Il tutorato pedagogico infermieristico: una funzione da valorizzare


La formazione infermieristica, per le sue caratteristiche fortemente professionalizzanti, necessita non solo di adeguati insegnamenti, così come previsti dai piani di studio delle varie Università, ma anche di una forte azione tutoriale che, ancorandosi ai principi dell’apprendimento dell’adulto, sostenga gli studenti nel loro percorso di apprendimento, aiutandoli a superare le eventuali difficoltà, a responsabilizzarsi e a rendersi consapevoli sia delle competenze acquisite, sia di quelle acquisibili.
Quando si parla di tutorship si fa riferimento a una funzione che può essere svolta da molteplici figure che, nel loro insieme, costituiscono, all’interno dei Corsi di Laurea, un vero e proprio sistema tutoriale corresponsabile, a tutti gli effetti, della realizzazione dell’intero progetto formativo. Nell’attuale organizzazione dei Corsi di Laurea in Infermieristica e Infermieristica Pediatrica afferenti al Coordinamento Interregionale del Piemonte e Valle d’Aosta[1], il sistema tutoriale è composto essenzialmente da tre figure: infermiere guida di tirocinio, tutor clinico, tutor dedicato alla didattica professionale, quest’ultimo denominato anche frequentemente tutor pedagogico o tutor di sede.
Mentre le prime due figure, incardinate negli organici del personale delle sedi di tirocinio, svolgono una funzione sufficientemente ben connotata e omogenea su tutto il territorio regionale, i tutor dedicati alla didattica professionale, che svolgono la loro funzione a tempo pieno presso le sedi dei Corsi di Laurea, esprimono la loro funzione in modo variegato, spesso dipendente dai modelli organizzativi adottati nella specifica sede di appartenenza, e vivono, seppur con intensità diverse, una serie di criticità, connesse ad attività plurime ed eterogenee.
È proprio su questa figura che ci si vuole soffermare per analizzare le criticità che spesso essa incontra nell’esercizio della sua funzione e per documentare un primo tentativo di progetto di valorizzazione portato avanti all’interno del Coordinamento interregionale dei Corsi di Laurea della Regione Piemonte e Valle d’Aosta. In linea di massima è possibile trovare un denominatore comune che qualifica la funzione dei tutor pedagogici, riferibile all’indiscussa responsabilità che essi hanno nella conduzione di almeno tre tipi di attività:

  • didattiche, soprattutto in qualità di formatori nei confronti sia di studenti, sia di infermieri guida, sia di tutor clinici e di conduttori di laboratori;
  • metodologico-educative, in qualità di supervisori dei processi di apprendimento degli studenti, dei processi di insegnamento clinico a carico dei tutor clinici, dell’accompagnamento nel tirocinio in senso lato (analisi di casi, discussioni attività di studio guidato e di quesiti di ricerca, debriefing) e di gestori di situazioni problematiche di studenti;
  • organizzative, in modo particolare nella programmazione e nel coordinamento delle attività didattiche dei Corsi di Laurea e delle attività di tirocinio.

Accanto a queste attività sostanziali, i tutor di sede sono talvolta coinvolti, secondo necessità, nello svolgimento di alcune attività amministrative o di supplenza operativa logistica e tecnica, sebbene tali attività non risultino appropriate alla specifica funzione.

A questa prima criticità, vissuta con sfumature diverse in tutte le sedi, se ne aggiungono altre:

  • la scarsa visibilità della figura, spesso misconosciuta e sottovalutata sul piano istituzionale e giuridico/amministrativo, nei protocolli di intesa, negli accordi attuativi tra Università, Regione e Aziende Sanitarie, negli atti aziendali;
  • la terminologia non univoca utilizzata per denominare questa figura (tutor pedagogico, tutor di sede, tutor d’area, tutor della didattica professionale, tutor supervisore, tutor con funzioni di manager didattico, tutor con funzioni di manager di percorso, referente o coordinatore di anno), che evidenzia, nominalmente, una certa confusione identitaria;
  • le competenze non del tutto chiare e, soprattutto, non condivise tra le varie sedi di Corso di Laurea, fatto che rende disarmonica, a livello di coordinamento interregionale, l’offerta agli studenti di una funzione estremamente importante e che rischia di rendere l’interpretazione operativa della stessa molto dipendente dalla soggettività della persona che la svolge;
  • la formazione continua della figura, lasciata molto spesso all’iniziativa individuale a fronte di un sistema formativo, di primo e di secondo livello, formalizzato e ben consolidato rivolto ai tutor clinici e agli infermieri guida di tirocinio;
  • lo sbilanciamento frequente, in termini di qualità e quantità, vissuto dai tutor a fronte di incombenze organizzative e di coordinamento che, seppur importanti, snaturano in parte la prioritaria natura pedagogica di secondo livello del suo ruolo.

