La sindrome da Burnout è da molti anni studiata e sempre più riconosciuta come uno dei principali fattori incidenti sul benessere del lavoratore, in particolare per le professioni di aiuto; la sua diffusione nella professione infermieristica è ampiamente documentata (Basar e Basim, 2016; Li et al., 2018; Monsalve-Reyes et al., 2018).
Studi recenti hanno confermato che la prevalenza della sindrome è compresa tra il 30% e il 60%, (Lahana et al., 2017; Prapanjaroensin et al., 2017; Li et al., 2018; Molero, Jurado et al., 2018) e, pur essendo presente in ogni setting clinico, risulta maggiormente diffusa nei servizi dove l’assistenza e le criticità del paziente sono più intense, vi è un elevato carico di lavoro ed una maggiore esposizione alla morte, tra i quali ad esempio l’Oncologia e le unità di Emergenza e Urgenza (Duarte, Pinto-Gouveia, 2017; Wei et al., 2017; Gomez-Urquiza et al., 2017; Cañadas-De la Fuente et al., 2018; Monsalve-Reyes et al., 2018).
La prestazione infermieristica è condizionata dalla presenza di numerosi fattori di rischio, che siano essi personali, quali ad esempio variabili demografiche, caratteristiche di personalità, aspettative e valori propri dell’individuo, o organizzativi, come sovraccarico di lavoro, mancanza di personale e/o demansionamento, condizioni lavorative ed organizzative, basso livello di soddisfazione sia economica, sia di riconoscimento delle competenze.
La presenza continuativa di tali variabili può concorrere ad aumentare i livelli di stress sia mentale che fisico nel professionista (Lahana et al., 2017; Pradas-Hernández et al., 2018), con ricadute di natura psicosomatica, fragilità emotive e comportamentali; queste ricadute durante l’attività professionale (Cañadas-De la Fuente et al., 2015; Lahana et al., 2017; Wei et al., 2017; Gomez-Urquiza et al., 2017; Molero Jurado et al., 2018), possono contribuire all’aumento del rischio di commettere errori (Banfi et al., 2008; Rodrigues & Santos, 2017; Petitta et al., 2017; Tawfik et al., 2017; Takayama et al., 2017) e conseguentemente incidere sulla qualità dell’assistenza percepita dal paziente (Ríos-Risquez & García-Izquierdo, 2016; Lahana et al., 2017; Prapanjaroensin et al., 2017; Takayama et al., 2017; Rezaei et al., 2018; Monsalve-Reyes et al., 2018).
La letteratura ha inoltre evidenziato che proprio il Burnout rappresenta il fattore predittivo più rilevante di errore clinico (Hall et al., 2016; Johnson et al., 2017; Kiymaz e Koç, 2018).
Nonostante queste premesse, ad oggi nel nostro Paese la triade Burnout-errore-qualità dell’assistenza non risulta ancora studiata.
Obiettivo di questo studio è stato quindi quello di valutare la relazione tra sindrome da Burnout nel personale infermieristico, rischio di commettere errori clinici nella pratica clinica e qualità dell’assistenza infermieristica percepita dai pazienti.
Il nostro percorso
È stato condotto uno studio osservazionale e monocentrico presso l’ASST-Santi Paolo e Carlo, presidio Ospedale San Paolo di Milano.
Sono stati inclusi tutti i pazienti di età ≥ 18 anni (nella unità di pediatria la compilazione è stata svolta da un genitore), degenti dal 1 maggio al 31 luglio 2018, in grado di leggere e comprendere la lingua italiana, con un punteggio ≥ 26 per la scala Mini Mental State e ≥ 14 per la Glasgow Coma Scale. Sono stati esclusi i soggetti degenti da meno di 2 notti o 48 ore, in quanto, come evinto dalla letteratura, questo è il periodo minimo per poter sviluppare una percezione riguardo la qualità assistenziale (Kol et al., 2018; Freitas et al., 2014; Younas and Sundus, 2018°; Gutysz-Wojnicka et al., 2013; Sharew et al., 2018). Sono stati inoltre esclusi pazienti che si trovassero in coma, letargia, sedazione e con una capacità cognitiva compromessa o problemi neuropsichiatrici attivi (Ríos-Risquez e García-Izquierdo, 2016; Charalambous et al., 2017; Sharew et al., 2018; Thomas et al., 1996), per tali motivi il Blocco operatorio e l’unità di Psichiatria sono stati esclusi.
