Solo gli occhi per comunicare


Sotto quella doppia cuffia, quella visiera, quella maschera e quella tuta integrale ci sono rimasti solo gli occhi per comunicare. Con quelli bisogna tentare di trasmettere speranza, fiducia e conforto, e di nascondere paura, stanchezza e fallimento. Bisogna affrontare questa sconosciuta e inaspettata realtà che ci è piombata addosso. Bisogna accogliere la novità dell’insicurezza che coinvolge la vita, il mondo e il futuro. Si tratta di un’insicurezza che ci pervade e persuade, ci impedisce spesso di agire/reagire razionalmente trascinandoci giù nella paura e nell’ansia. Tutto questo ci conduce a comportamenti talvolta superficiali che ignorano la solidarietà tutto questo, a livello fisico, si manifesta nei nostri occhi, nelle increspature dei nostri volti e nei cauti movimenti dei nostri corpi.

In momenti così critici ci si rende conto quanto le fragilità umane emergano si manifestano con più facilità, esacerbando l’egoismo intrinseco nell’uomo e il suo ancestrale istinto di sopravvivenza; così spesso, dentro di noi, sprofondano i basilari sentimenti solidali, quali l’amicizia, la gratitudine, il senso di comunanza lasciando spazio ad una compromessa capacità d’accettazione e una lacunosa tolleranza.

Talvolta si ha la sensazione di essere sospesi in uno spazio/tempo immobile e statico, sia esterno che interno alla nostra mente; il fatto che la natura intorno a noi muti e si trasformi secondo i suoi ritmi ci coglie occasionalmente increduli, facendoci meravigliare di quanto poco a Lei importi di noi. Ma noi siamo costretti a restare, dopo tanto tempo, fermi dove siamo; ci abituiamo gradualmente a sostenere l’ansia, la paura e l’insicurezza.

La maggior parte della gente scopre risorse dimenticate: la pazienza, calma, la generosità, persino la coscienza che in questo stare fermi il tempo della vita non è sprecato, anzi può trasformarsi in risorsa positiva, dandoci la possibilità di riflettere sulle nostre emozioni, su aspirazione future o mancate, sul ritrovamento di legami familiari e affettivi e sul riscoprire come questo tempo lento sia molto più ricco e vitale se confrontato con la frenesia di quello che per noi era il tempo della vita “normale”.

Tuttavia sono dell’idea che la vita non tornerà come prima. Forse il tempo “lento” ha obbligato molti di noi a riflettere su prospettive diverse e a meditare su nuovi comportamenti. Famiglie che prima del Covid-19 stavano insieme per necessità, consuetudine, decoro si renderanno conto che i loro problemi non erano così insormontabili oppure troveranno il coraggio di separarsi; al contrario, coppie separate per causa di forza maggiore scopriranno che la mancanza dell’uno o dell’altro non è poi così profonda; oppure persone che hanno deciso per l’auto isolamento piuttosto che rischiare di contagiare le persone amate realizzeranno l’importanza di una scelta sia affettiva sia civile.

Probabilmente si sceglierà con più accuratezza coloro con cui relazionarsi perché questo può fare la differenza su come costruiremo il nostro il futuro. In fondo siamo forti, capaci di resilienza e di resistere ad ambienti o circostanze nocive, ma nulla sarà più come prima e prima lo intuiamo, meglio lo affronteremo.

Si pone poi anche il problema dell’enorme influenza che i media hanno su di noi in questo periodo; la scelta delle notizie e soprattutto il modo in cui ci vengono propinate ci stimolano reazioni, anche inconsce, giungendo persino ad attivare particolari cascate ormonali, tra cui la reazione fight to flight, cioè la classica risposta “combatti e fuggi” delle nostre capacità intellettive e motorie per affrontare situazioni inusuali o pericolose.

Noi, Operatori Sanitari, ci ripetiamo spesso che”è dura, ma siamo forti”, ma anche noi abbiamo paura della malattia e della morte, paura di essere contagiati e di contagiare gli altri, familiari o sconosciuti, paura di non farcela, di non prendersi adeguatamente cura dei pazienti e di non fare il possibile per loro. Le altre persone ci ripetono sempre che siamo “Eroi”, ma non è così. Siamo solo Umani, umani fragili e irresponsabilmente coraggiosi, questo è certo.

Noi, Operatori Sanitari, coraggiosi e umani, sempre presenti da quando è iniziata questa Pandemia, saremo probabilmente di nuovo dimenticati una volta che si tornerà alla “normalità”. E’ per questo motivo che mi tornano alla mente le parole di un medico in tempo di pandemia: “Non permettere a nessuno di chiamarti eroe. Perché dalla glorificazione mediatica all’accusa di codardia il passo è brevissimo. E quando, per investitura universale, diventi un eroe, non puoi più lagnarti se ti manca la mascherina, di essere mandato in guerra senza le armi. Perché chi ti chiama eroe ha la passione per gli slogan, isterici e riduttivi. E, in tempi normali, la “mala sanità” era uno slogan, uno dei più riusciti”.

Noi, Operatori Sanitari, non lo scorderemo mai questo momento. Chi ha vissuto quest’emergenza in prima linea troverà impossibile dimenticare. Rimaniamo dunque consci di quanto siamo importanti e fondamentali, non solo in questo momento, ma sempre.

Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l’annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò.”
(Citazione dal film Dune, litania contro la paura Bene Gesserit).

19 agosto 2020

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