La consapevolezza di tali criticità e la volontà sia di armonizzare e valorizzare l’esercizio di tale funzione tutoriale, sia di svilupparla verso obiettivi condivisi a livello di coordinamento interregionale, hanno indotto il Coordinamento Interregionale dei Corsi di Laurea in Infermieristica del Piemonte e della Valle d’Aosta ad avviare una riflessione comune nel merito e a identificare un percorso di miglioramento. Allo scopo è stato costituito un gruppo di lavoro composto da una rappresentanza di tutor di ogni sede dei Corsi di Laurea afferenti al Coordinamento.

L’obiettivo del gruppo di lavoro è stata la produzione di un documento condiviso sulle competenze del tutor pedagogico. Documento che s’intende utilizzare come riferimento per avviare la revisione, sia a livello locale presso ogni sede, sia a livello collettivo, delle modalità di utilizzo del tutor pedagogico, delle condizioni organizzative che ne sostengono l’azione e dei percorsi di formazione continua che ne alimentano la preparazione.

Il lavoro è stato articolato in due fasi:

  • fase 1 – dedicata ad approfondire i concetti di supervisione pedagogica e di riflessività, scelti in quanto due baluardi concettuali e metodologici della funzione tutoriale;
  • fase 2 – dedicata ad analizzare le competenze del tutor pedagogico, in particolare quelle relative alla dimensione pedagogica del suo agire nei confronti dello studente e del tutor clinico.

Il risultato raggiunto è stata la redazione, sulla base di un congruo studio bibliografico, di un documento sinottico che esprime una sorta di distillato concettuale sul tema della supervisione pedagogica e su quello della riflessività. Il documento, predisposto in bozza dal gruppo di lavoro, è stato condiviso e integrato da tutti i tutor pedagogici, attraverso un confronto in ogni sede di Corso di Laurea, e successivamente perfezionato dal gruppo di lavoro che ne ha curato la versione definitiva. Di seguito viene riportato il documento.

LA SUPERVISIONE PEDAGOGICA

Che cos’è la supervisione pedagogica?
La supervisione pedagogica è uno strumento meta-riflessivo attraverso cui l’educatore può analizzare le pratiche pedagogiche dal punto di vista dell’intenzionalità, della progettualità e del significato a esse sotteso. E’ anche uno strumento professionalizzante, in quanto apre spazi di pensiero sull’identità e sul ruolo dell'educatore, sulle premesse, sulle pratiche operative, sulla coerenza tra progettualità e metodi di intervento. In quanto tale è strumento fondante della cultura professionale dell'educatore.

A che cosa serve?
In particolare, la supervisione è finalizzata a:

  • individuare e sciogliere alcune situazioni che fungono da ostacolo e che non consentono, a una prima analisi, l’auspicato procedere dello studente del progetto educativo;
  • evidenziare il senso dell’azione educativa, cioè scoprire l’educazione pensata, anche laddove non sembra esservi pensiero, e scoprire la pratica educativa, anche laddove non sembra esservi;
  • favorire il confronto tra le dichiarazioni d’intenti educativi e gli effetti educativi, quando tra i due sembra esistere uno iato ritenuto non fisiologico.


Quali sono le funzioni attribuite alla supervisione pedagogica?

Nella letteratura sulla supervisione svolta nell'ambito delle professioni d'aiuto è possibile rintracciare le funzioni che le vengono attribuite trasversalmente, al di là della specificità dei contesti operativi e delle figure professionali:

  • presidio di uno spazio di riflessione sulla professionalità: costruzione di un contesto nel quale è possibile sospendere l'operatività e cercare connessioni tra motivazioni, obiettivi, scelte, dubbi, vissuti, metodologie e nuove possibilità;
  • attivazione di un processo di apprendimento dall'esperienza: la rilettura delle scelte operative, stimolata dalla supervisione, attiva un processo di apprendimento e facilita lo sviluppo di uno spirito scientifico di ricerca;
  • valutazione in linea retta del lavoro: il supervisore, in un rapporto dialogico con gli operatori, attiva e sostiene un lavoro di monitoraggio dei progressi, di analisi delle criticità e di definizione degli obiettivi dell'agire professionale;
  • documentazione: il supervisore spesso sollecita la pratica della documentazione del lavoro, come esercizio di pensiero, sistematizzazione e analisi approfondita della prassi e dei contesti operativi;
  • trasmissione della cultura professionale: le occasioni di scambio e di confronto sulle metodologie, sull'identità professionale, sulla filosofia dell'intervento, sul senso dell'azione professionale, oltre a favorire il potenziamento delle competenze professionali, aiuta a renderle visibili e trasmissibili.