Sono stati arruolati tutti gli infermieri con un’esperienza lavorativa di almeno 1 anno al 1 maggio 2018; in accordo con la letteratura che suggerisce un’esperienza minima di 12 mesi per l’insorgenza dei primi segni e sintomi del Burnout (Fong et al., 2016; Boamah et al., 2017; Hong e Lee, 2016; Wei et al., 2017; Jackson et al., 2018; Sillero e Zabalegui, 2018). Sono stati esclusi gli infermieri che lavoravano nelle unità di Psichiatria e nel Blocco operatorio, poiché in tali realtà non è stata somministrata la Newcastle Satisfaction with Nursing Scale in ragione del fatto che i pazienti degenti al loro interno non hanno soddisfatto i criteri di inclusione.
La raccolta dati, effettuata dal 1 maggio al 31 luglio 2018, ha avuto inizio dopo le autorizzazioni del caso.Tutti i soggetti arruolati sono stati preventivamente informati riguardo lo scopo e le modalità di raccolta dei dati ed hanno espresso il loro consenso informato prima di procedere alla somministrazione. Ogni soggetto coinvolto ha restituito i questionari in formato cartaceo in una apposita urna chiusa. Tutti i dati sono stati raccolti ed utilizzati in modo anonimo. Lo studio è stato condotto nel rispetto della vigente normativa sulla privacy e dei principi sanciti dalla Dichiarazione di Helsinki. È stato inoltre sottolineata la possibilità di ritirare il consenso alla partecipazione in qualsiasi momento.
Sono stati scelti tre strumenti:
- Maslach Burnout Inventory – MBI (Sirigatti et al., 1988) per indagare i livelli di Burnout del personale infermieristico. Il questionario è costituito da 22 item, con una scala Likert a 7 punti, da 0 a 6 (0 = mai e 6 = ogni giorno) che misurano le tre dimensioni indipendenti della sindrome da Burnout: Esaurimento emotivo (EE – 9 item), Depersonalizzazione (DP – 5 item), Realizzazione professionale (RP – 8 item) (Lahana et al., 2017; Cañadas-De la Fuente et al., 2015; Maslach et al., 1997; Sillero e Zabalegui, 2018). Il punteggio viene ottenuto dalla somma dei valori in ciascuna sottoscala (da Silva et al., 2015). Sia per le sottoscale EE che per quelle DP, punteggi più alti corrispondono a livelli più alti di Burnout, invece punteggi più bassi per la sottoscala PA corrispondono a più alti livelli di Burnout (Maslach et al., 1997).
- Newcastle Satisfaction with Nursing Scale – NSNS (Piredda et al., 2007) limitatamente alla sezione 1 (26 item), per valutare la percezione del paziente riguardo l’esperienza dell’assistenza infermieristica ricevuta. Agli intervistati viene chiesto di indicare il livello di accordo con ciascuna delle situazioni descritte rappresentava la propria esperienza utilizzando una scala Likert a 7 punti (1 = completamente in disaccordo, 7 = sono completamente d’accordo). Ai fini del calcolo del punteggio complessivo della scala è stata invertita la metrica delle domande/affermazioni negative (domande 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 14, 15, 20, 24). È stata inoltre compresa la sezione 3 limitatamente alle domande riguardanti la soddisfazione generale dell’assistenza infermieristica e la soddisfazione per la degenza ospedaliera complessiva.
- Questionario creato dal gruppo di ricerca attraverso la collaborazione con una psicologa clinica dell’Azienda, composto tre domande volte ad analizzare la dimensione inerente la Patient Safety e nello specifico l’errore clinico (Figura 1).
Figura 1 – Area di indagine per errori/quasi errori
Negli ultimi sei mesi di attività lavorativa, le è mai capitato di andare in contro al rischio/ha commesso errori potenzialmente in grado di recare danni al paziente?
