Anne Destrebecq, primo Professore ordinario lombardo di I fascia MED/45


Belga di origine, ma italiana per attività: dagli anni ’80 in Lombardia, ricercatrice, numerose le sue pubblicazioni e gli incarichi di direzione e responsabilità di servizi infermieristici e di corsi di laurea.
Professore Associato MED/45 Università degli Studi di Milano, Presidente della Commissione nazionale di Infermieristica della Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie, membro ordinario della Conferenza nazionale dei direttori dei Master in Cure Palliative Terapia del dolore.
Un tentativo, forse non del tutto esaustivo, quello di sintesi del suo curriculum che è piuttosto lungo e corposo, Dottoressa Destrebecq, dal 1 ottobre è professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano, il primo in Lombardia. Un grande traguardo per Lei ma anche per la professione infermieristica tutta.

Quale è stato il percorso per arrivarci e che cosa e come è cambiato in queste settimane?
Il percorso per arrivarci è stato costellato da sacrifici, lavoro intenso e impegnativo, nel settore formativo e organizzativo e la costante volontà di affermare il ruolo fondamentale dell’infermiere nell’ambito delle cure sanitarie.
Quello che è cambiato nelle ultime settimane è ovviamente legato alla pandemia che ha inevitabilmente scardinato le certezze e le consuete abitudini; l’Infermieristica deve affrontare questo nuovo banco di prova cogliendo l’opportunità di dimostrare alla società il grande potenziale di competenze tecnico-organizzative, etiche e relazionali uniche della nostra professione.

Un osservatorio privilegiato quello formativo, dove siamo e cosa manca ancora alla formazione infermieristica?
La formazione mi ha da sempre appassionato perché permette di offrire allo studente la possibilità di diventare il professionista che la storia e la società ha individuato, ma allo stesso tempo secondo la prospettiva costruttivista, lo stesso studente diventa fonte di ispirazione e di continua propensione verso l’evoluzione futura. Ogni studente nel presente è un ponte tra il passato e il futuro dell’infermieristica. Ora ci troviamo in un contesto formativo dove lo studente ha un ruolo attivo nelle commissioni universitarie e nel proprio percorso di studi. Il livello culturale delle nostre matricole è molto buono, diversi infermieri laureati scelgono di proseguire il biennio magistrale e il dottorato di ricerca. Quello che manca è colmare il divario ancora troppo evidente tra quanto lo studente studia e ricerca e la realtà clinica in cui si trova ad operare. È fondamentale mantenere viva la ricerca sul campo e spesso gli infermieri inseriti nella clinica non hanno la possibilità e le risorse per mantenere sempre vivo l’interesse per la crescita professionale.

Abbiamo imparato da molto che solo in squadra e in sinergia si fa la differenza; formazione e organizzazione quindi devono camminare insieme. Se dovesse fare tre richieste ai colleghi che governano l’organizzazione quali sarebbero?
Senz’altro la sinergia fa la differenza e il corso di Infermieristica impone la stretta collaborazione tra sede formativa e le realtà operative assistenziali per realizzare quello che viene definito corso di laurea professionalizzante. Questa partnership porta spesso ad arricchire l’offerta formativa accademica e al contempo offre allo studente la possibilità di fare esperienze in luoghi e contesti che poi saranno ben predisposti ad offrire un contratto lavorativo.
Il corso di laurea in infermieristica dell’Università degli Studi di Milano ha creato nuove convenzioni e rafforzato tradizionali sodalizi con diversi contesti sanitari di Milano e provincia, ai colleghi che governano tali organizzazioni chiedo di continuare a mantenere lo spirito di collaborazione e di condivisione degli intenti di questi anni.

In squadra per vincere ci devono essere tutti i “giocatori” alla politica cosa chiederebbe?
Onestà e osservanza dei principi costituzionali, in particolare guardare agli infermieri come una delle chiavi per garantire la tutela e il diritto della salute, attraverso il potenziamento della presenza dell’infermiere di territorio, domiciliare e di famiglia. Agevolare la burocrazia sanitaria, permettendo la compilazione di richieste e prescrizioni anche all’infermiere nell’ambito delle proprie competenze disciplinari.
Riconoscere formalmente il ruolo dell’infermiere per rinforzare la sua immagine sociale: è sotto gli occhi di tutta la società come il Covid19 ha dato prova della competenza e delle capacità decisionali dell’infermiere.

E ai cittadini?
Ai cittadini chiedo di essere sempre più attenti al proprio stato di salute, e chiedo di ricercare l’infermiere quale figura chiave per confrontarsi – come il professionista che risponde ai bisogni di assistenza infermieristica. Come recita l’art. 1 del profilo, l’infermiere è responsabile dei bisogni del singolo e della collettività. Responsabilità che diviene valore quando si trovano comuni linee strategiche attraverso l’ascolto e il counselling ai cittadini. I cittadini osservano, studiano e si esprimono, occorre imparare dunque dall’ascolto per ricercare soluzioni condivise e congiunte. Un esempio su tutti è l’infermiere di famiglia, responsabile delle cure domiciliari al fianco di altri professionisti, che avrà sempre più competenze e conoscenze per assistere al domicilio il paziente.

Marina Vanzetta
20 novembre 2020

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