Perché la supervisione è complessa e potente?

È complessa perché può essere concepita come una riflessione di secondo livello, una meta-riflessione sull’esperienza, una rielaborazione relativa a tutti i livelli: organizzativo, relazionale, didattico. È potente perché, consentendo un distanziamento dalla riproduzione di tecnicismi e una (ri)focalizzazione di una prospettiva trasformativa di lungo periodo sulle interconnessioni di sguardi e saperi (teorici e prassici), è in grado di fornire all’educatore molteplici chiavi di lettura, di rafforzarne le competenze e di aiutarlo a definire strategie di (ri)progettazione.

Quali sono i suoi contenuti?
Sono riconducibili ai tre nuclei consolidati della riflessione pedagogica:

  • l’intenzionalità educativa (riferita alla capacità progettuale di sottrarre l’intervento educativo alla casualità della contingenza);
  • la titolarità educativa (riferita al posizionamento dell’educatore nelle reti relazionali con l’utenza e nell’attivazione delle risorse personali e di supporto);
  • l’attivazione delle risorse educative (riferita a quel processo dinamico di interscambio dialettico che ricerca e giustifica la realizzazione dei progetti).


Perché la supervisione irrobustisce la professionalità dell’educatore?

La supervisione pedagogica è uno strumento efficace di costruzione della professionalità educativa perché facilita un percorso riflessivo e discorsivo volto:

  • al riconoscimento del ruolo e delle specificità educative nel confronto con altre professionalità;
  • all’acquisizione di consapevolezza rispetto agli approcci e ai metodi d’intervento;
  • allo sviluppo di saperi e di competenze proprie della professionalità educativa; in particolare: la progettazione educativa, la relazione educativa, la collaborazione in équipe, il lavoro in rete;
  • l’affinamento di capacità rielaborative dell’esperienza, funzionali alla produzione di un sapere riflessivo, complesso e sistematizzato, necessario ad aumentare lo spessore teorico sotteso alle pratiche.


Quale rapporto tra supervisione e tutoring?

In letteratura non si trovano riferimenti non tanto alla figura professionale del supervisore, quanto a quella del tutor; è più corretto in questo caso, parlare di tutoring piuttosto che di supervisione, tenendo comunque presente che le due pratiche condividono i principi dell’affiancamento, dell’aggiornamento e della riflessività.

Ai tutor si richiede di istituire spazi formali d’apprendimento in cui gli studenti possano verificare le proprie conoscenze e competenze, sperimentandole in un contesto professionale, ma soprattutto sottoponendole a processi di riflessività, analisi critica e rielaborazione esperienziale. Le forme d’accompagnamento possono essere molteplici, articolate in interazioni formative che si concretizzano:

  • nell’operare un controllo passo passo sui corsi di azione (coaching);
  • nell’eventuale distinzione delle attività per meglio orientare il neofita nel suo apprendimento (shaping);
  • nel fornire modelli di azione o nel cooperare a una nuova modellizzazione (modelling);
  • dosare la pregnanza dell’accompagnamento con progressive forme di dissolvenza (fading);
  • nel sostenere i processi personali di elaborazione cognitiva (scaffolding) mediante domande dirette, sollecitazioni a porsi quesiti, di individuazione e consapevolizzazione dei propri modi di pensare e di imparare, di risolvere i problemi, di affrontare crisi ecc. (attività meta cognitive).


In sintesi chi è il supervisore?

Hawkins e Shohet hanno sintetizzato nell’acronimo C.L.E.A.R (contract, listen, explore, actionplan e review) l’essenza della supervisione nelle professioni di aiuto.