❒ SI ❒ NO
Se SI, quanto definirebbe questa condizione attribuibile al suo stato di sofferenza psicofisica e/o ad una sua condizione di Burnout?
❒ 0 (per nulla), ❒ 1, ❒ 2, ❒ 3, ❒ 4, ❒ 5, ❒ 6, ❒ 7, ❒ 8, ❒ 9, ❒ 10 (totalmente)
Negli ultimi sei mesi di attività lavorativa, ha assistito, o le è stato riferito da un collega di avere commesso un errore/quasi errore potenzialmente in grado di recare danni al paziente?
❒ SI ❒ NO
RISULTATI
Caratteristiche sociodemografiche degli infermieri
Sono stati reclutati complessivamente 275 infermieri. Di questi 155 hanno aderito all’indagine (tasso di rispondenza 56.36%), con 103 femmine (66.45%) e 52 maschi (33.55%). Circa la provenienza, 49 erano del Dipartimento di Emergenza e Urgenza, 53 del Dipartimento Chirurgico, 39 del Dipartimento Medico e 14 del Dipartimento Materno Infantile. Non sono emerse differenze significative nei tassi di rispondenza tra i diversi dipartimenti coinvolti.
La fascia di età più rappresentata è quella 25 – 29 anni (n=38) seguita da quella 30 – 34 anni (n=27).
L’anzianità di servizio complessiva è risultata pari a 10 anni); l’anzianità nell’attuale servizio/unità operativa è risultata invece pari a 4 anni; anche in questo caso, non sono emerse differenze statisticamente significative stratificando il campione per aree dipartimentali.
Livelli di burnout infermieristico
Livelli medio-alti di Burnout erano presenti nel 40.0% dei soggetti relativamente alla dimensione dell’Esaurimento Emotivo, nel 49.03% nella dimensione della Depersonalizzazione e nel 41.29% nella dimensione della Realizzazione Personale (Tabella 1).
Tabella 1 – Stratificazione per ogni livello di Burnout | |||
DIMENSIONI BURNOUT | NUMERO INFERMIERI PER OGNI LIVELLO DI BURNOUT | ||
BASSO | MEDIO | ALTO | |
ESAURIMENTO EMOTIVO (EE) | 60.00% | 15.48% | 24.52% |
DEPERSONALIZZAZIONE (DP) | 50.97% | 22.58% | 26.45% |
REALIZZAZIONE PERSONALE (PA) | 58.71% | 16.77% | 24.52% |
Non sono emerse differenze statisticamente significative nei soggetti con diversi livelli di Burnout in funzione delle variabili età, sesso, dipartimento, anzianità complessiva e anzianità di servizio nella attuale unità operativa.
Errori
Sono stati il 28.39% del totale gli infermieri che hanno riferito di avere commesso errori/quasi errori durante la pratica clinica negli ultimi 6 mesi; di questi, il 70.45% attribuisce un ruolo significativo (avendo riportato un punteggio maggiore a 5 su scala Likert 1-10) al proprio stato di “malessere psicofisico” al momento dell’evento.
Inoltre il 34.84% ha riportato di aver visto/essere venuti a conoscenza di errori /quasi errori commessi da colleghi della stessa unità operativa negli ultimi 6 mesi.
Il 77.27% dei soggetti che hanno commesso errori/quasi errori presentavano, per tutte le tre dimensioni della MBI, alti livelli di Burnout; 7 presentavano livelli medi, mentre solo 3 hanno presentato bassi livelli di Burnout. Le differenze rispetto ai soggetti che hanno riferito di non aver commesso errori sono statisticamente significative.
Caratteristiche sociodemografiche dei pazienti
In totale hanno partecipato all’indagine 169 pazienti (tasso di rispondenza 98.26%): 88 soggetti di sesso maschile (52.07%) e 81 di sesso femminile (47.93%).
L’età mediana del campione era pari a 63 anni.
Qualità dell’assistenza infermieristica percepita
Il punteggio mediano relativo alla soddisfazione complessiva del campione rispetto all’assistenza infermieristica ricevuta ha presentato valori pari a 5. In particolare il 66,86% ha espresso un punteggio maggiore o uguale a 5 (su scala Likert da 1 a 7), indicativo dei più alti livelli di soddisfazione.
