio che in molte situazioni porta a rimandare o addirittura evitare l’accesso ai servizi. Ne abbiamo parlato con il Prof. Sergio Amadori Ematologo e Presidente Nazionale AIL e con Simona Sallustio paziente e testimonial AIL.

Prof Amadori cosa sta succedendo?
L’AIL Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma da oltre 50 anni è a fianco dei pazienti ematologici e dei loro familiari; anche e soprattutto in questo difficile momento di emergenza sanitaria da Covid-19. Nel corso della prima ondata della pandemia il 90% dei pazienti ematologici è riuscito a proseguire le cure presso i centri di terapia, compresi i trapianti di cellule staminali e le terapie innovative (ricordiamo le CAR-T).
Ora però la situazione è diversa, infatti il contagio è più temuto e le persone con tumori del sangue che contraggono l’infezione da Covid-19 rischiano molto, sia per le conseguenze dirette del virus sia per le maggiori probabilità di andare incontro a complicanze che richiedono il ricovero in terapia intensiva. Il loro pericolo è più alto non solo rispetto alla popolazione sana, ma anche rispetto ad altre categorie di malati, come dimostrato da uno studio condotto dalla SIE Società Italiana di Ematologia: il 37% dei pazienti italiani con un tumore del sangue che tra febbraio e maggio 2020 si è ammalato di Covid-19 infatti è poi purtroppo deceduto. Per proteggere questi pazienti i centri e gli ospedali stanno rivedendo l’organizzazione interna per creare percorsi Covid-free, ma anche le Sezioni provinciali AIL sul territorio stanno offrendo il loro contributo Il servizio di Assistenza domiciliare AIL infatti è stato incrementato proprio per venire incontro alle nuove esigenze dei pazienti affetti da tumori del sangue e quindi particolarmente fragili. Il servizio di Cure domiciliari AIL, in contatto costante con i centri ematologici di riferimento, garantisce al malato la continuità terapeutica, grazie a un’équipe multispecialistica in grado di garantire visite mediche, prelievi ematici, consegna e somministrazione di farmaci antibiotici, antiemorragici, antidolorifici, esecuzione di emotrasfusioni, e supporto psicologico e sociale, importante, ora più che mai, per sostenere pazienti e familiari.

Simona come e cosa vive come paziente?
Vivo da paziente cronica in modo complesso, è una vita fitta di attenzioni e controlli, con il fiato sempre sospeso e spesso affannato. Dico sempre che ogni tanto avrei bisogno di una tregua e riposarmi ma la malattia non va mai in “vacanza”.
Il disagio più grande che vivo è il sapere di procurare dolore e apprensione ai miei familiari che sono spesso impotenti rispetto alle dinamiche stesse dell’evoluzione della malattia. Sin dall’inizio ho cercato di essere autonoma e vivere una vita più vicina alla normalità possibile. Durante il primo anno negavo la malattia e andavo in giro con una parrucca realizzata con i miei capelli, tagliati prima che li perdessi per via delle chemioterapie, nascondendo così la realtà a tutti in primis a me stessa. Questo perché ho avuto necessità di tempo per metabolizzare quanto stava accadendo.
Ci sono condizioni di astenia, affanno psico-fisico che in alcune fasi prendono il sopravvento ed è qui che il calore e il sentirsi avvolti dai propri cari diventa fondamentale quanto le cure stesse.

Quale è l’appello che rivolgerebbe alle Istituzioni?
La condizione del paziente oncologico, cronico e immunocompromesso, è di fragilità e in quanto tale andrebbe protetta e tutelata sia nei confronti della comunità sociale che lavorativa. Ad oggi le tutele messe in atto dalle Istituzioni sono spesso non sufficienti e farraginose nella loro conquista (es. ottenimento invalidità civile).
Un tema importante e sensibile è l’impoverimento del paziente oncologico, fragile e immunocompromesso in generale, per esempio lavoratori della catena di montaggio, dipendenti privati, liberi professionisti, non sufficientemente tutelati. L’appello è l’attenzione al paziente come risorsa umana e dare la possibilità ad ogni lavoratore di essere riallocato in posizioni idonee e tutelate dalle Istituzioni, la “condizione di malattia” non può avere una scadenza e un limite nel caso dei pazienti cronici, è un controsenso, patologie come la mia sono per sempre. Fondamentale nella vita di un paziente sono le ONLUS e le Associazioni Pazienti che svolgono un grande ruolo di sostegno e accoglienza, un sussidio al quale siamo aggrappati e molto grati, che ci fa sentire accolti e sostenuti finanche nelle difficoltà logistiche che molti di noi sono costretti ad affrontare, è auspicabile un dialogo e confronto tra le Istituzioni e i suddetti enti declinandolo in un concreto sostegno.
Mi rivolgo anche al periodo pandemico che stiamo vivendo, il disagio del paziente fragile andrebbe tutelato con maggiore attenzione e supportato con delle corsie preferenziali negli accessi in ospedale e strutture sanitarie.

Agli operatori?
È importante il lavoro e il contributo degli operatori sanitari declinati in ogni loro mansione svolta. Ritengo che la salute del paziente passi attraverso la salute degli operatori sanitari; chiedo loro di continuare ad operare nella massima protezione rispetto la pandemia, e di essere consapevoli dell’importanza sociale che ricoprono, in un momento come questo in cui le distanze sociali e l’isolamento, a cui è sottoposto e costretto ancor di più il paziente immunocompromesso. La loro vicinanza rappresenta una grande fonte di approvvigionamento in termini di calore umano.

E alla comunità?
Alla comunità dei pazienti sottolineo l’importanza di tenere il focus sul proprio percorso e di non rimandare nessun tipo di esame e cercare, insieme ai propri medici curanti e tutti gli operatori sanitari coinvolti, di procedere nelle terapie e non lasciare che il Covid rallenti o offuschi anche le nuove diagnosi. Importante è l’attenzione sui segni e sintomi per le nuove diagnosi che rischiano di essere procrastinate ad un tempo in cui la malattia può prendere il sopravvento. Proteggersi dal Covid, evitando ambienti ospedalieri, rimandando indagini ed esami, non significa salvarsi dalla propria malattia.
A causa della non cura di molti verso le norme richieste, mi trovo costretta ad isolarmi maggiormente perché mi sento spesso in pericolo, e questo per me è un ulteriore sacrificio. Rivolgo un appello a tutta la comunità, invitando alla solidarietà e alla responsabilità tutti coloro che non hanno mai avuto esperienza diretta o indiretta di una malattia come la mia, e lo chiedo con il cuore.
Io lo faccio e l’ho fatto per anni: portiamo le mascherine come mi hanno insegnato in ospedale alla diagnosi, cioè coprendo bene naso e bocca, rispettiamo le distanze per evitare assembramenti, laviamoci le mani e vacciniamoci perché la nostra salute è anche nelle vostre mani!

Marina Vanzetta
11 dicembre 2020

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