Il supervisore è colui che:

  • stipula un contratto chiaro, dichiarando la propria cornice epistemologica ed etica, esplicitando il proprio ruolo e le proprie funzioni di supervisore; si fa carico di una domanda di supporto e/o formazione, istituisce e gestisce uno spazio di negoziazione e condivisione sia di significati sia di priorità;
  • assume una posizione di ascolto empatico e generativo, autentico e coerente; focalizza la sua attenzione sui contenuti delle conversazioni, senza trascurare i non-detti e le dinamiche relazionali, per meglio comprendere le modalità di funzionamento del gruppo che ha di fronte e per far emergere i reali nodi intorno ai quali proporre un lavoro condiviso e collaborativo. Mantenendo un atteggiamento non adottante e non direttivo dà voce a tutti gli interlocutori presenti, ma sa anche gestire il silenzio, riconoscendolo come momento privilegiato di chiarificazione nella formulazione dei pensieri;
  • stimola connessioni, attraverso la formulazione di domande cariche di senso, e apre nuove prospettive;
  • offre spunti di riflessione sulle premesse e sulle categorie che definiscono le pratiche professionali;
  • interviene adottando differenti stili di conduzione, a seconda del gruppo e della situazione; i suoi interventi possono avere carattere di supporto e di rispecchiamento; talvolta possono essere provocatori, prescrittivi e/o informativi; può impostare un lavoro improntato prevalentemente sulla narrazione oppure richiedere la costruzione e l'utilizzo di strumenti e metodi particolari; può astenersi dal formulare proposte operative oppure richiedere di spostare temporaneamente il piano della riflessione verso l'operatività e, quindi, inserire nel percorso di supervisione la proposta/richiesta di formulare, sperimentare e valutare insieme nuove strategie e prassi educative;
  • padroneggia l’arte del feed-back: le sue restituzioni devono essere chiare, non ambigue, equilibrate, specifiche e puntuali; tali restituzioni, comprese e rielaborate dai soggetti, li aiutano a mettere in atto processi di cambiamento significativi. (1,2,3,4,5,6).

 

RIFLESSIVITA’ E TUTORATO

Che cos’è la riflessività?
Il senso comune confina la riflessività nell’ambito cognitivo; invece, la riflessività si avvale di emozioni, intuizioni, percezioni, motivazioni, passione, responsabilità e valori. Il significato di riflessione e riflessività si è sviluppato attraverso diversi contribuiti teorici che consentono, a chi si occupa di formazione, di addentrarsi in questa dimensione.

Che cosa dice la letteratura sulla riflessività?
Dewey riconduce la riflessività essenzialmente a un atto cognitivo che nasce da dubbi, difficoltà e sorprese. Questo significato è stato arricchito da Schön, che sviluppa ulteriormente il concetto, distinguendo la “riflessione sull’azione” – vista essenzialmente come introspezione cognitiva passiva – dalla “riflessionenell’azione” – vista come processo interattivo e intuitivo che guida l’attività – dalla “riflessione dopo l’azione”- vista come valutazione critica del vissuto e dell’esperienza col fine di ottenere un apprendimento dall’esperienza stessa. L’azione diviene, quindi, parte integrante della riflessione. Il legame tra le due porterà allo sviluppo di un modello di processo riflessivo noto come il ciclo riflessivo di Gibbs. Parallelamente a Schön, Kolb esplora il processo che si genera quando si attribuisce significato ai vissuti e formula il modello della spirale dell’apprendimento. In tale spirale si susseguono quattro fasi, ciascuna delle quali può essere il punto di partenza del ciclo di apprendimento: esperienza concreta, osservazione, riflessione, formulazione di concetti astratti e loro sperimentazione nell’esperienza concreta. Un contributo significativo al concetto di pratica riflessiva, interessante per l’applicazione nell’ambito della formazione, è quello di Bound, Keogh e Walcher che sostengono che “la riflessione è un’importante attività umana attraverso cui le persone recuperano le loro esperienze, ci pensano e infine le svolgono. E’ questo lavoro che si fa con l’esperienza a essere importante per l’apprendimento”. Questi autori sono molto attenti agli aspetti emotivi. Essi sottolineano che nel processo riflessivo sono particolarmente importanti tre elementi: il collegamento all’esperienza attraverso la memoria degli eventi, l’attenzione alle sensazioni utilizzando quelle positive e rimuovendo quelle negative e ostacolanti, la rivalutazione dell’esperienza. Un ulteriore significativo contributo allo sviluppo del concetto di riflessività in relazione all’apprendimento è dato da Mezirow. Egli fa riferimento all’apprendimento trasformativo, che comporta una maggior consapevolezza delle proprie emozioni e delle proprie credenze, una critica di ciò che si dà per certo e assodato, una valutazione delle possibili alternative.

Quali sono gli elementi della riflessività?
La riflessività affronta tre aree principali:

1. L’esperienza: per comprendere come l’esperienza sia collegata all’apprendimento occorre riconoscere la complessità della loro interazione e avere consapevolezza dei fattori che sono coinvolti. I prerequisiti fondamentali per lavorare con l’esperienza riguardano:

  • la presenza di un quadro concettuale di riferimento attraverso il quale leggerla;
  • la capacità di pensare sia in concreto sia in astratto;
  • la capacità di meta cognizione;
  • la possibilità di dedicare tempo alla riflessione;
  • la possibilità di presidiare l’approccio sistematico.