La Tabella 2 descrive i punteggi mediani relativi ad ogni item della NSNS; come è possibile notare, gli item 5 (“Gli infermieri impiegavano molto tempo ad arrivare quando erano chiamati”), 22 (“Gli infermieri avevano il tempo di fermarsi e parlare con me, quando ne avevo bisogno”) e 23 (“Medici e infermieri lavoravano bene insieme, come una squadra”) hanno presentato i punteggi mediani più bassi.
Tabella 2 – Newcastle Satisfaction with Nursing Scale: punteggi mediani relativi ad ogni item | ||
ITEM | Me | |
1 | Gli infermieri mi mettevano facilmente di buon umore | 6 |
2 | Gli infermieri trattavano alcuni pazienti meglio di altri | 4 |
3 | Gli infermieri non mi hanno informato abbastanza sul mio trattamento | 5 |
4 | Gli infermieri prendevano le cose con troppa calma | 4 |
5 | Gli infermieri impiegavano molto tempo ad arrivare quando erano chiamati | 3 |
6 | Gli infermieri mi davano le informazioni di cui avevo bisogno proprio al momento giusto | 6 |
7 | Gli infermieri davano l’impressione di non sapere cosa stavo provando | 4 |
8 | Gli infermieri spegnevano le luci troppo tardi la sera | 4 |
9 | Gli infermieri mi facevano fare alcune cose prima che io fossi pronto | 4 |
10 | Per quanto fossero occupati, gli infermieri trovavano sempre tempo per me | 6 |
11 | Vedevo gli infermieri come persone amiche | 6 |
12 | Gli infermieri dedicavano del tempo a confortare i pazienti che ne avevano bisogno | 5 |
13 | Gli infermieri controllavano regolarmente che non avessi bisogno di nulla | 6 |
14 | Gli infermieri non erano in grado di tenere sotto controllo alcune situazioni | 4 |
15 | Gli infermieri non si interessavano a me come persona | 4 |
16 | Gli infermieri mi informavano sui miei problemi di salute | 6 |
17 | Gli infermieri mi spiegavano cosa stavano per farmi | 6 |
18 | Gli infermieri riferivano ai colleghi del turno successivo come stavo e di che cosa avevo bisogno | 6 |
19 | Gli infermieri sapevano cosa fare prima ancora di consultare i medici | 5 |
20 | A volte gli infermieri dimenticavano le richieste dei pazienti | 4 |
21 | Gli infermieri garantivano la riservatezza e il pudore dei pazienti | 6 |
22 | Gli infermieri avevano il tempo di fermarsi e parlare con me, quando ne avevo bisogno | 3 |
23 | Medici e infermieri lavoravano bene insieme, come una squadra | 3 |
24 | Alcuni infermieri davano l’impressione di non sapere cosa gli altri colleghi stessero facendo | 5 |
25 | Gli infermieri sapevano sempre quale fosse la cosa migliore da fare | 6 |
26 | In reparto c’era un’atmosfera serena grazie agli infermieri | 6 |
Sono stati confrontati i punteggi complessivi di soddisfazione rispetto all’assistenza nei differenti dipartimenti; l’analisi ha dimostrato l’assenza di differenze significative. Gli stessi risultati sono emersi analizzando la soddisfazione nei confronti della degenza nel suo complesso.
In ultimo è stata indagata la relazione tra la presenza di Burnout infermieristico e i livelli di soddisfazione complessiva dell’utenza rispetto all’assistenza ricevuta: non sono emerse differenze statisticamente significative per ogni dimensione del Burnout.
DISCUSSIONE
Questo studio, pur nella sua natura monocentrica, ha previsto il coinvolgimento di un discreto numero di pazienti e infermieri, peraltro appartenenti a differenti setting clinici. Inoltre, in considerazione del soddisfacente tasso di rispondenza, i risultati ottenuti possono considerarsi attendibili nell’inquadramento della triade Burnout-errore-soddisfazione sull’assistenza all’interno del panorama di studio.
