Il bullying, ovvero i conflitti nel luogo di lavoro: nuove sfide da gestire per gli incaricati di organizzazione


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INTRODUZIONE
Oggigiorno, la violenza laterale tra infermieri è un problema riconosciuto a livello mondiale e ben riportato in letteratura, con il termine bullying. descritto come atteggiamento offensivo duraturo, ripetuto settimanalmente o più spesso per almeno sei mesi. La natura insidiosa rende difficile per le organizzazioni rispondere adeguatamente e per le vittime resistere, causa anche un diffuso atteggiamento omertoso. Gli antecedenti di questi comportamenti devianti sul luogo di lavoro sono correlati ad atteggiamenti di inciviltà professionale, descritti come ad esempio lasciare una stampante inceppata con la carta o non ripristinarne il toner, non divulgare importanti informazioni oppure divulgare informazioni false, usare oggetti non propri senza il consenso del proprietario.
Il Royal College of Nursing elenca una lista non esaustiva di comportamenti che codificano il bullying: tenere comportamenti sadici o aggressivi per prolungati periodi di tempo, escludere da incontri o riunioni, umiliare e mettere in ridicolo, condurre critiche in pubblico allo scopo di umiliare, agire critiche infondate persistenti in privato, trattare i colleghi come bambini, cambiare irragionevolmente o senza giustificazioni le responsabilità di lavoro, ritirare deliberatamente informazioni per influenzare le performance di un collega, cambiare con frequenza scadenze di lavoro o linee guida.
Sono state indagate anche le motivazioni che inducono una persona ad assumere il ruolo di mobber: tra queste il timore di perdere il proprio posto di lavoro o lo status raggiunto, di essere superato da un collega, di essere ostacolato nella carriera, di percepire ingiustizia, o di agire per invidia o razzismo. Le conseguenze del bullying si ripercuotono non solo sulla vittima, ma sull’intero sistema, determinando ambienti di lavoro insalubri, disgregazione del team di lavoro, erosione della lealtà e del coinvolgimento dei lavoratori, fino ad avere un impatto diretto sulla riduzione della quota di reclutamento e della ritenzione del personale nel posto di lavoro
Un ulteriore elemento correlato al bullying è lo stile di leadership. Forme di leadership inadeguata possono partecipare in modo determinante alla nascita e allo sviluppo del bullying, in particolare quando lo stile di leadership è troppo permissivo o eccessivamente autoritario. Uno stile autoritario che non favorisce una comunicazione aperta, non consulta e non comunica informazioni accurate e che non delega, favorisce un luogo di lavoro con alti livelli di conflitti interpersonali.
Allo stesso modo, una leadership troppo permissiva può tradursi in un sottoutilizzo delle abilità del personale al quale possono mancare adeguate opportunità di crescita professionale. A causa dell’insorgenza di fenomeni di bullying, le organizzazioni sanitarie subiscono notevoli ripercussioni, in termini di calo della produttività e di performance (alti tassi di assenteismo e turnover) e di perdita delle capacità di problem solving, di peggioramento del clima lavorativo e deterioramento della qualità relazionale tra i membri dello staff di cura.
Il dato più preoccupante è la correlazione che esiste tra il bullying e la qualità delle cure, errori ed eventi avversi. Diversi studi riportano che le vittime di bullying eseguono i propri doveri senza i minimi requisiti di sicurezza, ad esempio: somministrano farmaci senza una prescrizione precisa, lasciano il paziente a rischio caduta senza un supporto, usano apparecchiature senza chiedere supervisione. Interessante è l’analisi degli incident reporting che evidenziano atteggiamenti incivili e di violenza laterale tra i professionisti sanitari, dove vengono identificati due principali catalizzatori degli eventi: l’atteggiamento verso il lavoro e la pianificazione del lavoro.
Il primo sottolinea una condotta non professionale, messa in discussione dei propri e altrui compiti, disaccordo verso le strategie di cure infermieristiche, disappunto verso il lavoro condotto dai propri pari. Il secondo, invece, include i possibili conflitti che nascono dalla non aderenza ai protocolli, la mal gestione/assegnazione dei pazienti, risorse limitate, alti carichi di lavoro.
Inoltre, il bullying è prevedibile in contesti dove sono necessarie elevate abilità tecniche rispetto ad aree dove predominano le capacità relazionali dell’assistenza; inoltre l’atteggiamento al bullismo sembra essere una conseguenza dell’apprendimento precedente di comportamenti negativi (come una sorta di “imprinting”). Detto ciò, l’identificazione di uno specifico servizio o unità operativa a rischio di atteggiamenti di violenza laterale risulta difficile a causa della grande variabilità dei setting lavorativi, dell’eterogeneità degli strumenti di analisi del fenomeno e dell’ambiguità che ancora esiste sulla terminologia, confermando che la violenza laterale è principalmente un “problema culturale” della professione infermieristica.
Partendo dal presupposto che non è realistico pensare di eradicare completamente questo tipo di problema, è necessario considerare dei programmi di prevenzione se non migliorativi che riducano in maniera cospicua il fenomeno perché reagire in maniera appropriata a situazioni di bullying non permette l’escalation della violenza.
Il Royal College of Nursing ha pubblicato una speciale linea guida per affrontare il bullying sul posto di lavoro, elencando tutti gli approcci sequenziali necessari da intraprendere e offrendo alcune opzioni di comportamento da adottare: parlare degli eventi con altri, redigere una relazione scritta sugli incidenti sofferti, consultare un delegato di associazioni professionali, approccio diretto con il mobber, seguire le procedure locali di segnalazione di abuso. Questo approccio, però, rimane comunque di tipo reattivo. Sviluppare dei programmi di prevenzione contro il bullying sul posto di lavoro può essere difficile, poiché esso può verificarsi indirettamente a causa di altre azioni/politiche. Gli interventi possono essere mirati ai singoli dipendenti, gruppi di dipendenti o organizzazioni nel loro insieme, mirano a prevenire nuovi casi di bullying o a prevenire ulteriori casi di bullying su coloro che ne hanno già sofferto e sono programmati sulla base di quattro categorie principali:

Society/policy
Questi interventi sono basati su leggi, un esempio è la legislazione europea “Framework Agreement on Harassment and Violence at Work” (European Social Dialogue, 2007). Queste stabiliscono gli standard di comportamento accettato, concatenati ai datori di lavoro che sono attivamente incoraggiati ad implementarli.