2.
L’importanza della persona: la pratica riflessiva è caratterizzata dall’essere situata e necessariamente calibrata in relazione alla persona e ai suoi specifici bisogni, in quanto la riflessione è dialogo. Il tutor pedagogico quindi ha necessità di riconoscere i bisogni dei suoi interlocutori, siano essi tutor clinici, studenti, altre persone in formazione. In letteratura, per capire se la pratica riflessiva è realizzata efficacemente, sono indicati quattro descrittori che riguardano la percezione che la persona ha delle capacità del tutor/facilitatore:

  • stabilire relazioni interpersonali positive;
  • rispettare le voci della persona (nel nostro caso del tutor clinico e dello studente);
  • stimolare pensieri di ordine superiore;
  • corrispondere alle differenze tra le persone.

L’importanza della persona richiama alcuni principi di etica situazionale da applicare al ciclo della riflessione. Infatti, i partecipanti alla pratica riflessiva devono dare il consenso a tale attività e conoscerne gli obiettivi; le informazioni devono essere trattate in modo confidenziale e nel rispetto della riservatezza.

3. La gestione dell’inatteso: nella pratica riflessiva l’imprevisto ha un ruolo essenziale in quanto porta a essere attenti, cambia la pianificazione effettuata, costringe a ri-considerare le decisioni assunte e a re-indirizzare le azioni da compiere. A tale proposito Torbert ha osservato che “il risultato principale della nostra azione potrebbe non essere quello immaginato esplicitamente nella nostra strategia iniziale, ma piuttosto la correzione che dovremmo fare delle nostre tattiche”.

Quale rapporto tra riflessività e tutorato?
I contributi dei diversi autori che hanno sviluppato il significato di riflessione e di pratica riflessiva fanno emergere che la riflessività è innanzitutto un’attitudine mentale e un possibile modo di vivere una professione (nel nostro caso di infermiere–tutor) oltre che una tecnica di apprendimento.
La pratica riflessiva costituisce, infatti, il presupposto per un tutorato che sostiene l’apprendimento, al di là della situazione tecnica e razionale, per esplorare il mondo delle emozioni, nel quale, come afferma L. Gamberoni, “hanno la stessa importanza l’empatia, il rispetto delle altre persone e delle idee altrui, la fiducia nelle proprie abilità, il riconoscimento dei propri difetti e la voglia di affrontarli”.
Ne deriva, quindi, un tutorato inteso come strada per alimentare capacità critiche e creative, per scoprire e costruire il sapere, come luogo della condivisione delle esperienze, di conoscenze, di crescita personale e professionale. La riflessione infatti incoraggia a esplorare i propri valori, ridefinendoli e ristrutturandoli, a proporre nuova conoscenza da applicare nel quotidiano, a far progredire, quindi, l’apprendimento. Il tutor pedagogico dovrebbe predisporre un percorso mirato a sviluppare la trama riflessiva delle meta competenze dello studente, favorendo, in collaborazione con i tutor clinici, le condizioni organizzative e didattiche per superare la separazione tra i diversi momenti formativi, portando lo studente a scoprire in prima persona la propria domanda di apprendimento: il formatore/esperto diventa così il ‘nocchiero’ che guida il soggetto a esplorare i territori esperienziali sui quali costruire il proprio tragitto.
Le progettazione della formazione, quindi, sarà tesa a individuare le situazioni–stimolo che, più di altre, possono mobilitare quelle componenti che caratterizzano la trama riflessiva sulle metacompetenze, cioè:

  • la capacità di riflettere sulla propria esperienza;
  • la capacità di sostare con se stesso per praticare la consapevolezza sospendendo la funzione giudicante;
  • la capacità di entrare in contatto con le proprie emozioni fondamentali (per esempio: la paura, la speranza, la gioia);
  • la disponibilità a costruire le rappresentazioni concettuali delle proprie azioni e delle proprie scelte di vita professionale, ricercandone il senso. (7,8,9,10,11,12,13,14,15,16,17,18).