Livelli medio-alti di Burnout sono stati riscontrati in oltre il 40% del personale infermieristico, in ogni dimensione della Maslach Burnout Inventory: il dato non sorprende, anzi conferma la dimensione del problema con un tasso in linea con la letteratura internazionale (Lahana et al., 2017; Petitta et al., 2017; Li et al., 2018; Molero Jurado et al., 2018; Sasso et al., 2017).
Il fatto che più della metà dei soggetti presi in esame abbia effettivamente dimostrato bassi livelli di Burnout non deve trarre in inganno, ma anzi deve essere posto in relazione con le sue caratteristiche socio anagrafiche; infatti, nonostante l’assenza di differenze statisticamente significative in relazione alle variabili età, anzianità complessiva e anzianità di servizio nella attuale unità operativa, gli infermieri reclutati erano molto giovani, rappresentati prevalentemente la fascia di età compresa tra 25 e 29 anni, con una anzianità di servizio complessiva di 10 anni e, nell’attuale unità operativa, pari a 4 anni. Ciò lascia supporre che l’età e gli anni di lavoro non influenzino significativamente la sindrome o addirittura che possano essere inversamente correlati ai livelli di Burnout (Pradas-Hernández et al., 2018; Kim e Yeom, 2018).
Il fatto che la sindrome si presenti nei primi anni lavorativi, invece che dopo diversi anni di lavoro, trova conferma con quanto già ribadito dalla letteratura (Chuang et al., 2016; Wei et al., 2017; Pradas-Hernández et al., 2018), ove si ipotizza che gli infermieri giovani abbiano, rispetto ai colleghi più esperti, meno strategie e dunque meno risorse per far fronte allo stress lavorativo e alle richieste del nuovo ruolo professionale, in particolare in ambito sanitario (Molero Jurado et al., 2018; Boamah et al., 2017).
Pare doveroso sottolineare che la problematica, nonostante la sua gravità e dimensione, è oramai oggetto di studio da diversi anni nel panorama sanitario. In particolare il lavoro di Destrebecq et al. (2009), indagante l’associazione tra intenzione di abbandonare la professione, caratteristiche lavorative e socio-demografiche, aveva evidenziato che il 60% degli infermieri aveva preso in considerazione la possibilità di abbandonare la professione e che il dato fosse strettamente in relazione all’insoddisfazione professionale, la situazione del mercato del lavoro ed i livelli di Burnout. Più di recente lo studio RN4CAST, svoltosi a livello mondiale, coinvolgendo anche l’Italia, ha confermato questi dati, mostrando che il 36,14% degli infermieri, senza significative variazioni tra infermieri novizi e vecchie “leve”, ha dichiarato di voler abbandonare il proprio lavoro entro un anno (Sasso et al., 2017). Ciò suggerisce che condizioni e dinamiche lavorative, incidenti sull’insoddisfazione lavorativa e il Burnout, probabilmente non sono cambiate significativamente nel corso degli anni.
Non sono emerse differenze significative nei livelli di Burnout tra gli infermieri appartenenti a differenti setting clinici. Il dato è in linea con quanto già rilevato dalla letteratura che evidenzia come il problema sia globalmente diffuso e non confinato a specifici contesti. Ad influire sul Burnout, infatti, più che il setting clinico specifico sono le condizioni in cui si lavora: la mancanza di personale, orari di lavoro più lunghi, i turni di lavoro, soprattutto quelli notturni, gli eccessivi carichi di lavoro dovuti al rapporto tra il numero degli infermieri, numero dei pazienti e il loro ampio turnover, oltre alla mancanza di tempo per svolgere tutte le attività pianificate (Sasso et al., 2017; Boamah et al., 2017; Sun et al., 2017; Häusler et al., 2018; Cañadas-De la Fuente et al., 2018).
Anche la mancanza di riconoscimento del lavoro, la difficile comunicazione e collaborazione con le diverse figure professionali, la carenza di risorse, l’assenza di supporti psicologici vengono considerati fattori organizzativi associati al Burnout (Rodrigues et al., 2017; Sillero e Zabalegui, 2018; Molero Jurado et al., 2018; Rezaei et al., 2018; Monsalve-Reyes et al., 2018).