Organization/employer
Questi interventi derivano da iniziative basate sulla legge o sui regolamenti, come le direttive sulla salute e sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, ad esempio effettuare sondaggi per stabilire il livello di base di un dato fenomeno.

Job/task
Questi interventi si riferiscono in modo specifico al lavoro che i dipendenti devono svolgere e all’ambiente psicosociale in cui lavorano. Una valutazione del rischio, inclusa l’identificazione degli antecedenti del bullying all’interno dell’organizzazione, può essere utilizzata per uniformare gli interventi di riduzione del rischio; un esempio è valutare il livello di turnover di un’unità operativa o dipartimento in generale.

Individual/job interface
Questi interventi si riferiscono specificatamente alla formazione con interventi educativi volti a modificare il comportamento e la percezione del fenomeno, e quindi con lo scopo finale di implementare una comunicazione aziendale assertiva.

C’è consenso tra gli autori che gli interventi per prevenire il bullying potrebbero funzionare se:
• Si rafforzano le politiche e la cultura di “tolleranza zero” (Healty Work Environment) verso il bullying sul posto di lavoro attraverso il coinvolgimento dei dipendenti (team building programme);
• Si fornisce un ambiente sicuro entro il quale la mediazione e la negoziazione possono aver luogo quando il bullying si identifica;
• Si effettua la valutazione dei precursori del bullying (turnover, tassi di bullying, livelli di soddisfazione lavorativa, tassi di assenteismo, livelli di coesione dei gruppi di lavoro, indagini sul clima organizzativo, tenere in considerazione l’innovazione);
• Si prevedono campagne di sensibilizzazione con la formazione che incoraggiano i dipendenti a considerare il proprio comportamento e il modo in cui interagiscono i colleghi;
• Si adotta un approccio multidisciplinare per operare interventi in gruppi gravati dal fenomeno, come ad esempio ricercare la collaborazione di psicologi del lavoro.

Programmi complessi, comunque, non sono auspicabili perché diventa difficile valutarne l’efficacia e l’implementazione; è necessaria coerenza nello sviluppo di una campagna anti bullying.
La letteratura suggerisce il programma progettato da Griffin nel 2004. Questo approccio fornisce l’informazione necessaria di base sull’argomento e un ambiente sicuro dove apprendere e mettere in pratica le risposte ai comportamenti del bullying, lavorando in gruppo e rafforzando la fiducia nella sua gestione sia da parte degli infermieri senior sia dei neoassunti. Gli obiettivi del programma di gestione del bullying sono tre: a. presentare le basi teoriche per comprendere le origini e l’espressione del bullying sul posto di lavoro; b. riconoscere la vulnerabilità degli infermieri; c. fornire una formazione sull’applicazione di risposte provate a livello cognitivo ai comportamenti di bullying più comuni osservati in ambito sanitario.
Infine, è utile (o forse lungimirante) considerare soluzioni innovative. I programmi basati sulla Mindfulness hanno dimostrato di essere un promettente intervento per ridurre lo stress vissuto dagli infermieri. La Mindfulness è una tecnica di meditazione sulla consapevolezza che è stata originariamente definita da John Kabat-Zinn nel 1979 come “prestare attenzione di proposito al sé presente, senza giudicare, e al dispiegarsi dell’esperienza momento per momento”.
Il programma Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR) è un programma educativo che si concentra sull’addestramento nella pratica meditativa della consapevolezza. Si tratta di un programma di otto settimane in cui i partecipanti si incontrano settimanalmente per due ore e mezza e si riuniscono in un ritiro di un giorno per sei ore. Il programma ha dimostrato di essere efficace nel ridurre lo stress, migliorare la qualità della vita e aumentare l’autocompassione nei professionisti della salute.
Diversi studi recenti confermano che gli interventi basati sulla Mindfulness, oltre la riduzione dello stress, migliorano la capacità di concentrazione degli infermieri, aumentando la consapevolezza nel momento presente: l’obiettivo della meditazione è quello di consentire alle persone di rispondere alle situazioni in modo consapevole anziché automatico, perché siano in grado di vedere l’intero quadro della situazione e avere una prospettiva sulla connessione di tutte le parti in causa.
In conclusione, per le aziende avere condizioni di clima interno ai gruppi infermieristici caratterizzate da violenza laterale rappresenta da una parte un indicatore di “failure” del sistema, e dall’altro, in caso di diffusione del dato, di un elemento di cattiva immagine, che può indirettamente anche andare a minare la fiducia dell’utenza esterna.
In ogni caso, ciò che può esser fatto da subito, è diffondere la consapevolezza del fenomeno e i minimi strumenti di contrasto individuali da adottare. Dunque, considerare il problema del bullying sul luogo di lavoro può voler dire una maggiore efficienza e un deciso miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, con conseguenti benefici economici e sociali per le aziende, i lavoratori e la società nel suo insieme.

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