Successivamente si sono analizzate in dettaglio le peculiarità del Tutor Pedagogico. Il risultato raggiunto è stata la specificazione delle sue attività, sia nella relazione educativa con lo studente, sia nella relazione collaborativa con il tutor clinico. Tale documento è stato redatto sulla base di una serie di documenti già esistenti nelle singole sedi dei Corsi di Laurea, supportati e integrati da bibliografia specifica.
Il documento, predisposto in bozza dal gruppo di lavoro, è stato condiviso e integrato da tutti i tutor pedagogici, attraverso un confronto in ogni sede di Corso di Laurea, e successivamente perfezionato dal gruppo di lavoro che ne ha curato la versione definitiva. Di seguito viene riportato il documento.

IL TUTOR PEDAGOGICO NELLA RELAZIONE CON LO STUDENTE

1

Supporta lo studente a scegliere un metodo utile per analizzare le proprie risorse personali (punti di forza e punti di debolezza), per autovalutarsi e per esplicitare i propri bisogni formativi o le proprie aspettative cognitive, emotivo affettive, metodologiche.

2

Pone domande e fornisce allo studente informazioni di ritorno utili a stimolare la sua curiosità, a porsi dubbi, ad alimentare una visione critica della realtà personale e situazionale.

3

Allena lo studente a decidere, a fronte di una situazione problematica e delle alternative di soluzione possibili, quella, più vantaggiosa.

4

Guida lo studente ad adottare un metodo di lettura della realtà che gli consenta di gestire le situazioni emotive e di comprendere con più accuratezza le situazioni, anche turbolente, che la realtà presenta negli aspetti cognitivo procedurali ed emotivo affettivi.

5

Si confronta con lo studente in merito ai suoi comportamenti e ai suoi pensieri per aiutarlo ad accettare e ad affrontare l’incertezza come condizione evolutiva della pratica professionale.

6

Ricerca informazioni dallo studente, cogliendo il suo modo di attribuire significato e senso alla situazione (bagaglio di conoscenze, esperienze consolidate, rappresentazioni, credenze) e si confronta con lui per aiutarlo a comprendere come e quanto la sua storia educativa-formativa possa favorire o meno il suo percorso di apprendimento.

7

Conduce riflessioni con lo studente orientate a sviluppare la sua capacità di sentirsi parte attiva in un sistema formativo e assistenziale.

8

Valuta con lo studente, in occasione di improvvisi eventi che lo hanno coinvolto in termini sia positivi sia negativi, l’effettiva non prevedibilità dell’evento o la sua fragilità nel prevederlo.

9

Valorizza con lo studente i risultati inattesi da lui conseguiti.

10

Riflette con lo studente sulle esperienze condotte sul piano delle competenze, delle emozioni, dell’etica sostenendolo nel ricercare metodi per lui migliori per effettuare collegamenti ricorsivi tra saperi ed esperienze.

11

Sostiene e guida gli studenti nelle dinamiche relazionali di gruppo.

12

Stimola il gruppo di studenti nella riflessione sull’esperienza alla ricerca di un confronto continuo tra pari.

13

Fornisce allo studente informazioni di ritorno utili per sfruttare o ampliare i suoi margini di miglioramento aiutandolo a valutare gli eventuali tempi prolungati per il raggiungimento dei risultati attesi.

14

Analizza con lo studente le situazioni da lui vissute per renderlo più consapevole sia di ciò che gli ha consentito di ottenere i risultati conseguiti sia di come tali risultati sono forieri di ulteriori passaggi evolutivi.

15

Sostiene lo studente nell’adottare un metodo efficace per analizzare gli errori o i quasi errori e analizza con lui le modalità per conoscere le situazioni e per riconoscersi nelle situazioni.

16

Concorda con lo studente strategie utili per aiutarlo, in sicurezza, a essere intraprendente nello scoprire il suo personale percorso d’apprendimento.

 

IL TUTOR PEDAGOGICO NELLA RELAZIONE CON IL TUTOR CLINICO

A

Contribuisce a progettare costantemente l’offerta formativa di area o di azienda.

B

Sostiene il gruppo di tutor clinici nell’elaborazione del progetto pedagogico del servizio, nel suo monitoraggio e nella verifica applicativa.
In particolare:

  • condivide con il tutor clinico gli obiettivi formativi istituzionali del corso di laurea;
  • concorda con il tutor clinico gli obiettivi formativi dello studente raggiungibili all’interno della sede di tirocinio;
  • condivide con il tutor clinico i dispositivi formativi da lui adottabili e fornisce consulenza in merito al loro utilizzo;
  • predispone e conduce eventi formativi indirizzati ai tutor clinici coinvolti nell’attività didattica con gli studenti.