Una percentuale non trascurabile di infermieri (28.39%) ha riferito di avere commesso errori/quasi errori durante la pratica clinica negli ultimi 6 mesi; tale dato non sorprende, anzi, si presenta in linea con la letteratura recente da cui si evince che la prevalenza degli operatori che commettono errori nel corso della loro carriera varia tra circa il 10% e il 50% (Johnson et al., 2017; Cabilan e Kynoch, 2017; Delacroix, 2017). Considerando la tendenza degli operatori a non segnalare gli errori commessi (Banfi et al., 2008; Cabilan e Kynoch, 2017; Vifladt et al., 2016) il dato emerso pare preoccupante. Non si sono evidenziate differenze rilevanti rispetto agli errori segnalati nei vari dipartimenti, anche se alcuni lavori a livello internazionale riportano che le terapie intensive, le aree di emergenza e di chirurgia sono i setting nei quali gli operatori sembrano essere più vulnerabili a commettere errori (Vifladt et al., 2016; Turkelson e Keiser, 2017; Kiymaz e Koç, 2018).
Il fatto che una percentuale lievemente superiore di infermieri (34.84%) abbia riferito di aver visto/essere venuti a conoscenza di errori commessi da colleghi della stessa unità operativa negli ultimi 6 mesi, da un lato può trovare giustificazione nella già citata difficoltà a riportare un errore personale, dall’altro, in virtù della non eccessiva differenza percentuale, permette di offrire globalmente una panoramica verosimile alla dimensione del “problema-errore” nella pratica assistenziale.
Appare rilevante sottolineare il fatto che la grande maggioranza, oltre il 70% degli infermieri che ha riferito di aver commesso errori/quasi errori negli ultimi 6 mesi, ritiene che questo evento sia attribuibile alla personale condizione di sofferenza psicofisica e/o condizione di Burnout al momento dell’accaduto. Ciò suggerisce che la presenza di segni e sintomi riconducibili al Burnout possa essere in qualche modo associata al verificarsi degli errori; a conferma di quanto detto, il 77,27% dei soggetti che hanno commesso errori/quasi errori presentano alti livelli di Burnout.
Come suggerito in letteratura non è semplice capire la natura del legame tra questi due fenomeni (Burnout ed errore clinico), tuttavia alcuni studi espongono che il Burnout sia il fattore predittivo più rilevante dell’errore clinico, in quanto grava sulla salute, sulla sicurezza, sulla vigilanza degli infermieri, sulla soddisfazione del lavoro e sulle prestazioni lavorative e può portare a condizioni che causano una ridotta empatia e conoscenza del paziente da parte del personale sanitario e quindi condurlo verso l’errore clinico (Canady, 2016; Prapanjaroensin et al., 2017; Ross, 2016; Salyers et al., 2017; Johnson et al., 2017; Kiymaz e Koç, 2018; Hall et al., 2016) e agli insuccessi di cura (Prapanjaroensin et al., 2017), (Rodrigues et al., 2017).
Al contrario, anche commettere un errore può portare l’operatore a preoccuparsi per la propria carriera lavorativa e a sviluppare un senso di paura, di colpa, di insuccesso e manifestare i segni e sintomi della sindrome da Burnout (Cabilan e Kynoch, 2017).
Passando ad esaminare la soddisfazione nei confronti dell’assistenza ricevuta, sono stati arruolati 169 pazienti; anche in questo caso il campione raggiunto, pur con la limitazione legata alla natura monocentrica dello studio, può ritenersi soddisfacente ai fini in un inquadramento il più possibile reale del vissuto del paziente nel nostro panorama. Inoltre, il fatto che solo 3 soggetti non abbiano voluto partecipare all’indagine riduce enormemente il potenziale bias per il quale solamente i soggetti soddisfatti nei confronti dell’assistenza ricevuta avessero poi desiderato partecipare allo studio.
Complessivamente il 66.86% ha espresso alti livelli di soddisfazione nei confronti dell’assistenza infermieristica ricevuta. Tali risultati possono ritenersi in linea con altri recenti studi all’interno del panorama italiano (Criscuolo et al., 2015; Sasso et al., 2017). A livello internazionale la situazione pare essere abbastanza eterogenea, caratterizzata da lavori che riportano alti livelli di soddisfazione (Desborough et al., 2015; Kol et al., 2018; Younas and Sundus, 2018a), mentre in altri il giudizio delle persone assistite è stato più negativo (Charalambous et al., 2017; Sharew et al., 2018). L’analisi più approfondita di tali differenze richiederebbe maggiori analisi che prendano in considerazione l’impatto di diversi fattori, quali, ad esempio, l’organizzazione dei servizi sanitari, i percorsi formativi del personale infermieristico, nonché il significato di salute/malattia e le aspettative dell’utenza che possono indubbiamente essere influenzate dai diversi background culturali. Dalla letteratura, infatti, si evince che la soddisfazione può essere influenzata da molti fattori individuali, quali età, sesso, istruzione, condizioni di salute. Più specificatamente gli uomini, gli anziani e coloro che hanno un basso livello d’istruzione, generalmente, si dimostrano più soddisfatti in quanto l’aspettativa che si creano riguardo all’esperienza ospedaliera è molto più bassa (Sharew et al., 2018; Thomas et al., 1996).
Analizzando i singoli item della NSNS, i punteggi più critici sono stati ottenuti dall’item 5 – “Gli infermieri impiegavano molto tempo ad arrivare quando erano chiamati” -, 22 – “Gli infermieri avevano il tempo di fermarsi e parlare con me, quando ne avevo bisogno” e 23 – “Medici e infermieri lavoravano bene insieme, come una squadra”. Questi dati non sorprendono poiché confermati dalla letteratura, che evidenzia come tra i principali determinanti della soddisfazione del paziente, oltre che l’affidabilità, disponibilità, comunicazione e informazione, competenza, sono compresi proprio la necessità di attenzione, supporto e senso di sicurezza, la relazione con gli operatori, tempo condiviso, partecipazione e coinvolgimento (Bandurska et al., 2016; Kol et al., 2018; Charalambous et al., 2017; Sharew et al., 2018). Negli ospedali ove spesso è presente una condizione più o meno marcata di carenza di personale e di elevati carichi lavorativi e quindi una ridotta tempestività nell’assistenza, i pazienti sono risultano meno soddisfatti delle cure ricevute (Kol et al., 2018; Edvardsson et al., 2017; Recio-Saucedo et al., 2018).
Al contrario di quanto suggerito dalla letteratura in cui è emersa una relazione tra livelli più elevati di Burnout e livelli inferiori di qualità dell’assistenza (Canady, 2016; Salyers et al., 2017; Lu et al., 2018), nel presente studio non emerge una relazione statisticamente significativa tra questi due costrutti. Tale risultato però deve essere letto alla luce del fatto che i pazienti non sono stati assistiti, necessariamente, solo da infermieri presentanti alti livelli di Burnout; tale aspetto può per questo motivo essere considerato una limitazione nella corretta interpretazione della relazione tra questi due domini.
CONCLUSIONI
In conclusione, questo studio ha confermato la dimensione del problema della sindrome da Burnout nel personale infermieristico, peraltro già ampiamente documentata a livello internazionale. Nonostante non sia stato possibile confermare una relazione significativa tra Burnout e soddisfazione del paziente rispetto alla qualità delle cure ricevute, è sensato ipotizzare che il Burnout, influendo sul benessere del personale infermieristico, possa ripercuotersi sulla qualità delle cure erogate; ciò in aggiunta alla relazione “Burnout-errore” evidenziata nel presente lavoro, può condurre, come logica conseguenza, all’insoddisfazione dei pazienti.
Lavorare con decisione sul Burnout, pertanto, potrebbe rappresentare una strategia vincente sia per migliorare il benessere del lavoratore e dunque la qualità dell’assistenza infermieristica, sia per fornire un ulteriore contributo all’impegno volto a diminuire gli errori clinici commessi dagli infermieri. Un problema di importanza non irrilevante: se non eliminabile del tutto, può almeno essere ridotto in modo significativo, lavorando su tutte le variabili modificabili che conducono al suo verificarsi.