C

Supporta il gruppo di tutor clinici nell’analisi, elaborazione, comprensione e ricerca di strategie di soluzione di “situazioni problematiche” In particolare:

  • fornisce consulenza pedagogica e didattica per prevenire e affrontare le problematicità che possono emergere nel percorso di apprendimento clinico dello studente;
  • verifica la qualità e la persistenza dei risultati delle soluzione adottate.

D

Attiva processi di riflessione condivisa con i tutor clinici per decidere in modo sempre più consapevole modalità di intervento adeguate.
In particolare:

  • fornisce consulenza pedagogica e didattica attraverso confronto dialogico ricorrente;
  • fornisce al tutor clinico informazioni di ritorno utili a sfruttare o ampliare i margini di miglioramento.

E

Sostiene il gruppo di tutor clinici nel migliorare la capacità di leggere e analizzare la propria pratica educativa, individuandone gli elementi di criticità.
In particolare:

  • supporta il tutor clinico nell’individuazione dei propri bisogni formativi e predispone attività formative dedicate;
  • aiuta il tutor clinico a migliorare le condizioni organizzative che qualificano il setting di apprendimento clinico.

F

Sostiene il gruppo di tutor clinici nella possibilità di introdurre cambiamenti migliorativi in relazione all’analisi dell’esistente e alle criticità rilevate.
In particolare:

  • sostiene proposte del tutor clinico in merito a progetti di miglioramento e di innovazione dell’assistenza che coinvolgano anche gli studenti;
  • sollecita, da parte del tutor clinico e del suo gruppo di riferimento, iniziative di miglioramento del tirocinio.


Discussione

L’aver definito con più precisione le competenze attese del Tutor Pedagogico ha reso anche possibile, di conseguenza, la puntualizzazione delle macro differenze che, all’interno del sistema tutoriale, articolato in più livelli, caratterizzano i diversi gradi di responsabilità del Tutor Clinico e del Tutor Pedagogico. Ciò nella consapevolezza che la formazione dello studente non può essere delegata alla spontaneità di un modello formativo implicito nelle singole figure di formatori coinvolti nel sistema, ma deve essere inserita in un contesto intenzionale, progettato e strutturato di significati e di attribuzioni.
Ne sono derivati alcuni tratti distintivi delle due figure, caratterizzati da un rapporto di complementarietà nella dinamica dei processi formativi professionalizzanti.

L’Infermiere Tutor Clinico è un professionista nominato annualmente dall’Università, incardinato nelle dotazioni organiche del servizio in cui svolge la sua attività e preparato dal Corso di Laurea all’esercizio della funzione tutoriale. Egli dedica all’attività di tutorato parte del suo tempo-lavoro, in ragione degli accordi intercorsi tra Azienda e sede del Corso di Laurea e della programmazione didattica del tirocinio. Egli, esperto di infermieristica clinica del settore e profondo conoscitore del suo contesto organizzativo, accompagna lo studente nel suo processo di apprendimento clinico in loco, nel vivo delle pratiche professionali, predisponendo, realizzando e presidiando le condizioni in cui egli conduce l'esperienza educativa professionalizzante, valutando e certificando l’esito del suo apprendimento.

L’Infermiere Tutor Pedagogico è un professionista dedicato a tempo pieno al Corso di Laurea nell’ambito del quale svolge le sue attività, riassunte nell’introduzione di questo documento. Egli, esperto di infermieristica, dei processi di insegnamento/apprendimento degli adulti, dell’organizzazione didattica, ricopre una posizione di interfaccia tra i luoghi della materialità del percorso professionalizzante dello studente e il Corso di Laurea, offrendo sostegno sia nello sviluppo del percorso didattico nei tre anni di corso dello studente, sia nelle dinamiche del processo formativo-educativo in situazione, sia nel coordinamento del progetto formativo nel complesso dei servizi. In tal senso contribuisce al potenziamento e allo sviluppo delle competenze educative dell’Infermiere Tutor Clinico, alla progettazione, al governo, alla supervisione e alla valutazione dei processi formativi delle sedi di tirocinio. Rende cioè concreto e operante il nesso tra "fare educazione" e "pensare pedagogicamente l'educazione".

Conclusioni
La funzione tutoriale pedagogica è divenuta nel tempo fondamentale e irrinunciabile per il buon funzionamento dei Corsi di Laurea e per la qualità dell’apprendimento degli studenti.
Le attività prima ricordate degli infermieri tutor pedagogici – didattiche, metodologico-educative, organizzative – conferiscono loro un notevole carico di responsabilità in una cornice di complessità tale da rendere indispensabile una strategia che limiti il più possibile il soggettivismo interpretativo della loro funzione; pena una situazione complessiva confusa e frammentata.

Soggettivismo legato spesso a modelli formativi impliciti, frutto di percorsi educativi ed esperienziali individuali molto diversificati. Soggettivismo che neppure il possesso del titolo di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche, pur essendo un criterio validissimo di accesso alla funzione, consente di eliminare totalmente. Soggettivismo la cui esistenza e persistenza induce un notevole disorientamento dello studente e propone un’offerta formativa molto disomogenea sul territorio di coordinamento interregionale, con indubbie ripercussioni anche in termini di etica pedagogica.

A questo proposito, però, sono necessarie due precisazioni.
In primo luogo, il soggettivismo non va confuso con il principio dell’autonomia didattica che, invece, valorizza legittimamente, attraverso scelte condivise del Consiglio di Corso – e non individuali – le specificità locali della sede, consentendole di caratterizzarsi nel panorama più ampio dell’offerta formativa territoriale.

In secondo luogo, esso non va confuso con il necessario calore e colore che i tratti di personalità del tutor devono conferire alle attività educative.
Per affrontare il rischio di soggettivismo, la strategia che è stata decisa e avviata dal Coordinamento interregionale ha avuto come primo passaggio la costruzione, condivisa dalla rete dei tutor, di un disegno concettuale, metodologico e valoriale della loro funzione, in cui riconoscersi individualmente e collettivamente.

L’avvio di tale strategia ha consentito alla rete dei tutor del Coordinamento interregionale di avviare riflessioni condivise, impostate sullo studio, sulla ricerca, collocando ognuno di loro oltre i limiti, inevitabilmente angusti, delle proprie esperienze e delle proprie sedi di Corso di Laurea.
In altri termini, al di là del prodotto – che sicuramente avrà possibilità di utilizzo interessanti come referenza concettuale a operativa – gli stessi lavori collegiali di preparazione hanno concretizzato un modo di lavorare sinergico, prima inesistente, che, di per sé, è già stato un modo per superare individualismi e localismi.
L’operazione condotta ha consentito di attivare uno stile di lavoro – riproducibile anche in altri contesti – a elevata valenza culturale, in termini sia di contenuto sia di metodo. È stata un’operazione che ha consentito ai partecipanti di sopraelevarsi rispetto alla contingenza del quotidiano e di sintonizzarsi sul “bene comune”.

Proprio in questa prospettiva è anche possibile sbilanciarsi nell’affermare che tutta questa operazione “di sistema”- in quanto concepita a livello di Coordinamento interregionale dei Corsi di Laurea – ha assunto i connotati di una vera e propria azione di politica professionale, in quanto:

  • si è sviluppata a livello non solo di progetto formativo, ma anche di progetto professionale: due dimensioni che non possono essere disgiunte in un apprendimento professionalizzante;
  • ha concentrato il suo focus su una micro comunità professionale – quella dei tutor pedagogici – costituita da professionisti che considerano la loro matrice infermieristica come la base ontologica dalla loro funzione pedagogica, e che quindi propongono agli studenti e, indirettamente, alla società, attraverso se stessi, un modello non solo educativo ma anche professionale.

Valorizzare la funzione tutoriale pedagogica è utile non solo per rendere “strumentalmente” visibile e apprezzabile tale figura, ma è anche una scelta politica in quanto esprime la consapevolezza del professionista del proprio sviluppo culturale e dell’emancipazione che, inevitabilmente, influenzano l’imprinting e incidono sulla costruzione della forma mentis dello studente. Conditio sine qua non affinché questo avvenga, è l’adeguata preparazione e la condivisione di pensiero che consentono di sentirsi parte di una comunità professionale che investe sul futuro delle nuove generazioni di infermieri.

Quanto fatto finora nel Coordinamento interregionale dei Corsi di Laurea in Infermieristica e Infermieristica pediatrica della Regione Piemonte e Valle d’Aosta ha imboccato questo percorso.
Certo, è solo un primo passo, che però, avendo fissato un quadro indentitario di riferimento assai importante, costituisce – tutti se lo augurano – il preludio di sviluppi decisamente interessanti.

 


[1] Il Coordinamento interregionale dei Corsi di Laurea in Infermieristica, Infermieristica pediatrica e Lauree magistrali in Scienze Infermieristiche e Ostetriche del Piemonte e della Valle d’Aosta si è costituito per iniziativa spontanea nel 2012, con la finalità di socializzare le esperienze, di armonizzare gli orientamenti, i metodi, gli strumenti della formazione e di generare sinergie tra le sedi; in particolare tra i tutor pedagogici delle stesse.

 

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Bibliografia

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